Animalismo

Salviamo gli animali, salveremo il pianeta

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25 Marzo 2020
Salviamo gli animali, salveremo il pianeta

Allevamenti intensivi e inquinamento


Gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento ambientale da PM 2,5, sono responsabili dell'estinzione di migliaia di specie animali, della deforestazione, dell'impoverimento del suolo, dell'inquinamento dei mari e dello sviluppo di virus e superbatteri sempre più resistenti agli antibiotici. Una drastica riduzione del consumo di carne è una scelta obbligatoria e responsabile per il nostro futuro.


Inquinamento, riscaldamento globale, effetto serra e sviluppo sostenibile sono temi di grande attualità.

L’ultimo allarme lanciato dall’Onu nel 2019 allerta che “Il danno ambientale al Pianeta è talmente grave da minacciare l’intero ecosistema e la salute delle persone se non si intraprendono azioni urgenti”.

La partecipazione giovanile ai “FridaysForFuture” ispirati all'attivista svedese Greta Thunberg, altri piccoli provvedimenti come il consumo d'acqua consapevole, l'acquisto di prodotti biologici ed auto a risparmio energetico sono azioni lodevoli, ma se vogliamo realmente avere qualche possibilità di salvare il nostro pianeta dobbiamo intervenire su uno dei più pericolosi responsabili del cambiamento climatico e della distruzione e devastazione del nostro ambiente: l'allevamento degli animali.

Purtroppo il consumo di carne e latticini  (secondo la FAO) è in costante aumento a livello mondiale. Le previsioni sono terribili: la produzione globale di carne secondo le attuali stime raddoppierà, passando da 229 milioni di tonnellate nel 1999/2001 a 465 milioni di tonnellate nel 2050, mentre la produzione di latte dovrebbe passare da 580 milioni di tonnellate a 1043 milioni di tonnellate.

Secondo le statistiche della FAO del 2007 in tutto il mondo ogni anno vengono macellati circa 56 miliardi di animali, esclusi pesci e altri animali marini e da allora visto il costante aumento di richiesta questo numero è certamente cresciuto. Questa crescita esplosiva della popolazione animale domestica si è rivelata incompatibile con i ritmi naturali terrestri e ha inciso attraverso diversi modi sull'equilibrio della Terra..

Le farfalle monarca che ogni anno giungono in Messico dagli dagli Stati Uniti per trascorrervi l'inverno sono gravemente minacciate dai danni dell'agricoltura intensiva
Le farfalle monarca che ogni anno giungono in Messico dagli dagli Stati Uniti per trascorrervi l'inverno sono gravemente minacciate dai danni dell'agricoltura intensiva

Le immissioni di gas serra nell'ambiente dovute a tutto il processo produttivo di carne, latte e uova avvengono si in maniera diretta che indiretta.

In maniera diretta le immissioni avvengono attraverso le deiezioni animali che causano un impatto diretto in termini di liquami inquinanti e di emissioni di gas serra. Le deiezioni liquide e semi-liquide del bestiame contengono livelli di fosforo e azoto al di sopra della norma, perché gli animali possono assorbire solo una piccola parte della quantità di queste sostanze presenti nei loro mangimi. Circa il 70-80% dell'azoto fornito a bovini, suini e alle galline ovaiole mediante l'alimentazione e il 60% di quello dato ai polli “da carne” viene eliminato nelle feci e nell'urina. Fosforo e azoto sono rispettivamente 23 e 296 volte più impattanti della CO2, per quanto riguarda l'effetto serra. Il 35-40% del metano e il 65% dell'ossido di azoto immessi nell'atmosfera vengono infatti dagli allevamenti. Le deiezioni in eccesso vengono sparse sul terreno mettendo in pericolo la salubrità delle acque e i pesci che ci vivono.In Gran Bretagna gli allevamenti producono 80 milioni di tonnellate di letame all'anno, in Italia 19 milioni di tonnellate. Si tratta di deiezioni a scarso contenuto organico, che contengono prodotti chimici (farmaci, fertilizzanti) di cui gli animali sono imbottiti. Calcolando il carico equivalente, ovvero trasformando il numero di animali in quello equivalente di popolazione umana che produrrebbe lo stesso livello di inquinamento da deiezioni, in totale, in Italia, gli animali equivalgono ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini, cioè più del doppio del totale della popolazione.

Il letame rappresenta una minaccia gravissima per i corsi d'acqua in cui possono finire con la pioggia, facendo calare i livelli di ossigeno e soffocando la vita acquatica.

I depositi di deiezioni degli allevamenti intensivi sono spesso dei puzzolenti laghi di escrementi e hanno già causato disastri ambientali in molte parti del mondo, spandendo batteri infettivi nei fiumi circostanti e filtrando fino alle falde acquifere utilizzate come acqua potabile.

Lo spandimento delle deiezioni animali è strettamente collegato alla “zona morta” di 7.000 miglia quadrate nel Golfo del Messico, che non contiene più vita acquatica.

Altri esempi eclatanti di tale impatto si trovano in Bretagna e North Carolina.

La  Bretagna nel 2000 ha prodotto 14 milioni di maiali all'anno, metà di quelli allevati nell'intera Francia. Eppure è impossibile vederne anche solo uno libero, perché si tratta di un'industria pesantemente intensiva, caratterizzata da macchinari moderni e lavoro a basso costo (sistema hors-sol, senza terra). Con l'arrivo di questo modello il panorama bretone è caratterizzato in prim'ordine da una massiccia monocultura di mais e altri cereali che hanno sostituito il trifoglio e l'erba medica e in second'ordine è diventato una discarica per il letame suino, perché le autorità locali hanno concesso ai coltivatori di spargere il letame anche in assenza di coltivazioni; di conseguenza quando piove il letame finisce nei fiumi e nelle falde acquifere e da lì nell'Oceano Atlantico dove alimenta il fiorire delle alghe verdi, che soffocano la vita marina. L'allarme è stato lanciato a seguito di una serie di incidenti anche mortali che hanno evidenziato non solo il danno ambientale ma anche la tossicità letale di tale alga (lattuga di mare), che ha causato decessi umani anche per i suoi gas tossici.

I dati dell'ISPRA evidenziano che gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da PM 2,5.
I dati dell'ISPRA evidenziano che gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da PM 2,5

Anche nel North Carolina l'industria suina è enorme (10 milioni di maiali allevati annualmente) ed ha causato molti disastri legati alla dispersione di letame, più di tremila immense lagune di letame sono sparse nello stato: ognuna contiene grandi quantità di urina, feci, sangue, placente e anche maialini nati morti. Il letame suino è dieci volte più inquinante degli scarichi domestici non trattati. Il suo spargimento nelle acque ha generato la diffusione della Pfiesteria piscicida, un organismo unicellulare che tra il 1991 e il 1999 ha ucciso più di un miliardo di pesci tramite lo sviluppo di piaghe ulceranti che trafiggono il loro corpi.

La baia di Chesapeake è l'estuario più grande degli Stati Uniti, un vasto bacino idrico che tocca sei stati, diciassette milioni di persone e più di tremila specie di piante e animali. Teatro di battaglie storiche ora sta affrontando una battaglia impegnativa: quella contro il guano degli allevamenti di polli, usato come fertilizzante economico da spargere nei prati dove crescono il mais e la soia che diventeranno cibo per i polli stessi. Il problema è che il numero di polli è altamente sproporzionato rispetto all'area in cui sono ospitati, quindi l'alta concentrazione di azoto e fosforo, di cui il guano è ricco diventa un inquinante pericoloso per le acque delle baia perché il terreno non riesce ad assorbirlo tutto. L'inquinamento degli allevamenti da pollame ha drasticamente ridotto la fauna marina, milioni di pesci muoiono per la carenza di ossigeno soffocato dall'azoto, altra fauna essenziale per un ambiente sano è scomparsa.

Oltre alle deiezioni, occorre smaltire tutte le parti di “scarto” degli animali uccisi. Nel “normale processo produttivo” viene prodotta un'enorme quantità di scarti non utilizzabili: la testa, i visceri, gli zoccoli, il contenuto dell'intestino, le cartilagini, le piume, le ghiandole, sono parti che non vengono normalmente usate.

Fino a pochi anni fa venivano essiccate e tritate in farine carnee che venivano aggiunte ai mangimi degli animali erbivori, ma dopo il caso “mucca pazza”, questo non è più possibile  per i bovini (almeno, non lo è legalmente) e quindi vengono stoccate, con conseguente spreco di spazio e denaro pubblico.

In caso di epidemie, vengono bruciati, o seppelliti (vivi o morti) milioni di animali. La cremazione richiede una grande quantità di combustibile ed emette fumi inquinanti e tossici (compresa la diossina). La sepoltura contribuisce all'inquinamento delle fonti d'acqua e all'inquinamento da antibiotici, di cui gli animali sono imbottiti.

Le immissioni di gas serra nell'ambiente di cui gli allevamenti sono responsabili avvengono anche in maniera indiretta, a causa dello spreco di energia e materie prime  di tutto il processo produttivo dovuto alla trasformazione vegetale-animale. Per produrre 1 kg di carne occorre coltivare 15 kg di vegetali (cereali e leguminose) per nutrire l'animale, in tutto questo c'è un grande spreco di risorse: di suolo, di acqua, di energia, di sostanze chimiche.

Secondo la Fao, l’allevamento è l’attività che usa più terra in assoluto: quasi l’80% di tutti i terreni agricoli sono utilizzati nelle coltivazioni per la produzione di mangimi e a pascoli.

Per quel che riguarda il consumo di risorse idriche lo studio più approfondito lo ha fatto Water Footprint: un Kg di carne bovina necessita di 15.415 lt d’acqua, che diventano 4.325 per il pollame, 4.055 per i legumi, e 322 per un chilo di verdura.

Inoltre i terreni agricoli utilizzati per produrre mangimi stanno eliminando foreste e aree incontaminate, e di conseguenza la biodiversità. Solo la coltivazione di soia ad uso animale, è passata dai 175 milioni di tonnellate del 2000 ai 350 milioni di tonnellate di oggi.

Anche chi non è sensibile alla sofferenza degli animali con i dati che abbiamo oggi deve chiedersi se davvero gli allevamenti intensivi sono il modo migliore di sfamare il mondo. La risposta è NO! ma l'agricoltura intensiva è avanzata insidiosamente, in maniera quasi invisibile agli occhi dei consumatori e senza che nessuno se ne lamentasse gli animali di allevamento sono lentamente scomparsi dai campi per finire in capannoni chiusi, angusti e senz'aria. La gente ora ha forse una vaga idea che le cose siano cambiate ma per lo più continua a credere che i polli razzolino nell'aia, che i maialini ruzzolino felici nei recinti erbosi e che le mucche pascolino con i loro vitellini. Sin da piccoli ci vengono propinati libri con immagini di felicità bucolica. Alle elementari ci portano alle gite scolastiche nelle fattorie aperte al pubblico per perpetrare l'inganno. La realtà non viene mostrata agli occhi dei bambini perché sarebbe sconvolgente. I consumatori sono in realtà capri espiatori che camminano tra i corridoi dei supermercati con la benda sugli occhi incapaci distinguere quanto coltivato  o allevato naturalmente e ciò non ha importanza solo da un punto di vista etico ma anche di qualità e di valori nutrizionali.

Lo sfruttamento estremo delle mucche da latte. Un allevamento di 100 mucche può produrre tanti rifiuti quasi quanto una cittadina di cinquemila persone.
Lo sfruttamento estremo delle mucche da latte. Un allevamento di 100 mucche può produrre tanti rifiuti quasi quanto una cittadina di cinquemila persone

Chi non è sensibile alle sofferenze degli animali può trovare anche altre ragioni oltre a quelle ambientali per riflettere sullo spreco e sulla bassa qualità della carne prodotta con queste tecniche. Dal momento che gli animali non hanno più accesso al foraggio il cibo deve essere trasportato a volte da un continente all'altro. Tutti gli animali da allevamento consumano un terzo della produzione mondiale di cereali, il 90% della farina di soia e fino al 30% del pescato globale – risorse preziose che potrebbero sfamare miliari di persone. Nel frattempo i capannoni sono diventati focolai di malattie: è un mercato che dipende da grandi quantità di antibiotici – la metà di tutti gli antibiotici usati al mondo è destinata agli animali da allevamento (dato OMS Organizzazione Mondiale per la Sanità - 2011) . La conseguenza è stata l'insorgenza di superbatteri  resistenti agli antibiotici negli esseri umani e virus letali associati all'allevamento intensivo.


Il contributo all'inquinamento atmosferico del PM 2,5

Il Corriere della Sera del 26 febbraio 2019 ha reso noti i dati pubblicati dall'Ispra sulle analisi dell'ambiente: le voci più «pesanti» dell’inquinamento da particolato PM2,5 sono il riscaldamento e gli allevamenti intensivi di animali, rispettivamente con il 38% e il 15,1%, al terzo posto c'è l'industria con l'11,1% ed al quarto posto i veicoli con il 9%.

Il particolato, PM (Particulate Matter) è l’insieme delle sostanze sospese nell’aria che hanno una dimensione fino a 100 micrometri, considerate gli inquinanti di maggior impatto nelle aree urbane. Si tratta di fibre, particelle di carbonio, metalli, silice, inquinanti liquidi e solidi che finiscono in atmosfera per cause naturali o per le attività dell’uomo.

Il particolato primario è quello direttamente emesso dalle sorgenti inquinanti (ad esempio dai tubi di scappamento delle auto): il 59% è dovuto al riscaldamento, il 18% alle auto, il 15% all’industria, mentre il contributo degli allevamenti intensivi è irrisorio (l’1,7% di PM 2,5).

Il particolato secondario è quello che si forma in atmosfera a causa di processi chimico-fisici e deriva da sostanze originariamente emesse in forma gassosa. Tale contributo di particolato secondario aumenta in caso di condizioni meteorologiche di stabilità atmosferica o di assenza prolungata di pioggia, quando si raggiungono i massimi livelli di inquinamento e nelle stagioni invernali; fenomeno comune nella pianura padana.

Le polveri più pericolose sono quelle con diametro inferiore a 10 micrometri, il cosiddetto PM10, il cui 60% è composto da particelle con dimensioni inferiori a 2,5 micrometri, la frazione più leggera, che rimane più a lungo nell’atmosfera prima di cadere al suolo e che noi respiriamo maggiormente. Sono proprio queste particelle a entrare più in profondità nei nostri polmoni, aumentando il rischio di patologie gravi: asma, bronchiti, enfisema, allergie, tumori, problemi cardio-circolatori.

Se si considera il particolato secondario il contributo degli allevamenti intensivi al PM2,5 passa dall’1,7% al 15,1%, diventando la seconda fonte di inquinamento totale da polveri, perché gli allevamenti intensivi sono i principali responsabili di emissione di ammoniaca nell’aria (il 76,7% a livello nazionale nel 2015), principale fonte di particolato secondario.

Se si guardano i dati degli ultimi sedici anni, si vede come il settore allevamenti non ha subito alcun tipo di miglioramento in termini di inquinamento da PM. Il trend degli ultimi anni è chiaro: diminuisce l’inquinamento dovuto a trasporto su strada e produzione energetica, ma aumenta la quota legata al  al settore allevamenti (dal 10,2% al 15,1% in sedici anni).


Le condizioni inaccettabili in cui “vivono” le scrofe impossibilitate a fare in benché minimo movimento. L'impatto degli allevamenti dei maiali sull'inquinamento è molto importante: il letame suino è dieci volte più inquinante degli scarichi domestici non trattati.
Le condizioni inaccettabili in cui “vivono” le scrofe impossibilitate a fare in benché minimo movimento. L'impatto degli allevamenti dei maiali sull'inquinamento è molto importante: il letame suino è dieci volte più inquinante degli scarichi domestici non trattati

La nascita degli allevamenti intensivi

La nascita dell'agricoltura e dell'allevamento intensivo risale agli anni Quaranta del secolo scorso, quando la guerra diventò uno spartiacque non solo per la politica globale ma anche una rivoluzione nella storia dell'alimentazione e dell'agricoltura.

Agli inizi del secolo nel tentativo di produrre esplosivi i tedeschi erano riusciti a convertire l'azoto dell'atmosfera in ammoniaca, un elemento essenziale nel tritolo ma anche nei fertilizzanti artificiali.

Mentre gli scienziati testavano sostanze per la guerra chimica, alcune di esse risultarono letali per gli insetti. Durante la guerra alcuni dei paesi più ricchi avevano vissuto un periodo di ristrettezze alimentari per cui cominciarono ad incentivare la produzione interna di cibo, fornendo aiuti economici agli agricoltori/allevatori che si sarebbero convertiti ai nuovi metodi di produzione di massa: ottenere di più dalla stessa terra usando prodotti chimici e farmaceutici.

I pesticidi derivanti dal gas nervino cominciarono ad essere usati contro il nuovo nemico: gli insetti delle campagne. Le tecniche agricole selettive provocarono il decollo di raccolti di mais economico che divenne una risorsa a basso costo per il mangime animale.

Le nazioni industrializzate trasformarono gli allevamenti in un processo di produzione di massa barattando la qualità con la quantità e creando conseguenze gravi anche sulle campagne. Fu permesso l'uso degli antibiotici sul bestiame, fornendo il mezzo per tenere un maggior numero di animali nel minor spazio possibile. I farmaci e gli ormoni diedero il beneficio di favorire i tassi di crescita per avere animali sempre più grassi da macellare. Gli animali da fattoria scomparvero dalla terra per finire in capannoni simili a fabbriche.

Nacque il nuovo tipo di allevamento, a catena di montaggio con animali che vivevano le loro vite al buio, immobili, senza mai vedere il sole. Tutto venne sovraccaricato per la corsa alla produzione: animali grotteschi come polli che raggiungevano il peso di un adulto a sei settimane di vita; un esercito di “consulenti finanziari” invitavano gli allevatori tradizionali a convertirsi a quel sistema a pena del fallimento economico. Allevamento e agricoltura un tempo erano un binomio felice. L'industrializzazione ha separato l'agricoltura dall'allevamento ed ha determinato la quasi scomparsa della vegetazione autoctona.


Gli effetti sull'ambiente: disboscamento e desertificazione

La produzione di bestiame contribuisce anche alla carenza di acqua dolce, alla distruzione e alla deforestazione del suolo, dell'acqua, alla perdita di habitat e all'estinzione delle specie.

Il mondo si sta muovendo verso problemi crescenti di carenza di acqua dolce, scarsità ed esaurimento. Entro il 2025, 1,8 miliardi di persone vivranno in paesi o regioni con assoluta carenza idrica e due terzi della popolazione mondiale potrebbero vivere in condizioni di stress idrico. E' l'ONU che avverte che l'allevamento è di gran lunga la causa principale della diminuzione dell'acqua e contribuisce per circa un quarto all'attuale innalzamento del livello del mare.

Nel mondo un quarto dell'acqua dolce disponibile è usata per produrre carne o latte. Mediamente la carne richiede, per produrre la stessa quantità di calorie, una quantità d'acqua dieci volte maggiore di quella necessaria alle piante.

Uno scorcio della dead-zone della Baia di Chesapeake, fortemente inquinata dal guano degli allevamenti di polli.
Uno scorcio della dead-zone della Baia di Chesapeake, fortemente inquinata dal guano degli allevamenti di polli

Il bestiame è il maggiore utilizzatore mondiale di risorse terrestri, con pascoli e terreni coltivati dedicati alla produzione di mangimi che rappresentano quasi l'80% di tutti i terreni agricoli.

Un esempio di questo sistema è rappresentato dal perverso allevamento di mucche frisone Holstein nel deserto arabo (di Al Safi in Arabia Saudita), dove le temperature arrivano fino a 50°. Un complesso sistema di irrigazione, pompa milioni di litri d'acqua da falde profondissime. Circa 29.000 mucche vengono tenute in vita in tettoie dotate di ventilatori che spruzzano loro spruzzi d'acqua leggeri. In media ad ogni mucca vengono destinati circa 134 lt d'acqua al giorno (circa 3.886.000 lt acqua al giorno)

L'aumento della produzione di bestiame è anche un fattore chiave nella deforestazione, soprattutto in America Latina, dove si sta verificando la maggior quantità di deforestazione: il 70% dei terreni precedentemente boschivi in Amazzonia è occupato da pascoli e le colture per gli animali d'allevamento coprono gran parte del resto: la soia e i cereali coltivati in queste aree sono destinati a nutrire gli animali d'allevamento.

Ogni anno scompaiono 17 milioni di ettari di foreste tropicali. L'allevamento intensivo è la principale causa: nella foresta Amazzonica l'88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo e circa il 70% delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in pascoli. A partire dal 1960, in Brasile, Bolivia, Colombia, America Centrale sono stati bruciati o rasi al suolo decine di milioni di ettari di foresta, oltre un quarto dell'intera estensione delle foreste centroamericane, per far posto a pascoli per bovini. Per dare un'idea delle dimensioni del problema, si pensi che ogni hamburger importato dall'America Centrale comporta l'abbattimento e la trasformazione a pascolo di sei metri quadrati di foresta.

Il Gran Chaco è dopo l’Amazzonia la seconda foresta tropicale più ampia dell’America Latina, nonché la più grande foresta tropicale secca presente in Sud America. Si tratta di un’area di oltre 1,1 milioni di chilometri quadrati che interessa Argentina, Bolivia e Paraguay – e che ospita 4 milioni di persone, di circa l’8% è composto da Popoli Indigeni, la cui vita dipende dalla foresta.

Un indagine di oltre un anno condotta da Greenpeace (report “Foreste al macello) denuncia lo stretto legame tra le deforestazioni che si consumano in Sud America – in particolare nella foresta del Gran Chaco – e la produzione di carne che viene abitualmente esportata in Europa.

Nel Gran Chaco si registra uno dei più alti tassi di deforestazione al mondo: questo avviene principalmente a causa degli allevamenti e dell’espansione indiscriminata delle piantagioni di soia geneticamente modificata. Il problema è ancora più evidente in Argentina, un Paese che gioca un ruolo fondamentale come consumatore, produttore ed esportatore di carne bovina e che – attualmente – è il sesto Paese al mondo sia per numero di capi di bestiame che per esportazione e produzione di carne (ogni anno 200.000 ettari di foresta vengono persi in Argentina). Lo scorso anno l’Italia ha importato dall’Argentina 5.800 tonnellate di carne fresca, diretta principalmente in Emilia-Romagna, che ospita gran parte delle aziende di trasformazione e distribuzione di carne.

Le vittime della deforestazione in Argentina non sono solo gli animali ma anche i popoli indigeni che occupavano queste terre: I Toba, un popolo fiero che abitava questi luoghi, è stato “venduto” insieme alle loro terre, in una forma di moderno colonialismo la loro terra viene venduta per produrre soia e cerali destinati a nutrire animali che forniranno carne di bassa qualità ai paesi più ricchi.

Report dell'associazione di consumatori tedesca Foodwatch pubblicato nel 2008 sulle emissioni di CO2 risultanti dalla coltivazione dei mangimi per gli animali, dall'utilizzo dei pascoli per l'allevamento e dalle deiezioni prodotte dagli animali stessi, esplicitato in termini di “km equivalenti” percorsi in auto (una BMW); il grafico spiega a quanti km percorsi in auto equivale 1 kg di carne, 1 kg di grano, ecc. Il tipo di alimentazione più ecologista è quella 100% vegetale. L'alimentazione latto-ovo-vegetariana ha un impatto 4 volte più alto, quella onnivora 8 volte più alto.
Report dell'associazione di consumatori tedesca Foodwatch pubblicato nel 2008 sulle emissioni di CO2 risultanti dalla coltivazione dei mangimi per gli animali, dall'utilizzo dei pascoli per l'allevamento e dalle deiezioni prodotte dagli animali stessi, esplicitato in termini di “km equivalenti” percorsi in auto (una BMW); il grafico spiega a quanti km percorsi in auto equivale 1 kg di carne, 1 kg di grano, ecc. Il tipo di alimentazione più ecologista è quella 100% vegetale. L'alimentazione latto-ovo-vegetariana ha un impatto 4 volte più alto, quella onnivora 8 volte più alto.

L'Argentina racchiude i peggiori aspetti dell'agricoltura intensiva: da una parte con la sua enorme produzione di soia (completamente OGM) l'Argentina nutre letteralmente gli allevamenti intensivi europei e dall'altra è la vetrina dei peggiori allevamenti intensivi del pianeta, quelli del cosiddetto “manzo da batteria”.

Questa distruzione della terra sposta anche gli animali selvatici, con conseguente perdita di habitat e specie. Su scala globale, il 60% delle popolazioni animali è stato spazzato via dal 1970. Ciò ha portato alcuni scienziati a dichiarare che stiamo entrando nella sesta estinzione di massa del mondo e il primo a essere causato da una specie.

Nel 2018 è stata pubblicata una ricerca aggiornata sulla biomassa del pianeta. Tra gli altri dati ne emerge uno davvero impressionante: quando si parla di mammiferi, il 60% di tutti quelli esistenti sono rappresentati da suini e bovini, il 36% da esseri umani e solo il 4% da animali selvatici. Anche quando si tratta di uccelli i dati sulla biomassa sono scioccanti: il 70% di tutti quelli presenti sul pianeta è rappresentato dal pollame allevato e solo il 30% da animali selvatici.


Gli effetti sulla fauna selvatica

Gli animali da allevamento non sono gli unici a soffrire di questa “intensificazione sostenibile”, sistema è una minaccia per la campagna, per la fauna selvatica e per gli abitanti delle aree rurali.

La distruzione degli habitat per ricavare pascoli o campi coltivati per il mangime sono tra le principali cause della riduzione della fauna originaria.

I pesticidi chimici avvelenano la fauna selvatica, compresa quella in cima alla catena alimentare come i rapaci: è stato appurato che le sostanze chimiche resistono nella catena alimentare accumulandosi nei predatori come i falchi, le cui uova non si schiudono.

Nel 1958 il leader comunista cinese Mao dichiarò guerra ai passeri accusati di mangiare troppo grano e minacciare l'economia cinese: mobilitò così l'intera popolazione cinese per sterminarli; troppo tardi il regime comprese che i passeri non erano parassiti che rubavano il raccolto ma elementi vitali per la catena alimentare. Con la loro scomparsa insetti di ogni genere, locuste e cavallette divorarono i raccolti causando una grave carestia tra la popolazione. Ci vollero decenni prima che si ristabilisse l'equilibrio e fecero persino dei tentativi di importare passeri dall'Urss per rimediare al danno.

L'effetto delle politiche agricole in Europa e America negli ultimi decenni è paragonabile alla politica di Mao.

Uno studio della Oxford University ha rivelato che 116 specie di uccelli, un quinto di quelle presenti in Europa è a rischio; 10 milioni di uccelli sono scomparsi dalla campagna inglese dal 1979 a fine secolo. E le cause risiedono nell'intensificazione  dell'agricoltura. Dal 1980 al 2014 la popolazione degli uccelli tipici degli ambienti agricoli ha subito un declino del 52%. Gli storni sono diminuiti del 58%, i passeri mattugi del 52%, il fanello del 56%, la tortora del 77% etc. Secondo la LIPU in Italia la popolazione dei passeri mattugi ha subito un declino tra il 25 e il 35%. In America l'edizione del 2011 del rapporto The State of Birds ha concluso che un quarto di mille specie di uccelli sono minacciate o in via di estinzione. Questi uccelli, definiti “uccelli da pascolo”, stanno scomparendo con la scomparsa del 97% dei pascoli che le aziende private hanno trasformato in monoculture eccessivamente sfruttate che provocano desertificazione.

Gli allevamenti intensivi hanno avuto anche terribili conseguenze sulle api e altri insetti impollinatori, come i bombi. Diverse specie si sono estinte negli ultimi settant'anni sia in Europa che negli Usa.  L'associazione degli apicoltori britannica teme che tutte le api si estingueranno entro pochi anni. Questo significa che un terzo dei prodotti agricoli è a rischio.

Il grafico illustra che il 55% del PM10  nelle città lombarde è di tipo secondario, ovvero si forma in atmosfera a seguito di processi chimico-fisici tra sostanze emesse in forma gassosa, come l'ammoniaca, di cui gli allevamenti intensivi sono i principali responsabili. In Lombardia, una delle aree più inquinate del Paese, il particolato secondario è maggiore del primario.
Il grafico illustra che il 55% del PM10 nelle città lombarde è di tipo secondario, ovvero si forma in atmosfera a seguito di processi chimico-fisici tra sostanze emesse in forma gassosa, come l'ammoniaca, di cui gli allevamenti intensivi sono i principali responsabili. In Lombardia, una delle aree più inquinate del Paese, il particolato secondario è maggiore del primario

L'uso dei fertilizzanti artificiali con azoto ha reso inutile la rotazione delle culture, soprattutto il trifoglio, con cui prima si nutrivano le api e i pesticidi hanno eliminato la maggior parte delle altre alternative naturali. Sono anche scomparsi i luoghi adatti a nidificare (alcune in siepi, erba folta o buche in terra).

Molti allevatori ora guadagnano di più con l'impollinazione a domicilio che con il miele. Le tariffe per il noleggio delle api, trasportate in tir che viaggiano per migliaia di chilometri, con centinaia di arnie sono in crescita.  In California per esempio dove il problema nelle coltivazioni di mandorle è pressante (i mandorleti californiani producono l'80% della produzione mondiale di mandorle)  le api vengono fatte arrivare anche dall'Australia.

Nei paesi in via di sviluppo dove gli agricoltori non possono permettersi né il noleggio delle api né l'impollinazione a mano si teme che la riduzione dei raccolti possa provocare carestie. L'ONU stima che circa il 70% dei raccolti che forniscono il 90% delle riserve di cibo dipenda dalle api per l'impollinazione.

Secondo un rapporto pubblicato nel luglio 2013 dall'Agenzia Europea il numero delle farfalle da prateria si è dimezzato tra il 1990 e il 2011 a causa di intensificazione agricola nelle zone pianeggianti, abbandono dei pascoli in aree montante e uso pesticidi.

Un esempio per tutte, vista la loro notorietà è quello delle farfalle monarca, che sono una specie emblematica in America, famosa perché fornisce uno dei più spettacolari eventi naturali a cui si possa assistere: la migrazione internazionale lunga migliaia di km dal Nord degli USA fino al Messico, andata e ritorno. Ogni anno decine di milioni di farfalle partono lo stesso giorno (l'equinozio di Autunno) e affrontano un viaggio incredibile per arrivare alle alte foreste di pini e abeti a circa 400 km da Città del Messico. Visto che svernano nello stesso luogo è stato possibile misurare l'area occupata durante il letargo: 21,6 ettari nel 1995, nel 2014 ridotta a 1,92 ettari. Le minacce sono due, il disboscamento illegale del loro habitat invernale in Messico e ancor più la drastica diminuzione dell'euforbia, una pianta spontanea in passato molto comune, l'unica su cui queste farfalle depongono le uova. E' considerata un'erba infestante e gli erbicidi usati per i raccolti geneticamente modificati la stanno facendo sparire.

Anche il consumo degli animali marini incide in maniera significativa sull'equilibrio ambientale, la pesca e gli allevamenti ittici sono ritenuti anch'essi responsabili di diversi problemi di natura ambientale e stanno diventando un problema enorme per l'inevitabile fuoriuscita di escrementi e per le molte malattie che trasmettono anche ai pesci selvatici che passano vicino a questi allevamenti.

I pesci sono rinchiusi in confini molto ristretti e manifestano comportamenti ossessivi come gli animali rinchiusi negli zoo. Quelli che se la passano peggio sono le trote allevate  che possono arrivare ad una densità di 60 kg di pesci in un metro cubo d'acqua, l'equivalente di ventisette trote di circa venti centimetri tutte in una vasca da bagno.

Il grafico mostra come in Italia tra il 2000 e il 2016 gli allevamenti sono stati la seconda causa di inquinamento da PM2,5 nell'aria. In questo settore non sono ancora stati presi provvedimenti come si sta facendo invece nel settore trasporti che invece ne è responsabile in misura minore.
Il grafico mostra come in Italia tra il 2000 e il 2016 gli allevamenti sono stati la seconda causa di inquinamento da PM2,5 nell'aria. In questo settore non sono ancora stati presi provvedimenti come si sta facendo invece nel settore trasporti che invece ne è responsabile in misura minore

Ogni anno vengono prodotti negli allevamenti del mondo 100 miliardi di pesci, 30 miliardi in più di polli, mucche, maiali, e altri animali da terraferma. In termini di volume nel 2009 il mondo ha prodotto poco più di 80 miliardi di tonnellate di carne da circa 55 miliardi di animali; l'industria ittica produce attualmente circa il 70% dei quella quantità (56 miliardi di tonnellate) con il doppio degli animali (110 miliardi di animali).

Dato che le scorte naturali di pesce nel mondo stanno diminuendo fino a livelli critici, si crede erroneamente che gli allevamenti ittici siano una buona soluzione, invece stanno saccheggiando gli oceani dei pesci piccoli con cui nutrire i pesci carnivori come salmoni e trote di allevamento e produrre farina per l'alimentazione degli animali terrestri. I dati parlano da soli: ci vogliono 3 tonnellate di pesci piccoli per produrre una tonnellata di pesci grandi. Nel 2008 il 23% di tutto il pesce pescato al mondo consisteva in piccoli pesci presi nell'oceano per fare farina e olio di pesce destinati in gran parte agli allevamenti e cosa più preoccupante e nascosta, circa un terzo di questo pesce macinato viene dato ad altri animali (polli e maiali).

L'industria si sta rendendo conto che gli oceani non riusciranno a reggere a lungo la depredazione di pesce oceanico per alimentare pesce da allevamento ed hanno trovato altre alternative, non meno preoccupanti. Come già avviene in Cina, Vietnam e Bangladesh e India il pesce allevato viene nutrito con resti di animali terrestri di allevamento.

La produzione di farina di pesce è uno dei segreti più orrendi dell'industria alimentare, una vera catastrofe ambientale che consiste nell'estrarre dal mare milioni di tonnellate di pesci piccoli per trasformali in olio e farina destinati a maiali, polli e pesci d'allevamento. Questo processo priva milioni di pesci selvatici più grandi, uccelli e mammiferi marini delle loro prede naturali, riducendone drasticamente il numero. Immette nelle baie oceaniche grassi di scarto creando delle “zone morte”, inquina l'atmosfera intorno agli impianti di lavorazione e priva un'importante fonte di nutrimento per gli uomini a favore degli animali d'allevamento.

In analisi il caso del Perù: la più grande regione di pesca al mondo dopo la Cina. Il Perù ricava più di un miliardo di euro all'anno solo dalla pesca dell'acciuga anchoveta, una specie locale che viene ridotta a farina di pesce, di cui ogni anno se ne esporta più di un milione di tonnellate destinate alla fornitura di farina di pesce. Verso la metà del secolo scorso c'erano quaranta milioni di uccelli sulle isole al largo del Perù, ora sono meno di due milioni. Tutti questi uccelli si nutrivano dell'acciuga anchoveta. Inoltre poiché il processo di essiccatura prevede lo scarto di grasso sangue e interiora che viene scaricato a mare, il risultato è un fondale marino morto, senza ossigeno. I livelli di inquinamento di acque e aria sono così alti che l'aspettativa di vita nei paesi delle acciughe (Chimbote) è inferiore del 20% alla media nazionale. La baia di Chimbote era considerata un perla del Pacifico ora è un luogo povero e malsano.  La produzione di farina di pesce provoca gravi infezioni resporatorie, asma, diarrea, malnutrizione. Appena l'1% dell'anchoveta, che è altamente nutrizionale pescata al largo di Chimbote finisce sulla tavola degli abitanti locali,  mentre il Paese esporta milioni di tonnellate di pesce.


Lo sfruttamento portato all'estremo

Un intero sistema industriale è sorto intorno agli allevamenti intensivi intorno a cui orbitano vari tipi di aziende: da quelle che selezionane le razze per renderle più produttive,  a quelle che sviluppano alimenti con formule all'avanguardia, quelle farmaceutiche e quelle che producono attrezzature e scienziati pagati per trovare supporto ai loro metodi.

E tale sistema industriale è supportato da una politica agricola che dà sussidi ed incentivi  che spingono solo all'alta produttività non alla qualità. Infatti catene di fast food e supermercati prosperano insieme all'agricoltura intensiva: vendono a prezzi bassi prodotti che arrivano da animali “trasformati” in cibo in mattatoi sempre più basati su fornitura e distribuzione centralizzata.

Vasche per allevamento di salmoni. Ogni vasca può contenere sino a 200 mila pesci. I rifiuti prodotti da tre sole gabbie sono pari all’equivalente di liquami prodotti da 120.000 persone. Vengono alimentati con mangimi animali o soia OGM importata dal Brasile al prezzo delle note devastazioni ambientali. La loro carne è grigia, fino a pochi giorni dalla macellazione, quando viene colorata artificialmente principalmente con additivi chimici.
Vasche per allevamento di salmoni. Ogni vasca può contenere sino a 200 mila pesci. I rifiuti prodotti da tre sole gabbie sono pari all’equivalente di liquami prodotti da 120.000 persone. Vengono alimentati con mangimi animali o soia OGM importata dal Brasile al prezzo delle note devastazioni ambientali. La loro carne è grigia, fino a pochi giorni dalla macellazione, quando viene colorata artificialmente principalmente con additivi chimici

Spesso il concetto di benessere animali è sconosciuto ai difensori di tale sistema: per esempio c'è l'errata convinzione che le galline non producano uova se non sono felici.  In realtà sono geneticamente programmate a produrre circa 300 uova al giorno, in qualunque condizione si trovino, purché abbiano cibo e acqua.

L'animale da allevamento più sfruttato in assoluto è la mucca da latte ad alta produttività, il cui corpo è costretto a lavorare come lavorerebbe un corpo umano durante una maratona. Spesso vivono solo il tempo di tre lattazioni prima di essere abbattute. Trent'anni fa una mucca da latte in Inghilterra produceva 5.000 lt latte/anno (per un vitello ne bastano circa 1.000). Ora quelle normali arrivano fino a 7.000 lt/anno: le mucche ad alta produttività fino a 10.000 lt/anno e per arrivare a tali record non possono nutrirsi di erba ma cereali altamente proteici.


Gli effetti sulla salute umana

Il primo antibiotico prodotto in massa fu la penicillina perché gli studi avevano dimostrato che, se somministrata a basse dosi, faceva produrre più uova alle galline e più maialini alle scrofe. Negli anni '60 cominciarono i primi segnali di allarme: ci furono molte epidemie gravi di salmonella, migliaia di persone ricoverate e morti anche tra i bambini. Fu il primo di una lunga serie di “superbatteri” resistenti alle medicine. Nel 2011 il Direttore generale dell'OMS, nel giorno mondiale della sanità, lanciò l'allarme di una prossima “era post-antibiotica, in cui molte infezioni comuni non avranno più una cura e uccideranno senza tregua”. Potrebbe non esserci più cura per una serie di malattie mortali come tifo, tubercolosi, polmonite, meningite, tetano etc...

La quantità di antibiotici usata dall'industria del bestiame è impressionante: circa la metà di tutti gli antibiotici prodotti al mondo sono destinati agli animali. In America i dati sono ancora più alti: 80% negli allevamenti, di cui la maggior parte somministrato per favorire la crescita e prevenire le malattie, invece che curarle. Si stanno quindi sperperando antibiotici per alimentare il sistema dell'allevamento intensivo che invece è terreno fertile per le malattie, visto l'affollamento di animali.

La terapia “del periodo asciutto” nelle mucche da latte prevede iniezioni di antibiotici nelle mammelle per prevenire le mastiti nei due mesi in cui non producono latte. In condizioni normali le scrofe svezzano i loro piccoli a 3-4 mesi; negli allevanti intensivi ad un mese vengono separati dalla madre e svezzati con cibo farcito di antibiotici per impedire le infezioni.

Lo stress continuo a cui sono sottoposti gli animali negli allevamenti a causa delle misere condizioni in cui vivono abbassa le loro difese immunitarie.

Gli agenti patogeni, batteri e virus, possono trovare una scorta infinita di ospiti in successione da infettare, diventano più virulenti e sviluppano la capacità di infettare le persone.

E' stato stimato che due terzi dei batteri e virus che possono colpire gli uomini sono zoonosi: sars, influenza suina, aviaria, bse (sindrome della mucca pazza), ebolavirus e coronavirus: mali che nascono dalle mostruosità che l'uomo infligge alle altre specie.

L'altissima densità di pesci nelle vasche alimenta le infestazioni dei pidocchi di mare che letteralmente staccano la carne dei pesci a brandelli.
L'altissima densità di pesci nelle vasche alimenta le infestazioni dei pidocchi di mare che letteralmente staccano la carne dei pesci a brandelli

L'influenza aviaria e suina sono fortemente collegate con l'allevamento intensivo. Ceppi di aviaria molto patogeni come il virus H5N1 sono apparsi durante il periodo di espansione massiccia dell'industria del pollame in Medio Oriente. Il virus fu individuato nei mercati di pollame e si diffuse in Asia, Medio Oriente, Europa e Africa.

Ogni volta che si sviluppa una di queste zoonosi vengo sterminati in massa polli e bovini, senza prendere provvedimenti veri sulle condizioni di vita che generano queste epidemie.

Il sistema produttivo è riluttante a parlare della correlazione tra allevamenti e resistenza agli antibiotici, cercando pure di incolpare gli animali selvatici di essere portatori di malattie, solo per sostenere che al chiuso gli animali sono più protetti.

Il cibo economico di origine animale–intensiva ha avuto un ruolo essenziale nella diffusione mondiale dell'obesità. Gli allevamenti intensivi hanno eliminato la maggior parte del valore nutrizionale della carne in offerta nei supermercati e nei fast food ed è aumentato il livello dei grassi.  Fino ad un quinto del peso dei polli è solo grasso, tre volte il grasso presente in un pollo degli anni settanta con un terzo di proteine in meno. Molti consumatori hanno denunciato e in alcuni casi vinto cause legali contro i giganti della ristorazione perché le pubblicità fanno credere che mangiare i loro prodotti sia salutare, mentre dovrebbero avvisarli dei rischi connessi alla salute. La maggior parte di grassi saturi proviene da tagli grassi di carne come salsicce e si associano a colesterolo alto e malattie cardiovascolari. Tantissimi studi hanno ormai dimostrato che carne latte e uova di allevamenti più naturali contengono la giusta proporzione tra grassi polinsaturi (omega 3 e 6) buoni e grassi saturi cattivi. La differenza di omega 3 è sconvolgente, fino al 100% in più. Si è visto che tenere gli animali all'aperto e facendoli nutrire di erba si ottengono benefici anche sugli antiossidanti presenti nei prodotti da loro derivati: tenere le galline libere produce anche uova con circa tre volte la quantità di beta-carotene che il corpo umano trasforma in vitamina A, essenziale per vista, ossa, pelle, sistema immunitario.


Il sistema è tragicamente sbagliato: la conversione dei cereali in carne è un meccanismo inefficiente perché negli allevamenti entrano molte più calorie di quante ne escano sotto forma di carne, latte, uova. Si nutrono gli animali con un alimento potenzialmente umano per produrre cibo insalubre.

Qualche segnale positivo di controtendenza, soprattutto in Occidente c'è: la vendita di prodotti alternativi è in crescita. Vegetariani, vegani e flexitariani sono in aumento. Purtroppo la tendenza è inversa nei paesi in via di sviluppo come la Cina, quindi purtroppo la richiesta globale di carne è in aumento.

Una delle tante immagini che denunciano la deforestazione selvaggia in Amazzonia praticata per far posto agli allevamenti di bovini o alle culture di cereali destinate all'alimentazione dei bovini stessi.
Una delle tante immagini che denunciano la deforestazione selvaggia in Amazzonia praticata per far posto agli allevamenti di bovini o alle culture di cereali destinate all'alimentazione dei bovini stessi

Le carni bianche non hanno controindicazioni certe, ferme restando le implicazioni annesse all'assunzione di grandi quantità di grasso, ma un’analisi dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro basata su 800 studi epidemiologici ha definito le carni rosse come potenzialmente cancerogene e quelle trasformate come certamente cancerogene, responsabili di carcinoma del colon-retto, pancreas, stomaco e prostata, oltre alle malattie cardiovascolari e diabete.

Ogni tanto uno scandalo alimentare mette a nudo alcune tra le pecche di questo sistema, come ad esempio quello della mucca pazza o BSE provocata trasformando le mucche, erbivori naturali, in carnivori nutriti di pasture a base di ossa e carne, o ancora quello dell''Horsegate, o scandalo della carne di cavallo, esploso nel 2013 in Gran Bretagna. L'allarme partì quando da un controllo casuale all'interno di un supermercato emerse che un hamburger di carne bovina conteneva il 29% di carne equina. Venne scoperta una truffa che prevedeva false etichettature e si estendeva in tutta Europa, coinvolgendo i marchi più importanti. Molte aziende ammisero di aver perso il controllo della filiera nel tentativo di trovare prodotti più economici possibile.


I danni dell'inquinamento sono indiscutibili e si possono limitare solo regolando l'immissione di veleni nell'aria. Così come si sta facendo nel settore industriale e nei trasporti è indispensabile prendere dei provvedimenti anche e soprattutto contro i danni causati dagli allevamenti animali.

La maggior parte di coloro che sceglie un'alimentazione vegetariana o vegana lo fa per ragioni etiche, per pacificarsi nei confronti dei miliardi di esseri senzienti sacrificati ogni anno per soddisfare abitudini alimentari superflue, tuttavia anche una scelta motivata da altre ragioni come quelle sopra esposte, anche graduale, progressiva, può impattare enormemente anche sulla salubrità del nostro pianeta. Siamo responsabili in prima persona sul nostro futuro e in questi giorni di emergenza epidemiologica de COVID-19 dovremmo ancor più riflettere e scegliere che tipo di pianeta vogliamo abitare nei prossimi anni.


Bibliografia:

“Le fabbriche degli animali”, E. Moriconi, Ed. Cosmopolis, 2001

“Farmageddon” - Philip Lymbery con Isabel Oakeshott (Nutrimenti)

“Dalla fabbrica alla forchetta” a cura di AgireOra Edizioni

[Akifumi2007] Akifumi OGINO, Hideki ORITO, Kazuhiro SHIMADA, Hiroyuki HIROOKA, Evaluating environmental impacts of the Japanese beef cow-calf system by the life cycle assessment method, Animal Science Journal 78 (4), 424-432

[FAO2006] FAO, Livestock's long shadow, novembre 2006

[Foodwatch2008] Foodwatch, Klimaretter Bio?, 25 agosto 2008

[McMichael2007] Anthony J McMichael, John W Powles, Colin D Butler, Ricardo Uauy, Food, livestock production, energy, climate change, and health, The Lancet, September 13, 2007

[NewScientist2007] New Scientist, Meat is murder on the environment, 18 luglio 2007

[Weber2008] Christopher L. Weber and H. Scott Matthews, Food-Miles and the Relative Climate Impacts of Food Choices in the United States, Environ. Sci. Technol., 16 Apr 2008

www.theguardian.com

www.greenme.it

www.saicosamangi.info/ambiente

www.wikipedia.org

www.greenpeace.org

www.essereanimali.org

Il Corriere della Sera – 26 febbraio 2019 (www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/inquinamento-smog-riscaldamenti-allevamenti-intensivi-polveri-sottili-pm-particolato)

www.gardapost.it/2020/02/18/



 

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