Leggende e Tradizioni

Antiche usanze celtiche nelle feste popolari

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10 Agosto 2011

Gli Arlecchini del Carnevale di Villar d’Acceglio (Cuneo)

Feste tradizionali nel Monferrato e nel sud del Piemonte: un legame forte con la cultura celtica


Ci sono tantissime feste oggi nel territorio del Piemonte. Non tutte sono feste tradizionali. Molte sono manifestazioni enogastronomiche, altre sono rievocazioni storiche ripescate dalle Pro loco e dai Comuni per incrementare il turismo. Diverso è il discorso sulle feste tradizionali, feste antichissime che si sono conservate nel tempo e che risalgono a tempi remoti, ben prima di quella tradizione contadina cui spesso fanno riferimento. Gli studiosi di folklore (citiamo, fra tanti, Gian Luigi Bravo e Piercarlo Grimaldi che hanno fatto ricerca, insieme a molti studenti universitari, proprio nelle zone del Piemonte) hanno intuito che queste feste tradizionali si rifanno a rituali e culti molto più antichi degli ultimi due o tre secoli e le hanno collegate ai riti pagani dei Romani e, in alcuni casi, alle tradizioni celtiche. Ma la provenienza delle feste tradizionali piemontesi potrebbe essere davvero molto antica, non dimentichiamo che in Piemonte un’antica leggenda parla della discesa dal cielo di Fetonte, che portò conoscenze e civilizzazione nelle nostre terre e fondò la grande città di Rama in Valle di Susa. Un mito che porta molto indietro nel tempo la possibile origine delle nostre tradizioni.

E’ interessante partire da alcune riflessioni di Alberto Mila che pone l’attenzione su alcuni aspetti delle feste popolari:

- non sono mai uguali a se stesse anche se vengono ripetute con molta fedeltà alla tradizione. La festa esiste solo nel cambiare e nel ricorrere. Ogni volta è diversa perché esiste solo nel momento in cui viene celebrata e spesso da persone diverse

- utilizzano luoghi che sono lo spazio della comunità (il paese, le vie, le piazze, ecc.)

- hanno una dimensione corporale, fatta da persone e da gesti

- hanno carattere rituale

- hanno significato simbolico


L’Uomo-Albero di Murazzano (Asti)

- riaffermano i vincoli della comunità, i valori della società in cui si svolgono: la comunità si riconosce in una cultura comune

- il tempo delle feste è “il tempo della tradizione”, non quello della società moderna (un tempo cioè senza tempo, non legato alla società maggioritaria, ma ad una tradizione che continua)

In effetti il calendario delle feste tradizionali, come vedremo, è ben legato al calendario delle feste celtiche. D’altronde queste terre sono state patria dei Liguri e di altre popolazioni collegate tra loro dalla grande cultura celtica, unita dal collante dell’opera dei Druidi. Anche il nome Monferrato, tra le altre ipotesi sulla sua derivazione, potrebbe venire da MONS PHARRATUS, monte delle “fare”, i clan longobardi. Un territorio che comprendeva, oltre l’attuale Monferrato, anche le Langhe, il Roero, insomma una terra che andava dal Po fin quasi al mare.

Per i Celti il ciclo delle feste costituiva uno “hnot” cosmico, un nodo magico degli eventi che si intrecciano formando un simbolismo mistico. Le stagioni scandivano i ritmi della vita e della morte, ma la morte veniva vista non come la fine bensì come un nuovo inizio. Le feste celtiche esprimevano più piani di esperienza: quello personale, quello dell’appartenenza alla comunità e quello degli eventi storici. Ad ogni volgere dell’anno, il ciclo ricominciava ed ognuno poteva ritrovarvi il proprio personale percorso di maturazione interiore, così come poteva scandire l’avvicendarsi delle stagioni e ricordare le vicende della storia dell’umanità. Ogni festa poteva essere occasione per mantenere viva una tradizione comune e nello stesso tempo per riflettere sulla propria personale esperienza di vita attraverso simboli e rituali precisi.

Ma veniamo al ciclo annuale delle feste tradizionali così come venivano, e vengono ancora in parte, festeggiate nelle terre piemontesi.


Festa dei morti

Nelle campagne l’anno iniziava l’11 di novembre, San Martino, un chiaro collegamento con l’inizio dell’anno celtico, la festa di Samain, il momento in cui i due mondi, quello dei vivi e quello dei defunti si incontrano, il momento in cui si apre una porta tra i due mondi. Oggi noi conosciamo Halloween e pensiamo sia una festa americana, ma in realtà è l’antica festa di Samain, appunto, conosciuta e festeggiata da sempre in quelle zone.

Per la festa dei morti tradizionalmente si preparavano cibi appositi, soprattutto ceci, fagioli e castagne. Si mangiava la minestra di ceci e si passava la serata mangiando castagne. I cibi venivano lasciati per i morti sulle tavole oppure ai quattro angoli della casa oppure ancora sui davanzali delle finestre. La sera del 2 novembre non si andava in giro per le strade per lasciar passare i morti che in quella notte facevano una processione; si andava a letto tardi oppure ci si alzava presto per lasciare il letto ai defunti. Si lasciava un lumino acceso alla finestra perché i morti potessero trovare la strada.


La Danza degli Spadonari di Castelletto Stura (Cuneo)

A Castellazzo Bormida, Ozzano Monferrato e Vignale Monferrato, in provincia di Alessandria, c’è l’uso di “prendere i morti”, cioè andare in giro per le case con un pentolino con dentro fagioli o ceci.

Il contatto con i defunti era sentito chiaramente, tant’è che in passato c’era l’abitudine di festeggiare i morti anche in altri momenti dell’anno, andando sulle tombe ad accendere fuochi e lasciandovi cibi e bevande. La Chiesa nel ‘600 sospese questa usanza.


Feste invernali

Natale. Per Natale si bruciava il “such”, il ceppo nel focolare. Una tradizione che ha a che fare con la simbologia dell’albero. Natale è la festa del Solstizio d’Inverno. La data del 25 Dicembre fu scelta dalla Chiesa per sovrapporsi alla festa del Sole Invitto, celebrazione del culto pagano di Mitra, e, appunto, alla festa del solstizio.

Capodanno. Usanza molto diffusa quella di accendere grandi falò e in molti casi di dare le “streine”, regali molto semplici, fatti anche solo di frutta. I bambini giravano per le case a chiedere la strenna e venivano loro dati dei pupazzi di pane. Talora la strenna veniva data in occasione dell’Epifania. I primi 12 giorni dell’anno erano considerati indicativi del tempo che avrebbe fatto nei vari mesi dell’anno a venire. In alcune zone, invece, questa predizione si faceva usando i primi 12 giorni del mese di marzo, secondo il metodo delle calende.

Candelora. Una festa che è diventata cristiana, ma è l’antica festa della Luce. Fino a non molto tempo fa nelle campagne si benedicevano le candele. Il capofamiglia faceva croci sui polsi dei membri della famiglia e sulle porte di casa e della stalla, sui filari delle vigne. Riti fatti di notte perché non ben visti dalla Chiesa. Riti che si rifanno alla festa celtica di Imbolc nella quale si purificavano le case accendendo delle candele.

Carnevale. Le feste di Carnevale hanno molti tratti comuni. Spesso comprendono una specie di processione per le vie del paese nella quale ci sono maschere che si ripetono: personaggi con le spade, Arlecchini, il Vecchio e la Vecchia, la coppia degli sposi, animali come l’orso, la capra, il lupo. Qualcuno muore alla fine della festa e prima di morire fa testamento, ma in moltissimi casi rinasce a nuova vita. Alla fine del Carnevale ovunque si brucia un fantoccio oppure si fanno grandi falò sulla cima delle colline.

Nelle feste di Carnevale sono stati riconosciuti dagli studiosi riti primaverili, legati alla rinascita della vegetazione, ma si può pensare che ci si riferisca anche a qualcosa di più intimo, una rinascita personale, dopo la morte di un proprio io, verso una nuova vita. Molti Carnevali celebrano anche il ricordo delle persecuzioni che furono effettuate contro la cultura celtica; l’Orso (o un altro animale) è il simbolo di questa tradizione che viene perseguitata, cacciata, uccisa a volte, ma alla fine, sempre, o riesce a fuggire oppure rinasce e danza e festeggia insieme alla popolazione tutta.


La “Lachera”, festa che si celebra a Rocca Grimalda (Alessandria)

A Castellero d’Asti si celebrava la festa “d’la crava, d’l magnin e d’la barba”. La festa si sviluppava su tre giorni: il primo giorno si faceva un giro per il paese con una persona travestita da capra a fare la questua del cibo; il secondo giorno il giro veniva ripetuto con lo stagnino, o più stagnini che riparavano le pentole, con le facce tinte di nero e cantavano canzoni allusive, sempre chiedendo cibo; l’ultimo giorno si svolgeva il rito della barba: una vera e propria rappresentazione in cui un barbiere faceva la barba ad un personaggio, il sor Luis, con la moglie vicina; il sor Luis ad un certo punto stava male e moriva, arrivava il medico che gli tirava fuori dalla pancia una lunga corda e con questa operazione il paziente era guarito.

Nel Basso Piemonte è diffuso il personaggio dell’uomo albero (Murazzano – AT), oppure dell’orso coperto di piume (Cortemilia – CN) o di segale (Valdieri – CN) o di meliga (Cunico - AT).

Un altro personaggio molto diffuso è l’Arlecchino, ma non pensiamo di vedere il classico Arlecchino col vestito a rombi… gli Arlecchini hanno abbigliamenti diversi, anche se sempre colorati. La cosa interessante sta nel fatto che conducono nelle feste un’azione precisa, che sembra di disturbo perché tendono ad intervenire in ogni momento, sdrammatizzano le situazioni, si permettono di tutto (lazzi, palpeggiamenti, ecc.). E’ come se volessero rompere qualsiasi schema, portando le persone al di là dell’apparenza e degli schemi. In alcuni casi, come nelle danze di spade, l’Arlecchino è quello che fa rinascere il personaggio destinato alla morte.

E’ singolare che molti costumi utilizzati nei rituali carnevaleschi si somiglino: troviamo elementi ricorrenti come i copricapo, di forma tondeggiante oppure mitraica, completamente ricoperti di fiori, con lunghi nastri colorati pendenti dietro e legati davanti da fiocchi sempre colorati.

In ogni caso l’abbigliamento è sempre molto prezioso: pantaloni con liste dorate, giacche fittamente ricamate, scialli colorati, guanti, oppure domina il bianco su cui spiccano i colori brillanti dei nastri, dei fiori, delle coccarde.


Feste primaverili

Il canto delle uova, “cantè ij euv”, è stato praticato a lungo nelle zone del Monferrato, poi si è perso, ma ultimamente in alcuni paesi si sta riprendendo la tradizione. Di solito era cantato dagli uomini che giravano in gruppo per le vie del paese o per le cascine cantando il canto delle uova.

Chiedevano cibo offrendo in cambio buon augurio e minacciando cattivo augurio in caso di mancanza di offerte. Tutto il cibo raccolto con la questua veniva utilizzato per una cena comune. Di canti delle uova ce ne sono diverse versioni, ma in alcuni si parla delle uova di tre galline di colore diverso: bianca, rossa e nera (“dateci le uova della gallina grigia…bianca…rossa”) come i colori dei tre draghi che secondo la leggenda dominavano sulla bandiera dell’antica città di Rama.


L’Orso di Piume di Cortemilia (CN)

Le tenebre. Una tradizione religiosa che ha però un sapore veramente poco chiesastico. Il venerdì santo ci si recava in chiesa o sul sagrato e si recitavano salmi e preghiere. Durante le orazioni venivano spente le candele una ad una, fino a rimanere nell’oscurità più completa. A questo punto irrompevano i giovani facendo un fracasso indiavolato con strumenti di vario tipo. Il fracasso si protraeva per un certo lasso di tempo.

A Castagnito (CN) il sabato di Pasqua si suonava la conchiglia: ci si radunava sulla cima di una collina e si suonava la conchiglia a mo’ di corno.

Sono tradizioni queste che richiamano la festa celtica di Beltain, celebrata il I° di maggio, detta anche Shuda Draka, Festa del Drago, una festa celebrata con suoni di tamburi e cornamuse a ricordare l’universo che nasce dallo squarcio del caos, simboleggiata dal drago. Richiamano anche la festa dell’Equinozio di Primavera, detta anche Shuda Gere, la Festa della Vita, che utilizzava come simbolo l’uovo cosmico, generatore di vita, poi utilizzato per la Pasqua cristiana.

Il canto di maggio, “cantè magg”, era un’altra questua fatta però dalle donne. Tre giovani ragazze giravano per le case e le cascine cantando la canzone del maggio. Erano vestite elegantemente e in particolare una, la “sposa di maggio”, era appunto agghindata come una sposa. Portavano un alberello o un ramo di pino (in origine di quercia) adorno di nastri, di bamboline, di decorazioni. Giunte davanti alla casa prescelta appoggiavano l’alberello a terra e cantavano la canzone del maggio. La padrona di casa faceva dono di cibi e le ragazze riprendevano il giro. Con i cibi raccolti si faceva una cena. In alcuni testi tradizionali, nella canzone di maggio si fa riferimento a tre giovani, uno vestito di rosso, uno di grigio ed uno di bianco, di nuovo i colori della bandiera di Rama.

Per contrastare le feste primaverili, nel VI sec. S. Gregorio Magno istituì le “rogazioni”, processioni circolari che si facevano nelle campagne per proteggere campi e persone dalle calamità. Sempre per debellare le tradizioni primaverili, la Chiesa dedicò il mese di maggio alla Vergine, spingendo i fedeli a dedicare qualsiasi onore e culto alla Madonna.

La tradizione dei pali di maggio è comune a tutta l’Europa: sono alti pali da cui pendono lunghi nastri colorati che vengono utilizzati per una danza oppure sono strutture lignee che ricordano l’albero. Li ritroviamo nell’uso dell’albero della cuccagna e dell’albero della libertà della rivoluzione francese.


Feste estive

Tra le varie feste, ricordiamo San Giovanni, un momento particolare dell’anno. In realtà è la festa del Solstizio d’Estate, la Festa di Litha o Shuda Ian, la Festa del Fuoco.

Significativo l’uso di accendere grandi falò nella notte. Il grande fuoco è simbolo del Mistero. Nelle terre piemontesi c’erano alcuni usi tradizionali come quello di bagnarsi con la rugiada della notte considerata terapeutica e quasi miracolosa. Era uso mettere fuori le coperte proprio perché prendessero la rugiada dalle virtù magiche.


I copricapo colorati del Baìo di Sampeyre (Cuneo)

Tutte le feste tradizionali che si tramandano nelle zone del Piemonte hanno aspetti comuni.

Sono infatti feste popolari, non fatte per il pubblico, o meglio, fatte anche per il pubblico, ma prima di tutto per la comunità Sono feste che si tramandano nel tempo di generazione in generazione: certi incarichi spesso vengono trasmessi di padre in figlio.

Le feste hanno strutture di organizzazione alle spalle, le Badie o Abbadie. Le Badie sono storicamente legate alle Compagnie dei Folli o degli Stolti o degli Scolari e dei Chierici medievali. Gli studiosi le considerano associazioni popolari spontanee di origine medievale laica preposte all’organizzazione di molti aspetti della vita comunitaria. Compagnie costituitesi sin dal Basso Medioevo con lo scopo di raccogliere la gioventù per provvedere e regolare il bisogno di svago. C’era un preciso legame tra le Abbadie, i chierici vagabondi e i Trovatori che vagavano di castello in castello a suonare e cantare. Impossibile non ravvisare in questo un chiaro legame con i Bardi, i membri di secondo livello della struttura spirituale della cultura celtica che contribuivano alla continuità della tradizione attraverso la musica e le arti. Le Abbadie esistono ancora oggi e sono responsabili della continuazione delle tradizioni. Sono rette dagli Abbà, eletti dalla popolazione. In passato gli Abbà venivano eletti tra Natale e l’Epifania e duravano in carica un anno. Avevano compito anche di sentenziare su eventuali risse o questioni insorte tra le persone.

E’ evidente come queste feste siano state inglobate dalla Chiesa nei suoi calendari religiosi là dove non ha potuto sradicarle. Basti pensare al mese di Maggio, consacrato alla Madonna, al Natale collocato al 25 dicembre o a San Giovanni il 24 giugno o ancora allo spostamento della festa di Ognissanti da maggio al I° di novembre. Le feste religiose sono state collocate tutte là dove prima c’era una festa cosiddetta “pagana”, festa celtica il più delle volte; un’azione volta a sradicare una cultura e una tradizione che si voleva cancellare. La Chiesa fu molto capillare in questa sua azione: nel corso del 1600 giunse a vietare le “veglie” nelle stalle come momento pericoloso per la promiscuità delle persone . Nelle stalle si parlava, si raccontava, si tramandavano conoscenze, canti, si viveva la dimensione del clan, ci si innamorava, i bambini imparavano… si viveva insomma.

E’ straordinario come, nonostante secoli di oppressioni e di precise azioni per cancellare una tradizione antichissima, molte feste con il loro bagaglio di rituali, di costumi, di simboli e di significato rimangano ben vive a testimonianza di una cultura radicata nel cuore delle persone, una cultura che non vuole morire ma vivere e trasmettersi alle generazioni future.