Personaggi

Carlo A. Martigli

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16 Marzo 2012

Carlo A. Martigli

Quando l’esoterismo diventa bestseller


Parlare con Carlo A. Martigli significa intraprendere un viaggio a ritroso nella storia, incontrando personaggi famosi come Savonarola, Pico della Mirandola, Leonardo Da Vinci, tra enigmi storici, intrighi medievali, eppure sentendosi perfettamente calati nella realtà attuale.

E’ questo il miracolo che riescono a compiere i libri di Martigli: rendere attuali fatti e personaggi lontani da noi più di cinque secoli.

L’eclettico scrittore ha già alle spalle diverse “vite”, da ex dirigente di banca a formatore e docente in comunicazione e marketing, da attore teatrale (premiato come miglior attore non protagonista al festival del teatro di Pesaro) ai corsi di scrittura creativa, da giornalista per Repubblica, il Tirreno di Livorno e Gente Money, ad art director pubblicitario.

La sua carriera di scrittore inizia nel 1995 con la pubblicazione del suo primo libro, Duelli Castelli e Gemelli, favole in rima, realizzato con Emanuele Luzzati. Ha un grande successo di critica e pubblico e il libro è stato rieditato nel 2007, a cui è seguita la saga fantasy, ambientata nell'antica Roma, Lucius e il diamante perduto e Thule L’Impero dei ghiacci.

Nel 2009, la svolta: il libro che lo consacra al successo si intitola 999. L'ultimo custode, per le edizioni Castelvecchi, un thriller storico che vende più di 130.000 copie in Italia, e successivamente esce in 16 Paesi. Nel gennaio 2012 esce L'eretico, pubblicato da Longanesi, ideale seguito della saga medievale, e il volume è già in odore di best seller.

Parlare con Carlo A. Martigli significa anche divertirsi, entrando per un attimo nella sua mente vulcanica, ironica e irriverente.




Carlo, nella tua biografia si legge che prima di essere uno scrittore hai fatto una folgorante carriera come dirigente di banca.

Sì, perché una volta che sei dentro una barca, anche se quella barca non ti piace, almeno provi a dare dei colpi di remi che ti portino il più lontano possibile.


Sei anche formatore e docente in comunicazione e marketing.

Sì esatto, cosa che faccio ancora, in parte, ma soltanto per le banche di credito cooperativo, perché mentre le altre banche sono state le lepri che si sono poi schiantate contro il guardrail, correndo e facendo tutti i disastri che hanno fatto, le banche di credito cooperativo si sono dimostrate delle sagge tartarughine, che oggi hanno sorpassato le lepri e sono le uniche che in Italia fanno ancora le banche vere. Scusa la parentesi, ma ci voleva.


Hai anche un’esperienza in campo teatrale.

Purtroppo il teatro non lo faccio più, però non è detto. Ho fatto cinema recentemente, anche se è diverso dal teatro. Il teatro è bello perché c'è la diretta. La diretta è qualcosa di diverso, ti dà il brivido perchè hai il pubblico lì davanti, se dici degli strafalcioni sono percepibili subito.


E arriviamo alla tua carriera di scrittore, iniziata con “Duelli, castelli e gemelli”.

E’ stata una vicenda piuttosto buffa. Nel '95 mia figlia era piccolissima e rideva da matti per la rima:  si chiama Sofia, e ogni volta che facevo la rima “Sofia, la più bella che ci sia” lei rideva. Ho provato a cercare un libro di favole in rima, ma non l’ho trovato. Così l’ho scritto io. E’ stato il mio primo successo come scrittore: ad oggi ha venduto oltre 35 mila copie, pubblicato in diverse edizioni. Ma il fatto buffo è questo: ero in treno e una signora, incuriosita dalla correzione delle bozze che stavo facendo, mi chiede se può avere una copia del mio lavoro. Glielo mando gentilmente e, dopo una decina di giorni, questa signora mi chiama e mi dice “guardi l'ho letto, è proprio divertente. L'ha letto anche un mio amico, gli è piaciuto tanto e vorrebbe illustrarlo”. A questo punto io, gelido (perché pensavo che fosse una mossa studiata per favorire il suo amico l'illustratore), le rispondo “non è il caso: la Giunti ha i suoi ottimi illustratori”.  E la signora risponde: “ma sa, il mio amico si chiama Emanuele Luzzati”. Il grandissimo, credo unico al mondo! Fu così che il giorno dopo il responsabile della Giunti Ragazzi partì da Firenze, andò a Genova e portò a Luzzati tutte le bozze delle due favole in rima che stavo scrivendo.



Il nuovo libro di Carlo A. Martigli, “L’Eretico”, uscito il gennaio scorso per Longanesi

Poi è seguita la saga fantasy, ambientata nell'antica Roma, “Lucius e il Diamante Perduto” e “Thule L’Impero dei ghiacci”.

Sì, due libri fatti con Mondadori. Due romanzi fantasy, ma con un rigore storico, ambientati nel 107 e  nel 108 d.C., quindi ai tempi dell'imperatore Traiano, con un inventore particolare che in realtà prendeva spunto dalle invenzioni dell'architetto Vitruvio, copiato poi da Leonardo da Vinci in una maniera esagerata.


Non ci vai tanto leggero con Leonardo da Vinci...

Alle volte bisogna scoprire la verità. Come ho detto spesso, non mi piace la verità rivelata, perché “rivelare” significa mettere due volte il velo sulle cose. A me piace invece levare il velo, cioè svelare, scoprire. A volte si parla di Leonardo da Vinci senza conoscerlo.Grandissimo genio, pittore eccetera, tutti sbrodolano su Leonardo da Vinci. Tra l’altro “da Vinci” non è il cognome, come erroneamente crede quello scrittore americano, che nelle interviste continua a citarlo come “Mr. da Vinci". Ma “da Vinci” equivale a “Martigli da Rapallo”. Scusate la piccola polemica con il signor Danilo Marrone (Dan Brown).

Studiando i testi dell'epoca, leggendo le cronache, si scoprono delle cose su Leonardo da Vinci che sono straordinariamente buffe e anche, a volte, piuttosto penose.


Ad esempio?

Ad esempio si scopre che lui, per tutta la vita, ha vissuto principalmente come ingegnere bellico, costruiva armi e le offriva a tutti i signori, bastava che pagassero. Aveva una fame di soldi terrificante, questo perché doveva cercare di tamponare continuamente i disastri che combinava il  suo amante, Tommaso Masini, che era un ladro, un rapinatore e quant’altro.


Bene, ora che abbiamo sistemato Leonardo, parliamo del “Libro parlato” che hai pubblicato per i non vedenti, in cui hai registrato con la tua voce tutto il libro.

E’ stata un'esperienza molto bella, ovviamente fatta del tutto gratuitamente. Credo che siano dei doveri civili che sarebbe bello facessero in tanti.


Sono le cose che forse danno più soddisfazione.

Assolutamente sì: quando vedi che ti ringraziano perché magari gli fai passare tre-quattro ore in maniera un po' diversa dal solito, senza ascoltare continuamente per la duecentesima volta, che so, Italo Svevo, che con tutto il rispetto alla lunga diventa un po' noiosetto, ti accorgi che hai fatto qualcosa di positivo.


Che mi dici di “Miracolo”, un saggio sui miracoli all'interno delle religioni non cattoliche? Cosa ti ha spinto a scriverlo?

E’ stata una cosa curiosa. Avevo chiesto alla responsabile libri della DeAgostini di trovarmi un libro, anche in inglese, su quelli che erano i miracoli non cattolici nel mondo. Dopo un mese mi ha telefonato dicendomi: “Carlo, io non riesco a trovarlo da nessuna parte. Sei sicuro che esista?” Ed io: “veramente no, te l'ho chiesto apposta”. Lei risponde: “ma allora perché non lo scrivi tu?”

La gente delle volte non sa, o non si rende conto, che esistono altre realtà. Questo perchè viviamo dentro la nostra cultura, la cultura cattolica, come in Egitto si vive la cultura islamica, o in  Israele la cultura ebraica e via dicendo. E sembra che le cose esistano solo a casa propria. Al miracolo si può credere o no, ma se si accetta l’idea che possa esistere, perché dev'essere solo cattolico e basta? Porsi nei panni degli altri e operare poi un confronto è fondamentale, perchè fa capire che dall'altra parte si dicono esattamente le stesse cose.


Però il tuo libro ha suscitato polemiche...

Sì, perché i fondamentalisti, in qualsiasi area, sono quelli che dicono “io possiedo la verità e tu sei nel torto”. Con queste persone il dialogo è veramente difficile, sono i veri signori della guerra, quelli che con il loro pensiero fondamentalista alimentano altri signori della guerra, cioè quelli che vendono le armi. Se non ci fossero i primi forse non ci sarebbero nemmeno i secondi.


E poi arriviamo alla svolta.  Con “999. L'ultimo custode” penso che la tua vita sia cambiata un’altra volta: hai venduto più di centotrentamila copie, è stato tradotto in sedici lingue.

Sì, secondo gli ultimi dati siamo oltre le 130 mila copie e continua a vendere. E’ praticamente in mezzo mondo, o tre quarti di mondo. È uscito da poco anche in Russia e a ottobre uscirà in Cina, dove è stato già acquistato. E’ bello vedere i libri allineati, in tutte le lingue, greco, lettone, russo, ebraico...


Il tuo ultimo libro si chiama “L'eretico”. Perchè?

“Eretico” è un termine a cui viene normalmente data un’accezione negativa, ma in realtà “eretikòs”  in greco significa semplicemente “colui che sceglie”. Nell'antica Grecia, soprattutto nella gloriosa Atene, “eretico” si diceva di un uomo ragionevole, che faceva appunto le proprie scelte, “saggio”. Poi, con l'avvio della lingua italiana, i due grandi poteri dell'epoca, cioè l'impero e il papato, avevano una paura folle di chi potesse anche solo pensare di scegliere. Non si poteva scegliere, quindi la parola “eretico” assunse un'accezione negativa e infatti è rimasto il detto “non dire eresie!” Diciamo l'eresia quando manifestiamo le nostre scelte.



“999. L’ultimo custode”, edito da Castelvecchi, ha venduto più di 130 mila copie ed è stato tradotto in 16 lingue. Nella foto, l’edizione greca

Questa mentalità purtroppo sussiste, anche se non viene più bruciata la gente sui roghi.

Diciamo che ci sono altri modi di allontanare la gente. I miei libri, pur ambientati storicamente nel periodo rinascimentale, che è quello che amo di più, hanno dei parallelismi straordinari con l'epoca moderna. Ad esempio il cosiddetto “porcellum”, che non è il nome del porco in latino, ma è il sistema in base al quale i partiti politici scelgono i candidati, e le persone non possono fare altro che votare quelli e basta, cioè in pratica non è una scelta. Anche oggi quindi ci impediscono la scelta, ci impediscono di essere eretici. Prima c’era il papato, l'inquisizione, i roghi, ma oggi c'è un altro modo di mettere a tacere le persone.


I tuoi romanzi sono molto attuali, pur essendo storicamente rigorosi. Sembra di fare un viaggio nel tempo.

Il rigore è quello che mi è stato riconosciuto, tra gli altri, anche da Famiglia Cristiana, pur tirandomi le orecchie per le mie tesi su Paolo, poiché sostengo che Paolo di Tarso è colui che ha inventato la religione cristiana, non Gesù, e che probabilmente era un ufficiale romano che non ha mai tradito la sua causa, come dimostrerebbe la sua storica e comprovata difesa di Nerone, il persecutore dei seguaci di Gesù, l’ebreo.

Al di là del fatto che Gesù sia poi considerato uomo o figlio di dio, in tutti i trentasei vangeli non c'è un solo passo in cui egli dica di volere fondare una nuova religione, cioè il cristianesimo. Gesù non è il fondatore del cristianesimo, è un rivoluzionario della religione dei padri di Abramo. La grande rivoluzione di Gesù, nel rovesciare i termini della vecchia religione ebraica, sta forse solo in una frase, nel momento in cui si dice che non è più l'uomo che deve adeguarsi alla Legge, la legge con la “L” maiuscola, ma è la Legge che deve adeguarsi all'uomo. Quindi, mette l'uomo al centro.

Ma niente di tutto questo può essere considerato contro la fede. La fede è un dono particolare: nel momento in cui io dovessi andare a giustificare la fede con motivazioni storiche o scientifiche, non sarebbe più fede. Galileo dovette fare l'abiura perché altrimenti le sue tesi potevano distruggere, come pensavano all'epoca, la religione. Egli sosteneva, come Copernico, che il Sole, e non la Terra,  era al centro del sistema solare. Ma cosa c'entra questo con la fede?

Riguardo all’ “Eretico”, invito i lettori ad arrivare fino alla parola fine, ma poi a non fermarsi, andare oltre, perché proprio a questo proposito, c'è un allegato particolare in fondo al libro.


Parliamo dei Templari, un argomento che nei tuoi libri è ricorrente, soprattutto in quest’ultimo. Lasci intendere che certi personaggi storici, come ad esempio Pico della Mirandola, potessero essere dei Templari.

Non abbiamo documenti che dimostrino che Pico della Mirandola fosse, diciamo così, un templare post-litteram. Noi sappiamo che con Jacques De Molay l'ordine dei Templari fu distrutto per volontà di Filippo il Bello. Distrutto formalmente. In realtà sappiamo benissimo che nel prosieguo dei secoli ci fu una sorta di diaspora di quello che era il pensiero templare, che da una parte dette l'avvio a quello che è stato l'Umanesimo e poi il Rinascimento. L'Umanesimo era la parte culturale, e qui entra il discorso di Pico della Mirandola.


Pico della Mirandola è un personaggio misconosciuto, non si conosce molto di lui.

Nelle scuole si impara “hai la memoria come Pico della Mirandola”, in realtà la memoria si può allenare come si allena un atleta. Bolt, il campione dei centro metri, si allena cento volte al giorno, per cui è facile per lui correre in quel modo. Pico della Mirandola è il vero genio, l'ho studiato a fondo, credo che sia veramente il rappresentante del Rinascimento. Hai presente quei campi che d'inverno sono coperti dalla neve? Ecco, immaginiamoci che il medioevo siano questi campi, qualcosa sotto c'è, ma c'è una coltre di neve che copre tutto. Poi però, quando appena inizia il  caldo, cominciano a uscire dalla neve i cosiddetti gigli, si chiamano propri i gigli della neve. Ecco, Pico della Mirandola è colui che è andato a raccogliere questi gigli per primo e ha fatto nascere lo spirito nuovo dell'uomo, gli ha dato la libertà di pensiero. Molto di più di quanto non abbia fatto Leonardo da Vinci.


Credo di aver capito come la pensi in proposito...

Mi piace ristabilire una certa verità storica. Gli inganni a volte sono fatti apposta, altre volte avvengono per ignoranza. Per esempio, sappiamo tutti che il nome “America” viene da Amerigo Vespucci. Ma facciamo due ragionamenti velocissimi, ma uno di ordine logico e uno di ordine storico. Esiste la Bolivia, che viene da Simón Bolivar, e si chiama Bolivia, non Simonia; abbiamo la Colombia, che viene da Cristoforo Colombo, e si chiama Colombia, non Cristoforia, cioè deriva dal cognome. Ma perché l'America non si chiama “Vespuccia” allora? Questa è la logica, ma poi c'è la parte storica.  Nel 1499 Amerigo Vespucci inizia le sue navigazioni; ma due anni prima (1497) Giovanni Caboto parte e va verso delle terre sconosciute, delle nuove terre e infatti, con una grandissima capacità inventiva, chiama queste terre nuove “Terranova”, la famosa isola di Terranova. Il continente non lo chiama “Cabozia”, ma dà a questa terra il nome del suo armatore, com'è giusto che fosse, che si chiamava Ricard d’Amerique. Un secolo dopo, uno storico tedesco, parlando del secolo precedente, non riusciva a raccapezzarsi sul motivo per cui si chiamasse America (perché non conosceva i viaggi di Giovanni Caboto) e pensò che si trattasse di Amerigo Vespucci.



Carlo A. Martigli alla presentazione di “999. L’ultimo Custode” in Germania

L'America è stata scoperta molto prima: i Vichinghi già vi andavano da tempo.

Sì, e dopo i Vichinghi anche i Templari. Tornando ai Templari e alla diaspora, mentre una parte si diffuse in Italia e costruì chiese a pianta quadrata, come la chiesa di Bibbona per esempio, un’altra parte andò in Scozia. E guarda caso poi dalla Scozia il templarismo fu l'inizio della massoneria. Il famoso Sinclair parla dei suoi viaggi dall'altra parte dell'oceano e vi andò insieme con i fratelli Toscanelli di Pisa, con le mappe che poi il fratello di Cristoforo Colombo riuscì a vedere. E guarda caso, lord Sinclair era il proprietario della famosa chiesa di Rosslyn, la chiesa di cui straparla anche Dan Brown.


Sono tante le cose che non si conoscono della nostra storia...

Vi siete mai chiesti come mai sappiamo tutto dei faraoni egiziani, degli imperatori romani, degli imperatori cinesi che quattromila anni fa avevano una cultura straordinaria mentre noi scolpivamo ancora il ferro, ma non sappiamo nulla di quelli che sono stati gli anni dai dodici ai trenta, cioè gli anni formativi, dell'uomo più famoso e più importante dell'occidente, cioè di Gesù? E’ una domanda che io mi sono fatto e alla quale mi sono dato una serie di risposte, ma c’è una sorta di ipnosi collettiva che ha sempre impedito di poter anche solo porci la domanda.


Quali sono le tue risposte, senza rovinare la sorpresa dell’Eretico?

“L'eretico” ha due piani di lettura: uno per chi ha voglia di leggersi un buon libro, anche divertente.  S'immergerà in quella che è la nostra storia, troverà persone realmente esistite, Leonardo, i Borgia, un quadro molto rigoroso. E poi troverà anche una bella storia, una storia struggente, raccontata da una giovane donna che viene dal Tibet e che ha imparato a memoria quella che è la storia di Issa, cioè di Gesù e di quando Gesù (figura che in oriente conoscono perfettamente da duemila anni) entrò in contatto con la loro civiltà, parlo dell'India del nord, del Nepal e del Tibet. Questo è il primo piano di lettura. E veniamo al secondo piano di lettura: la presenza di Gesù in Tibet, dove addirittura c'è una sua tomba, a Srinagar, chiusa al turismo. Quello che ha detto, le sue predicazioni, i suoi pensieri, le sue idee rivoluzionarie, in oriente sono cose conosciutissime. Lo sanno anche i bambini: è una cosa normale. Soltanto che c'è una frattura, voluta da chissà quanto tempo, che questo non deve passare tra l'oriente e l'occidente. Nella copertina del libro, volutamente, c'è proprio questo doppio simbolo, da una parte la croce e dall'altra lo yin e yang, per dire che in fin dei conti alla fine siamo tutti figli dello stesso cielo.  Questo è il secondo piano di lettura.


Per concludere, qual è il messaggio che vuoi lanciare ai tuoi lettori?

Per concludere, permettimi di parafrasare quella cosa terribile che era scritta sui campi di concentramento:  “arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi”.  Vorrei invece dire che “leggere rende liberi”. Chi è libero può fare delle scelte, quindi si può dire che “leggere rende eretici”.