Scienze

La natura dell’Universo

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13 Aprile 2023
L'universo nasce da una sorta di esplosione
L'universo nasce da una sorta di "esplosione"

Dove siamo? Da dove trae origine l’universo?


L’origine dell'universo in cui viviamo è sempre stato un interrogativo che ha affascinato l’uomo.

Negli ultimi 100 anni la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante in questo campo, passando dalla visione di un universo statico ad uno in perenne evoluzione.

È interessante notare che molte delle scoperte attuali si basano su geniali intuizioni di scienziati dell’inizio del secolo scorso e che hanno trovato conferme solo in esperimenti successivi.

Un'importante scoperta fu fatta nel 1929 dall’astronomo americano H.P. Hubble il quale scoprì uno spostamento verso il rosso delle righe spettrali delle galassie (il famoso “red shift”) il quale indicava chiaramente che le galassie che noi osservavamo si stavano allontanando tra di loro, dimostrando quindi che l’universo non era statico bensì in espansione veloce.

L’ovvia conseguenza diventava che andando a ritroso nel tempo l’intero universo fosse stato sempre più “condensato” in uno spazio via via più ristretto, dove la densità della materia, dell’energia e della temperatura dovevano raggiungere valori inimmaginabili.

L’origine dell’universo venne quindi ipotizzata come derivata da una sorta di grande esplosione di una cosiddetta “singolarità inziale” e per questo il fenomeno venne presto chiamato Big Bang. Questa singolarità iniziale era descrivibile come una entità di densità infinita e con caratteristiche fisiche non rapportabili al nostro universo. In essa ogni legge fisica conosciuta perdeva di validità, in pratica sia lo spazio sia il tempo non esistevano. Nelle parole di Stephen Hawking: “il tempo nasce con il Big Bang”.

Ma cosa aveva provocato questa rapida espansione?

La cosmologia classica non forniva risposte soddisfacenti e fu necessario andare oltre i meccanismi conosciuti della fisica ordinaria.


Le teorie sulla causa del Big Bang

Da vari scienziati, tra cui principalmente Alan Guth nacque una teoria denominata “inflazionaria”.

Secondo questa teoria nella singolarità iniziale si creò un “falso vuoto”, cioè un vuoto energetico in cui però, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, si potevano manifestare continuamente delle fluttuazioni di campo, cioè coppie di particelle e antiparticelle che si manifestavano per un tempo infinitesimale per poi annichilirsi nuovamente. Questo potrebbe sembrare una ipotesi alquanto irrazionale ma gli esperimenti sul cosiddetto effetto Casimir hanno dimostrato che questo fenomeno esiste veramente.

Per tornare al falso vuoto, siamo in presenza di un apparente vuoto energetico ma in realtà carico di energia potenziale che si manifesta con l’apparizione e la sparizione di queste particelle.

Rappresentazione temporale dell'evoluzione dell'universo a partire dal Big Bang
Rappresentazione temporale dell'evoluzione dell'universo a partire dal Big Bang

Secondo una interpretazione, nel falso vuoto si sarebbe verificata una variazione della densità di energia, che avrebbe causato una fase di contrazione seguita da una espansione rapida, con un fenomeno simile a quello dell’acqua che ghiaccia: quando si raffredda il suo volume diminuisce fino a quando non raggiunge il punto di congelamento in cui si espande nuovamente. A questo punto il falso vuoto avrebbe rilasciato una quantità di energia enorme generando il cosiddetto Big Bang.

A questa ipotesi si è aggiunta in seguito la teoria della gravità quantistica a loop o LQG la quale prevede che il Big Bang sia stato generato dal collasso gravitazionale di una "stella nera", un ipotetico oggetto astronomico in cui la densità della materia sarebbe via via aumentata progressivamente fino a diventare una singolarità, che avrebbe in seguito generato l’espansione violenta: il Big Bang.

Gli scienziati hanno trovato prove che giustificano parzialmente ognuna di queste teorie, quindi la ricerca di una teoria del tutto che spieghi la realtà fisica in cui siamo immersi è ancora aperta.

Parlando del Big Bang occorre tenere presente che esso non è stato realmente un’esplosione “nello spazio”, bensì è stato lo spazio stesso che si è espanso (in cosa?), nei primi istanti addirittura a velocità maggiore di quella della luce.

È interessante notare che alcune delle teorie sopra enunciate trovano un riscontro nelle leggende delle culture native di varie parti del pianeta, dove spesso si parla di un caos all’origine dell’universo.

Un esempio che colpisce è la leggenda del Drago presente nella tradizione dello sciamanesimo druidico: in essa si racconta come all’origine del tutto ci fosse caos primordiale da cui, attraverso uno squarcio, fuoriuscì un Drago enorme. Il Drago si rannicchiò su se stesso per poi estendersi dispiegando le sue ali in tutta la loro estensione e con un urlo fortissimo risvegliò la vita in esso contenuta.

La leggenda è raccontata più ampiamente nell’articolo La Kemò-vad e il mito celtico del Drago Primordiale

Certamente questo fa nascere molte domande, tutte ancora senza risposta: qual è la causa vera del Big Bang e cosa c’era prima? Da dove proviene l’enorme energia necessaria a generarlo? Dato che il tempo nella singolarità primordiale non esisteva si potrebbe anche affermare che in essa non ci può essere stato né un prima né un dopo, quindi non può esserci stato nessun avvenimento.

Paradossalmente però l’universo esiste e quindi è come se il falso vuoto e l’universo coesistano, quindi dentro cosa si manifesta questo fenomeno che li include entrambi?


Il fenomeno dell’entanglement quantistico

Le teorie sulla nascita dell’universo ipotizzano fenomeni davvero fuori dalla percezione ordinaria della realtà. Il tempo e lo spazio sono elementi imprescindibili della fisica classica e quindi della teoria relatività.

Al contrario, nella meccanica quantistica esiste il principio di non località, ovvero il fatto che particelle anche distanti tra loro mantengano una sorta di legame al di là del tempo e dello spazio, legame denominato “entanglement” che in italiano si potrebbe tradurre con “intreccio” o “correlazione”.

Particelle generate insieme manifestano un legame che trascende spazio e tempo
Particelle generate insieme manifestano un legame che trascende spazio e tempo

Questo principio fu usato per la prima volta nel 1935 da Erwin Schrödinger in uno dei suoi lavori, in cui descriveva uno stato quantistico composto da due particelle che, nonostante la loro separazione spaziale, erano correlate in modo tale che la misura di una di esse influenzava istantaneamente la proprietà quantistica dell'altra, indipendentemente dalla distanza tra di esse.

Questo concetto fu successivamente usato e ampliato da altri fisici ma, essendo in contraddizione con la teoria della relatività, fece nascere un intenso ma onesto dibattito fra i fautori dell’una e dell’altra teoria.

Intorno al 1980 però, diversi studiosi tra cui il francese Alain Aspect dimostrarono sperimentalmente la realtà dell’entanglement quantistico. Nell’esperimento di Aspect-Alley, infatti, vennero emesse coppie di fotoni in uno stato di sovrapposizione quantistica; gli elementi di ogni coppia vennero poi inviati su due percorsi diversi al cui termine venne misurato il loro stato. Si verificò che le proprietà dei fotoni erano rimaste strettamente correlate anche a distanza, confermando quindi l'esistenza dell'entanglement quantistico.

Considerando che tutte le particelle sono state generate dal Big Bang si può ipotizzare che in definitiva tutto ciò che compone l’universo visibile è in qualche modo correlato, dalla più piccola particella agli esseri viventi. Questo potrebbe contribuire a spiegare molti fenomeni attualmente snobbati da alcuni ricercatori perché considerati “non seri”, come ad esempio i fenomeni ESP.

Certamente l’entanglement quantistico apre anche delle prospettive di ricerca filosofica, perché alla fine dimostra che siamo tutti uniti in un unico grande fenomeno cosmico.


L’universo è realmente “materiale”?

La meccanica quantistica, in virtù di alcuni suoi aspetti che la fanno sembrare molto lontana dal senso comune, obbliga a chiedersi quale è la vera natura dell’universo.

Essa ci mostra una materia fatta sostanzialmente di particelle infinitamente piccole cariche di energia la cui vera origine e sostanza è però sconosciuta. Particelle che possono comparire e scomparire in tempi brevissimi e nonostante questo generare fenomeni come il nostro universo. Particelle di cui possiamo conoscere sempre solo o l’energia o la posizione e sempre al prezzo di un’interazione energetica con esse.

L'universo che noi vediamo è una rappresentazione del nostro cervello?
L'universo che noi vediamo è una rappresentazione del nostro cervello?

Siamo di fronte a fenomeni che hanno del paradossale se riferiti alla nostra esperienza quotidiana eppure sono loro che generano l’universo visibile in cui noi viviamo la nostra quotidianità. Viene spontaneo quindi chiedersi cosa è veramente reale e cosa è apparenza.

Negli anni intorno al 1950 un fisico teorico e filosofo di nome Samuel Bohm, partendo dalla teoria della meccanica quantistica, sviluppò una teoria chiamata della “informazione quantistica”.

Secondo questa teoria, l'universo è fondamentalmente un sistema fatto di informazione quantistica che si evolve nel tempo. Nella meccanica quantistica, le particelle subatomiche sono descritte da astratte funzioni matematiche dette funzioni d'onda. Bohm sosteneva che l'informazione quantistica è la base della realtà, e che la meccanica quantistica o la fisica in generale descrivevano solo come questa informazione si manifesta nella nostra esperienza.

L'informazione quantistica quindi non è solo una descrizione matematica della realtà, ma è la natura oggettiva della realtà stessa, in un certo senso è la madre di tutti i fenomeni. Esisterebbe quindi un campo fondamentale di informazioni, un campo unificato che connette tutte le cose, dando così forza al concetto di entanglement precedentemente descritto.

Facendo un paragone, forse un po’ azzardato, l’informazione quantistica è paragonabile ad una sorta di software responsabile di tutto ciò che vediamo con i nostri sensi e con i nostri strumenti. Questo ha spinto diversi ricercatori ad ipotizzare che potremmo vivere in una sorta di realtà virtuale la quale ha la sua origine in una struttura informativa di livello superiore che collega tutte le cose tra loro.

Quale sia la natura di questa struttura informativa per ora non ci è dato sapere, ma effettivamente viene da chiedersi se viviamo in una simulazione o comunque in quale realtà risiede questa informazione che fa girare il mondo.

Data la natura immateriale di questa struttura potrebbe essere il nostro cervello a creare l’universo in cui crediamo di vivere?

Viviamo in una sorta di enorme ologramma?