Storia

Garabagh-Artsakh: un’antica regione armena

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17 Dicembre 2020
Il Monastero di Amaras
Il Monastero di Amaras

Dopo quello del 1915, un altro genocidio si è consumato nell’indifferenza generale


Ci eravamo lasciati tre mesi fa con articoli sulla storia, tradizioni e curiosità culturali sull’Armenia in generale ma recenti tragici avvenimenti mi hanno ora indotto a proporvi documenti su una specifica regione del Caucaso.

Si tratta del “Nagorno-Karabakh” o “Garabagh” meglio ancora “Artsakh” nella forma più autenticamente armena. Già la sua denominazione è stata sempre dibattuta. La versione “Nagorno-Karabakh” infatti deriva da una miscela di tre lingue: “Nagorno” in russo significa “montagnoso”, “Kara” in turco vuol dire “nero” e “bagh” in persiano si traduce come “giardino”. Quindi “giardino nero montagnoso” che è perfettamente giustificato da un paesaggio di media montagna ricoperta da una foresta oscura. Il nome armeno Artsakh invece proviene, secondo le fonti romane, da Albània che a sua volta proviene dall’armeno antico Alvand (IX-VII sec. a.C.). Naturalmente Albània non avrà nulla a che fare con il paese balcanico che conosciamo. Questa incongruenza ha portato a dire alla parte azera che la loro storia proviene dai cosiddetti “Albanesi del Caucaso”! Ciò è in parte vero disconoscendo però che in epoche precedenti in tutta questa regione si era insediata una civiltà armena.

Siamo in una zona montagnosa fra il Mar Nero ed il Mar Caspio e la civiltà armena è sempre stata un baluardo anche in difesa di altre antiche civiltà che qui si sono sviluppate e sono poi migrate altrove. Ma gli Armeni sono stati obbligati a ritirarsi in queste montagne e cedere col tempo i territori di pianura ai turchi.

Ci troviamo in un territorio esterno agli attuali confini della Repubblica d’Armenia ma che storicamente è stata parte integrante dell’identità armena almeno a partire da cinquemila anni fa. Come già detto l’Armenia è stata un importante Repubblica Sovietica dal 1920 al 1991 ma prima di questa fase tutti i suoi territori sono sempre stati autonomi ed indipendenti, seppur sempre a rischio di invasioni e di annessioni da parte di imperi colonialisti.

La Cattedrale di Sushi, bombardata e distrutta
La Cattedrale di Sushi, bombardata e distrutta

Ciò che è successo a partire dal 27 settembre 2020 ha ripresentato in chiave “moderna” questa ennesima invasione barbara e cruenta da parte dei vicini più ostili. In questo caso si tratta dell’Azerbaijan che altro non è che una invenzione geopolitica sovietica che con un operazione tipo “Risiko” ha sottratto all’Armenia suoi territori fin dalla notte dei tempi (lo si può vedere nelle cartine in cui il nome Azerbaijan non compare mai!). Con l’aiuto del suo alleato storico, la Turchia, ne è scaturita una guerra contro l’Armenia in nome del petrolio e dell’odio religioso, etnico e culturale. Il conflitto durato 45 giorni si è concluso fra il 9 e 10 novembre scorso con la sconfitta dell’Armenia che ha dovuto cedere definitivamente i 3/4 dei territori della sua regione, l’Artsakh. Un prezzo durissimo da pagare, oltre a circa 6000 vittime militari e civili, 120.000 sfollati e numerosi siti archeologici, architettonici ed artistici gravemente danneggiati e purtroppo passati alla parte avversa. Il tutto si è svolto nella pressoché totale indifferenza del cosiddetto mondo “civilizzato occidentale” cha ha lasciato fare in nome di chiari interessi materiali…

E proprio in quest'ottica che vorrei occuparmi in questo articolo, e cioè il rischio di distruzione in maniera definitiva di un patrimonio storico legato ad una delle più antiche civiltà mai apparse sul pianeta. Questa grave situazione infatti rientra in quello che si può purtroppo tranquillamente definire come “Genocidio Culturale”.

Certamente anche in questa sede non si può tacere circa il primato spirituale e religioso degli Armeni, e cioè l’essere la prima nazione, il primo popolo ad avere abbracciato il Cristianesimo nel 301 d.C.

In questa regione infatti già in epoca medioevale, personalità di rilievo come gli storici Grigor Patmitch, Vardan Areveltsi, Vanakan Vardapet e molti altri fecero iniziare i lavori di importanti centri culturali e università come i monasteri di Gandzasar, Dadivank e Gritch.

Molti manoscritti, contenenti miniature finissime, furono compilati e miniati in questi luoghi; gli studiosi sottolineano la peculiarità dello stile di queste miniature che accostano in un insieme armonico elementi pittorici e decorativi provenienti da tradizioni diverse.

Una mappa antica del territorio armeno
Una mappa antica del territorio armeno

Riguardo il patrimonio archeologico e architettonico, fin dal 1984 diverse équipe di studiosi hanno tentato di catalogare la totalità di monumenti armeni della regione, ma queste spedizioni sono spesso state ostacolate dalle autorità dell’Azerbaijan con l’intento di impedire una chiara documentazione delle autentiche origini dell’Artsakh. In ogni caso una stima contenuta in un decreto firmato dalle autorità sovietiche ci dice che almeno 1602 monumenti sono di chiara matrice armena.

Si tratta di tombe reali, eremi, chiese, fortezze, monasteri, cimiteri preistorici con pietre tombali artistiche.

La città di Sushi era la capitale culturale dell’Artsakh denominata in chiave moderna “la Parigi del Caucaso” famosa per le sue bellezze architettoniche, la lavorazione della seta e dei tappeti, la fabbricazione di strumenti musicali orientali che hanno consentito lo sviluppo di scuole da cui sono usciti molti interpreti di musica popolare caucasica. Sushi rappresentava, fra l’altro, uno snodo commerciale importante perché si trovava proprio sulla Via della Seta.

Non lontano da Sushi (circa 40 chilometri) si trova il monastero di Amaras. È un luogo altamente simbolico perché nel 347 d.C. l’imperatore armeno Tiridate III aveva inviato qui il santo Gregorio l’illuminatore per trasformarlo in luogo di culto cristiano, divenendo di fatto la prima chiesa dell’Artsakh. Inoltre nel V secolo si insediò la prima scuola dove fu insegnato l’alfabeto armeno inventato nel 405.

Occorrerebbe molto spazio per elencare e descrivere tutti i luoghi e relativi monasteri che da secoli rappresentano una chiara identità culturale armena.

Tutto questo patrimonio non è più in territorio di una regione dell’Armenia. Gli azeri hanno subito cambiato i cartelli delle città armene, per esempio “Sushi” è ora “Susa” (pronucia “Susha”). Sono iniziate le distruzioni ed i saccheggi di tutto ciò che richiama all’arte armena. Addirittura molti civili armeni prima di abbandonare le loro case hanno preferito darle alle fiamme per impedire che il barbaro nemico le profanasse.

L’Artsakh rischia seriamente di fare la fine di un altra regione, il Nakhichevan, che da sempre fu una zona a maggioranza armena e che in occasione di un altro conflitto (1988-1994) passò nelle mani azere. Anche in quella occasione distrussero totalmente il patrimonio artistico armeno basti pensare che un intero cimitero con i “khatchkar”, le famose croci in pietra tipiche nell’arte armena, fu interamente raso al suolo e trasformato in un poligono di tiro.

Il Monastero di Dadivank
Il Monastero di Dadivank

Gli Armeni di questa regione avrebbero tutto il diritto di poter mantenere le loro case, la loro cultura, la loro lingua, la loro storia.

Questa è una delle tante vicende dell’umanità in cui la Verità della storia è stata decisa da poteri forti di varia entità. Abbiamo vissuto in diretta in chiave moderna una pagina amara in cui il mondo intero si trova “distratto” da vicende di cui forse sapremo più avanti circa la loro effettiva portata. Si è lasciato compiere un altro Genocidio Umanitario e Culturale. La storia è piena di vicende relative a civiltà che hanno dovuto lasciare i loro luoghi nativi per approdare altrove e far rinascere una loro identità.

Questa zona compresa fra i mari Mediterraneo, Nero e Caspio, è stata da sempre teatro di apparizioni e sparizioni di civiltà le cui tracce abbiamo ritrovato in alcuni casi in zone geografiche apparentemente “impossibili” e misteriose.

Basti pensare che tracce della civiltà armena a livello di miniature, sculture e simboli di vario genere si sono ritrovate anche in Scozia.

Nonostante le alte tecnologie di cui disponiamo noi umani oggi, il mancato rispetto verso le antiche forme di saggezza, di spiritualità, di cultura artistica in tutte le sue espressioni ci stanno facendo regredire a livello di consapevolezza e coscienza.

Occorre tenere vive le antiche forme di conoscenza, praticarle, difenderle e diffonderle evitando di permettere le falsità frutto di menti manipolatrici.

Il famoso cambio epocale di cui da tempo si parla pare in atto, certo è che se le tecnologie servono soprattutto i più forti per condurre delle guerre distruttrici di patrimoni universali, possiamo dire che non è proprio il tipo di cambiamento che ci si aspettava.

Forse da altre dimensioni, altre entità potranno indicarci una via più giusta da seguire e ridare un senso più autentico all’esistenza nel pieno rispetto di tutte le forme di vita.

Non possiamo che augurarcelo e lavorare affinché ciò possa realmente avvenire.