Storia

Roma prima di Roma - 1

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16 Agosto 2012

Tempio di Saturno ai piedi del Campidoglio, Foro Romano. Fu costruito dove prima c’era un antichissimo altare risalente alla fondazione di Roma del Dio Saturno. La prima data di consacrazione sembra risalire tra il 501 e il 498 a.C. all’epoca di Tarquinio il Superbo. Il Tempio fu totalmente rifatto nel 42 a.C. ad opera del console Lucio Munazio Planco, nel 283 d.C. fu restaurato a causa di un incendio. Le otto colonne che vediamo oggi risalgono all’ultimo restauro

In base alle leggende, svariati secoli prima della fondazione della città, sulle alture vivevano popoli indigeni e pagani, in pace e armonia con la natura e come tutti i nativi del pianeta, dediti al culto di “Madre Terra”


Roma è la prima grande metropoli della civiltà contemporanea e possiede un indiscutibile fascino grazie ai suoi quasi tremila anni di storia, tanto da essere chiamata anche “città eterna”. Ma sulle sue vicende passate primeggiano molti misteri irrisolti, il più eclatante dei quali riguarda proprio l'origine.

Sui libri è scritto che tutto iniziò grazie a Romolo discendente della stirpe reale di Alba Longa, il quale in base alla leggenda tracciò i solchi delle mura quadrate sul Monte Palatino il giorno 21 aprile del 753 a.C., secondo i calcoli dello storico latino Marco Terenzio Varrone (116–27 a.C.) Ma questo primo villaggio fu edificato sul nulla?

Purtroppo i testi storici trattano esaustivamente soltanto gli eventi strettamente legati alla Roma conosciuta e ai popoli che contribuirono alla sua fondazione, ma non accennano nulla riguardo agli indigeni del posto. I libri accreditati ci raccontano l’esclusivo resoconto dei vincitori allo scopo di dare risalto alle gesta dei poteri che si alternarono al governo, dai primi Re dell’età Regia alla Chiesa Cattolica. Ma ormai gli stessi storici non possono fare altro che confermare l’insabbiamento e la sistematica manipolazione dei dati reali. Un occultamento secolare che ha impedito e impedisce una attendibile riscrittura degli eventi trascorsi, se non altro per carenza di dati.

Ma per fortuna non tutto è andato perduto ed è ancora possibile ricostruire, in linea di massima, gli accadimenti preistorici: analizzando le leggende e i miti, consultando i testi degli storiografi più antichi, osservando gli scavi archeologici e alcuni monumenti.


Il territorio

Il Vulcano Laziale dei Colli Albani si trova al centro della regione Latium a sud-est di Roma, ne fanno parte il Monte Cavo e il Monte delle Faete che sfiorano i mille metri di quota e dominano la vallata sottostante, tanto da essere ben visibili dalla maggior parte dei quartieri della città.

Fino a ventimila anni fa questo enorme vulcano era ancora acceso e la sua intensa attività eruttiva diffondeva tufi e pozzolane rosse nella campagna circostante, con emissioni laviche e con esplosive colate piroclastiche, formando nel tempo i rilievi e le colline che hanno reso estremamente impervia la campagna dell’Agro Romano.

Dagli studi più recenti, inoltre, si deduce che il Vulcano era ancora vitale fino a cinquemila anni fa, mentre ai giorni nostri è considerato attivo ma quiescente, per via delle emissioni gassose e delle frequenti, ma per fortuna deboli, scosse sismiche che coinvolgono i Colli Albani e di riflesso i quartieri limitrofi di Roma. Attualmente nella zona vulcanica risiede il complesso dei Castelli Romani formato da diverse cittadine, tra cui Genzano di Roma, Rocca di Papa e Ariccia.


Tempio di Vesta nella zona del Foro Boario

Dionigi di Alicarnasso (ca. 60–7 a.C.), storico e retore greco vissuto a Roma all’epoca di Augusto, nella sua opera Antichità Romane raccolse le vicende che vanno dal periodo mitico alla prima guerra punica; del periodo arcaico scrisse di popoli Prischi che abitavano in questa regione prima dei Latini, costretti a migrazioni forzate in Grecia, Turchia ed Egitto a causa dei terribili stravolgimenti provocati dalle esplosive eruzioni del Vulcano Laziale e di altri vulcani a sud e a nord, che modificarono l’assetto geografico dell’Italia Centrale.

Roma, che risiede su questo terreno geologicamente instabile e complesso, è famosa nel mondo per gli storici sette colli: il Campidoglio, il Palatino, l’Aventino, il Celio, l’Esquilino, il Quirinale e il Viminale. A cui si aggiungono: il Gianicolo, il Vaticano, Monte Mario, Monte Verde, Monte Sacro e altri ancora.

Tra i sette colli il più rappresentativo dove venne costruita la prima Acropoli protostorica è il Monte Saturnio; in antichità era composto da due sommità, quella settentrionale Arx e quella meridionale Capitolium divise a loro volta da una sella chiamata Asylum dove attualmente si trova il “Palazzo Senatorio”, sede del Comune. Nella fase della Roma repubblicana fu rinominato Monte Capitolino o Campidoglio.


La città non nasce dal nulla

L’area sacra di Sant’Omobono, scoperta nel 1937 e ubicata sotto il Campidoglio, ha restituito reperti archeologici comprovanti l’esistenza della Roma arcaica; all’interno del materiale di riempimento per il rifacimento del terrapieno effettuato in epoca romana, sono stati recuperati manufatti in ceramica provenienti presumibilmente dal Monte Saturnio e risalenti all’età del bronzo, che abbraccia un arco temporale che va dal 3.500 al 1.200 a.C.

Negli anni Novanta sono stati effettuati degli scavi archeologici nel Giardino Romano sul Campidoglio, in una zona già coinvolta nella costruzione del Palazzo dei Conservatori, dove è stato scoperto il sito più antico risalente al XII – XIII secolo a.C.

La scoperta del villaggio preistorico nel Giardino Romano, ha suscitato un notevole entusiasmo tra gli addetti ai lavori, tanto da essere chiamato “Roma prima di Roma”.

L’archeologo Andrea Carandini, già Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e attualmente titolare della Cattedra di Archeologia Classica all’Università “La Sapienza” di Roma, conosciuto soprattutto per il rinvenimento sul Palatino delle mura dell’ottavo secolo a.C. della “Roma quadrata”, nel suo libro Roma - Il primo giorno ribadisce che il monte Saturnio o Campidoglio era già stabilmente abitato fin dalla prima metà del secondo millennio a.C.

Una scoperta cruciale che conferma la storia tramandataci dagli scrittori greci e romani, i quali, nonostante avessero il compito di narrare, confutare e privilegiare le imprese dei poteri del momento, nei loro scritti parlavano anche di antichi popoli leggendari, che vissero sul Campidoglio e sul Palatino molti secoli prima della edificazione della città da noi conosciuta.


Monte Cavo che faceva parte del Vulcano Laziale, fotografato dalla Valle della Caffarella all’altezza del Bosco Sacro. Accanto al Monte intasato da antenne televisive e telefoniche è visibile l’abitato di Rocca di Papa

Dionigi di Alicarnasso li elenca dettagliatamente, uno ad uno: "I popoli che fondendosi e avendo comunanza di vita tra loro dettero origine alla stirpe romana, prima ancora che fosse costruita la città che ora abitano, sono i seguenti: primi gli Aborigeni, che cacciarono da quei luoghi i Siculi, ed erano originariamente greci peloponnesiaci, emigrati insieme con Enotro dalla regione attualmente chiamata Arcadia, e questa è la mia convinzione; poi i Pelasgi, che vennero dall'Emonia, come si chiamava allora, l'attuale Tessaglia; terzi, coloro che dalla città di Pallantio vennero in Italia sotto la guida di Evandro; dopo di loro gli Epei e i Feneati, che erano peloponnesiaci militanti sotto Eracle, e ai quali erano mescolati alcuni elementi troiani; infine i Troiani che scamparono con Enea da Ilio, Dardano, e altre città della Troade".


L’Età dell’Oro e il Dio Saturno

Probabilmente il Monte Saturnio, il Palatino e il vicino colle Aventino erano abitati fin dalla preistoria per la loro eccellente posizione strategica, in quanto attigui al fiume Tevere all’altezza dell’isola Tiberina. È stato accertato infatti che nei pressi dell’isola, nell’area pianeggiante dell’antico mercato del Foro Boario, situata sulla riva sinistra del Tevere proprio tra questi tre colli, già dalla metà dell’ottavo secolo a.C., ma sicuramente anche prima, venivano effettuati gli scambi di merci tra le genti provenienti dalle vicine alture. La stessa isola rappresentava l’approdo naturale per la navigazione delle navi che risalivano dal mare per il trasporto delle derrate alimentari e il sale necessario alla conservazione dei cibi, i quali successivamente venivano instradati verso il nord sulla via Salaria e verso il sud sulla via Campana. Quasi sicuramente il controllo di questo importante snodo, nei secoli seguenti, determinò il dominio dei primi romani sugli altri popoli della regione.

Plutarco, filosofo e scrittore greco vissuto sotto l’Impero Romano (46–127 d.C.), nelle sue opere ci fornisce differenti versioni sulla fondazione di Roma. Nella prima di queste la attribuisce ai Pelasgi i quali, arrivati nel Lazio, costruirono il primo insediamento chiamandolo “Rhome”, nome che secondo la loro convinzione era in grado di evocare le capacità guerresche.

In tutte le ricostruzioni tramandateci da Plutarco è sempre significativamente presente “Rome”, un nome la cui etimologia deriva dal greco Rhome che significa forza.

E anche se sono tante le teorie sull’origine di Rhome o Roma, entrambi i nomi sono straordinariamente simili a quello della leggendaria Rama, antichissima e ormai scomparsa città della Val di Susa in Piemonte, anch’essa rifondata dai Pelasgi, quando, in fuga dalla inondazione del Mar Nero ricordata come il diluvio universale che avvenne nel sesto millennio a.C. circa, si spostarono sia verso le coste laziali sia verso l’attuale nord-ovest d’Italia, come è descritto nel libro Rama vive di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero. Nel caso di Rama, secondo le leggende, la città ciclopica fu ricostruita dai Pelasgi e fu chiamata con il nome del suo edificatore.

Anche in base al mito di Deucalione che descrive il diluvio universale, i Pelasgi, chiamati anche “Popoli del Mare”, dovettero lasciare le loro terre distrutte per spostarsi nei luoghi accessibili del Mediterraneo, dove edificarono città–stato megalitiche. Dice la leggenda: “Deucalione e la moglie Pirra dopo aver navigato per nove giorni arrivarono sulle montagne della Tessaglia e chiesero a Zeus di ripopolare la terra. Zeus accolse la loro richiesta e ordinò ai due di gettarsi delle pietre alle spalle (interpretate come le ossa della Madre Terra), da quelle di Deucalione nacquero gli uomini da quelle di Pirra le donne, insieme formarono la nuova stirpe umana...”


Roma vista da Monte Mario

Strabone, geografo greco (ca. 58 a.C.-25 d.C.), ed Euripide, drammaturgo greco (485-406 a.C.), parlavano dei Pelasgi come di un popolo pre-ellenico, edificatore di possenti fortificazioni ciclopiche, non soltanto nel Lazio ma anche nelle città greche di Tirinto e Micene.

Invece per Dionigi di Alicarnasso e per Tucidide, storico e generale ateniese (ca. 460-400 a.C.), i Popoli del Mare erano rappresentati dal Dio Saturno e insegnarono agli Aborigeni la tecnica di costruzione delle pietre poligonali.

Infine tra i pochi scritti arrivati fino a noi, lasciati dal console e storico romano del II secolo a.C. Gaio Sempronio Tuditano, troviamo questa importante frase: “Dal Liri al Tevere c’era il mito di Saturno...”.

La leggenda del Dio Saturno, il padre degli Dei, confuta la prima versione di Plutarco sulla nascita di Roma, specificando che egli fu il primo a costruire l’acropoli originaria sul “Monte Saturnio”, che prese il suo nome. L’unica differenza tra il mito e la versione di Plutarco consiste nel nome del villaggio, Saturnia per la leggenda, Rhome per Plutarco.

Comunque Saturno ebbe una benefica influenza anche fuori l’Urbe in quella che il poeta romano Virgilio (70-19 a.C.) definì “Saturnia Tellus” o “Terra di Saturno”, in quanto ritenuto il leggendario fondatore delle cosiddette cinque città Saturnie o “terrigene”, tutte costruite con colossali mura poligonali e torrioni di tipo ciclopico: Alatri, Anagni, Arpino, Atina e Ferentino chiamata anche Antino. Ma a queste città possiamo aggiungerne anche altre, l’Acropoli del Circeo, Cori, Cassino, Segni, Norba, Cosa, Roselle e altre ancora, anch’esse innalzate con possenti mura fortificate.

E pure in questo caso non si può non notare l’incredibile somiglianza tra le mura dell’antica Rama della Valle di Susa e quelle ad esempio dell’Acropoli del Circeo, le cui strutture megalitiche hanno le medesime caratteristiche, tanto da far pensare alla stessa tecnica edificatrice.

La copiosa e imponente presenza dei megaliti nel Lazio provenienti da quest’era arcaica è la dimostrazione che questa regione e tutta la penisola italiana erano legate alla comune e misteriosa storia dei popoli costruttori dei megaliti che coinvolse tutta l’Europa.

Sempre stando alle leggende, Saturno coincide con il Dio greco Crono, cacciato dalla Grecia dall’ambizioso figlio Giove e costretto a rifugiarsi in questa regione che chiamò “Latium.

Sono tanti i miti che descrivono il regno di Saturno come un periodo felice, di pace e di giustizia, dove i mortali vivevano liberi dai problemi, dalle preoccupazioni e dalla miseria; ciclo storico identificato anche con i termini evocativi di Secolo d’Oro o Età dell’Oro.

Un Dio benevolo e civilizzatore che diede inizio a un’epoca di eterna primavera, dove c’era abbondanza dei frutti della Terra e gli uomini si nutrivano di ghiande, frutta selvatica e del miele prodotto dalle api.

Saturno insegnò alle genti del tempo l’uso del falcetto, della roncola, il metodo per la produzione spontanea della terra e avviò nuovi tipi di colture. Diede inizio inoltre, alla civiltà e al culto di Madre Terra condiviso dai popoli dei megaliti. Infatti Opi, la sua compagna, rappresentava la Madre Terra” delle popolazioni native, era la Dea dell’abbondanza e della ricchezza, “Buona Madre” o “Grande Dea Terra” e aveva il compito di vigilare sui raccolti dei campi.

Insomma nel mondo descritto dai miti non esisteva la guerra, non vi era necessità di lavorare, o si lavorava per quel che serviva e gli uomini vivevano insieme agli Dei.


Avancorpo dell’Acropoli di Ferentino. Sono ben visibili le tre tipologie di costruzione

Poi Saturno scomparve, le leggende ci dicono che fu nuovamente scacciato da Giove anche da questa regione; secondo una versione fu esiliato su un’isola deserta dove vivrebbe tra la vita e la morte, mentre rispetto a un’altra si troverebbe incatenato e rinchiuso in una tomba, in un luogo sconosciuto del Lazio. Ma il mito prosegue e aggiunge che Saturno, essendo immortale, si risveglierà e tornerà per ripristinare l’Età dell’Oro.

Comunque il ricordo del periodo edenico gli sopravvisse anche nei secoli successivi; nella Roma repubblicana nel 509 a.C., in suo onore e memoria alle pendici del Campidoglio fu costruito il “Tempio di Saturno”. Mentre i “Saturnalia”, le celebrazioni del Solstizio d’Inverno introdotte da Saturno e che si svolgevano dal 17 al 24 dicembre, erano ancora in uso nell’81 d.C. sotto l’Imperatore Domiziano, allo scopo di far rivivere alle persone dell’epoca una periodica, quanto illusoria, “Età dell’Oro”.

Molte usanze dei Saturnali sono conservate ancora oggi nelle nostre celebrazioni del Natale: le luci, il banchetto, lo scambio dei doni, i ceri, i datteri, le noci, i dolci con il miele, il brindisi e gli auguri, la chiusura delle scuole e il lungo riposo dalle fatiche del lavoro. La festività era di auspicio per la fecondità della terra e la produzione dei suoi frutti; commemorava la civiltà primordiale priva di conflitti sociali e di guerre, dove la proprietà era inesistente e il terreno faceva parte dei beni comuni. Durante i “Saturnalia” l’autorità e il potere dei padroni sugli schiavi erano temporaneamente sospesi.

Tornando al megalitismo, nonostante Roma dalle leggende appaia come il perno della “Saturnia Tellus”, qui non troviamo costruzioni ciclopiche, neanche sul Campidoglio. I romani infatti, per elevare le loro costruzioni usavano metodi differenti dagli architetti dei megaliti, in quanto probabilmente non conoscevano la tecnica per lavorare e sollevare le imponenti pietre. E la dimostrazione che non furono i romani a costruire le fortificazioni la vediamo con chiarezza nell’Avancorpo dell’Acropoli della città di Ferentino, dove sulla parete dell’edificio sono riconoscibili le differenti fasi di posa in opera; le fondamenta di calcare sono di mura poligonali, in mezzo ci sono i blocchetti di travertino di fattura romana, per ultimo c’è il palazzo vescovile del medioevo.

Marianna Candidi Dionigi, pittrice e scrittrice italiana (1757–1826) che ispirata dalle città Saturnie produsse disegni e incisioni, raccolse una serie di scritti nella sua opera del 1809 Viaggio in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno. In queste frasi tratte dal suo libro viene chiarito il dilemma della scritta dell’Avancorpo dell’Acropoli di Ferentino, che ne attribuisce l’edificazione ai censori romani M. Lollio e A. Irzio: “Non vi sorprenda il leggere che Lollio, e il suo collega facessero costruire le fondamenta, vedendo all’opposto che l’opera romana non incomincia che dopo alquanti piedi di costruzione ciclopea.... Pur vi è stato alcuno che prendendo argomento da questa espressione della lapide, ha dedotto che l’opera ciclopea, che vediamo in tante e tante parti dell’Italia meridionale, sia stata fatta dai Romani”.

Però non può essere escluso che a Roma, eventuali mura ciclopiche potrebbero essere state smantellate, come i reperti arcaici che nel periodo romano furono prelevati dal Monte Saturnio per essere poi usati come materiale di riempimento a Sant’Omobono.

Del resto la città da millenni è un continuo cantiere.



1 - continua


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