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Viaggio nel Dreaming

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10 Maggio 2011

La danza rituale degli aborigeni Wamba Wamba per la cerimonia di risepoltura degli Antenati

L’Australia che non c’è – Terza Parte


“Veniamo condotti in un posto isolato. Non abbiamo la minima idea di dove ci troviamo né dove stiamo andando. Il nostro pulmino segue un pullman pieno di aborigeni e già questo ci dà un effetto irreale.”


E finalmente, il “vero” viaggio...

Mentre si avvicinava il tempo del ritorno, tutto stava vorticosamente accadendo come in un crescendo di esperienze.

In fondo lo sapevo, lo avevo sempre saputo. Avevo fatto anche dei sogni premonitori. Sembrava che tutto il viaggio dovesse “per forza” portare a quello.

Tutto quello che avevamo vissuto fino a quel momento era solo un preludio al “vero” viaggio.

Quello che abbiamo vissuto negli ultimi giorni è stato sconvolgente, ci ha toccato profondamente e sono certa che ognuno di noi se lo porterà dentro per sempre.

Gli aborigeni ci hanno aperto le porte del loro Dreaming.

Per tutta la prima parte del nostro viaggio tutte le persone che incontravamo sembravano volerci convincere che gli aborigeni non esistevano, non c’erano, si erano estinti, se c’erano erano pochi, vivevano nei territori deserti dell’estremo nord dell’Australia e conducevano un’esistenza miserabile.

Ma l’incontro “fortuito” con Jida Gulpilil, il musicista nativo che avevamo conosciuto per motivi musicali, ci aveva aperto un mondo invisibile.

Il nostro concerto a Melbourne è stato l’occasione di conoscere Jida e il suo mondo.

Jida è un rappresentante delle comunità Dja Dja Wurrung e Wamba Wamba, una persona molto semplice con cui è facile comunicare e confrontarsi. Il padre David è un attore aborigeno che ha interpretato molti film tra cui "L'ultima onda" di Peter Weir di cui era il protagonista insieme a Richard Chamberlain. Ma soprattutto è uno strenuo difensore dei diritti dei Nativi australiani.

Anche Jida è uno stimato ed eclettico artista che si divide tra musica, danza e cinema, sempre portando avanti le tradizioni del suo popolo.

Jida insegna la sua tradizione nelle scuole, e questo fatto aveva cominciato ad aprirci gli occhi circa il ruolo e il peso che i Nativi australiani rivestono nella cultura di questo continente.


Il concerto del LabGraal alla Melba Hall di Melbourne con il musicista nativo australiano Jida Gulpilil

Abbiamo conosciuto Jida sul palco della Melba Hall durante uno dei nostri concerti. Il nostro promoter aveva avuto l’idea di farci una sorpresa, e con nostro estremo stupore abbiamo visto questo aborigeno, vestito in abiti rituali e munito di didgeridoo, salire sul palco e mettersi a suonare con noi. Eravamo attoniti e stupiti anche del fatto che si fosse creato un immediato feeling musicale che ci permetteva di suonare insieme non essendoci mai visti prima di quel momento, cosa a cui nessuno, quella sera, avrà creduto.

Ma poteva essere un semplice, se pur fortunato, incontro musicale. Il nostro rapporto è iniziato dalla musica, ed è stato un feeling immediato, tanto che ci ha portato a realizzare insieme il CD Dreaming, che abbiamo registrato allo studio 52 di Melbourne.

Invece quell’incontro si è presto rivelato come l’apertura di una porta verso un mondo invisibile.

Dopo il concerto abbiamo incontrato Jida a Geelong presso il Wathaurong Centre, dove abbiamo potuto con tutta calma approfondire il nostro rapporto. Jida ci ha così rivelato che la comunità aborigena Wathaurong è una delle più antiche dell'Australia, ed è insediata in queste terre da più di 80.000 anni.

Il feeling che si era creato tra di noi ci permetteva di confrontare le nostre rispettive culture e di fare raffronti che hanno fatto emergere analogie sorprendenti tra Nativi europei e Nativi australiani.

Questo era l’antefatto, ma in quegli ultimi giorni in Australia gli eventi hanno preso una piega particolare.

Tutto è iniziato con un invito: gli Elders di Jida avevano invitato me e Giancarlo, accompagnati dai nostri amici, a partecipare ad una loro cerimonia privata che si sarebbe tenuta in una terra sacra della Comunità Wamba Wamba.

Si trattava di una celebrazione per la sepoltura dei loro antenati, che rappresentava il compimento di una lotta durata anni per ottenere le spoglie da vari musei di tutto il mondo.

L'azione aveva un alto valore simbolico, oltre che morale e affettivo: con questa lotta i Nativi australiani vogliono mostrare al mondo che la loro tradizione è più che mai viva e che loro stessi hanno tutte le intenzioni di riappropriarsi di ciò che gli è stato tolto. Una vera e propria dichiarazione di guerra.

L'appuntamento era a Swan Hill, un paesino sperduto nell'estremo nord del Victoria, nell'outback, sul confine con lo Stato federale del New South Wales.

Il viaggio verso Swan Hill è stato caratterizzato da un paesaggio che diventava sempre più irreale man mano che ci addentravamo nell'outback. Non sapevamo assolutamente cosa aspettarci, e il nostro stato d'animo era irreale quanto il paesaggio.


L’Autrice presso il “Burke & Wills” Tree, una delle icone dell’Australia

Territori deserti e sconfinati da ogni parte, un cielo che cambiava continuamente colore, nuvole scure che lasciavano filtrare un sole incandescente.

Eravamo incantati e senza parole, oltre che eccitati per l'inatteso invito.

Lungo il cammino, mentre il paesaggio si faceva sempre più selvaggio, scorgevamo menhir, che ora sapevamo essere numerosi in Australia, e canguri che si rincorrevano beati nel bush.

Il simbolo di Swan Hill è un cigno nero. Mi incontravo di nuovo con la figura del cigno nero che ricorreva spesso nel nostro viaggio.

Gli aborigeni ci avrebbero poi raccontato che il cigno nero era legato alla figura del Bunyip, lo strano drago che secondo i miti aborigeni abita nel Bunyip Park. Il Bunyip è una creatura mitologica, ma molti coloni bianchi hanno affermato di averlo visto.

Secondo la leggenda, i Bunyip erano creature che vivevano tra terra e acqua. Un giorno un gruppo di uomini catturarono e imprigionarono un Bunyip piccolo, e la madre si arrabbiò così tanto che inondò la terra, coprendola tutta. Gli uomini che riuscirono a scappare furono trasformati in cigni neri. Si narra che ancora oggi se ne sentano le grida di notte nel Bunyip Park.

Swan Hill ospita il Burke & Wills Tree, il ficus più grande che esista in Australia, alto 27 metri e largo 43, e che si trovava proprio sotto le finestre del nostro Motel.

Burke & Wills, i due leggendari esploratori celebrati come un mito, avevano piantato questo ficus nella loro sosta a Swan Hill nel 1860, prima di uccidere e divorare il loro fedele cammello costretto a seguirli nella loro incosciente traversata. Ma non ce l'hanno fatta a competere con l'outback, non con quello spirito. Nonostante il caritatevole soccorso degli aborigeni locali, sono morti di stenti, non sono riusciti a domare quella terra.

Un altro leggendario eroe molto celebrato da quelle parti è Ned Kelly, un bandito-gentiluomo irlandese, vissuto più o meno nello stesso periodo di Burke & Wills ma fatto di tutt'altra pasta, diventato fuorilegge per l'ingiusta persecuzione della polizia inglese che l'aveva accusato di un furto di cavalli mai commesso. Visse in clandestinità, aiutato dalla popolazione locale, finché nel 1880, a 25 anni, venne arrestato e impiccato nella vecchia prigione di Melbourne. Ma la leggenda è ancora viva nell'immaginario collettivo australiano: Ned Kelly è diventato una sorta di eroe nazionale e simbolo dell'indipendenza del paese.


Un momento della cerimonia di risepoltura degli Antenati Wamba Wamba: la purificazione con l’eucaliptus

Questo può far capire i conflitti che già all'origine esistevano tra le comunità australiane bianche.

La sera stessa del nostro arrivo Jida ci cala nella realtà aborigena, atmosfera che ormai pervade interamente questa nostra ultima (e forse l'unica reale) parte del nostro viaggio.

Jida ci introduce nel suo Clan. Il rapporto con loro è istintivo, non formale. Ci si riconosce subito fratelli e si supplisce alla mancanza di una lingua madre comune con il linguaggio del corpo.

Ci abbracciamo, ci scambiamo saluti insegnandoci reciprocamente i saluti antichi delle nostre rispettive tradizioni di riferimento. Ci confrontiamo sulle nostre origini e vicissitudini e ci entusiasmiamo nel constatare quanto siano simili.

Jida nel presentarci alla sua gente è felice, commosso per il fatto di averci incontrati. "Abbiamo lo stesso sangue, lo stesso cuore" dice. Fa un effetto strano sentirlo raccontare ai suoi compagni la storia dei Nativi europei che ha appreso da noi.

Lo osserviamo sorridendo mentre racconta al suo Clan le vicissitudini dei Celti, l'esondazione del Mar Nero, le successive migrazioni nel Nord Europa, le persecuzioni religiose. I suoi lo ascoltano rapiti.

E poi Jida si esibisce in un mini-show per raccontare entusiasta le nostre performances musicali: mima la chitarra, il tamburo, il flauto, racconta del nostro magico incontro alla Melba Hall, e tutti noi lì presenti sentiamo una profonda empatia fatta di esperienze e emozioni comuni, come se fossimo nati e cresciuti insieme.

Il giorno dopo si celebra la cerimonia.

Veniamo condotti in un posto isolato. Non abbiamo la minima idea di dove ci troviamo né dove stiamo andando. Il nostro pulmino segue un pullman pieno di aborigeni e già questo ci dà un effetto irreale.


Le Elders della comunità Wamba Wamba hanno aperto la cerimonia

Il percorso nell'outback diventa sempre più accidentato, la strada è sterrata, attraversiamo paesaggi da fiaba sempre più onirici, seguendo un percorso che di certo non sapremmo più ritrovare.

Durante il tragitto verso la terra sacra dei Wamba Wamba, tutti noi siamo insolitamente silenziosi.

Quando arriviamo ci rendiamo conto che solo noi e pochi altri loro congiunti sono di pelle bianca. Ci accoglie in lontananza il suono del didgeridoo e scorgiamo Jida alla guida del rituale, ed altri membri del suo Clan vestiti di foglie con il corpo dipinto da colori bianchi e disegni tribali.

Non è agghindato come alla Melba Hall. E' completamente diverso. Non è rappresentazione, non è spettacolo, è un momento reale, senza tempo.

Gli aborigeni ci stanno aprendo le porte del loro Dreaming. Lo riconosciamo.

Veniamo sottoposti tutti a un rito di purificazione per accedere alla loro terra sacra. Siamo in cerchio, l'Elder ci spiega la cerimonia, dopodiché tutti attraversiamo un ponte accolti da Nativi dipinti di bianco e vestiti di foglie.

Guidano il corteo i loro Elders, quasi tutte donne molto anziane, con il manto tradizionale sulle spalle. Veniamo purificati e protetti con il fumo dell'eucaliptus bruciato.

L'Elder che guida la cerimonia, che poi conosceremo come Gary, ci invita a documentare tutto per dare visibilità all'evento. Si fida di noi, siamo i soli accreditati in tal senso, e ci spiega che hanno deciso di rendere pubblico l'evento (dopo che si è verificato) per far conoscere il loro problema.

I partecipanti sono per la quasi totalità Nativi di pelle nerissima. Persone semplici ma con lo sguardo fiero, che trasmette una grande determinazione.

Sapremo poi che queste persone sono inserite nella società dei bianchi e svolgono professioni di prestigio: professionisti, imprenditori, insegnanti e così via. Hanno scelto di non isolarsi per far sopravvivere le loro tradizioni, non avevano altra scelta.

Ma pur nella contaminazione con la società maggioritaria, la consapevolezza della loro "diversità" è spessa e tangibile. Hanno ben chiara la differenza tra la loro tradizioni e le grandi religioni che hanno tentato di assorbirli. E i discorsi pubblici che sono stati fatti durante la cerimonia non lasciano spazio a equivoci: esprimono la determinazione di un popolo che vuole riappropriarsi della sua tradizione.

Il recupero delle spoglie degli antenati è un'azione simbolica che fa parte di una strategia per il riconoscimento della loro tradizione e per la riconquista delle loro terre sacre.


Gary Murray, Elder della Comunità Wamba Wamba, con Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero

La cerimonia è organizzata da una federazione di Clan del Victoria che sta strenuamente lottando per il diritto a manifestare la propria cultura.

Nella prima parte di questo viaggio sentivo spesso dire che i Nativi erano dei fannulloni ubriaconi. O che i Nativi esistevano solo nei territori del nord. Mi chiedo chi fossero le persone che ho incontrato nel bush in quella radura. Di sicuro sono persone pragmatiche, non slegate dalle strutture della società maggioritaria, ma ben consapevoli della loro identità e per nulla rassegnate a lasciar morire le loro tradizioni.

La giornata celebrativa è proseguita con danze tribali, canti e suoni di didgeridoo, alternati a dichiarazioni da parte degli Elders, alla presenza di venti profondissime fosse scoperte che contenevano i resti degli antenati.

Prima della sepoltura siamo stati inviati a fare un omaggio ai defunti ed abbiamo gettato ognuno un ramoscello di eucaliptus.

E' difficile descrivere le sensazioni. Eravamo ormai dentro una dimensione parallela e ci sentivamo come a casa nostra, in famiglia. Avevo l'impressione che tutto il nostro viaggio non fosse stato altro che una preparazione a quell'incontro. La vera Australia, quella che "non esiste", si stava manifestando solo in quel momento. Mi tornavano in mente i sogni che avevo fatto mesi prima, e ora tutto cominciava ad avere un senso…

I fratelli che abbiamo trovato dall’altra parte del mondo ci hanno accolti senza riserve, lo coglievo ad esempio negli occhi della fiera signora scurissima che mi sedeva accanto e mi parlava dei loro problemi e delle loro battaglie come se ci conoscessimo da sempre.

Jida ha approfittato di un momento di pausa per presentarci Gary Murray, l'Elder che ha organizzato la cerimonia e che sta conducendo la battaglia per il recupero delle spoglie.

Con Gary c'è stata subito intesa e voglia reciproca di collaborare per gli stessi obiettivi.

La sera, mentre ci attardavamo incantati ad osservare la Croce del Sud nel buio dell'outback, sotto un incredibile cielo stellato, riflettevo che questi giorni passati all'interno del mondo dei Nativi hanno cambiato profondamente la percezione del nostro viaggio.


I musicisti del LabGraal nell’outback australiano

La vera Australia è questa, è quella che non si vede, è quella che sta sotto gli occhi di tutti ma che nessuno riesce a vedere perché non è in possesso della chiave giusta. L’Australia che non c'è. Tutto il resto è finzione, è posticcio.

Possono togliere tutto ai Nativi, ma non possono togliere loro il contatto con Madre Terra. Lei è dalla loro parte, e i Nativi lo sanno.

Stavamo tornando verso Melbourne dopo alcuni giorni passati in un posto che non c'è. Nel viaggio di ritorno avevamo la sensazione di aver sognato tutto.

Vivevamo ormai come in un sogno, dove non c'era più un distinto confine tra sogno e realtà. Perfino nella nostra visita rituale al supermercato notturno ci sembrava di scorgere visi di aborigeni che ci osservavano.

Eravamo consapevoli che tutto poteva accadere e nulla più ci stupiva, o forse è più esatto dire che tutto ci incantava allo stesso modo, perché ogni cosa faceva parte di una grande magia, anche i vistosi menhir che scorgevamo dappertutto. Li scorgevamo ovunque mentre viaggiavamo verso casa, e ci sorridevamo complici: faceva parte di questo sogno, di questa Australia che nessuno riesce a vedere.

Ci era stata donata la chiave per entrare nel Dreaming degli aborigeni, e noi senza esitazione ci eravamo tuffati dentro, certi di trovare solo conferme.


Il distacco

E' arrivato infine anche il momento della partenza. Il contatto con quella terra magica mi rimarrà dentro per molto tempo. I fratelli che avevamo scoperto di avere in Australia ci hanno insegnato ad apprezzare ancora di più quel contatto.

L'Australia appartiene a loro, loro appartengono ad essa.

Mi tornavano in mente le parole di Les Malezer, un esponente aborigeno conosciuto all’ONU: "abbiamo un legame con la terra, ma con una terra spirituale, e secondo la nostra definizione, noi siamo quelli che curano questa terra, che hanno cura per i nostri fratelli e sorelle, per le piante, per gli animali. Siamo nati dalla terra e quindi siamo i custodi di questa terra. Noi siamo il popolo nato dalla Terra." Come mi erano chiare ora queste parole!

Mentre scrivevo dall'aereo il mio blog, attraversando l'Australia, vedevo sotto di me dall'oblò l'incredibile terra di un colore rosso-viola acceso e mi scorrevano davanti agli occhi le immagini salienti di quel viaggio.

I concerti (qualche millennio prima), l'incontro con Jida e la registrazione del cd, le grandi pietre di Hanging Rock, il drago del Bunyip Park, i tanti megaliti, i viaggi nell'outback, i tramonti sul mare a St. Kilda Bay, le distese di terra sconfinate, i cigni neri di Albert Park, le sere ad osservare la Croce del Sud, i concerti improvvisati con il flauto di Giancarlo nella foresta.

Sembrava una vita intera.


Un incontro spiirtuale tra due culture native

Ma era soprattutto ai fratelli Nativi che andava il mio pensiero. Ci avevano fatto conoscere la vera Australia, l'Australia invisibile. Ci avevano aperto le porte della loro tradizione nascosta, dandoci una fiducia illimitata. Ci siamo sentiti un unico popolo.

Lottano incessantemente per il riconoscimento della loro tradizione, hanno ben chiara la distinzione tra Popoli naturali e società maggioritaria, tra la loro identità spirituale e quella delle grandi religioni. Non si sono mai arresi.

Jida, prima di lasciarci, ha scritto queste parole sul mio taccuino: "Il Dreaming è l'inizio del Tempo da cui proveniamo, in cui crediamo, in cui troviamo le nostre danze e le nostre canzoni scritte sulla Terra. Tutto questo lo scriviamo sui nostri corpi, rappresenta la nostra storia, sono le nostre armi. È per sempre. Continuiamo ad imparare ancora e ancora, dal contatto con il nostro Dreaming."

Siamo tutti figli della stessa Madre, e una volta ancora era proprio l'amore di Gaia, la Madre Terra, ad aiutarci a colmare le distanze fisiche.

È stato un viaggio su un altro pianeta, in un altro mondo, a contatto con degli alieni che abbiamo scoperto essere nostri fratelli. Alieni che nonostante le atrocità subite non hanno perso la loro determinazione e consapevolezza nel combattere una battaglia alla riconquista dei loro territori sacri e del diritto alle loro tradizioni. Una battaglia che è diventata anche la nostra.

Tornavo a casa con un miscuglio di emozioni: triste per chi avevo lasciato, agguerrita per le nuove battaglie che si aggiungevano.

Io e i miei compagni di viaggio ci sentivamo un po' dei reduci e un po' degli orfani.

Il Dreaming degli aborigeni ci era entrato dentro, la Terra ci aveva posseduti e si era lasciata possedere. La tradizione dei Nativi australiani si è fusa con quella dei Nativi europei in modo del tutto naturale, l'esperienza è la stessa. La Visione che abbiamo vissuto insieme con Jida ce lo confermava.

Questo viaggio ci aveva cambiati, non eravamo più gli stessi di quando eravamo partiti. O forse eravamo semplicemente un po' più consapevoli che la vita è solo un sogno.

Al ritorno a casa, per molte e molte notti ho sentito in lontananza il suono di un didgeridoo...