Viaggi

Nuova Caledonia, benvenuti a Pandora

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31 Luglio 2011

La Baia d’Oro Ouvea


Un viaggio dall’altra parte del mondo, nell’arcipelago dove le donne hanno sempre un fiore tra i capelli, dove un italiano ha concepito il capolavoro dell’architettura contemporanea, dove si ammira il più grande atollo del mondo e la natura conserva i pini della preistoria. Nei Mari del Sud, a venticinque ore di volo, per respirare emozioni senza confini.


Grandi alberi magici, una popolazione millenaria che vive in stretta simbiosi con la natura, riti antichissimi persistenti nella foresta, un confronto serrato con la modernità non sempre facile da armonizzare, centinaia di specie animali e vegetali rarissime o autoctone, una lontananza geografica dall’Europa (e un po’ da tutto…) che sembra trasportare verso un altro pianeta, una flora particolarissima che rimanda ad un mondo favoloso, dove passato e presente si incrociano come in nessuna altra località: la Nuova Caledonia è questo (oltre a tanto altro), ma proprio il suo scenario non può che rimandare alle atmosfere di Avatar, ai suoi messaggi, al fatato mondo di Pandora. In più – e non è certo poco – vanno aggiunte prospettive oceaniche con sabbie fini e candide come il borotalco, fondali e onde che impegnano una tavolozza infinita di blu e di azzurri, una biodiversità acquatica dalla ineguagliabile ricchezza. Così il confronto è davvero completo, visto che Avatar 2 avrà il mare come ambientazione primaria. Ma, senza nulla togliere al talento di Cameron, ogni parallelismo termina qui; perché il Caillou (nome affettuoso che significa ‘sasso’ ed è usato confidenzialmente da ogni abitante) non è finzione, parabola in 3D, epopea cinematografica, ma vera realtà umana ed ambientale. Questa è un arcipelago ‘prossimo al paradiso’ per la sua bellezza che ha stregato generazioni di viaggiatori, ma è anche una terra dalla storia difficile e complessa, ricca e benedetta per le sue risorse naturali, francese di passaporto ma tribale nei costumi di una componente etnica melanesiana che solo negli ultimi vent’anni ha trovato pieno riconoscimento e dignità.


I totem della baia di Saint-Maurice
Tutto iniziò oltre 3500 anni orsono, quando sulle sue coste approdarono i Lapita: audaci navigatori provenienti dalle Isole Bismarck dei quali sappiamo poco o nulla, se non che solcarono l’oceano su rudimentali piroghe per diventare i primi abitanti del ‘paradiso’ ed i progenitori degli odierni Kanak. Dopo di loro – tra l’XI e il XVIII secolo – l’arcipelago fu interessato da una nuova ondata migratoria proveniente dalla Polinesia. Buoni ultimi arrivarono gli europei. La Grande Terre venne ‘scoperta’ (termine ovviamente improprio) da James Cook, e fu lui a battezzarla Nuova Caledonia perché il territorio gli ricordava le Highlands scozzesi. I primi ad organizzarsi per un possesso stabile dell’arcipelago furono i francesi, che rivendicarono ufficialmente la colonia, era il 1854. Nei trent’anni a seguire la storia prese una piega curiosa, e le isole furono essenzialmente impiegate come penitenziario, luogo di detenzione per prigionieri politici, anarchici e ribelli. Il sito era ritenuto ideale, talmente lontano da impedire qualsiasi rientro dei detenuti una volta scontata la pena. Gli ‘indesiderati’ – dopo aver pagato il loro debito con l’Impero – divennero così coloni: la consistente base locale di una popolazione (che comprendeva anche i carcerieri) autonoma per tutto, ma non per le donne…Il governo di Parigi pose rimedio al problema inviando una nave carica di orfane, che approdò in quella che ancora oggi si chiama Baie de l’Orphelinat. Con il crescere della comunità aumentarono gli scontri coi nativi, costretti a riparare verso nord e all’interno delle foreste.

La lotta tra francesi e Kanak prese la forma di una guerriglia più volte accesa e mai completamente risolta dal punto di vista militare. Un conflitto ancora vivo alla fine degli anni Ottanta, con la recrudescenza negli scontri che portò agli ‘événements’ (letterariamente ‘accadimenti’, ma in realtà sinonimo di disordini, turbolenze), ai tragici fatti di Ouvea (con l’uccisione di 19 kanak da parte dei militari francesi) e all’assassinio (compiuto dagli indipendentisti radicali) di Jean-Marie Tjibaou e Yeiwene Yeiwene, i leader nazionalisti più illuminati e autorevoli. Gli accordi di Matignon (1988) e di Noumea (1998) hanno risolto buona parte dei contenziosi assicurando alla maggioranza Kanak una forte autonomia e il pieno rispetto della propria identità.


Grande Terre: La Roche Perchée

Oggi il governo della Nuova Caledonia è improntato ai principi del ‘destino comune’ e della ‘reciproca comprensione’ ed è previsto un referendum per la piena indipendenza che si terrà nei prossimi due anni. In realtà, attualmente, le componenti umane più influenti nell’arcipelago sono tre, perché ai nativi e ai discendenti dei primi coloni (chiamati caldoche) è andato ad aggiungersi un crescente numero di francesi metropolitani attratti dalle buone condizioni economiche generali, dalla dolcezza del clima e dalla straordinaria cornice naturalistica. I ‘metrò’ (più ironicamente ribattezzati ‘zoreille’ – orecchie – per la difficoltà nel comprendere idiomi e dialetti locali) sono concentrati nei ‘quartieri bene’ di Nomea e particolarmente attivi sul fronte dello sviluppo turistico locale. Se la storia umana dell’arcipelago si racconta come una saga, quella geologica non è meno sorprendente, ed è fondamentale per comprendere una bellezza quasi aliena, dove le suggestioni tropicali si confrontano con l’alba dei tempi. In queste isole vivono 2500 delle 3400 piante presenti sul pianeta.Un esempio eclatante sono le Araucariaceae (progenitrici di tutti gli alberi e sopratutto dei pini), su 19 specie conosciute ben 16 crescono in Nuova Caledonia. Sono alberi molto simili ai loro antenati del Giurassico, e vantano una carta d’identità dove la data di nascita è ferma a 195 milioni di anni fa. Le loro forme eleganti e verticali svettavano già nei frammenti alla deriva dell'antico supercontinente Gondwana, quando costituivano immense foreste. Le Araucariaceae, tra cui i celebri pini dell’isola omonima, hanno un aspetto arcaico ed evocano paesaggi scomparsi, ideali per ospitare animali mesozoici. Ma come è possibile tutto ciò? A tutti gli effetti la Nuova Caledonia è un’insieme di schegge che Gondwana lasciò andare alla deriva nell’oceano primordiale. In quelle condizioni questa antica terra era la sola emersa in un grande mare dove rimase in perfetto isolamento per milioni di anni, custode di una flora e di una fauna che non subì mai grandi mutamenti. Perciò il viaggiatore che oggi sceglie la Nuova Caledonia si trova di fronte ad un luogo dove la modernità confina direttamente con la preistoria. Il respiro del contrasto si avverte già a pochi chilometri da Nomea, nel paradiso naturalistico della punta sud; mentre l’anima del popolo Kanak è conservata nel più sorprendente e affascinante complesso di edifici dell’architettura contemporanea, il centro culturale Tijbaou di Renzo Piano.

Qui, chiusa tra acque e foreste, si alza verso il cielo una corona di eleganti strutture in legno che esaltano il concetto e le forme delle ‘case’ Kanak, le antiche abitazioni degli antenati. Un diadema arcaico e modernissimo, un ponte tra quattromila anni di storia, un’autorevolezza armonica, elegante e primordiale che trasmette il senso del bello a prima vista; così semplice da incantare un bambino, così colta e profonda da meritare rispetto prima ancora che stupore, così in armonia con le forze naturali da sfruttarne i tre elementi fondamentali: sole, calore e vento. Lasciata Nomea per il nord le cose cambiano: i villaggi diventano piccole oasi tra brughiere e campi, montagne e foreste, cascate e mangrovie, spiagge e rocce modellate dal vento e dalla geologia. Sulla strada spesso si incontrano le ‘botteghe del tutto’ che offrono bibite e articoli per la casa, birra e tessuti, shampoo ed attrezzi per il giardinaggio, cd e l’unico giornale del posto (Les Nouvelles Caledoniennes), alimentari e giocattoli…


Un Nativo mostra la moneta Kanak

La gente è poca, è semplice e pratico trovare tutto nel medesimo posto. Ai lati della strada le borgate ‘moderne’, più nel profondo, tra sentieri e saliscendi, gli appartati luoghi delle tribù. Due le meraviglie da non perdere risalendo verso nord: sulla costa occidentale le formazioni rocciose ‘Le Bonhomme’ e ‘La Roche Perchée’ che incorniciano, in uno scenario primordiale, la baia delle tartarughe con le Araucariaceae scosse dal vento; nella costa orientale Hienghène con i suoi rilievi a picco sul mare, dove ammirare aguzze ed imponenti isole di pietra disposte ad anfiteatro. Chi ama lo snorkelling potrà esplorare i fondali incontaminati dell’isola Hienga grazie alla maestria del team ‘Babou Cote Océan’ di Thierry Baboulene, ideatore di un percorso sottomarino dove abbiamo avuto l’emozione di nuotare con la grande tartaruga marina. Da Grand Terre la rotta di ogni viaggiatore porta verso le Isole della Lealtà, dove Ouvea è la perla impossibile de trascurare. Nei suoi 132 chilometri quadrati di superficie si trova un litorale di sabbia bianca lungo 25 chilometri e, proprio di fronte, si apre un atollo di 97.700 ettari, la più grande laguna del mondo, patrimonio mondiale dell’Unesco dal 2008; nei suoi fondali trovano l’ambiente ideale 500 delle 600 specie di coralli conosciute e 675 varietà di pesci, 48 dei quali esclusivamente neocaledoniani.

Mare incontaminato, sabbia di un candore abbagliante, palme piegate dal vento, ma anche il santuario dell’orgoglio Kanak, con la tomba dei 19 martiri del 1998 a due passi dalla spiaggia e dalle onde, ricolorata periodicamente dalla devozione popolare con scampoli di pareo e fiori tropicali. Se non avete troppo tempo e dovete scegliere un’altra isola dell’arcipelago il dubbio non si pone, l’Ile des Pins è il vostro approdo: 152 chilometri quadrati di pura meraviglia, dove ogni angolo di costa sembra rispondere al progetto di un sogno tropicale che miscela mistero e paesaggio, devozione e panorami di bellezza quasi irreale, giochi di acque e di suoni scanditi dal riff e dalle maree. Se il cammino che porta dalla Baia d’Oro ai riflessi turchini della piscina naturale si compie in un silenzio quasi mistico, perché l’unico suono che può accompagnare un tale incanto è solo il ruggire lontano delle onde contro la barriera, la fede – trasversale e parallela – che anima i nativi si tocca con mano nella baia di Saint-Maurice.


Il capo della tribù Wadrilà a Ouvea

In questo intimo angolo di costa un Gesù cattolico ci appare solennemente circondato dai totem melanesiani, quasi una Stonehenge del mare, un tempio multireligioso per propiziarsi la benevolenza dell’oceano quando si esce tra i flutti in cerca di buona pesca. «Ogni pietra porta un nome, ogni albero una storia, quella dei nostri padri», in questa frase si concentrano alcuni dei fondamenti di un popolo che ha saputo resistere e preservare, tramandare ed organizzarsi, affrontare la modernità senza rimanerne sottomesso. Christian Karembeu – atleta simbolo dello sport caledoniano, centrocampista di Samp e Real Madrid, campione del mondo con la Francia nel ’98 – ha recentemente dichiarato a Geo: «Noi Kanak siamo stati degli ecologisti prima del tempo. Per me toccare un albero, camminare nell’acqua, vivere a stretto contatto con la foresta ed il mare, sono sensazioni indispensabili. Noi sappiamo che l’uomo è più debole della natura, quindi serve un atteggiamento umile nei rapporti tra il mondo visibile e quello invisibile. Noi raccogliamo l’energia dalla terra e dagli elementi e viviamo in stretta simbiosi con gli spiriti e le anime. In occidente si è convinti di essere al centro del mondo, e quindi si parla di mondializzazione; noi, invece, come tutti i popoli naturali, viviamo alle estremità di questo concetto». A tutt’oggi il popolo Kanak, dove l’organizzazione sociale è basata sul culto della parentela, è composto da non meno di trecento clan che si esprimono in circa trenta lingue diverse. Molte volte nella stessa famiglia coesistono cinque generazioni: bisnonno, nonno, capofamiglia, figlio e nipoti. La donna segue sempre il marito per comporre il nuovo nucleo, e può anche essere ‘bianca’, ma non avviene mai il contrario. Le parentele – vecchie e nuove – vanno a comporre una complessa ed organizzata mappa degli individui, così – quando ci si presenta, o si fa visita – i Kanak sanno sempre chi hanno di fronte e da dove viene.

La più comune delle considerazioni, quando si raffronta il loro mondo col nostro, suona così: «Voi sapete sempre molto poco degli altri, di quelli con cui lavorate, di chi incontrate e anche dei vicini di casa…». Altro elemento fondamentale della cultura Kanak è il ‘coutume’: un concetto che va ben oltre il nostro termine ‘costume’. Coutume è un insieme di gesti che vogliono dire ‘comportamento’, ‘cerimoniale’, ‘omaggio’, ‘parola’, ‘gesto’: tutti atteggiamenti indispensabili per farsi accettare, per entrare in relazione, per chiedere ed ottenere. In una civiltà ‘orale’, che non si è mai tramandata con la scrittura, gestualità e linguaggio rappresentano la base delle relazioni sociali. Relazioni sociali che per secoli non hanno contemplato il denaro come elemento di scambio.


I totem e il Cristo della baia di Saint-Maurice

Nei mercati e nelle tribù contava solo il baratto e l’unica moneta – la moneta Kanak (una pergamena realizzata con filamenti di cocco e contenente piccoli e rari oggetti rituali) – serviva solo per stringere alleanze o matrimoni; aveva, ed ha tuttora, un valore puramente simbolico che dipende dal tempo necessario a realizzarla, almeno due giorni di lavoro… Nella cultura melanesiana la ‘morte è un rito di passaggio’, il paradiso non è in cielo ma sotto l’oceano, e ‘gli antenati camminano al nostro fianco per indicarci la strada’. Ogni gesto, ogni oggetto, ogni pianta ha un suo preciso significato all’insegna di un animismo ortodosso e fantasioso: non ci può essere un’abitazione moderna senza aver vicino una casa tradizionale (la ‘case’); le tombe, i luoghi interdetti ed i posti dove ci si reca a far visita sono ornati da un lembo di pareo multicolore; le donne hanno sempre un fiore tra i capelli; tutti salutano tutti per la strada; la terra non si può vendere ma solo donare; ci sono alberi femmina, il cocco, ed altri maschi, il pino; ci sono alberi magici, il Buynj, ed altri imponenti, come il Bagnan, dove viene sepolto il capo; gli antenati e gli dei sono membri a pieno titolo della società ed ogni manufatto ha un’anima, una vita propria e simbolica. Nel cuore dei mari del Sud un popolo ai confini del mondo preserva il dono di una terra primitiva e bellissima; sembra un sogno, forse un’utopia, ma quell’universo di riti e segreti piace al sole ed agli dei del mare che ci permettono – dopo 25 ore di volo – un rispettoso affacciarci sull’ultima Pandora, la Nuova Caledonia.


Foto Marco Carulli e Guido Barosio



Guido Barosio, giornalista, fotografo e scrittore, è direttore della rivista Torino Magazine e dell’Agenzia di Stampa nazionale LaPresse.