Viaggi

Lisboa Antigua, confine d’Europa

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03 Settembre 2012

La Torre di Belem

Tradizionale e aperta al mondo, dominata dall’Atlantico ma intimamente mediterranea, elegante e popolare, misteriosa e teatrale, la capitale portoghese è un luogo dell’anima che riflette la sua storia, costantemente contaminata da nuove avventure


Per comprendere il Portogallo e la sua capitale è indispensabile osservare l’Europa da una cartina geografica. Questa terra di navigatori, scrittori e musicisti – fiera del suo motto ‘Herois do mar’ – occupa l’estremità occidentale della mappa: una piccola striscia di terra protesa verso l’Atlantico. Un confine, un porto, un ideale punto di partenza dove salpare verso l’ignoto, verso un oceano per secoli immenso, terribile e inesplorato, richiamo e monito allo stesso tempo per un popolo che definire ‘continentale’ appare storicamente un eufemismo.

Quel mare ipnotico e imprescindibile ha sempre esercitato un richiamo che solo la modernità ha sopito, lasciando il suo segno più evidente nella ‘saudade’: ‘un male che fa bene, un bene che fa male’, per dirla come don Francisco Manuel de Melo.

Il termine – ovviamente intraducibile – evoca un misto di malinconia e nostalgia e può essere riferito (come suggerisce wikipedia) a qualcuno che non c'è più, a qualcuno o qualcosa che non si vede da tantissimo tempo, a qualcuno con cui non parliamo da molto tempo, a un luogo caro (la patria, il proprio paese, la propria casa), a qualcosa (amore, cibo, situazioni…) che hai nel momento che la senti ma che sai che in futuro perderai.

La saudade nasce quindi spontaneamente quando si viaggia verso luoghi sconosciuti, verso la ‘conquista’ di terre lontane e inesplorate, affrontando pericoli e il rischio, sempre presente nella mitologia portoghese, della morte o del mancato ritorno.


Il Palácio da Pena


Un po’ di storia

L’avventura ultramarina di questo piccolo Stato è qualcosa di epico e leggendario.

In Os Lusiades di Camoes si legge: ‘L’arme ed i gentiluomini famosi che dall’estrema riva lusitana per mari inesplorati e tenebrosi si spinsero fin oltre Taprobana guerre e rischi affrontando numerosi molto al di sopra d’ogni forza umana; e che eressero regni, nei remoti lidi, da loro resi illustri e noti… cessi l’elogio dell’eroe troiano e dell’astuto greco, per le storie del lungo navigare, o di Traiano e d’Alessandro l’inno alle vittorie; ch’io celebro d’un cuore lusitano sopra Marte e Nettun più eccelse glorie; tutto ciò che la musa antica vanta taccia, valor più vero qui si canta’.

Nel corso di un secolo e mezzo – tra il 1400 e il 1550 – i lusitani crearono il più grande impero d’Occidente, dislocato nei cinque continenti, facendo affluire a Lisbona immense ricchezze: oro dall’Africa e dall’America, tappeti dalla Persia, spezie dall’India (all’epoca un grammo di pepe costava molto di più che un grammo d’oro), sete dalla Cina, imponendo una lingua che oggi parlano oltre duecento milioni di persone, di cui solo undici in Portogallo…

Nei ricordi resta il nome del sovrano che dette il via all’impresa – Enrico II il Navigatore – e di almeno tre leggendari eroi della vela: Alfonso de Albuquerque, Pedro Alvares Cabral e Vasco de Gama. Ma resta ancora di più nella memoria quella imbarcazione – la Caravella – che nonostante fosse piccola e instabile (solo venti metri di lunghezza…) permise scoperte e conquiste senza eguali. Quando la storia mutò il suo corso, e le immense ricchezze svanirono, il Portogallo restò un piccolo paese di confine ma differente da tutti gli altri: fiero di miti e conquiste lontane, distante dai luoghi dove si compiva il destino europeo, splendido nei suoi monumenti eretti durante un passato glorioso e irripetibile, nostalgico per definizione, colto per tradizione ma sonnolento per necessità.

Lisbona ne riflette la magnificenza perduta, però nel tempo ha saputo crearsi un’anima contemporanea, creativa e brillante, cosmopolita e multietnica, perché era già cosmopolita e multietnica ben prima che questi termini fossero resi celebri dalla globalizzazione.


Lisbona oggi

Oggi la capitale si presenta al visitatore come una realtà multiforme, affascinante, in azzardato equilibrio tra passato e futuro, accogliente e meticcia, provata dalla crisi ma fondamentalmente serena, con quella capacità di affrontare i disagi e la recessione dettata da vicende dove la ricchezza – quella vera, solida – negli ultimi tre secoli è quasi sempre stata una chimera.

Come in tutte le grandi città di mare il gusto per le nuove tendenze fa proseliti accanto alle attività più tradizionali, qualche volta contaminandole. La fantasia di un popolo di grandi viaggiatori si legge nel dna, attraverso quella capacità concreta di fare, reinventare, costruire adattare, anche velocemente, ma senza le tensioni e le ossessioni di altre piazze.


Praça do Comércio

In più l’enorme patrimonio di archeologia industriale o navale – con migliaia di metri quadrati in ex stabilimenti, docks e magazzini – agevola un vivacissimo fenomeno di riconversione, in particolare lungo la riva del Tago.

Mentre nei quartieri del centro storico è facile trovare – fianco a fianco – botteghe e negozi anni ’60, scintillanti gallerie d’arte contemporanea, spazi dedicati al design, trattorie e caffè uguali a quelli raccontati da Pessoa, nuovi e vecchi musei, librerie antiquarie e spacci gestiti da immigrati di tutte le etnie. A Lisbona si trova di tutto e a qualsiasi ora. Si cena tardi, e anche tardissimo, a Barrio Alto i locali restano aperti fino all’alba e gli esploratori della notte vagano senza sosta, e senza fretta, da un approdo all’altro.

Chi è abituato ai prezzi delle grandi metropoli europee resterà felicemente conquistato dalle tariffe portoghesi, ben rappresentate dal semplice e classico ‘una birra, un euro’. A Lisbona, sia nei ristoranti più quotati che tra gli intonaci scrostati delle vecchie osterie, si spende mediamente un 40% in meno rispetto a Londra, Parigi o Milano. Questione di costo della vita, ma anche di cultura locale: nella capitale lusitana non si esce ‘per le occasioni’, la frequentazione degli esercizi pubblici viene vissuta come esigenza quotidiana, tra tavoli e tavolini – sovente all’aperto – si intrecciano amori e affari, si ascolta musica e si chiacchiera, ci si gode il vento e il sole, si commenta chi passa e passeggia, si parla di politica e di calcio, si ride e si canta, si scherza e qualche volta si litiga, tutto in un palcoscenico dove non esistono confini tra protagonisti e comparse.


Cabo da Roca

A Lisbona muoversi è un’arte, camminare una necessità, usare la macchina una follia, o perlomeno un azzardo. Ci sono luoghi dove la mappa cittadina chiarisce bene le distanze, i tempi per gli spostamenti, la geometria dei luoghi.

Sulle rive del Tago le cartine (in particolare quelle gratuite, inconsultabili e caotiche, acquistate la Michelin appena arrivati…), ma anche qualsiasi GPS, rischiano di essere poco più che una traccia. La ragione è presto detta e ha un nome: dislivello. Lisbona ha una parte centrale bassa, a livello dell’acqua nella scenografica e centralissima Praça do Comércio, e due rilievi laterali dove strade e stradine si inerpicano vertiginose e contorte. In auto si può andare quasi dappertutto, ma ci riescono solo i residenti, e neanche tutti, visto che la presenza dei veicoli è più scarsa rispetto ad altre grandi città.

Ma non si tratta di senso civico, quanto piuttosto di rassegnazione e oggettiva difficoltà. Ci sono lavori dappertutto – ed è una costante che si ripete da sempre – indicazioni vaghe o mancanti, sensi unici che procedono in una direzione per poi improvvisamente (e senza alcuna ragione apparente) invertirsi.


Le strade, in qualche frangente anche ampie e confortevoli, di colpo impongono deviazioni verso viuzze strettissime e vertiginose, dove occorre calcolare il centimetro per non urtare muri, tavolini e persone.

Dopo qualche giravolta si perde completamente l’orientamento e, nei casi più fortunati, ci si ritrova al punto di partenza. Piranesi non avrebbe saputo concepire niente di altrettanto complesso e fantasioso. Quindi lasciate l’auto parcheggiata e usate gli unici tre mezzi di locomozione praticabili: i piedi, il taxi (fortunatamente assai economico) e i tram, che qui sono un vero simbolo: vecchi, bellissimi, sferraglianti, qualche volta pieni all’inverosimile, palcoscenici ambulanti dove appendersi ai mancorrenti per immergersi nella schietta anima cittadina.

Tra le diverse linee resta imprescindibile la 28, che attraversa tutto il centro da Barrio Alto a Graca, un viaggio nel tempo e nello spazio da godersi fermata dopo fermata. Ma è a piedi che Lisbona si conosce e apprezza nel pieno della sua meraviglia. Arrampicarsi costa fatica, però si è ripagati da scorci sempre differenti, quinte in muratura che occultano e svelano la maestosità dell’estuario, gli antichi palazzi barocchi, le moderne ristrutturazioni, le piazze e i belvedere, i giardini segreti e le balconate, la gente e i suoi caffè. Si sale e si scende di continuo, accarezzati dalla luce, che può diventare struggente negli infuocati tramonti atlantici, o resi complici della notte, quando si accendono i lampioni e la città diventa magica, felina, misteriosa, languida e, se possibile, ancora più struggente.


I luoghi da non perdere

Ed ora, per i neolusitani vecchi e nuovi, un piccolo elenco di approdi volutamente disposti in ordine sparso. Arrampicatevi lungo le vie di Alfama e raggiungete il 7 di Costa do Castelo per godervi – secondo il vostro piacere – Chapitò in un momento diurno o notturno. Da oltre vent’anni questa grande casa del barrio ospita una scuola di circo aperta ai visitatori, con bar e ristorante spalancati sulla città vecchia e l’estuario del Tago: case bianche, acque che riflettono il sole, tetti rossi e bucato steso al vento, aperitivi musicali e spettacoli serali, atmosfera complice e decontratta, la Lisbona giovane che crea il nuovo attingendo linfa dal proprio passato. Salite col l’elevador da Glória che collega Restauradores a Barrio Alto: tecnologia liberty e ferro di neogotica eleganza per il più bell’ascensore del mondo.


Vista dall’elevador da Glória

All’arrivo la balconata propone uno scenario che vi farà sentire un gabbiano a volo radente sulla città: vertigine, luce e bellezza riempiono lo sguardo, l’ammirazione per ciò che si osserva lascerà ogni esteta stordito e perdutamente innamorato. All’uscita una breve passeggiata vi porterà al miradouro de Santa Caterina, altro scenario mozzafiato, quasi altrettanto emozionante e ancora più ‘marino’: i fasti aulici del centro lasciano lo spazio ai rioni popolari, ai docks e alle imponenti acque della foce, su tutto domina la statua del mostro Adamastor, personaggio mitico dei Lusiadi di Camoes. Un luogo che profuma di vento, viaggi e avventure leggendarie; il luogo del ‘tramonto perfetto’, compratevi una Sagres ghiacciata e mescolatevi a studenti, giocolieri e musicisti per condividere con loro il rito di una bellezza senza prezzo.

Risalendo il Tago verso la foce si raggiunge Belem (che in lusitano significa Betlemme), il luogo delle partenze verso l’ignoto e dei gloriosi ritorni in patria, la riva dove si salutavano i navigatori in rotta per l’Africa e le Indie (di qui salpò Vasco de Gama l’8 luglio 1497), ma anche il posto ideale per spiare (eccitati) i forzieri galleggianti che portavano in patria oro, spezie, sete, smeraldi… L’omaggio del potere alla gloria dei naviganti ha messo in scena le forme bellissime di monumenti immortali: il Mosteiro dos Jeronimos, la Torre di Belem e, più recentemente, il Monumento das Descobertas. Quest’ultimo, eretto nel 1960, è una immensa prua in cemento (alta 50 metri) che sembra sfidare le acque proponendo, in vertiginosa ascesa verso il cielo, l’ordinata folla dei conquistatori guidata da Enrico il Navigatore. Immenso, e forse un po’ kitsch, piace (ipnotico) per la sua imponenza simbolica e cattura per l’efficace architettura razionalista: un altare della patria per un popolo di marinai, guerrieri e commercianti.

Ma la vera signora di Avenida da India è la Torre di Belem: eretta nel 1515 ha visto passare flotte e uomini, sogni e ricchezze immense; ha visto piangere e sorridere dando corpo monumentale ad almeno un secolo di saudade. Nel 1517, di fronte a questo capolavoro assoluto di arte militare, venne organizzato un combattimento tra un elefante e un rinoceronte (donato dal sultano di Cambaia a re Dom Manuel I); l’incontro terminò ‘in parità’ causa fuga dell’elefante, così il rinoceronte venne donato a Papa Leone X per giungervi solo imbalsamato… Risalendo all’interno del quartiere, lasciati i fasti della costa, la Lisbona più originale e creativa si rivela negli spazi di LX Factory: area di recupero industriale unica nel suo genere, covo di studi professionali, ristoranti d’avanguardia, fabbriche di cioccolato, spazi design, trattorie operaie più vere che l’originale, habitat ideale per fotografi, stilisti, architetti, gallerie d’arte, ma – soprattutto – sede della più bella libreria al mondo. E chi vi scrive ne ha viste ed amate parecchie…


Obidos

Si chiama ‘Ler Devagar’ (www.lerdevagar.com, nel sito si trovano anche le istruzioni per raggiungerla), ed è collocata in un gigantesco hangar dove gli scaffali montano verso le capriate del tetto per decine di metri; al centro un laboratorio d’arte con spazio espositivo issato su pontili di metallo, in alto volteggia l’installazione di una bici alata, il simbolo dell’uomo che vola, sognando, tra le idee impresse nella carta. Aperta tutti i giorni dell’anno (festivi compresi), e fino a notte fonda, propone un catalogo smisurato di libri e riviste, nuovi o vintage, divisi per temi ed autori in una sorta di sterminata biblioteca di Babele. La custode del tempio (italiana) si chiama Liana, sarà lei a rivelarvi lo spirito di un luogo che ogni bibliofilo vorrebbe a due passi da casa propria.

Oceani di ieri e oceani di oggi, lasciamo Lisbona con una visita al Parco delle Nazioni, realizzato per l’Expo Universale del 1998. Poteva essere una cattedrale nel deserto, ma per fortuna non è così: in questi 300 ettari (disposi su 5 km di rive) è nata, e ancora sta nascendo, la Lisbona di domani.

Tra padiglioni, centri espositivi, centri commerciali (tra cui il recentissimo e gigantesco Vasco de Gama), fanno bella mostra di sé il bellissimo Oceanario (uno dei più suggestivi al mondo) e l’avveniristica teleferica. Ma, tutto intorno, l’edificazione di spazi abitativi e nuovi quartieri fanno pensare che qui sorgerà la nuova Lisbona (il compimento dei lavori è previsto per il 2020): oggi come anticamente ‘marina’, o meglio ‘ultramarina’, perché l’oceano non è un confine ma assedia e disegna i limiti delle terre emerse.


Le scogliere di Cascais


I dintorni

Un viaggio a Lisbona, anche breve, offre sorprendenti opportunità verso i dintorni che completano idealmente l’itinerario. In neanche un’ora di auto si raggiunge il borgo fortificato di Obidos: da visitare rigorosamente fuori stagione, si apprezza percorrendo la sua intatta cinta muraria che, ora come nel XIII secolo, protegge un centro abitato di case bianche e tetti rossi; lindo, armonioso, elegante e popolare allo stesso tempo, circondato dalla dolcezza di una natura che sembra dipinta da un maestro paesaggista.

Restando sulla costa, ma appena nell’entroterra, il capolavoro si chiama Sintra. Richard Strauss la definì «La cosa più bella che abbia mai visto. Ecco il vero giardino di Klingsor e là in alto si trova il castello del Santo Graal».

Siamo su un monte a pochi chilometri dal mare, circondato da foreste profonde e ricco – come forse nessun altro luogo d’Europa – di ville, palazzi e piccoli castelli a rivaleggiare tra loro in fantasiosa follia, fiabesca fantasia, bizzarro delirio tra sacro e profano. Le menti che hanno concorso a questo parco del divertimento per architetti senza freni o inibizioni, spaziano dai sovrani a quel mondo eccentrico e cosmopolita che frequentava la corte e la capitale tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: scrittori, eccentrici, poeti variamente assortiti tra i quali vanno annoverati Lord Byron, Andersen e Paul Morand. Molti capolavori si trovano nel ‘Circuito da Pena’, grande parco dominato dall’omonimo Palácio: costruito nel 1840 è degno dei castelli di Ludwig, con citazioni festose e fastose che spaziano dal moresco al neogotico, in più una tavolozza di colori dalla protervia disneyana. A pochi chilometri, sulla costa ventosa e selvaggia, nel punto più occidentale d’Europa – a Cabo da Roca – il continente termina precipitando da una falesia alta 140 metri, a picco sull’Atlantico. Tanto è stata irresistibilmente folle e fantasiosa la mano degli artisti di Sintra, tanto è pura, essenziale, ipnotica la natura incontaminata di questa scogliera; il luogo – come scrisse Camoes ‘dove finisce la terra e comincia il mare’. Dal contrasto tra questi due elementi il nostro viaggio trova il proprio significato più profondo: la conoscenza di una terra estrema, di un confine geografico e mentale disegnato dall’uomo e dal vento, l’incontro con un popolo che ha sempre guardato all’ignoto per carpirne le ricchezze ed esporle verso l’Oceano con l’orgoglio dei conquistatori.


Le mura di Obidos


Foto Guido Barosio e Marco Carulli



Guido Barosio, giornalista, fotografo e scrittore, è direttore della rivista Torino Magazine e dell’Agenzia di Stampa nazionale LaPresse.