Animalismo |
Un bel giorno incontri un piccolo riccio… |
12 Settembre 2017 | |||||||||||||
Intervista a Massimo Vacchetta, fondatore del Centro di Recupero Ricci “La Ninna” di Novello
Nel cuore delle bellissime colline cuneesi dell’Alta Langa, nei pressi di Novello, nasce una struttura che ha un po’ della favola. Per le sue origini, per il suo lavoro, per i piccoli esseri che sono suoi straordinari ospiti. Parliamo del Centro di Recupero per Ricci “La Ninna”, un luogo dove si respira amore e condivisione nei confronti di creature dall’apparenza tanto aliena quanto dolcissima. I ricci: creature che attraversano il mondo degli uomini tra infiniti pericoli, alla ricerca di luoghi per vivere che da sempre sono appartenuti alla loro specie e che la colonizzazione umana spesso devasta. Abbiamo incontrato il fondatore del Centro, Massimo Vacchetta, durante un evento organizzato in Asti presso l’Enoteca Dente nell’ambito del programma Happy Cafè Asti. Massimo Vacchetta, veterinario dell’Alta Langa, hai una storia bellissima da raccontare che parte dai bovini e arriva ai ricci. La puoi spiegare ai lettori di Shan Newspaper? Sono ventiquattro anni che esercito la libera professione sui bovini e quattro anni fa ho avuto un incontro straordinario con un cucciolo di riccio che è capitato in un momento particolare della mia esistenza, in cui mi trovavo un po’ smarrito. Questo incontro mi ha fatto capire alcune cose della mia vita e mi ha poi indirizzato verso la creazione di un ospedale per ricci. E’ stato un percorso di aiuto verso questo animale, iniziato fin dall’allattamento. Era una cuccioletta che pesava solo 25 grammi, come nel titolo del libro che poi abbiamo scritto. E’ stata un’esperienza bellissima, difficile ma commovente, mi ha toccato il cuore. Mi ha arricchito spiritualmente e mi ha fatto capire qual era la mia strada. Fu così che, dopo aver liberato la Ninna, ho pensato che avrei potuto rendermi utile aprendo questo ospedale e aiutando questi esserini: ai miei occhi sembravano dimenticati da tutti e trascurati ed avevano bisogno di me. Questo riempiva un bisogno mio, che mi portavo dietro fin da bambino, una mia esigenza di aiutare: io ho sempre amato gli animali e anche per questo sono diventato veterinario. E quindi ho iniziato a curare questi ricci.
La cosa che ho imparato da questa storia, quello che mi dà soddisfazione, è aiutare gli altri. Aiutare gli altri è diventato per me essenziale. Fare un qualcosa senza un secondo fine, fare un qualcosa per chi ha bisogno: nel caso dei ricci, come di altri animali selvatici, c’è una necessità grandissima, ci sono tanti animali feriti dall’uomo, tanti animali che muoiono così, senza ricevere un aiuto. Aprendo questo ospedale io compenso, lenisco in piccola parte il dolore che provo nel vedere la natura martoriata e distrutta, nel vedere gli animali che soffrono. Naturalmente non è stato e non è facile portare avanti un ospedale del genere perché noi siamo un piccolo gruppo di volontari e il lavoro è sempre andato in crescendo, essendo noi l’unico centro in Italia del tutto specializzato per i ricci, anche se ci sono tanti centri - e questo mi sembra giusto ricordarlo - che si occupano di fauna selvatica e possono curare anche i ricci.
La nostra strada è quella di portare avanti e sviluppare un centro che non solo si occupi dei ricci in maniera specialistica, ma segua anche un discorso di ricerca scientifica sul comportamento dei ricci, anche per capire come mai questa specie, come tante altre, è in declino. Altra cosa che facciamo è portare avanti il discorso della sensibilizzazione: per questo, in seguito a una serie di coincidenze straordinarie, c’è stato un incontro con la scrittrice Antonella Tomaselli, con la quale abbiamo accarezzato l’idea di un libro. Dopo solo un mese un’altra incredibile coincidenza: è arrivata l’offerta della Sperling & Kupfer, avevano letto un articolo sul Centro Ricci che era uscito su La Stampa e gli era piaciuta la mia storia, una storia un po’ particolare … non capita tutti i giorni di trovare un veterinario che impazzisce per una riccia … e alla fine abbiamo concordato di scriverne un libro. Il libro di cui stai parlando è un successo editoriale e si propone anche come opera di sensibilizzazione sull’impegno nei confronti degli animali. Ce ne vuoi parlare? Si intitola “25 grammi di felicità” e l’ho realizzato con Antonella Tomaselli. E’ lei la vera scrittrice e devo dire che l’ha scritto benissimo, in maniera molto semplice ma molto aderente ai miei sentimenti. Lei aveva scritto un articolo sulla mia storia per la rivista Confidenze tra amiche: quando l’ho letto mi sono commosso, l’aveva scritto in maniera molto delicata, aveva saputo percepire e tradurre i miei sentimenti. Da lì ci siamo tenuti in contatto e siamo arrivati al libro: è scritto in maniera molto semplice, molto scorrevole, ma nello stesso tempo è scritto da cuore a cuore. Ho voluto che raccontasse me stesso in maniera sincera e onesta, per quello che era la mia vita in quel momento. E questo fatto sembra aver toccato il cuore dei lettori: molti si sono immedesimati ed è stato molto positivo perché mi ha permesso di trasmettere la compassione, che è il sentimento che anima e che spinge la mia causa. E mi ha permesso di coinvolgere altri, cosa che è lo scopo vero del libro. Molti pensano “Ah, è un libro che sta avendo successo e allora rende economicamente”. No, per me è uno strumento per portare un messaggio: coinvolgere più persone possibile nell’azione di aiutare la natura, aiutare gli esseri indifesi, gli esseri che non hanno voce, dare voce agli indifesi, dare voce a chi non ce l’ha. E questo è la mia forza. Io sono al loro fianco, come scrive Antonella nella prefazione, io correrò finché un riccetto avrà bisogno di me, finché sarò qui.
Hai parlato di “compassione”: un sentimento che porta a entrare in sintonia con gli altri esseri viventi perché non ci si sente diversi, quindi al di là delle specie. E’ questo il tuo intendimento? Sì, io sono fermamente convinto che la sofferenza non sia solo una prerogativa dell’uomo, quindi penso che, come soffre un umano, soffre un cane, un riccio… E penso che tutte le creature abbiano il diritto di essere aiutate, di essere soccorse e sollevate dal dolore. Per cui un altro degli scopi del libro è di aprire un varco in una mentalità ancora arretrata: un varco in cui, piano piano o veloce veloce, si possa riuscire a far capire alle persone che quando c’è un essere in difficoltà, qualunque creatura sia, deve essere aiutata. Hai parlato anche di Natura: ci è sembrato di capire che sia importante per te il rapporto armonico che può avere l’uomo con la Natura intesa nel senso di tutto ciò che ci circonda. Vuoi dirci qualcosa in proposito? Sì. È assolutamente importante. Per me è un modo di fare qualcosa di concreto. Mi sono sempre chiesto che cosa avrei potuto fare per dare una mano alla Natura, che ho sempre amato e per la quale non ho mai fatto un granché. Aprire questo piccolo ospedale per ricci mi dà la possibilità di compensare in piccolo il disastro che l’uomo sta facendo e nello stesso tempo di parlare dal mio cuore agli altri cuori e portare questo messaggio. Nell’ultimo capitolo del libro è proprio detto in modo chiaro che aiutare i ricci per me è cercare di compensare un po’ al danno, al male che l’uomo fa alla Natura.
Tu dici “ho aperto un piccolo ospedale per i ricci”… ma non è poi tanto piccolo, visto che hai 60-70 ricci con te di cui ti occupi costantemente. Che lavoro comporta tutto questo? Il nostro Centro è stato aperto tre anni fa, con l’aiuto di Remigio Luciano, il fantastico fondatore del Centro Recupero Animali Selvatici di Bernezzo. Da allora di ricci ne sono arrivati già in gran numero: tutti gli anni praticamente raddoppiamo le accoglienze, quest’anno supereremo le cento unità. Siamo già a 50 ricci curati dall’inizio dell’anno e la stagione più difficile deve ancora iniziare. L’aumento dei ricci va di pari passo col fatto che ci siamo fatti conoscere, c’è stata pubblicità. Nell’ospedale ci sono anche ricci invalidi che vengono tenuti con noi: ritengo che l’eutanasia sia da usare solo in casi estremi, cerchiamo di aiutare tutti fino alla fine a stare bene il più possibile. Con l’obiettivo di curarli per poi rimetterli in libertà, non certo per tenerli in cattività. Possiamo tenerli anche per il letargo, in condizioni giuste di spazi e di temperature, purché rigorosamente separati gli uni dagli altri, perché se no si tengono svegli. Il nostro scopo è poter soccorrere il maggior numero di ricci ma anche di far conoscere, di spiegare alla gente quali sono i motivi che possono danneggiare queste creature perché il primo passo verso l’aiuto è quello della conoscenza. Da noi arrivano tanti ricci investiti dalle auto, questa è una delle prime cause di mortalità dei ricci. Un’altra causa notevole è la manutenzione dei giardini: l’uso dei decespugliatori, bruciare le sterpaglie o i cumuli di foglie, fare falò in genere, usare pesticidi ed erbicidi che stanno distruggendo la popolazione di insetti alla base della catena alimentare del riccio. Altro grosso problema causato dall’uomo: la creazione di barriere architettoniche. Immaginate tutte le strade, tutte le recinzioni che impediscono a questi animali di muoversi, di incrociarsi, di incontrarsi. Sono barriere, sono isolamenti biologici che diventano nocivi. In Inghilterra esiste un programma pubblico, si chiama “The edge street”: è una prassi in base alla quale, in case contigue, viene lasciato un passaggio da un giardino all'altro in modo che i ricci possano spostarsi senza pericoli.
Soccorrere i ricci con tutte le loro problematiche ci dà anche l’opportunità di spiegare alla gente le cose che devono fare per non danneggiare questi animali e anche cosa devono fare per aiutarli. Vuoi dare qualche consiglio pratico per poter essere d’aiuto a chi dovesse incontrare un riccio? Certo. Al di là di tutti questi danni che l’uomo fa ai ricci, meno male che c’è la parte in positivo, cioè la possibilità concreta di dare loro aiuto. Per esempio: essendo il riccio un animale notturno, quando lo troviamo di giorno in campo aperto, fermo, barcollante, dall’aspetto debole… ecco, in questo caso conviene sempre soccorrerlo perché quello è un riccio che ha qualche problema. Bisogna farlo anche in fretta perché poi spesso vengono attaccati da altri animali o dalle mosche e questo può aggravare la situazione. Un’altra cosa che bisogna fare è soccorrerli sulle strade: se non è evidentemente schiacciato, morto, il riccio può essere ferito o semplicemente spaventato. In questi casi conviene fermarci, accertarci: spesso il riccio reattivo, che sta bene, forma una bella palla rotonda mentre invece se è indebolito si apre. Valutando in tal modo la sua debolezza e rilevando eventuali ferite o presenza di sangue, possiamo decidere di recuperarlo: in questo caso va bene metterlo in un asciugamano, in una scatola di cartone - se si può con una bottiglia di acqua calda - e portarlo immediatamente a un centro di recupero per animali selvatici. Oppure, se si ritiene che stia bene, spostarlo semplicemente di poche decine di metri in un prato vicino, in modo da dargli la possibilità di riprendere il suo percorso. Può trattarsi di una mamma con i cuccioli, quindi non conviene spostarli di tanto e non conviene prenderli se non è necessario, perché portar via la mamma ai cuccioli per più di un giorno vuol dire determinare la morte dei piccoli. Ci sono anche altre forme di aiuto per i ricci, per esempio lasciare l’habitat intorno alle nostre case un po’ più naturale: è utile anche per noi lasciare alberi, cespugli, i prati con l’erba un pochino più alta con la fioritura, permettere a tutto un ecosistema di sopravvivere: fa bene a loro, fa bene a noi. Tra l’altro il riccio è un animale molto utile, libera dagli insetti nocivi ed è anche un indicatore biologico della salubrità di un ambiente. Dove ci sono i ricci vuol dire che, fra virgolette, c’è una natura ancora abbastanza incontaminata.
Un altro aiuto ancora è quello di lasciare dell’acqua e del cibo, vanno benissimo le crocchette per gattini. Questo dà modo ai ricci di recuperare, di superare eventuali momenti difficili grazie a cibo che forniamo noi. Vuoi lasciare ai nostri lettori dei riferimenti sul tuo Centro per eventuali consegne di ricci in difficoltà e contatti di ogni genere? Se volete trovarci, abbiamo la pagina Facebook “Centro Recupero Ricci La Ninna”: qui troverete i contatti telefonici, tutte le informazioni pratiche e quelle sui ricci, molte storie e anche il modo con cui aiutarci. Siamo una ONLUS e anche se i ricci sono patrimonio dello Stato e quindi lo Stato dovrebbe darci una mano, in realtà riceviamo molto poco e sopravviviamo grazie alle donazioni dei privati e all’aiuto dei volontari perché abbiamo bisogno sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista del lavoro volontario. Per supportarci, abbiamo iniziative carine: una che ha avuto molto successo è quella di adottare un riccio a distanza. La persona può scegliere tra i ricci che abbiamo al Centro e adottarne uno, si paga un tot al mese per quanti mesi si vuole e noi mandiamo via e-mail una documentazione, la carta di identità del riccio con la foto, le sue caratteristiche, il suo certificato, la sua storia e continui aggiornamenti. Chi li ha adottati può venire a trovarli, previo appuntamento telefonico. La Ninna: è il nome della tua prima famosa riccetta, vero? Sì, l’abbiamo chiamata Ninna proprio perché lei seguiva un ritmo un po’ come quello dei bambini: mangiava e dormiva come dopo una ninna nanna, questo ci ha dato lo spunto per chiamarla così, era una forma di tenerezza che lei ci trasmetteva. |