Animalismo

Intelligenza e animali

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16 Dicembre 2020
Intelligenza e animali

L’intelligenza: un principio in base al quale gli esseri umani hanno gerarchizzato il vivente


Un argomento molto discusso è se sia possibile parlare di intelligenza negli animali, sulla base soprattutto della possibile interpretazione antropocentrica.

Il tema è importante poiché l’intelligenza è sempre stato un principio in base al quale gli esseri umani hanno gerarchizzato il vivente, a partire dai vegetali fino alle persone stesse poiché quando si è voluto ghettizzare altri popoli o altre etnie il negare la loro intelligenza è stato un metro facilmente utilizzabile.

Tra tutte le similitudini che si possono ipotizzare per cercare di descrivere come si possano interpretare le differenze di intelligenza tra le specie diverse, quella del computer non sembra del tutto sbagliata.

Il piccolo pc portatile è un computer esattamente come quello della Nasa e di qualche ministero cinese, e così l’intelligenza di un pesce è intelligenza come quella di Einstein; però dobbiamo sapere che il mio pc portatile non può fare quello che fa il supercomputer, così l’intelligenza di un pesce non può fare quello che il mio cervello mi permette.

Però, ugualmente, entrambi lavorano con le stesse modalità: raccolgono quello che gli organi sensibili del corpo trasmettono e li elaborano per quello che al corpo serve.

Nel discutere sull’intelligenza degli animali credo che si debba lavorare se si accetta o no questa linea di fondo, poiché ognuno è libero di avere propri pensieri e proprie linee guida.

Come afferma qualcuno, al pesce non interessa scrivere e alle persone non interessa essere pesce, per cui l’interscambio delle facoltà non è possibile.

Provocatoriamente però viene da porsi una domanda: quanti sono tra gli esseri umani coloro che “non rispettano” la specificità e attribuiscono agli animali facoltà di altre specie? Se si fa opera generale di assimilazione e di identità ci si dovrebbe chiedere per eccesso che gli umani sarebbero meno intelligenti del cane che con l’olfatto percepisce molti più elementi del suo coinquilino umano.

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L’intelligenza è anche alla base di quello che viene riconosciuto come il percorso del dolore.

Molte discussioni si sono generate dall’origine dei tempi storici sul fatto che gli animali percepiscano o no il dolore. Come noto, Descartes aveva dato una sua formulazione tecnica con il “cogito ergo sum” distinguendo gli uomini e le donne, coscienti, dagli animali, oggetti quasi inanimati poiché “incoscienti”.

Legando il pensiero alla identità dell’essere.

Il principio dell’essere, del “bios” è stato un pensiero importante di cui si vedono le evoluzioni fino al giorno d’oggi nella biofilosofia.

La centralità della coscienza nel recepire il dolore è tuttora un fattore su cui molto si discute poiché da parte di molti sostenitori dell’incapacità dolorosa degli animali vi è proprio il non riconoscimento della loro coscienza; i comportamentisti sostengono così che la reazione al dolore degli altri animali diversi dall’uomo è una risposta locale, come il riflesso rotuleo, e non un percorso che origina a livello periferico e suscita la reazione da parte del cervello.

Per contrastare i comportamentisti sono stati necessari esprimenti che purtroppo hanno coinvolto gli animali, a fine di bene vien da dire; esperimenti che provocando un minimo di dolore hanno permesso di dimostrare che pesci e uccelli, ad esempio, dato per scontato che i mammiferi non possono essere separati dagli umani per questioni di continuità, reagiscono ai danni inferti con la triade del dolore.

Al danno reagiscono in modo diverso coloro che sono colpiti e quelli esenti; il secondo atto è di non percepire il dolore se sottoposti ad analgesia e in terzo luogo sono in grado di ricordare la situazione che ha provocato il dolore. I Paguri Bernardo esaminano molto attentamente il guscio in cui cercano casa dopo che in precedenza avevano ricevuto una piccolissima scossa all’interno di un altro. Ci sono però molti esperimenti di questo tipo su specie diverse della classe dei pesci.

L’accenno ai mammiferi permette di sottolineare elementi collegati alla visione evoluzionista darwiniana e ugualmente di sottolineare che è pur sempre il pensiero umano quello che interpreta e cataloga i riscontri scientifici.

L’evoluzionismo ha inevitabilmente portato con sé il principio “del computer”: se l’evoluzione è stata una linea di sviluppo del vivente, è inevitabile che le funzioni di base siano condivise tra tutti gli animali, dall’uomo ai vermi.

Però vi può essere chi sostenga che non è del tutto vero che la natura non fa salti poiché ve ne è stato uno assai significativo che ha separato le linee evoluzionistiche dalle scimmie antropomorfe all’uomo.

Un altro elemento su cui ragionare, relativamente all’intelligenza, può essere che un dato da valutare è che come intelligenza si possa considerare la capacità di effettuare collegamenti a livello cerebrale.

Intelligenza e animali

Il discorso sul dolore può chiarire il concetto, poiché è solo con il riconoscimento di un’azione intelligente che si giustifica la comprensione del dolore da parte degli esseri viventi animati.

L’esempio può portare ad un altro tipo di riflessione, ovvero che se l’intelligenza è il collegamento e se il collegamento avviene tra elementi che il corpo fisico è in grado di recepire e comunicare al cervello, si deve accettare o ragionare su quali elementi le diverse specie animali sono in grado fisicamente di recepire e quindi di collegare o comunicare.

Questo potrebbe significare che per gli esseri umani il passo più difficile è concepire quello che “pensano” gli animali, perché l’argomento più problematico è evitare qualsiasi interpretazione umana dell’animale diverso da me.

Nel “Lamento inascoltato” di Bernard Rollin compaiono due esempi significativi che permettono di ragionare sull’intelligenza degli animali.

Un esempio è relativo alla vespa solitaria che dal buco scavato come tana si allontana anche fino a un centinaio di piedi per trovare un bruco e riportarlo nella tana per la futura prole. Nel ritorno non solo ricorda il percorso in base ai dati che ha raccolto ma è in grado di superare nuovi ostacoli, se è possibile, scegliendo la via più breve.

In un altro episodio narra di un elefante che era stato curato per una patologia oculare con un farmaco altamente irritante che aveva fatto gridare di dolore l’elefante immobilizzato. Quando, constatato l’esito favorevole dell’intervento, si era deciso di curare l’altro occhio, l’elefante, condotto nel luogo dove era stato sottoposto alla terapia, si era coricato spontaneamente.

I due esempi possono dar luogo a interpretazioni diverse.

Un dato comune in entrambi è la capacità di animali tanto diversi tra di loro di fare collegamenti da quanto vissuto: la vespa ricorda il percorso così come l’elefante identifica un luogo conosciuto.

Il caso dell’elefante però esemplifica la possibilità di una duplice interpretazione: l’animale si sarà coricato perché aveva collegato il dolore alla guarigione o perché era abituato, essendo un soggetto addestrato in Asia al lavoro, a ripetere quanto gli veniva richiesto?

Sulle diverse risposte al quesito si basa la difficoltà di interpretazione non antropocentrica dell’intelligenza degli animali.

Una possibile risposta è che essa non sia possibile; non abbiamo gli strumenti idonei per stabilire quale sia stata la scelta dell’animale, ma ciò non toglie che egli abbia effettuato il collegamento e che quindi il suo comportamento dimostri l’intelligenza, anche senza la specificazione della comprensione del percorso dolore/guarigione.

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La ragione dell’impossibilità del giudizio per noi umani è la difficoltà di comprendere il motivo della scelta dell’animale e quindi della facilità per cui si possa effettuare una lettura a favore di una ipotesi o di un’altra.

Così facendo si possono però dare risposte di tipo diverso che, in estrema sintesi, vanno dall’essere favorevoli o negative per l’animale.

Un esempio di come la lettura possa essere ambigua è avvenuto nel processo Green Hill: un etologo aveva sostenuto che le scimmie offrono spontaneamente il braccio all’esaminatore e la sua lettura era che non soffrivano nel corso degli esperimenti. Per motivi di tipo procedurale la sua testimonianza non è stata presa in considerazione (aveva detto di ignorare l’articolo su cui si basava il procedimento) però dimostra come la lettura antropocentrica può prestarsi a interpretazioni che sono una “esaltazione” del pensiero umano e che, basandosi anche sulla sensibilità personale, possono favorire affermazioni che non trovano argomenti oggettivi a sostegno, per cui ogni parere potrebbe avere validità uguale pur proponendo interpretazioni diametralmente opposte.


Enrico Moriconi, medico veterinario, è Garante per i Diritti degli Animali della Regione Piemonte e collaboratore di Shan Newspaper