Arte

L’Arte, un linguaggio universale

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28 Novembre 2012

Angela Betta Casale - Aspettando godot

Una pulsione umana troppo spesso strumentalizzata


Che cos’è l’arte?

L'arte, in ogni sua manifestazione, è la più alta espressione umana di creatività e di fantasia, ed è l'unico momento che permette all'uomo di esteriorizzare la propria interiorità.

Il significato della parola «arte» non è definibile in maniera univoca ed assoluta. La sua definizione è variata nel passaggio da un periodo storico a un altro, e da una cultura a un’altra.

Per recuperare il significato che tradizionalmente attribuiamo alla parola «arte», dobbiamo effettuare una considerazione. Tra le attività umane ve ne sono alcune con finalità spiccatamente utilitaristiche (le attività industriali in genere), altre con finalità spiccatamente espressive (letteratura, teatro, cinema, pittura, danza, ecc.) che operano sui mezzi di comunicazione, ovvero sui linguaggi che permettono la comunicazione tra gli esseri umani.

Alcuni linguaggi utilizzano le parole generando letteratura e poesia, i suoni divengono musica, suoni e gestualità generano danza e così via. I linguaggi che utilizzano le forme e le immagini generano quelle arti che noi definiamo «visive».

In realtà quando si usa la parola «arte», nella maggioranza dei casi si intende quella «visiva», tuttavia questa è una semplificazione che può generare qualche errore, facendo ritenere che è artistica tutta l’attività che produce quadri o sculture, ma ciò non è assolutamente vero.

Un quadro non è per forza un’opera d’arte: lo è solo un quadro fatto bene.

La pulsione umana a rappresentare la realtà è antichissima e ne troviamo testimonianza nelle grotte preistoriche. Poi l’arte è divenuta un linguaggio per comunicare con gli altri, ma inizialmente essa servì a conoscere la realtà attraverso la rappresentazione. In pratica l’Artista compie due processi fondamentali: percepisce la realtà e la interpreta facendosene un’idea. A questo punto nasce la rappresentazione.

Definiamo una rappresentazione naturalistica quando essa è uguale alla percezione. Viceversa una rappresentazione è antinaturalistica quando è diversa dalla percezione. Facciamo un esempio. Un ritratto eseguito da Raffaello è un’immagine naturalistica; la scomposizione cubista di un volto come realizzata da Picasso è una rappresentazione antinaturalistica.

L’arte ha un ruolo di primo piano nella cura della salute, il filosofo Maritain affermava “È il potere di guarigione e l’agente di spiritualizzazione più naturale di cui abbia bisogno la comunità umana”.

Le arti vengono considerate generalmente realtà troppo nobili e alte per entrare e plasmare la vita di persone comuni, ma nella realtà spesso accade il contrario. L’arte può aiutare l’uomo a fermarsi per osservare, riflettere e contemplare, per arrestare quindi il fluire e refluire delle azioni e delle passioni, per immobilizzare la vita spirituale e guardarla.

In questa condizione è possibile capirsi più profondamente e giungere a una piena consapevolezza di sé, fermarsi per cogliere il significato della realtà, per fare scelte consapevoli e progettare la propria vita.


Johannes Jan Vermeer - La lattaia

Ma al contempo la stessa opera d’arte è il riflesso di modi pensare, vivere, sentire dell’artista che continuamente corregge, sostituisce, rifà. In sintesi, si può dire che l’arte fa l’uomo più uomo.


Il codice di comunicazione

Esiste un linguaggio universale dell'arte, che tutti gli uomini conoscono, che prende forma e visibilità attraverso la ricerca artistica e quella spirituale. Questa lingua lega passato, presente e futuro, per mezzo di un sentimento insito in tutti gli uomini di tutti i tempi di ogni luogo.

Da Oriente a Occidente, la ricerca spirituale fa parte del percorso teologico quanto di quello artistico in tutti i popoli. Per esempio nella simbologia di culture distanti migliaia di chilometri ritroviamo le stesse forme, gli stessi simboli, gli stessi significati e quindi gli stessi archetipi. Nel cattolicesimo cristiano le rappresentazioni delle gesta delle mani del Cristo, dei Santi e degli Apostoli, sono pressoché identiche a quelle dei mudra delle Divinità dell'Induismo indiano, il simbolo della svastica si trova nelle decorazioni dei meandri dei templi greci, nei mosaici pavimentali romani, nella ruota della vita e delle stagioni tibetana e nella simbologia norrena e cattolica.

A questo proposito nel 1989 a Parigi fu organizzata una mostra intitolata Les Magiciens De La Terre, alla quale furono invitati artisti da tutto il mondo: America Latina, Caraibi, USA, Europa, Africa, Australia, Cina, Nepal, Corea... Alla mostra non è stato dato un tema, e gli artisti potevano creare opere libere, che parlassero di qualunque cosa. Il tema è venuto da solo: terra, origini, nascita, morte, vita, radici, universo. L'esistenza dell'uomo come punto di ricerca. Per questo, quasi tutti gli artisti partecipanti hanno utilizzato figure uguali, che riportano al cerchio, simbolo del ciclo di vita, infinito, cosmo. L'arte è ricerca esistenziale, si riferisce all'essere in generale, alle sue strutture immutabili, oggettive e reali, proprio come quella spirituale e quella scientifica.

Sono ricerche che hanno lo stesso punto di arrivo, ma sperimentano su livelli diversi. La ricerca scientifica si avvale degli elementi tangibili, della matematica, della fisica, di ciò che è realmente materiale e comprensibile logicamente. Quella spirituale è l'esatto contrario, ricerca sul livello immateriale, quello metafisico, che trascende la fisicità. Gli orientali, gli aborigeni e gli africani sono portatori di un pensiero che vede l'arte come un canale di dialogo con la Divinità, la Madre Terra, la natura tutta. In Occidente l'arte ha passato e oramai sfondato la visione di arte religiosa o sacra, diventando una questione individuale di indagine di se stessi e del mondo, che si forma nell'espressione dell'interiorità dell'artista, libera da qualsiasi vincolo, obbligo e dovere, che viene messa in mostra.

Si è trovato un sentimento comune tra tutti gli artisti, quello del moto della creazione, che parte dal centro dell'artista e punta diretto all'emozione del fruitore, al cuore. La somiglianza e il riutilizzo delle stesse forme molto probabilmente sono dati dall'universalità del linguaggio artistico interiore, comune a tutti. Ogni artista procede in una ricerca interiore, in un certo senso, un cammino spirituale, consapevolmente o inconsapevolmente. In ogni forma d'arte di ogni luogo, gli artisti seguono lo stesso percorso, in modi diversi per differenza culturale e temporale, ma verso lo stesso fine.

L'arte si esprime con ogni forma, che cambia nel corso del tempo seguendo l'evoluzione dell'uomo e delle sue percezioni. Un tempo l'ascolto dell'interiorità e il tentativo di dialogo con il Divino facevano parte del vivere quotidiano e l'arte ne era una grande espressione, un rito, un mezzo. Il mecenatismo ha comunque fin dai tempi antichi piegato l’arte occidentale a una vocazione “commerciale” ed era uso manifestarsi in forma di sostegno economico e materiale, da parte di sovrani, signori, aristocratici e possidenti, nei confronti di artisti visti comunque come comunicatori i quali, a fronte della relativa libertà di produrre le proprie opere, davano così prestigio alle loro corti. Il mecenatismo contemporaneo diverge per un aspetto fondamentale: oggi, nell’era dell’economia finanziaria, le opere d’arte sono un investimento, e il loro valore è determinato da un mercato internazionale, quindi molti artisti si piegano a un discorso puramente commerciale e razionale. La comprensione di alcune forme, meccanismi e opere, sarebbe più semplice se ci ponessimo più frequentemente all'ascolto del silenzio, in una pausa, osservare dentro, al raccoglimento.

Il linguaggio universale dell'arte parla con il cuore e si rivolge al cuore. Quando un'opera 'funziona', cioè emoziona, essa punta direttamente al cuore e si stampa nella memoria del fruitore. Il principio di creazione di tutte le opere è lo stesso, per questo una scultura antica emoziona tanto e allo stesso modo di una contemporanea. Ciò che spinge gli artisti a creare è la ricerca infinita, e le opere eterne, quelle che emozioneranno sempre, provengono dallo stesso punto, parlano la stessa lingua e sono dirette nello stesso luogo, cercano la stessa cosa e si portano via il fruitore facendolo viaggiare nel mondo delle emozioni.


Gustav Klimt - Il bacio

In ogni opera artistica vi sono dei tempi di creazione ben precisi, dall’idea viscerale che viene dal profondo, dall’inconscio e dal vissuto dell’artista alla progettazione diciamo mentale e logica della scelta del supporto, dal taglio alle dimensioni, alla tecnica per realizzare l’opera.

Se nel lavoro finito prevarrà la parte mentale e logica anziché commerciale sarà comprensibile soltanto da coloro i quali sono culturalmente preparati, in grado di rapportarsi all'opera, ai suoi processi di creazione e al suo significato. Un’opera concepita di cuore anche se tecnicamente non perfetta sarà compresa da tutti perché parlerà una lingua universale e non passando dal filtro del ragionamento, arriverà direttamente a far vibrare le emozioni.


Capire un’opera d’arte

Il capire un’opera d’arte, sia essa antica, moderna o contemporanea, è un’azione difficile.

Suppergiù dall'inizio del secolo scorso l'arte si è fatta astratta, concettuale, latrice di idee e di percorsi, e ha abbandonato il fine di rappresentare il bello, quindi diventa di lettura più complessa. Non sempre possiamo capire e apprezzare tutto ciò che è esposto e ci accontentiamo di uno sguardo superficiale e passiamo oltre.

Quando il quadro o la scultura è esposta diviene raggiungibile da chiunque, e davanti a essa, non dissimilmente dall’incontro con le persone, si rende necessario andare al di là della prima impressione: non sempre quello che “vediamo” corrisponde a quello che “crediamo” di vedere.

Alcune opere risultano più intuitive ed istintive di altre, ma spesso è questione di gusti e condizionamenti.

La preparazione alla lettura di un'opera serve per apprezzare e saper meglio comprendere un linguaggio e saper riconoscere in esso l'unicità e la sensibilità di un artista. Si cerca spesso un messaggio nascosto, ma non sempre c'è un messaggio. Le immagini, qualunque esse siano, parlano, comunicano, attraverso un linguaggio fatto prevalentemente di segni, forme, colori. Esistono tanti tipi di immagini con funzioni diverse. L’uomo, per comunicare, oltre al linguaggio verbale, si serve di linguaggi non verbali fondati sull’intero arco delle capacità percettive: messaggi olfattivi, tattili, uditivi, visivi. L’opera d’arte, forma eclettica, completa, si esprime e comunica con uno o più o anche con tutti questi linguaggi, sottraendoli alla normalità ed elevandoli a strumenti creativi.

L'opera informale astratta, per esempio, non cavalca la necessità di esprimere e divulgare un qualcosa, bensì utilizza il colore o la materia come mezzo per trovare una soluzione estetica nuova, una soluzione per indagare l'emozione, semplicemente. La valorizzazione di un'opera spesso non sta nella composizione in se, ma in ciò che essa costituisce.

Per godere appieno di una visita ad un museo, o ad una mostra d’arte è indispensabile saper vedere e osservare. Osservare non è un’azione facile, istintiva, ma richiede intelligenza, conoscenza e sensibilità; operazione complicata durante la quale non usiamo solo gli occhi, ma anche la mente: noi guardiamo con i primi, ma percepiamo con la seconda. I linguaggi visivi sono costituiti dall’organizzazione di un insieme di segni in immagini, e, come il linguaggio verbale, hanno un’organizzazione, delle regole e delle strutture.

Le parole si formano grazie ad aggregazioni di segni fondamentali corrispondenti alle lettere dell’alfabeto e nello stesso modo si formano le immagini. A seconda dell’elemento visivo dominante si parla di linguaggio grafico, quando prevale il segno, linguaggio pittorico quando prevale il colore, linguaggio plastico quando prevale il volume, linguaggio spaziale, quando prevale lo spazio o quando quest’ultimo ha comunque un ruolo determinante, come ad esempio nell’architettura.

Quindi un prodotto artistico nella maggior parte dei casi non è altro che il risultato del modo in cui gli elementi del linguaggio visivo vengono utilizzati per esprimere qualcosa. Un’opera d’arte mostra le abilità, le tecniche e la creatività dell’autore, riflette la sua personalità, la sua cultura, e quella del periodo e del luogo in cui è stata realizzata.

L’osservazione di un’opera determina una reazione psicologica ed emotiva, diviene fonte di energia, colloquia, interagisce con l’osservatore. Non tutti vediamo allo stesso modo: alcuni particolari, forme e colori vengono percepiti e ricordati più facilmente, perché l’attenzione di ognuno si concentra su ciò che più lo interessa.

Ad un osservatore inesperto queste realizzazioni possono addirittura sembrare deformazioni dovute all’incapacità di riprodurre il vero. Frasi spesso ricorrenti come “L’arte deve essere capita da tutti, altrimenti non è arte”, “Che bello, sembra vero”, “Che brutto, non si capisce cosa rappresenta” oppure “Questo lo so fare anch’io”, sono solo stereotipi usati nel giudicare un’opera d’arte.

È in realtà opera d’arte quella che suggerisce un’emozione, quella che si distingue da quei quadri, spesso accatastati sulle bancarelle delle fiere o sotto i portici delle vie cittadine, improbabili copie di autori moderni e contemporanei, oppure raffiguranti occasionali mareggiate, funghi, pere, paesaggi o fiori. Opere dozzinali, fatte in serie e in poco tempo, appariscenti, dal banale accostamento di innumerevoli colori vivaci, che costa poco ed è semplice da capire, non richiede cultura e impegno.


Egon Schiele - Donna inginocchiata con vestito rosso

Occorre poi fare un distinguo. Io credo che tutti percepiamo lo scollamento tra la visione e la fruizione di un’opera da parte di gente “comune” e le parole e le spiegazioni della Critica artistica. La funzione della critica è sempre stata controversa, definita in modi diversi dalla modernità e revisionata a più riprese in passato parallelamente al mutare del concetto di arte: accusata di volta in volta di voler imporre una sua visione dell'opera, di fare della semplice storiografia, di svolgere un'attività di parte a favore di alcuni artisti, di involversi in intellettualismi indecifrabili per i destinatari, la critica moderna, nella generale confusione dei valori e nell'attuale carenza di parametri di riferimento, si è spesso assunta, a torto o a ragione, il compito di discriminare ciò che è arte da ciò che non lo è.

I critici d'arte solitamente analizzano l'arte in un contesto estetico o di teoria della bellezza. Uno degli obiettivi della critica è quello di ottenere delle basi razionali per la valutazione e l'apprezzamento dell'arte.

La varietà dei movimenti artistici ha reso necessaria la divisione della critica artistica in differenti discipline, storica e contemporanea e ciascuna di esse che utilizza i propri criteri per giudicare le opere.

La critica storica, che ha molti tratti in comune con lo studio della storia dell'arte, apparentemente più “innocua”, in quanto per secoli l'arte ha voluto imitare la natura e questo ne garantiva un'immediata comprensione da parte di tutti. Occorre però considerare la funzione che l'arte svolge nella società in quanto anch'essa istituzione sociale e resta da discutere sull'uso delle testimonianze, sia oggettive che scritte. Infatti il critico storico effettua una preselezione ideologica e ci mostra solo quello che vuole mostrarci. Per esempio, leggendo un qualsiasi libro di storia dell’arte viene presa in considerazione solo e unicamente l’arte “occidentale” senza mai compararla allo sviluppo che l’arte ha avuto in altri continenti dall’Africa all’Asia all’Oceania.

La critica contemporanea valuta altresì i lavori di artisti viventi.

Attualmente, la mercificazione più totale nel campo artistico fa si che prevalga una figura prezzolata che, previo pagamento dall’artista medesimo redige una “Critica” per la prefazione di una mostra, per un portfolio ecc. Tale mercantilismo si avvale spesso di un linguaggio pseudofilosofico, mistico, tecnologico, linguistico e prende il posto dell’analisi; e ne risulta corrotta la funzione stessa della critica, che, da introduzione all’opera, diviene discorso meramente pubblicitario.

Dobbiamo perciò diventare noi stessi dei critici.

L’opera d’arte, come la bellezza personale ed esclusiva, è unica, non ne può esistere una copia, quindi fermarsi ad osservare, farsi rapire da una luce, da un colore, da una pennellata diventa un mezzo per alleggerire il nostro quotidiano e arricchisce la nostra mente e il nostro cuore.


I contesti dell'arte

Uno degli sviluppi dell’arte del Novecento è il progressivo perdersi del “contesto” all’interno della rappresentazione, e un suo recupero all'esterno di essa.

Chiariamo il concetto con qualche esempio. Prima del Novecento ogni soggetto, ogni figura dipinta, era inserita in uno spazio, in un ambiente, in una luce interna alla rappresentazione. L’ opera cioè non si limitava a rappresentare il soggetto isolandolo dal contesto, ma lo inseriva in un ambiente. È una delle caratteristiche principali della pittura che va dal Rinascimento ai primi del Novecento. Nel Medioevo la prospettiva non era ignorata solo per incapacità tecnica, ma anche perché non era il punto di vista umano e la natura terrena ad attirare l’interesse in quell’epoca, ma il punto di vista divino e lo studio della teologia imposto da una religione che aveva il potere assoluto. Ecco che spesso le figure erano decontestualizzate o contornate da arabeschi o sfondi stellati, quasi si trovassero in uno spazio metafisico. In compenso erano tutte realizzate su muri con la tecnica dell'affresco in ambienti come chiese e castelli, simboli del potere, e intese per catechizzare il popolo, quindi inamovibili.

La novità della modernità è che l’opera diventa asportabile, ed esponibile in ogni luogo, appare anche la cornice (non c’era nel Medioevo e che torna a sparire nell’arte novecentesca), che aveva il compito di dare compiutezza al quadro, finito per se stesso, cioè con la figura o le azioni inserite in una prospettiva, un paesaggio, degli sfondi ecc.

Oggi come nel Medioevo, di nuovo, oggetti e figure vengono decontestualizzate dallo spazio reale, e inserite in uno spazio altro, oppure presentate isolate da ogni spazio.

È da notare che più l’opera perde quello che è il suo spazio interno della rappresentazione, più ha bisogno di porsi come elemento dello spazio reale; di qui opere che vengono chiamate installazioni. I musei d’arte contemporanea sono sempre più camere decorate e arredate in maniera particolare, cioè spazi reali riempiti con oggetti e colori, e sempre meno luoghi in cui vengono raccolte opere bidimensionali come i quadri.

Attualmente la pittura è considerata fuori mercato da tutte le grandi élite dell'arte. Perché, è chiaro, non stiamo parlando dei gusti della gente comune, ma di quelli delle caste economiche, dei loro artisti, delle loro fondazioni e riviste, dei loro critici, dei loro politici. Se il mercato non la cura più, se le riviste specializzate la snobbano, se la evitano le grandi sale espositive,se i politici riservano gli investimenti per altre forme d'arte, se si cerca di evitarla nelle moderne architetture da rivista patinata, cos'ha la pittura che li urta? Forse puzza di vecchio?

Forse ricorda tutto un mondo, tutta un'epoca, un millennio quasi, dal basso medioevo agli inizi del Novecento, nel quale non ci si riconosce più? Eppure noi siamo in tutto il prodotto finale di questo millennio.

Quello che urta non è questa o quella forma di pittura, ma la pittura stessa, in quanto prassi, è considerata sbrigativamente superata, e le vengono preferite le installazioni e le performance.

Cerchiamo di capire perché.


Angela Betta Casale - L'ultimo guerriero

Cosa è la pittura, cosa è una installazione, cosa una performance? Non partiamo dall'idea che ne hanno critici o filosofi, ma dalle nozioni comuni, quelle che abbiamo tutti.

Pittura: si tratta di prendere della materia colorata e stenderla manualmente, con una certa cognizione e una certa abilità, in genere acquisite negli anni, su delle superfici per creare delle forme più o meno concrete, più o meno raffigurative.

L'installazione; si tratta di modificare l'ambiente per creare dei contesti significativi, nei quali è molto importante l'interazione con lo spettatore. L'aspetto cognitivo prevale in genere su quello manuale, i materiali di partenza sono i più diversi, non è più possibile dunque discutere sul loro buon uso o meno, come si fa in pittura. Spesso le installazioni vengono smontate, si fanno per determinate occasioni, temporaneamente, non sono permanenti come i vecchi dipinti o le vecchie sculture.

La performance è una specie di rappresentazione teatrale con coinvolgimento di pubblico, dovrebbe essere considerata figlia del teatro, più che della pittura. Eppure, per un caso strano che merita la massima attenzione, perché forse può gettare qualche luce sul mondo in cui viviamo, questa forma d'arte è ritenuta l'estrema evoluzione dell'arte figurativa; questi performer annoverano tra i propri maestri, non Sofocle, Shakespeare o Pirandello, bensì Apelle, Michelangelo, Modigliani; si ritengono i loro eredi, quelli che ne avrebbero continuato, adattandosi ai nuovi mezzi, la ricerca. Si sente spesso dire che se Michelangelo fosse vissuto oggi, avrebbe fatto cose alla Cattelan. Si tratta di un'ipotesi così astratta che è davvero impossibile discuterne.

Oggi nelle grandi rassegne di arte contemporanee si trovano delle installazioni e delle performance, ritenute eredi e superatrici della pittura.

In sintesi la pittura produce un'opera materiale stabile, l'installazione sistema la materia in maniera significativa e per lo più temporanea, la performance produce solo un evento.

Sono evidenti già due cose: una progressiva smaterializzazione e una progressiva conseguente riduzione dell'opera al presente, col negarle una durata troppo lunga.

Già vediamo delle affinità col mondo contemporaneo, in particolare col mondo degli affari: non opere permanenti, ma eventi, non solidità, ma fluidità, non stabilità ma flessibilità.

La pittura in quanto prassi, non questo o quel quadro, non questo o quell'artista o corrente, ci parla di un mondo in cui ha valore la durata, la stabilità, la costruzione di qualcosa capace di andare al di là della vita breve di un singolo individuo. La performance ci parla del presente, di null'altro che del presente. Nulla di duraturo vi viene costruito, nulla che sopravviva all'evento, se non la sua immagine virtuale. Questo è profondamente contemporaneo, vero, ma è umano, è possibile vivere per un uomo in un mondo fluido, in perenne stato di incertezza?

Veniamo a un ulteriore aspetto, quello della abilità tecnica necessaria all'esecuzione della pittura. È facile, per chiunque abbia un'educazione pittorica, valutare la bontà o meno delle opere di pittura. Ovviamente questo non vuol dire togliere libertà alla pittura. Anche il più semplice e astratto dei gesti pittorici può essere fatto in mille modi, e si vede se la mano che lo ha fatto era sicura o incerta, se dominava i materiali o se ne lasciava dominare, se era libera o costretta in schemi mentali. Tutto questo diventa difficile valutarlo nelle performance o nelle installazioni, proprio perché si usano materiali e contesti ogni volta diversi. Da un masso dipinto posso ricavare moltissimi dati e informazioni sulla sensibilità e l'abilità di chi lo ha prodotto, sulla sua soggettività e di conseguenza sul suo mondo. Da un masso reale posto nel museo, posso ricavare ben poco, se non l'alto livello di cerebralizzazione di chi ve lo ha posto. Da questo esempio si vede come vengono misconosciuti il soggetto, la professionalità e il lavoro, il passato e tutte le esperienze e abilità acquisite, il valore intrinseco delle cose.

Come faccio a stabilire se un'installazione è fatta bene o meno? Con quali parametri?

Ci può essere presentata qualsiasi cosa, messa insieme in maniera conveniente. Questo significa che l'opera non ha più un valore intrinseco, dovuto al valore del lavoro umano che l'ha prodotta, ma che le viene attribuito un valore, prima da parte di un intelletto critico che vi vede incarnata una qualche idea, poi dal mercato che l'investe di un alto valore di scambio.

Oggi vi è un gran desiderio di eventi e di contesti. Pare che la presentazione dell’ opera non basti più. L’intrinseco dell’opera non interessa più, ciò che interessa è la sua capacità di iscriversi in un evento.

Quale sia l’arte di establishment lo sappiamo già; basta vedere a chi vanno i finanziamenti pubblici e quale arte è incoraggiata dai grandi gruppi finanziari che controllano il pianeta. È un'arte che ha la funzione di ammantare di cultura un mero discorso di capitalismo e come tale ha i suoi sacerdoti e i suoi difensori, che spesso, magari senza volerlo, sono i migliori apologeti dell’attuale disumano ordine mondiale.

Spero che l’arte, con la sua capacità di agire sulle emozioni, i bisogni e i desideri profondi, inizierà a lottare per un mondo diverso contro la pubblicità, lo strumento che il consumismo adopera per promuovere questo mondo che si regge sul superfluo e i bisogni indotti, su di un vivere superficiale, da consumatori senza identità e senza desideri altri da quelli per i quali vi è pronto un prodotto da comperare.


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