La prima volta che giunsi a Ginevra per partecipare come delegato ai lavori delle Nazioni Unite mi presi il tempo per una meritata escursione turistica della città.
Ginevra è sempre stata nel tempo il simbolo di democrazia e di libertà, dove hanno trovato rifugio liberi pensatori e vari perseguitati dai regimi dittatoriali e dispotici.
La sua stessa origine è entusiasmante e leggendaria. Sorta su un importante insediamento celtico, di cui si trovano ancora evidenti tracce testimoniate da menhirs sparsi per i parchi e lungo il Lago omonimo, Ginevra divenne presto la roccaforte del pensiero della Riforma luterana che si affrancava da millenni di ipoteca ideologica dalla Chiesa Cattolica Romana che con i suoi dogmi sfiancava il libero pensiero e mandava a morte i suoi oppositori.
Possiamo ricordare lo sventurato Giordano Bruno che ebbe l’ardire di dire che il cielo non era abitato solamente dagli angeli, ma anche da creature superiori all’uomo per intelletto e morale, ma che purtuttavia non erano angeli. Oppure possiamo ricordare quel nefasto monaco celebrato dal cattolicesimo che si chiamava Guglielmo d’Occam, che ebbe la malasorte di inventare il principio ideologico del cosiddetto “Rasoio di Occam”. Un teorema oggi evocato dai censori della libera ricerca che gabellandolo per un principio di scienza impediscono di contribuire a portare l’umanità nel futuro ma la fanno piombare nel più diabolico oscurantismo moderno.
Ebbene proprio qui, passeggiando tra i verdi parchi di Ginevra, mi sono imbattuto nel monumento che celebrava la vittoria della Riforma sull’oscurantismo della Chiesa cattolica.
Un momento di emozione nel pensare a individui che hanno lottato per la loro libertà e poi una sorpresa a dir di poco inaspettata, ma che mi ha fatto capire molte cose sulla Riforma luterana.
Sul lungo frontale di marmo del monumento, tra le figure dei padri fondatori della libera Ginevra, campeggiava la scritta in latino: “Post Tenebras Lux”, ovvero “Dopo le tenebre la luce”. Un motto che era proprio dell’antico druidismo dei Nativi europei, ripetuto molte volte dalle popolazioni dei Celti durante le persecuzioni dell’Impero romano e della Chiesa cattolica.
Un motto che aveva per simbolo il “Sole nero”, un disco nero contornato da una debole luminosità, che rappresentava il sole coperto dalla Luna durante le eclissi. Due corpi celesti che indicavano ciascuno il significato del “vuoto” e del “pieno”, o Ying e Yiang per i cultori dell’orientalismo, i due elementi contrapposti che inevitabilmente si alternano nell’esistenza umana e che trovano tuttavia un equilibrio cosmico nel momento della loro sintesi di neutralità.
Significato che ha rappresentato il motivo per cui la scuola di Kemò-vad lo ha preso a simbolo per la propria attività di proposta dell’antica “arte del gesto” rappresentata per l’appunto dalla Kemò-vad, un’antica disciplina dell’interiore. Originaria dello sciamanesimo druidico, manifesta il significato mistico di “danzare nel vento per divenire e vivere l’esistenza come vento nel vento”, intendendo il vento come il simbolo dello Shan, la qualità più intima e immateriale del piano della realtà.
La Kemò-vad è una sorta di meditazione dinamica che interpreta l’antico mito del drago danzante del celtismo druidico che avrebbe dato vita con il suo urlo primigenio all’energia che ha creato l’universo e l’esistenza umana e tutta l’altra vita del pianeta. Un mito ripetuto più o meno in maniera analoga nella narrazione greca della dea Eurinome e del serpente Ofione. Ma anche presente nell’antico Egitto dove il Dio Thot, emulo del ben più antico Fetonte, crea una palestra dove insegnare “l’arte ginnica del gesto”.
Pe ritornare al simbolismo del Sole nero druidico, questo rappresentava il momento dell’eclisse che periodicamente copre il sole portando oscurità e freddo sulla Terra, ma comunque destinata a lasciare posto al “Sole invitto” che inevitabilmente sarebbe sempre risorto per assicurare a Madre Terra la continuità della vita. Un pegno di libertà promessa per l’umanità schiava o ipotecata dalle ideologie liberticide. Una speranza che aveva come centro l’individuo e la sua dignità posta nel sigillo druidico del trinomio di “Pace, Libertà e Gioia di vita nell’applicazione della libera conoscenza”.
Mi era chiaro nel leggere la frase latina “Post Tenebras Lux” che l’anima druidica doveva aver partecipato e suggerito nel cristianesimo di allora una spinta morale all’attuazione della Riforma protestante.
Del resto il legame tra cristianesimo e druidismo c’era già stato ai primordi del movimento cristiano quando stava iniziando a demolire il terribile impianto sociale dell’Impero romano.
Allora, Paolo di Tarso, che si stima sia l’inventore e l’ideologo del proto-cristianesimo, aveva chiesto il supporto del druidismo per colmare le lacune spirituali del suo movimento che a quel tempo era essenzialmte di natura sociale. Coabitazione morale che è dimostrata ancora oggi dalle usanze druidiche sopravvissute nel cattolicesimo, come la messa e il battesimo e il simbolo della ruota forata, dono di Fetonte.
Dopo l’avvento di Costantino, che rese ufficiale il cristianesimo nell’Impero, la lobby di palazzo che seguiva il ricordo dei fasti imperiali, oltre che mandare a morte migliaia di “pagani” o spedirli a di Scythopolis in Siria, il primo campo di sterminio della Storia, si disfece della corrente spiritualista druidica aprendo la strada al cattolicesimo moderno. Non per nulla il nome del papa, ossia “Pontefice”, è rimasto lo stesso che aveva l’Imperatore, e i suoi pretoriani che molte volte lo eleggevano furono sostituiti dai cardinali.
“Post Tenebras Lux” mi rimase nel cuore e fui felice di aver dato questo nome alla Scuola di Kemò-vad come un implicito auspicio del suo impegno nel portare libertà e dignità a tutti gli esseri umani, senza distinzione di sorta, estendendo questo principio a tutte le altre creature di Madre Terra che soffrono per l’ignoranza e la violenza di una umanità che ha disimparato ad amare il prossimo in tutti gli aspetti con cui possa apparire. |