Il blog di Gianni Castagneri

La rivoluzione che manca

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31 Dicembre 2016


Disservizi, disattenzioni e disagi nei territori marginali


L’ultimo insulto alle popolazioni periferiche, è stata la decisione di Poste Italiane di distribuire la corrispondenza a giorni alterni. Malgrado gli utili esorbitanti e infischiandosene della risoluzione avversa del parlamento europeo, Poste ha deciso che una parte di cittadini non fosse degna di ricevere lettere e giornali tutti i giorni ma soltanto in un’assurda alternanza bisettimanale. Chi vorrà così ricevere un quotidiano in abbonamento e leggerlo nel giorno di uscita, per esempio, non lo potrà più fare ma dovrà recarsi, con maggior dispendio di tempo e denaro, all’edicola più vicina, quando c’è. O scaricarlo da internet, se potrà disporre di un collegamento abbastanza veloce. La rivoluzione che manca – Disservizi, disattenzioni e disagi nei territori marginali - Foto Gianni CastagneriSono storie, purtroppo, trite e ritrite, episodi di tante sconfitte e nessuna vittoria, ma giova ricordarlo almeno a noi stessi: goccia a goccia, come un’insulsa e reiterata tortura, si smonta ogni volta qualcosa del nostro mondo e delle nostre certezze. Ad ogni servizio cancellato, ci raccontano come fosse uno spot, c’è sempre una soluzione più moderna e innovativa: “Basta spostarsi, basta aggiornarsi, basta adeguarsi, basta…pagare!”.

Già, la “provvidenziale” soluzione comporta sempre un costo aggiuntivo: sarà anche poca cosa, ma comprare un giornale in edicola avrà complessivamente un costo addizionale rispetto all’abbonamento, peserà di più attivare un servizio di ricezione satellitare piuttosto che ricevere in chiaro i canali televisivi che si ritengono di diritto perché già compensati con il canone in bolletta, costerà di più, in termini di tempo e moneta, raggiungere uffici pubblici, scuole e ospedali che via via scivolano verso un centro che, chissà perché, è stranamente individuato nei pressi di grandi città.

Chi per valutazione o necessità abbia preferito vivere nei paesi valligiani, sa da principio che deve affrontare qualche disagio rispetto a chi vive in una metropoli, ma vorrebbe magari che questo incomodo fosse riconosciuto attraverso il mantenimento o, perché no, il rafforzamento di qualche servizio. Ogni volta che prendiamo l’auto – perché il sistema di trasporto pubblico è quello che è – subiamo un costo supplementare, aggravato da una viabilità disastrata anch’essa vittima di scelte e di non scelte fatte a livello più o meno centrale, dove il centro non è nemmeno dall’altra parte del mondo. La minor durata dei mezzi privati di trasporto, dalla vita tecnica ridotta a causa delle buche e della pessima manutenzione delle strade, è un subdolo balzello che si aggiunge agli altri meno nascosti. Smontare pezzo a pezzo gli ospedali per concentrarli in quelli che dovrebbero essere, e probabilmente sono, efficienti nosocomi all’avanguardia, sortirà forse l’effetto di contribuire al mantenimento della spesa sanitaria, ma conseguirà l’effetto opposto per le tasche del cittadino suburbano e per la sua qualità della vita, specie quando malato e bisognoso di cure ricorrenti.

Chi paga le tasse, e quante se ne pagano, gradirebbe almeno un po’ di considerazione, di attenzione, di riguardo. Il suo vivere in zone rurali non dovrebbe essere una colpa ma, come spesso si ricorda con enfasi e demagogia, rappresentare anche un riconosciuto presidio di tutela e salvaguardia per luoghi ambientalmente e culturalmente importanti, forse addirittura fondamentali per chi abita in città.

L’attenzione che i governanti illuminati di qualche oscuro secolo fa riservavano a quanti abitavano le campagne e le montagne, era infinitamente maggiore e capillare: la storia ci ha tramandato una ricchezza di testimonianze scritte nelle quali si stabilivano privilegi, deroghe e originali agevolazioni alle popolazioni svantaggiate dei territori marginali.

Oggi a prevalere è la concezione accentratrice che si esprime ad ogni livello, pubblico e privato. La grande città attrae servizi e risorse a svantaggio di città più piccole, che a loro volta si rifanno a danno dei paesi e delle borgate sperdute. Le grandi aziende di servizi, specie se pseudo-pubbliche, per diventare inspiegabilmente sempre più grandi, in termini di utili e fatturati, tagliano i dipendenti e stritolano gli utenti nel loro folle viaggio verso progressivi e più strepitosi successi. Un giocattolo perverso, costruito sui sacrifici di coloro che li hanno sempre fatti e li sanno sopportare.

Storie antiche come il mondo, che fanno sì che tutte le decisioni riguardanti ciò che è periferico, siano concepite e attuate attraverso una visione urbano-centrica che mai potrà generare sviluppi positivi per quello che sta ai bordi.  Questa concezione limitata e ottusa, spalmata in modo uniforme sull’insieme dell’arco politico, ravviserà sempre nel territorio ad essa esterno un qualcosa da accorpare, riunire, centralizzare in nome di imprescindibili interessi planetari. Un’azione ingannevole e scellerata, generata per poter meglio controllare gli ampi territori e le sparute genti che li abitano in base alle esigenze e ai punti di vista cittadini, improntando le azioni e le non-azioni di governo a logiche che consentano di poterne disporre a proprio uso e, specialmente, consumo.

La rivoluzione che manca – Disservizi, disattenzioni e disagi nei territori marginali - Foto Gianni CastagneriLa classe dirigente così concepita e strutturata, avrà sempre la percezione che tutto ciò che le sta all’esterno ed è dislocato su un’area vasta, che non conosce e anche per questo non riesce a comprendere, debba essere ricondotto all’interno di un sistema di potere concentrato, che mantenga così la capacità di individuare politiche che siano, innanzitutto, ad esso confacenti e con logiche che prevedano sempre rapporti di forza basati su valutazioni di carattere prevalentemente numerico.

Credere che qualcosa possa cambiare in tempi brevi è obiettivamente un’utopia.

Eppure, senza dissestare nessuno, senza provocare buchi nei bilanci di nessun livello amministrativo, si potrebbero attuare delle azioni rivolte ai cosiddetti “cittadini suburbani”, operazioni capaci non solo di mettere un freno all’ immiserimento dei servizi ma innanzitutto di stimolare con proposte innovative e magari anche ingegnose, la vivibilità di territori diversamente destinati ad un inesorabile e per tutti infausto declino. Perché non cominciare a parlare di servizi sanitari dislocati sul territorio, di infermieri e di assistenza a domicilio, di scuole in montagna o di trasporti a chiamata? Per quale ragione non detassare le attività commerciali che lavorano un mese e nel resto dell’anno offrono puramente un servizio gratuito? Perché non portare nei luoghi più lontani e nascosti i canali televisivi, una migliore ricezione di telefonia mobile e di internet veloce, o perché, in un lampo di benevolenza, non adottare quelle lande desolate per far loro sperimentare in anticipo ogni innovazione tecnologica? Per quale ragione oscura non liberare comuni e cittadini, imprese e associazioni di ogni laccio e lacciuolo burocratico? Ne scaturirebbe una rivoluzione positiva, un’azione e una lezione di civiltà che andrebbe a vantaggio innanzitutto di chi sapesse attuarla.

Sarebbe un criterio nobile e decoroso di affrontare con originalità i problemi e le attese degli ultimi, che non lo sono soltanto come strato sociale o per il ritardo con cui ricevono attenzione, ma perché quei pochi potrebbero essere purtroppo gli ultimi a resistere in situazioni e luoghi dei quali a ben pochi interessa.

Forse la politica dovrebbe farsene carico, ma prima di tutto occorrerebbe rendere consapevoli montanari e cittadini, contadini e impiegati, burocrati e gabellieri, che a basso costo e con impegno diffuso, molto si potrebbe ancora fare. Bisognerebbe che tutte le parti potessero discuterne, confrontarsi, comprendersi, maturare scelte, metabolizzare decisioni. Ma forse, per tutti e prima di tutto, occorrerebbe ascoltare in silenzio, ascoltare gli altri, ascoltare chi non pensa e non coglie come noi. E poi guardare lontano, molto lontano.

 

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