Indigenous Peoples

I Nativi del pianeta reclamano la loro identità

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22 Luglio 2014

L’Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples si è aperto con una preghiera nativa americana dedicata a Madre Terra


L’ONU in queste ultime decadi ha rappresentato per i Popoli indigeni una occasione di crescita e di consapevolezza della loro forza. Gli organismi messi a loro disposizione per confrontarsi con gli Stati di cui in questo momento storico sono considerati ospiti, spesso sgraditi, hanno invece sottolineato con forza sempre maggiore il loro diritto a riappropriarsi dei loro territori, delle loro tradizioni, della loro lingua e dei loro luoghi sacri. Attraverso il confronto con gli Stati membri dell’ONU, ma soprattutto attraverso il confronto tra loro stessi, hanno maturato una unità e una consapevolezza delle comuni radici, e quel che più li rende determinati è la coscienza dei torti subìti e di ciò che è stato loro negato in questi 500 anni di colonizzazioni.

L’ONU ha messo a loro disposizione le sue strutture dando spazio a iniziative promosse e organizzate dagli stessi Nativi e da chi si schierava al loro fianco. Nell’ambito del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite di Ginevra già nel 1982 si è creato il Working Group on Indigenous Populations che ogni anno si riuniva per lavorare alla stesura della Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni. Da questo organismo è nato poi il Permanent Forum on Indigenous Peoples che ha luogo ogni anno all’ONU di New York, e quando finalmente, nel 2007, è stata approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni, e sottoposta a tutti gli Stati membri per l’adozione, è stato creato un ulteriore meccanismo, l’Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples, con lo scopo di tutelare e stimolare la messa in pratica della Dichiarazione. A seguito di questo lavoro la comunità planetaria dei Nativi si è rafforzata, al punto che tutti gli Stati, non senza difficoltà e opposizioni a volte anche apparentemente insormontabili, hanno alla fine adottato e supportato la Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni.


Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples

Ogni anno all’ONU di Ginevra ha luogo l’Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples (EMRIP), quest’anno alla sua settima sessione.


Il gruppo di Esperti che ha coordinato la settima sessione

È un organismo coordinato da esperti di varie comunità indigene, uno per ogni continente, eletti ogni tre anni, e a cui partecipano esperti di comunità native di tutto il mondo, nonché rappresentanti di tutti i governi. Lo scopo è quello di studiare come implementare la Carta dei Diritti approvata dall’ONU nel 2007 e di controllare che venga applicata dai singoli governi.

Questo organismo è un corpo sussidiario che il Consiglio dei Diritti Umani ha voluto istituire per essere coadiuvato, nel suo lavoro di tutela dei diritti umani, da esperti in campo delle tematiche relative ai Popoli indigeni. Gli esperti che fanno parte di questo organismo hanno il compito di realizzare studi e ricerche per controllare la tutela dei diritti degli Indigenous Peoples, e in particolare l’applicazione, da parte dei singoli Stati, della Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni approvata dall’Assembrea Generale dell’ONU nel 2007. L’EMRIP ha la facoltà inoltre di suggerire al Consiglio dei Diritti Umani le proposte che saranno sottoposte ad approvazione.

L’EMRIP, istituito nel 2007, ha completato il suo primo ciclo di studi nel 2009 che verteva sul diritto dei Popoli indigeni all’istruzione e sulle sue modalità. Nel 2011 è stato completato il secondo ciclo di studi, che verteva sul diritto dei Popoli indigeni di partecipare alle decisioni dei governi. Nel 2012 l’EMRIP ha sottoposto al Consiglio dei Diritti Umani i suoi studi e le sue proposte per quanto riguarda la protezione delle lingue, della cultura e dell’identità dei Popoli indigeni. La fase di studi ancora in corso riguarda l’accesso dei Popoli indigeni alla giustizia nella protezione dei loro diritti, comprendendo sistemi giuridici e accesso alla giustizia per donne indigene, giovani e persone disabili.


Rosalba Nattero nella Salle XX dell’ONU di Ginevra dove si svolgeva l’EMRIP

L’Expert Mechanism, inoltre, già nel 2012 ha introdotto un questionario che viene sottoposto ai singoli Stati membri, in cui si verifica l’applicazione della Carta dei Diritti dei Popoli indigeni, un controllo che viene eseguito a cura degli esperti dell’EMRIP.

In pratica questo organismo ha il compito di studiare le strategie efficaci e le possibili misure da adottare per realizzare gli obiettivi della Dichiarazione dell’ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni.

Tra le proposte di questa settima sessione, sottoposte al Consiglio dei Diritti Umani, merita una particolare attenzione l’intenzione di intraprendere uno studio sull’eredità tradizionale dei Popoli indigeni che includa sports e giochi tradizionali, richiesta che non era mai stata fatta prima.

Si è discusso molto inoltre della Conferenza Mondiale sui Popoli Indigeni che avrà luogo all’ONU di New York il prossimo settembre, un appuntamento destinato a diventare cruciale per l’importanza che rivestirà e che darà ulteriore forza alla realtà degli Indigenous Peoples.

Un’altra proposta destinata, se messa in pratica, a cambiare le sorti del pianeta è che le Nazioni Unite chiedano agli Stati di riconoscere Governi indigeni, Parlamenti indigeni, Assemblee e Consigli, e che questi possano partecipare alla pari nelle decisioni dei governi.


Un mondo invisibile

Come ogni anno noi delegati della Ecospirituality Foundation ci siamo “tuffati” in un mondo invisibile, l’“isola che non c’è”, e come sempre, tornando a casa, ci siamo chiesti come sia possibile che questa realtà venga trascurata, nascosta, non considerata.

Giancarlo Barbadoro ed io, con il nostro staff, partecipavamo come rappresentanti di sei comunità indigene di tutto il pianeta per difendere le loro tradizioni e i loro luoghi sacri. Un impegno che abbiamo preso molti anni fa e che portiamo avanti con passione, riconoscendoci nei loro diritti e nella consapevolezza di una comune identità.


Intervista a Kenneth Deer, rappresentante della comunità Mohawk Kahnawake del Canada che più 30 anni si dedica ai diritti dei Popoli indigeni nell’ambito dell’ONU

Una full immersion tra le comunità native ha il potere di risvegliare la speranza che il mondo possa davvero cambiare. Assistere alle discussioni su come rendere pratica la Carta dei Diritti, quei diritti fondamentali che dovrebbero essere il minimo standard riconosciuto a chiunque, ascoltare le esperienze personali di chi è stato sottoposto a violenze e abusi, nemmeno tanto tempo fa, e nello stesso tempo vedere con quanta dignità, consapevolezza e armonia tutti questi problemi vengono affrontati... è decisamente un’esperienza non comune.

Così come è un’esperienza non comune vedere in tutte queste comunità, così diverse, così lontane per luogo geografico e appartenenza culturale, spesso con lingue incomprensibili, una sintonia che permette di intendersi sulle cose fondamentali, come il rapporto con Madre Terra e il riferimento spirituale nella Natura.

Avendo a che fare con queste comunità appare lampante il motivo per cui le grandi religioni e la società maggioritaria hanno cercato di annientarle. È un confronto in cui la società maggioritaria ne esce inevitabilmente perdente. È un pericolo destabilizzante, perché mostra l’esempio di una società basata su libertà, armonia, spiritualità senza dogmi. Quando non è riuscita ad annientarle, la società maggioritaria ha cercato di assimilarle, riuscendoci solo in parte. Le nefandezze compiute ai danni dai Nativi sono molteplici e indubbiamente hanno richiesto una gran dose di genialità, pur se sembra partorita da menti malate. L’apice è stato raggiunto con l’operazione che ha cambiato nome a seconda dei continenti ma in sostanza sembra sia scaturita da una forma mentis comune. In Australia l’hanno chiamata la “stolen generation”, generazione rubata. Migliaia di bambini rubati alle loro famiglie per eliminare il Nativo che era in loro. In Canada invece, in un recente studio emerge che almeno 100.000 bambini nativi americani sono stati uccisi nelle apposite "scuole residenziali", di cui due terzi erano gestite da suore e preti cattolici.


Giancarlo Barbadoro, presidente dell’Ecospirituality Foundation

Secondo le testimonianze di alcuni sopravvissuti, risulta che i bambini venivano volontariamente infettati con malattie mortali, sterilizzati, forniti agli ospedali come cavie per esperimenti "scientifici", stuprati, venduti ai pedofili, torturati atrocemente, picchiati a morte, assassinati in varie maniere, sottoposti ad ogni forma di violenza psicologica e fisica. Nel migliore dei casi, questi bambini venivano privati delle loro famiglie, puniti se parlavano la loro lingua e se praticavano le loro tradizioni, usati come schiavi. Tristemente famoso il motto dei colonizzatori su territorio americano: “kill the indian, save the man”. Una situazione che si è protratta per oltre un secolo ed è proseguita fino al 1990.


Reconciliation process

Eppure, nonostante quello che i Nativi hanno subìto dai colonizzatori, in loro traspare un’armonia, una pace invidiabile, ma anche una determinazione nel far valere i propri diritti.

È in atto un processo di “riconciliazione” che ha lo scopo di aprire un dialogo tra i governi e i Popoli indigeni, facendo finalmente emergere le responsabilità degli Stati circa i soprusi del passato allo scopo di trovare una via di uscita da posizioni apparentemente inconciliabili, e soprattutto di intraprendere un dialogo. Ora i governi chiedono scusa ai Nativi, come l’Australia che ha instaurato il “Sorry Day”, ma questo agli indigeni ovviamente non è sufficiente. La Truth and Reconciliation Commission del Canada stimola gli aborigeni a farsi avanti, a testimoniare le violenze subite, a uscire allo scoperto. Il suo motto è: “La verità sulle nostre comuni esperienze aiuterà a liberare i nostri spiriti e aprirà la via per la riconciliazione.”


Rosalba Nattero con Chief Wilton Littlechild, capo tribale della Nazione Cree e Commissario della Truth and Reconciliation Commission of Canada

Abbiamo assistito a un seminario, un Side Event dell’EMRIP, coordinato da giovani appartenenti al Global Youth Indigenous Caucus che hanno parlato delle loro esperienze, testomoniando senza pudori (anche se con malcelata sofferenza) gli abusi subiti. Abusi avvenuti non 100 anni fa ma qualche decina di anni orsono! Eppure, nonostante le testimonianze toccanti, si intuiva la grande forza d’animo che animava questi giovani nell’intento di fare qualcosa di utile per loro stessi e per altri che avevano vissuto le stesse esperienze.

Il seminario si intitolava: “Working for Rights and Justice for our Past, Current and Future Generations” (Lavorare per i diritti e la giustizia per le nostre generazioni passate, presenti e future). Andrea Landry, coordinatrice del seminario, una ragazza di 18 anni delegata del Native Youth Sexual Health Network, ci ha detto: “Credo che il processo di riconciliazione sia possibile, ma è importante ricordare che bisogna riconciliarsi innanzitutto con se stessi. Quando ho condiviso la mia storia, piena di rabbia, di traumi e di odio per me stessa, è stato fondamentale per me riconoscere che tutti quei sentimenti erano miei e che tutte quelle storie che venivano fuori da me erano mie. Ma io stavo trattenendo tutte queste cose dentro di me e non le lasciavo andare. L'unico modo per guarire è stato riconoscere che era giusto avere quei sentimenti, ma che era anche importante lasciarli andare. Quello è stato il primo passo della mia riconciliazione personale, e a quel punto puoi lasciare che questi sentimenti passino alla comunità, alla famiglia, alla nazione e magari anche ai colonizzatori, agli oppressori, e forse il rapporto può migliorare.”

Chief Wilton Littlechild, capo tribale della Nazione Cree del Canada, ha presentato il seminario. Lui stesso è stato vittima di violenze e abusi, ma ha saputo reagire impostando la sua vita alla lotta per i diritti dei Popoli indigeni. È avvocato ed è stato membro del Parlamento canadese dal 1988 al 1993. Dal 2009 è Commissario della Truth and Reconciliation Commission del Canada.

Gli abbiamo chiesto se secondo lui la “riconciliazione” è davvero possibile. Ci ha risposto: “Devo credere che sia possibile, per via del lavoro che svolgo, e per il male che è stato fatto. Quando chiediamo alle persone che cosa hanno perso, molte volte fanno riferimento alla cultura, alla lingua, all'autostima e all'orgoglio come popoli indigeni. La riconciliazione incoraggia le persone a reimparare la loro lingua e le cerimonie sacre. Ci incoraggia a tornare alle nostre tradizioni e alla nostra cultura.”


Nadir Bekirov, membro del Crimean Tatar People e presidente dell’International Public Organization for research and support of indigenous people of Crimea, legge la sua declaration

Durante il seminario è emersa la responsabilità che la Discovery Doctrine ha avuto in questi ultimi 500 anni per quanto riguarda le nefandezze, le violenze, gli omicidi, il genocidio compiuto ai danni dei Popoli indigeni. La Discovery Doctrine è la bolla papale emanata nel 1452 da papa Niccolò V con la quale il pontefice garantiva ai coloni il possesso delle terre scoperte con tutto ciò che vi era sopra, Nativi compresi. Le terre scoperte erano considerate “res nullius” ossia terre di nessuno, anche se sopra di esse vi erano popolazioni autoctone che vi dimoravano. Le “nuove terre” appartenevano per diritto divino al Sommo Pontefice secondo la convinzione che il papa, successore di Pietro e rappresentante di Cristo in terra, fosse signore di ogni cosa.

Gli Indigenous Peoples hanno molto chiara la responsabilità della Discovery Doctrine nei confronti dei torti che hanno subìto, tanto da dedicare ad essa, nel 2012, un intero Forum all’ONU di New York in cui è stato chiesto al Vaticano di abolire la famigerata bolla. Cosa che non è mai avvenuta, nemmeno come gesto simbolico.

Eppure il genocidio dei Popoli indigeni è considerato evidentemente un fatto trascurabile dai libri di storia e dai mass media. Su Wikipedia alla voce "Genocidio" troviamo le stragi compiute dai nazisti in Europa e dai comunisti in varie parti del mondo. Nessun accenno allo sterminio degli Nativi americani, 97% della popolazione dal 1500 alla fine del 1800. Nessun accenno al genocidio canadese né a quello degli aborigeni australiani e neo-zelandesi ad opera degli inglesi che dal 1700 al 1928 ha decimato oltre il 90% della popolazione. Evidentemente, questi sono genocidi di serie B. Nemmeno a questo riconoscimento hanno diritti i Popoli indigeni.

Ad ogni forum dell’ONU dedicato ai Popoli indigeni è presente l’ “Holy See”, ossia il Vaticano, con una sua delegazione. Ma solo come osservatore: infatti non può in alcun modo intervenire nelle discussioni. L’Holy See partecipava anche all’EMRIP di Ginevra ed avremmo voluto intervistare la sua delegazione per chiedere qual’era oggi la posizione del Vaticano verso gli Indigenous Peoples, ma il delegato presente ci ha risposto che non era autorizzato a rilasciare interviste.


La dichiarazione congiunta del Global Youth Indigenous Caucus letta da Atama Katama della comunità indigena Dusun Tambunan della Malesia


Tradizioni comuni

All’Expert Mechanism Giancarlo Barbadoro ed io partecipavamo non solo come delegati della Ecospirituality Foundation, ma anche come rappresentanti del New Earth Circle, una comunità autoctona del Nord Italia che fa parte di quel mondo ancora più invisibile tra i mondi invisibili. Quando si parla di comunità native è facile pensare agli Apache, agli aborigeni australiani; molto più difficile è collegare il concetto di Indigenous Peoples a comunità europee, anche negli stessi ambienti dell’ONU. Eppure le comunità autoctone d’Europa sono moltissime, sparse in tutti i Paesi europei, compresa l’Italia. Giancarlo ed io abbiamo introdotto questo nuovo tipo di informazione ed è stato naturale rapportarci alle altre comunità sulla base di una tradizione comune.

Proprio grazie a questo scambio di esperienze basate su una identità condivisa, ogni volta ci arricchiamo di nuove conoscenze che non fanno altro che confermare, sempre, le comuni radici.

Con Andrew Ambrose Mudi, nome indigeno Atama Katama della comunità indigena Dusun Tambunan della Malesia, si è creato un immediato feeling ed abbiamo instaurato una collaborazione che lo ha portato ad entrare a far parte dello staff della Ecospirituality Foundation. Andrew è uno dei coordinatori del Global Indigenous Youth Caucus, il cui scopo è quello di creare uno spazio per tutte le voci collettive dei giovani del mondo intero. Il GIYC è una rete che condivide informazioni e coordina il lavoro che viene poi portato agli organismi dell’ONU. È diviso in regioni su tutto il pianeta e ogni regione ha dei coordinatori. Dice Andrew: “Il nostro lavoro è coordinare e dar voce in maniera collettiva alle nostre aspirazioni, alle nostre problematiche e soprattutto alla nostra visione del futuro”.

Nadir Bekirov, membro del Crimean Tatar People e presidente dell’ “International Public Organization for research and support of indigenous people of Crimea”, ci ha parlato delle comuni radici tra i nostri due Paesi e dei legami che esistevano, nel medioevo, tra i Tartari Crimeani e i Genovesi, tanto che ancora oggi in alcuni villaggi le persone sono principalmente Genovesi di origine.


Rosalba Nattero con alcuni membri del Global Youth Indigenous Caucus

Ci ha parlato degli antichi reperti megalitici presenti sulla sua terra, ci siamo confrontati sui comuni simboli celtici, sulle danze e sulla musica, scoprendo una volta di più le comuni radici. Ci ha mostrato il suo anello con il simbolo del suo popolo, ed è stato grande il nostro stupore scoprendo che rappresentava il Siv’Nul, l’antico candeliere a tre braccia del druidismo europeo.

Un’altra sorpresa ce la riservava l’incontro con la giovane nativa messicana di una comunità del Sud-Ovest americano, anch’essa membro del Global Indigenous Youth Caucus. Ci ha raccontato l'esperienza del Traditional Garden, un modo di coltivare la terra che rispecchia i riti degli Antenati e che mostra un parallelismo inequivocabile con il Gala Drujii, il giardino druidico dell'antico sciamanesimo dei nativi europei, ispirato al mito dell'Eden, espressione dell'opera di Madre Terra. Nel Traditional Garden avviene una connessione con Madre Terra che aiuta l’individuo fisicamente, ma nello stesso tempo aiuta anche la Terra in un reciproco scambio. In questo modo i frutti di Madre Terra aiutano non solo il suo corpo ma anche il suo spirito.


Il Native European Caucus

I danni della Discovery Doctrine non sono evidenti solo nei Nativi di altri continenti: si sono manifestati anche in Europa. Le “prove generali” di genocidio delle culture autoctone sono avvenute molti secoli prima delle colonizzazioni degli altri continenti. E sono state fatte proprio in Europa, ai danni dei cosiddetti “pagani” che popolavano i nostri territori. I popoli autoctoni dell’Europa, i Nativi Europei, sono stati privati della loro cultura e delle loro tradizioni. Culture pacifiche che sono state colonizzate, assorbite e distrutte prima dall’Impero romano e poi dal Cristianesimo. Queste culture sono state per la maggior parte distrutte, ma non del tutto. Molte comunità autoctone continuano discretamente a portare avanti le loro tradizioni, ancorché nel silenzio, nell’intento di preservarle.

Giancarlo Barbadoro è impegnato da sempre alla preservazione e alla difesa di queste antiche culture. Si è avvicinato da giovanissimo a una comunità nativa del Nord Italia e successivamente ha creato dei legami con le antiche consorterie della Bretagna. Ora nell’ambito dell’ONU sta attivando il Native European Caucus, una iniziativa che ha lo scopo di unire le comunità native dell’Europa per difendere le loro tradizioni e i loro luoghi sacri.

Abbiamo chiesto a Giancarlo Barbadoro di descriverci il progetto in formazione di cui è promotore: “È un’iniziativa che coinvolge la cultura dei Nativi Europei. Il lavoro di questo Caucus è quello di mettere in piedi un insieme di comunità di ispirazione druidica che portino a creare una forza culturale ben precisa che si possa manifestare.

È un lavoro molto difficile perché queste comunità, memori delle antiche persecuzioni, hanno paura di manifestarsi e temono che le loro terre sacre, che utilizzano in segreto, possano essere confiscate, che i loro santuari possano essere distrutti.


La delegazione della Ecospirituality Foundation: Luca Colarelli, Gianluca Roggero, Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro

È un lavoro molto difficile ma io conto di riuscire a smuovere qualcosa. Dreamland, in Piemonte, sede morale della Ecospirituality Foundation, sorge su uno di questi luoghi sacri. Lì abbiamo edificato un grande cerchio di pietre che vuole costituire un riferimento per queste comunità.”

Nella dichiarazione che l’Unione Europea ha presentato all’Expert Mechanism tramite la sua rappresentante, Anne Koistinen, si legge “Il rispetto per i diritti umani e l’uguaglianza sono i principi centrali dell’Unione Europea. Per questo riaffermiamo il supporto dell’UE alla Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni e l’impegno di proteggere i loro diritti e assicurare agli Indigenous Peoples una effettiva partecipazione alla società civile”.

Questa dichiarazione può essere un punto di forza per il Native European Caucus in formazione, e a questo scopo Giancarlo Barbadoro ha attivato un contatto con l’Unione Europea.

Come ogni sessione, l’apertura e la chiusura dei lavori sono state scandite da una cerimonia tradizionale nativa. Quest’anno il rito era affidato a una comunità di Nativi americani che hanno dedicato un canto a Madre Terra scandito da tamburi.

A conclusione dei lavori, abbiamo chiesto a Kenneth Deer di darci le sue impressioni. Kenneth è il rappresentante della comunità Mohawk Kahnawake del Canada e da più di 30 anni si dedica ai diritti dei Popoli indigeni nell’ambito dell’ONU. Una grande parte di merito nell’ottenimento della Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni va sicuramente a lui. Ecco le sue impressioni: “Penso che sia stata una sessione molto interessante, anche se forse tutta la discussione sulla imminente conferenza mondiale dei Popoli Indigeni ha costituito una distrazione. È stato notevole il numero di Stati che erano in sala, c'era un numero enorme di Stati, molto più del normale. Questo indica la forza che la comunità indigena mondiale sta acquisendo. Speriamo che questa tendenza continui, e questo ovviamente dipenderà dall'efficacia degli esperti nel produrre gli studi e renderli rilevanti per i Popoli indigeni e per gli Stati. È un passo avanti interessante, forse la cosa più significativa di questa sessione.”



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