Indigenous Peoples |
Vittoria per i discendenti reali del Dio della montagna |
24 Maggio 2016 | ||||||
I Dongria Kondh delle colline di Niyamgiri hanno vinto un’eroica battaglia contro il gigante minerario Vedanta Resources, salvando la loro montagna sacra. Nel 2013 la Corte Suprema ha riconosciuto ai Dongria il diritto di decidere se effettuare scavi minerari nella Montagna della Legge. Il “No” con cui i Dongria hanno risposto è stato inequivocabile. “Perderemmo la nostra anima. Niyamgiri è la nostra anima.” Le colline di Niyamgiri – nello stato di Odisha, nell’India orientale – sono il territorio ancestrale dei Dongria Kondh. Niyamgiri è una zona collinare coperta di dense foreste, gole profonde e ruscelli impetuosi. Essere un Dongria Kondh vuol dire coltivare le fertili vallate delle colline, raccoglierne i prodotti, venerare il dio della montagna, Niyam Raja, e le colline da lui governate, come la Montagna della Legge Niyam Dongar, alta 4.000 metri. Per un decennio, però, circa 8.000 Dongria hanno vissuto sotto la minaccia dei progetti della compagnia Vedanta Resources, che avrebbe voluto estrarre dalle loro colline bauxite per un valore stimato di 2 miliardi di dollari. La compagnia pianificava di aprire una miniera a cielo aperto che avrebbe violato Niyam Dongar, interrotto il corso dei fiumi e segnato la fine dei Dongria Kondh come popolo. La profonda venerazione che i Dongria hanno per le loro divinità, per le colline e i corsi d’acqua pervade ogni aspetto della loro vita. Persino le loro espressioni artistiche rispecchiano le montagne: dai disegni triangolari trovati nei templi alle divinità dei villaggi, delle coltivazioni e delle foreste, fino a Niyam Raja, la divinità che li governa. Il nome della tribù deriva da “dongar” – che significa “collina”-, e si riferiscono a loro stessi come “Jharnia”, ovvero “protettori dei torrenti”. I Dongria vivono in villaggi disseminati lungo le colline. Credono che Niyam Raja, di cui sono i discendenti reali, abbia dato loro il diritto di coltivare lungo i pendii. Hanno una conoscenza prodonda delle loro foreste, delle piante e della selvaggina. Dalle foreste raccolgono cibi selvatici come il mango, l’ananas, il jackfuit e il miele. Sono abbondanti anche alcune rare erbe medicinali che i Dongria usano per trattare diverse malattie come l’artite, la dissenteria, le fratture, la malaria e i morsi di serpente. Nella foresta i Dongria hanno anche frutteti in cui coltivano arance, banane, zenzero, papaia dolce e la resina aromatica jhunu; tutti questi prodotti vengono poi venduti nei mercati locali. Secondo uno studio recente, i Dongria raccolgono circa 200 alimenti diversi dalla foresta e nei loro orti coltivano oltre un centinaio di prodotti. Questa straordinaria diversità li sostiene per tutto l’anno: difficilmente hanno bisogno di cibo o beni che provengono da oltre le colline. La tribù alleva anche polli, maiali, capre e bufali. Gli uomini Dongria raccolgono il succo di sago dalle palme giganti della foresta: è una bevanda che fornisce loro energia per le lunghe escursioni attraverso le colline di Niyamgiri.
Curiosamente, la compagnia mineraria Vedanta ha affermato che si tratta di una “terra vergine; che lì non c’è stata alcuna interferenza umana”. Le colline di Niyamgiri, ricche di bauxite, assorbono la pioggia del monsone alimentando più di un centinaio di ruscelli e fiumi perenni, come il Vamshadhara. Questi ruscelli non forniscono solo l’acqua necessaria alle comunità che vivono sulle colline, ma portano anche acqua potabile e acqua da irrigazione ai villaggi delle pianure, colpite da siccità e fame. Il Vamshadhara fornisce acqua a milioni di persone negli stati di Odisha e Andhra Pradesh. Nel corso dei secoli, i Dongria hanno aiutato a conservare la ricca biodiversità delle loro foreste, in cui vivono tigri, leopardi, scoiattoli giganti e orsi labiati. Fino a poco tempo fa, Vedanta Resources era una delle 100 società più capitalizzate quotate allo Stock Exchange di Londra (FTSE-100). È stata fondata dal miliardario indiano Anil Agarwal, che ne è il presidente e possiede più del 50% delle quote azionarie. Se la miniera fosse stata costruita, i Dongria avrebbero subito perdite incommensurabili, tra cui la loro eccellente salute, l’autosufficienza, l’identità di popolo e la dettagliata conoscenza dell’ambiente circostante. Un’ampia parte dei profitti sarebbero andati a un solo uomo: Anil Agarwal. Ancora prima di ricevere l’autorizzazione ad avviare attività minerarie sulle colline, Vedanta ha costruito una raffineria nella città di Lanjigarh e iniziò addirittura a lavorare al nastro trasportatore che avrebbe portato la bauxite direttamente dalle colline alla raffineria. L’impianto era stato approvato dal governo a condizione che non venisse utilizzata nessun’area di foresta; ma le garanzie fornite dalla compagnia erano “evidentemente false” perché Vedanta si era annessa 60 ettari di foreste d’importanza vitale per le comunità locali. Inoltre, la raffineria ha distrutto completamente il villaggio di Kinari, costringendo oltre un centinaio di famiglie Maiji Kondh a trasferirsi in un insediamento noto come la “colonia di riabilitazione”. La colonia consiste in un agglomerato di case di mattoni a due stanze, recintato di filo spinato. Gli abitanti non hanno terra coltivabile e nonostante alcuni lavorino come manovali per Vedanta, la maggioranza sopravvive di elemosina.
Secondo i Kondh, l’inquinamento causato dalla raffineria è responsabile di problemi alla pelle, malattie del bestiame e danni alle coltivazioni. Il “fango rosso”, una fanghiglia tossica che è il principale prodotto di scarto della raffineria, si asciuga al sole trasformandosi in una polvere molto fine. Gli ispettori governativi specialisti di inquinamento parlano di una “contaminazione della falda acquifera” provocata da “allarmanti” e “continue” infiltrazioni di fango rosso. I rifiuti tossici si sono infiltrati anche nel fiume Vamsadhara. Secondo quanto descritto nello stesso progetto presentato da Vedanta, l’attività mineraria avrebbe dovuto continuare 16 ore al giorno, 6 giorni a settimana per 23 anni. Il liquame “oleoso” proveniente dai macchinari sarebbe stato incenerito sul posto. L’afflusso dei lavoratori della miniera – insieme a pesanti macchinari e camion – avrebbe costituito un peso enorme per le foreste e la fauna, che sarebbero state sfruttate per ricavarne legna da ardere e cibo. L’area sarebbe diventata accessibile anche ai bracconieri e ai taglialegna illegali. Vedanta sostiene che una volta esaurita la miniera avrebbe piantato nuovi alberi, ma nulla avrebbe mai potuto compensare la perdita della diversità faunistica, nè i danni ai corsi d’acqua e ai fiumi che sgorgano dalle colline. Inoltre per l’area di Kalahandi, tristemente nota per le siccità, gli effetti avrebbero potuto essere devastanti. La protesta dei Dongria contro Vedanta si è svolta a livello locale, nazionale e internazionale. Gli indigeni hanno eretto blocchi stradali, hanno formato una catena umana intorno alla Montagna della Legge e hanno persino dato fuoco a una jeep della compagnia che stava attraversando l’altopiano sacro della montagna. Ma finchè ai piedi delle colline esisterà la raffineria, non considereranno davvero salva la loro montagna, e non smetteranno di lottare. La determinazione e la tenacia dimostrata dai Dongria ha fatto guadagnare loro una popolarità internazionale. Sono stati d’ispirazione per altri popoli indigeni del paese e del mondo. |