Indigenous Peoples

Il popolo invisibile dell'Australia

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09 Febbraio 2012

Swan Hill, Victoria. Jida Gulpilil conduce le danze in occasione della cerimonia della risepoltura degli Antenati Wamba Wamba

Gli aborigeni in lotta per il recupero delle loro terre e tradizioni


La prima impressione che si ha viaggiando per il continente australiano è che gli aborigeni non esistano. Della loro presenza e della loro cultura non si vede traccia se non nei negozi di souvenir, dove non mancano mai gadget folkloristici dedicati alla tradizione dei Nativi.

L'Australia letta sui libri o vista nei film ci presenta gli aborigeni come una cultura in via di estinzione, da conservare tutt'al più nelle teche dei musei; un popolo sul viale del tramonto, ormai finito, allo sbando.

In realtà le cose stanno in maniera completamente diversa.

Spesso chi intraprende un viaggio in Australia ha molte difficoltà ad entrare nella realtà aborigena per via della comprensibile diffidenza verso i bianchi. L’immagine che viene di loro è quella di persone per la maggior parte poco consapevoli della loro identità, fiaccati da alcol e da troppe persecuzioni.

Niente di più lontano dalla realtà. I Nativi australiani costituiscono un popolo organizzato, ben consapevole della propria cultura, e perennemente in lotta alla riconquista delle proprie terre e del diritto a manifestare la propria tradizione. Ma allo stesso tempo è un popolo invisibile, che apparentemente non ha nessun tipo di incidenza nella realtà australiana disegnata dai colonizzatori.

La cultura di questi ultimi si è radicata nella terra strappata ai Nativi australiani. Tuttavia è palpabile il fatto che le varie comunità presenti in Australia, compresa quella dominante degli anglosassoni, non riescono a gestire completamente il rapporto con la natura territoriale del continente di cui comunque si sentono inevitabilmente e disperatamente ospiti. Tanto che la quasi totalità della popolazione globale, escludendo i Nativi, si rifugia ad abitare abbarbicata soprattutto lungo le coste del continente.

Il continente australiano è una terra immensa e difficile, abitata dai Nativi da almeno 60-80 mila anni. La storia ci racconta che a partire dal 1770 il continente è stato invaso a più riprese dagli inglesi che lo hanno utilizzato come sede di colonie penali.


Un momento della cerimonia per la risepoltura degli Antenati Wamba Wamba

All'inizio i Nativi li accolsero con le migliori intenzioni rispondendo, a chi voleva comprare i loro terreni, che la terra non era in vendita perché nessuno poteva possederla. Sul principio della "terra nullius", più tardi le colonie penali si impossessarono del territorio "di nessuno" e si trasformarono in una società di coloni in cerca dell'oro o con l'intento di avviare redditizie imprese agricole.

Nella società disegnata dai coloni non c'era posto per i Nativi: il divario culturale era abissale. I primi erano protesi verso il profitto e vedevano il nuovo continente come una terra di conquista. I secondi invece avevano una visione radicalmente opposta: la loro società era basata su una filosofia che non contemplava il possesso e l'arricchimento. Il loro legame mistico con la terra era ed è la loro principale forza.

I Nativi furono così sottoposti ad evangelizzazione in una forzata integrazione sociale. Le cronache parlano di deportazioni, assassini di massa e ogni genere di vessazioni fisiche e morali, fino al caso della "stolen generation" oggi narrata da libri e film: dalla fine dell'800 fino agli anni '60 del ‘900 il governo australiano strappò dalle loro famiglie decine di migliaia di bambini aborigeni con l'intento di educarli come membri della società bianca.

Storie già sentite e già vissute. Le stesse storie che raccontano i Lakota, gli Apache, ma anche i Nativi europei come gli scozzesi, i bretoni o gli occitani. Storie di popoli perseguitati e costretti ad una integrazione forzata.


Le tradizioni

Nel mondo degli australiani bianchi esiste il luogo comune secondo cui i Nativi sono tutti nei territori del Nord. Niente di più falso. Le comunità aborigene sono presenti in tutti gli stati australiani.

Nello stato del Victoria esistono comunità native tra le più antiche, e non sono certo un popolo allo sbando come vorrebbe il luogo comune. Sono organizzate in federazioni, a loro volta collegate con le federazioni aborigene degli altri stati australiani. La loro cultura è più che mai viva, le loro tradizioni sono portate avanti sia dalle nuove che dalle vecchie generazioni.

I clan del Victoria hanno una storia antichissima, secondo i ritrovamenti è antica di almeno 80.000 anni. Costituivano una delle più antiche e progredite comunità aborigene dell'Australia, che prima della colonizzazione viveva in prosperità e benessere basando la sua società su tecnologie agricole sofisticate che consentivano loro di lavorare poche ore al giorno e di godersi la vita. Poi è arrivato "l'uomo bianco" e questo Eden è andato distrutto.

Dopo essere stati invasi, la proposta dei missionari che offrivano loro la conversione in cambio di un rifugio sicuro, appariva come l'unica possibilità di sopravvivenza.


Le leader spirituali delle comunità aborigene aprono la cerimonia

Ma la loro tradizione è continuata nella clandestinità. Secondo le loro stesse parole, per ironia della sorte fu proprio nelle missioni che poterono in qualche modo dare una continuità al loro popolo e difendere le loro tradizioni, anche se occultamente.

La prima grossa sorpresa è scoprire che questo popolo invisibile è organizzato, consapevole, proteso verso il futuro, addirittura in crescita. La seconda grande sorpresa è la scoperta che molti di loro non si distinguono dagli altri australiani: hanno la pelle bianca, ma si sentono "Nativi" al pari degli altri aborigeni.

Alcuni di loro ci hanno raccontato la storia delle loro famiglie, la loro lotta per essere riconosciuti "Nativi" dal governo australiano e il loro travagliato percorso alla conquista di questa identità. Ci raccontavano i trascorsi dei Nativi in Australia, le violenze subite, ma anche la ricchezza della loro tradizione.

Ci hanno parlato delle loro tradizioni e della loro filosofia, del loro rapporto con la scienza e con la magia, che per loro sono una cosa unica. Del loro approccio con la ricerca spirituale, che non ha limiti, preconcetti o paletti ideologici. Ci hanno parlato della loro arte terapeutica e del loro rapporto con la Terra. Il bush, la distesa sconfinata di boscaglia che caratterizza l'outback australiano, è per loro una fonte inesauribile di rimedi terapeutici oltre che di nutrimento. Profondi conoscitori del territorio e di tutto quello che può offrire, nel bush trovano tutto quello che può servire loro per nutrirsi e curarsi.

Ma è nel concetto di Dreaming che trovano il loro massimo riferimento spirituale. Jida Gulpilil della comunità Wathaurong lo descrive così: "Il Dreaming è l'inizio da cui proveniamo, in cui crediamo, in cui troviamo le nostre danze e le nostre canzoni scritte sulla Terra. Tutto questo lo scriviamo sui nostri corpi, rappresenta la nostra storia, sono le nostre armi. È per sempre. Continuiamo ad imparare ancora e ancora, dal contatto con il nostro Dreaming."

Molti degli aborigeni che abbiamo incontrato sono persone inserite nella società australiana dei bianchi, tuttavia hanno ben chiara la coscienza della loro identità e delle loro tradizioni.


Le spoglie degli Antenati

Oggi i Nativi australiani sono impegnati in un'azione che ha un sapore simbolico ma che in realtà rappresenta la loro attuale forma di lotta: il recupero delle spoglie dei loro Antenati dai musei e dalle collezioni private di tutto il mondo.

Durante il nostro viaggio abbiamo partecipato ad una cerimonia privata per la risepoltura degli Antenati della Comunità Wamba Wamba. La celebrazione si è tenuta a Swan Hill, un paesino sperduto nell'outback all'estremo nord del Victoria sul confine con il New South Wales, una terra per loro sacra.

La cerimonia rappresentava il compimento di una lotta durata anni per ottenere le spoglie da vari musei di tutto il mondo. L'azione ha un alto valore simbolico, oltre che morale e affettivo: con questa lotta i Nativi australiani vogliono mostrare al mondo che la loro tradizione è più che mai viva e che loro stessi hanno tutte le intenzioni di riappropriarsi di ciò che è stato loro tolto.

La cerimonia era un rito privato a cui assistevano solo i membri della comunità Wamba Wamba e i clan ad essa collegati. Noi eravamo presenti in veste di osservatori della Ecospirituality Foundation, con il compito di testimoniare l'azione e darne visibilità.

La celebrazione consisteva nella risepoltura rituale di alcune decine di Antenati Wamba Wamba, collocati in profondissime fosse. Hanno accompagnato la cerimonia un gruppo di aborigeni vestiti e dipinti in maniera rituale, con danze tradizionali accompagnate dal suono del didgeridoo.

Era evidentissimo l'alto livello di autenticità e intimità tribale della cerimonia, completamente diversa da qualsiasi rappresentazione o spettacolo a cui avevamo precedentemente assistito.

Prima di accedere al territorio sacro dei Wamba Wamba, tutti noi presenti siamo stati sottoposti ad un rito di purificazione. La cerimonia è poi continuata per tutta la giornata con danze rituali, canti e didgeridoo, alternati a discorsi tenuti dai vari capi dei clan presenti. Il tutto sotto la guida degli Elders, i capi spirituali aborigeni, per la maggior parte donne molto anziane vestite con manti tradizionali.

I partecipanti erano per la quasi totalità Nativi di pelle nerissima, persone semplici ma con lo sguardo fiero, colmo di determinazione. Persone inserite nella società dei bianchi, tra cui professionisti, imprenditori, insegnanti, che hanno scelto di non isolarsi dal mondo per non essere degli emarginati e per poter assicurare una sopravvivenza alle loro tradizioni. Ma pur nella contaminazione con la società maggioritaria, la consapevolezza della loro "diversità" era spessa e tangibile. Avevano ben chiara la differenza tra la loro tradizione e le grandi religioni che hanno tentato di assorbirli. E i discorsi pubblici che sono stati fatti durante la cerimonia non lasciavano spazio a equivoci: erano vere e proprie dichiarazioni di guerra.


Swan Hill, Australia. Gary Murray, leader della comunità Wamba Wamba, con Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro della Ecospirituality Foundation

Gary Murray, Elder della Comunità Wamba Wamba e presidente del Wiran Aboriginal Corporation, ha dichiarato: "La cerimonia di risepoltura dei nostri Antenati ha un valore simbolico sotto vari punti di vista, sia culturale che politico, legale o universale. Il fatto che abbiamo rimpatriato, recuperato e riportato i nostri cari Antenati al loro paese, dove sono stati portati via dai colonizzatori dal 1788 fino agli anni '40 dello scorso secolo, è emblematico. Abbiamo dovuto recuperare le spoglie di uomini, donne e bambini da luoghi come Scozia, Inghilterra, Europa, le Americhe e anche qui in Australia. Pensiamo di aver ritrovato la maggior parte delle spoglie degli Antenati Wamba Wamba anche se sospettiamo che altre possano essere ancora custodite nelle collezioni private. Incoraggiamo la gente affinché ce le possano restituire, e quindi a contattarci per andare a riprenderle. Il significato della cerimonia riguarda il collegamento alla Terra, riguarda chi noi siamo al cospetto dell’universo, al cospetto del nostro paese. Riguarda il nostro diritto di manifestare le nostre tradizioni e le nostre usanze, per rispettare i nostri defunti, e in maniera particolare i nostri vivi. Il fatto più grave, nella rimozione delle spoglie dei nostri Antenati, è che si viene a negare la nostra esistenza, perché cancella l’evidenza. E uno dei simboli più cruciali della testimonianza del possesso territoriale, è l’uso del territorio come luogo sepolcrale. La cancellazione di tale testimonianza, come è stato fatto a noi, non è assolutamente casuale. Noi continueremo a perseguire i nostri diritti per mezzo di strategie mondiali, australiane oppure anche solo locali. Siamo determinati ad adempiere agli obblighi culturali e spirituali verso i nostri Antenati, cosa che non vale solo per noi qui nel presente ma anche per le generazioni future in modo che i nostri figli possano sapere che noi siamo le Prime Nazioni, la gente originale, il popolo Aborigeno, il popolo Indigeno. Che eravamo la prima gente di questa terra. Dobbiamo raccontare la vera storia di questo paese. Questo paese appartiene a noi e noi dobbiamo perseguire i nostri diritti. E lo faremo sia con le buone che con la forza."

Guidava le danze e i canti Jida Gulpilil, membro della Comunità Wathaurong. Jida Gulpilil è un artista che attraverso la musica e la danza porta avanti la sua strenua battaglia per la difesa delle tradizioni aborigene. Queste le sue parole: "Fare un regalo ai nostri Antenati tramite la danza è un vero onore. La danza rappresenta la nostra identità e fa vedere la nostra provenienza, rappresenta anche il nostro Paese, la terra dove abbiamo sepolto i nostri Antenati. Dare continuità alle nostre tradizioni per le nostre future generazioni, anche attraverso la danza, è importante per noi perché lì c'è tutta la nostra storia. Una storia condivisa con la Terra e il collegamento ad essa tramite i nostri totem. Tutto questo è importante, così come è importante la tutela della Terra e il legame con essa, in modo che i nostri figli futuri possano capire la responsabilità di proteggere il nostro Paese, le nostre usanze, le nostre credenze, i nostri luoghi sepolcrali e altri luoghi sacri ad essi associati. Siamo stati capaci di superare tanta emotività conflittuale dentro di noi. Abbiamo potuto capire il percorso della nostra cultura. Io ora posso comprendere il mio ruolo e dove può portare me, la mia famiglia, i miei figli. Mi piace credere che non si tratti solo della sepoltura della nostra gente. Si tratta del nostro futuro. Non voglio essere dimenticato o ricordato in un tempo e in un luogo sbagliato. Avere un giusto riconoscimento per chi siamo, cosa rappresentiamo e a che cosa apparterremo per sempre dopo la nostra vita, è fondamentale per noi."

La cerimonia a cui abbiamo assistito era solo una delle azioni compiute in quella direzione. Siamo solo all'inizio: la lotta di cui Gary Murray è il promotore prevede il rimpatrio delle spoglie degli Antenati di molte altre comunità aborigene, e questo significherà combattere una guerra a colpi di carta bollata, di azioni legali e di iniziative di sensibilizzazione presso l'opinione pubblica mondiale.



Gli aborigeni e l'Australia del futuro

Parallelamente alla lotta di Gary Murray, nell'ambito delle Nazioni Unite si sta conducendo un'azione per assicurare agli aborigeni quei diritti umani fondamentali che sono il diritto di manifestare le proprie tradizioni e il diritto alla rappresentanza governativa. Diritti già conquistati con una legge chiamata "Black Act" che però è stata annullata nel 1984.

L’Australia è uno dei pochi Stati che ha votato contro l’adozione da parte dell’ONU della Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni, e solo recentemente non ha potuto fare a meno di riconoscerla. Nonostante il “Sorry day” del 2009, in cui il governo ha chiesto scusa agli aborigeni per la Stolen Generation e per le centinaia di migliaia di bambini rubati alle famiglie e maltrattati negli orfanotrofi, sottoposti a una vita di sevizie, lavori forzati e abusi sessuali, il rapporto con gli aborigeni rimane conflittuale.


Una manifestazione di protesta aborigena presso la Aboriginal Tent Embassy, che da 40 anni sorge nel parco del Parlamento di Canberra, la capitale dell’Australia

Il 26 gennaio scorso la premier australiana Julia Gillard e il leader dell'opposizione Tony Abbott, sono stati costretti ad abbandonare una celebrazione a Canberra dopo l'assalto all'edificio da parte di un gruppo di aborigeni inferociti. Circa 200 persone hanno letteralmente preso d'assalto un ristorante, brandendo bastoni e lanciando pietre. La protesta è esplosa all'indomani delle dichiarazioni di Abbott, che si era detto favorevole ad abolire la “tenda dell'ambasciata”, una sorta di controversa assemblea semi-permanente costituita 40 anni fa dagli aborigeni per la difesa dei loro diritti politici e civili.

Oggi i Nativi australiani, pur mantenendo un profilo distaccato dalla società dei bianchi, si stanno organizzando su una base continentale sviluppando un lento e progressivo recupero della loro identità e dei loro spazi culturali. La loro presenza è invisibile nell'Australia bianca, ma le loro iniziative politiche in seno alla società dei coloni si moltiplicano e vengono attuate con tenacia ottenendo una progressiva rivendicazione dei loro diritti.

Il netto riscatto della loro identità dai preconcetti costruiti dalla società bianca mette in risalto che i Nativi non sono una cultura sorpassata dal modernismo occidentale. Sono ben consapevoli che la loro situazione sociale è dovuta a un problema di conflittualità tra culture differenti: da una parte quella dei coloni, marcatamente religiosa e missionaristica, e dall'altra la loro, riferita a valori di rapporto con la natura e di libertà individuale.

Per poter esprimere e ottenere il rispetto e il riconoscimento della loro identità i Nativi sviluppano una prassi di lotta non apertamente conflittuale, ma basata sull'azione della rivendicazione di terre e di diritti sociali in sede legale, come il rimpatrio delle spoglie degli Antenati, e sull'espressione culturale e artistica come manifestazione della loro tradizione e della loro identità.

In più, i Nativi australiani hanno dalla loro parte il rapporto con la terra e con le tradizioni. Nel vuoto di valori della società australiana, paradossalmente si può ritenere che la società dei bianchi, oggi manifestazione di un potere politico e sociale in cui si identifica l'Australia, potrà avere un futuro proprio a partire dall'integrazione dei Nativi nel contesto politico e culturale generale.

Solo gli aborigeni potranno mediare il rapporto tra la società australiana e l'immensa terra del continente che ancora oggi i coloni sono impotenti a gestire interamente. La terra è dalla parte dei Nativi, e loro lo sanno.

 

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