Leggende e Tradizioni |
San Giorio: una festa antica |
07 Giugno 2011 | ||||||||
San Giorio di Susa, festa patronale, sabato 30 aprile. Arriviamo a San Giorio che non è ancora buio, in tempo per godere lo spettacolo della Valle di Susa con le cime più alte ancora completamente innevate ed illuminate dal sole al tramonto. In mezzo alla valle spicca il castello medievale, davanti al quale si svolge abitualmente la rievocazione storica con cui si celebra la festa di San Giorgio, patrono del paese, ma quest’anno la festa si svolgerà in Piazza Velino, ai piedi del municipio, causa la ristrutturazione in corso del castello stesso. In piazza non c’è ancora nessuno e l’aria è quella frizzantina di montagna. Cominciamo ad incontrare qualche personaggio in costume ed un imponente signore vestito di velluto nero ci accoglie cordialmente, annunciandoci che lui sarà “il cattivo” della storia. Ci disponiamo ad aspettare e intanto la piazza si riempie sempre più di persone: è soprattutto gente del paese, attenta, allegra. Arrivano dai paesi vicini, ma non ci sono turisti. Appare come una festa intima, che appartiene alla comunità. Alla fine la festa comincia. Dopo una breve presentazione e i ringraziamenti di rito, arrivano i figuranti. La festa comprende la rievocazione storico leggendaria de "La Soppressione del Feudatario" e l’esibizione degli Spadonari nella loro tradizionale danza.
Nel sito del Comune si legge: “La leggenda narra dell'epopea di un popolo contadino vessato di tributi ed angherie da un tirannico signorotto locale: l'estremo tentativo del despota di far valere il crudo abuso dello "ius primae noctis" scatena la ribellione degli umili e nel lieto epilogo trionfa la libertà. Questa sagra, imperniata su un evento storico riferito all'epoca medievale, è stata rappresentata per la prima volta sulle alture del castello medievale nel 1929, anno in cui l'allora parroco, don Attilio Bar, descrisse il copione. Una rievocazione che vede la partecipazione di un centinaio di personaggi in costume d'epoca, in cui accanto alla loro generalità di balli e a canti risalenti alla tradizione locale, spiccano le figure degli Spadonari, che eseguono la caratteristica Danza delle Spade, di fantasiosa, incerta ma comunque antichissima origine.” La gente del paese impersona i vari personaggi della storia: i contadini, le pastorelle, il Conte e la Contessa, le damigelle. Sfilano davanti al pubblico, salutati calorosamente dagli amici, quindi prendono le posizioni convenute e la storia ha inizio. Assistiamo subito alla prima esibizione degli Spadonari. Sono sei e si schierano con le spade alzate, spalle al pubblico. Hanno costumi composti da pantaloni bianchi o neri e giacche ricche di decorazioni; tutti portano un cappello nero ornato di fiori e di nastri pendenti sulle spalle. Il loro abbigliamento ricorda quello degli Spadonari di Giaglione e di Venaus. Sono accompagnati dal solo rullio del tamburo. I loro movimenti sono lenti e solenni. Compiono una serie di figure spostandosi con dei saltelli, incrociano le spade, le lanciano in alto, le riprendono, le incrociano ancora. Strisciano le spade per terra per quattro volte, rivolgendosi nelle quattro direzioni. I loro movimenti sono del tutto simili a quelli che compiono gli altri spadonari, a Giaglione e a Venaus, prova di una precisa tradizione tramandata nel tempo.
Gli Spadonari si fermano e la rievocazione va avanti, per fermarsi poco dopo e concederci un’altra loro bella esibizione. Questa volta i movimenti sono ancora più solenni, quasi rituali: le spade vengono fatte strisciare per terra e ancora lanciate in alto, scambiate e riprese, incrociate; gli uomini si uniscono e si allontanano, si mettono in cerchio, si muovono tre a tre. Le danze degli spadonari sono state studiate ampiamente da ricercatori universitari, quali Gian Luigi Bravo e Piercarlo Grimaldi, per citarne solo alcuni; si ipotizza una loro origine molto antica, tant’è che sono state trovate incisioni preistoriche di danzatori con le spade: si parla di riti della fertilità con le spade che fendono la terra per dare origine a nuova vita, spade che simboleggiano il passaggio dall’inverno alla primavera, la rinascita della luce dopo il buio. In effetti, anche i costumi ricchi di colori, decorazioni e fiori sottolineano legami primaverili. E’ evidente che è una danza antica, sembra un rito che vuole in qualche modo unire la terra al cielo, ricordare che l’uomo si trova a vivere tra l’una e l’altro e può salire, come la spada lanciata in alto, verso le stelle: la possibilità di una rinascita. La spada stessa è di per sé un simbolo, basta pensare ad Excalibur, la leggendaria spada di Re Artù ... La rievocazione prosegue: conosciamo il Conte e la Contessa, lui crudele e incurante della pietà, lei buona e caritatevole verso il popolo; le pastorelle danzano in cerchio e cantano di rimando ai contadini che a loro volta si esprimono in un bel coro maschile, in piemontese. Poi il cattivo signore cerca di esercitare lo “ius primae noctis” su di una giovane pastorella, ma il popolo si ribella e attacca il signore e i suoi armigeri. Gli armigeri sono impersonati dagli Spadonari che, però, per la performance da sgherri si cambiano d’abito e ci fanno chiaramente capire che la rievocazione e la loro danza sono due cose diverse. Alla fine i cattivi sono sconfitti e il popolo festeggia la libertà conquistata.
Un grande applauso premia il lavoro di tutti e gli attori sfilano fuori dalla piazza. Veniamo invitati a festeggiare insieme ai figuranti e a tutto il paese in uno spazio dedicato alle danze. Andiamo anche noi e ci troviamo in un clima di festa che coinvolge tutti, giovani e anziani. Si mangia, si balla, c’è musica. Anche se non ci sono danze tradizionali come quelle bretoni, il clima è lo stesso dei fest-noz cui abbiamo partecipato in Bretagna. E’ una festa della comunità, ma non ci sentiamo estranei: nessuno ci guarda male, tutti si godono la festa e basta. Alla fine ce ne andiamo con la sensazione di aver colto una di quelle tradizioni che non si sono perse né trasformate in folklore turistico. La festa è continuata domenica 1° maggio con la processione e la benedizione del pane, tradizione anche questa antichissima e diffusa in molte feste tradizionali piemontesi. Il pane benedetto un tempo si teneva in casa e si usava nei momenti del bisogno, contro le malattie e i pericoli: una sorta di magia buona che poteva proteggere gli uomini, gli animali, la terra. La Chiesa nel Medio Evo si è introdotta in questa festa come in tutti gli aspetti della vita delle persone, appropriandosi di riti e tradizioni che non avevano nulla di religioso ed appartenevano alla cultura dei nativi europei. Alla festa di San Giorio gli Spadonari, con la loro danza, ricordano questa cultura ben più antica ed evidentemente mai dimenticata. D’altra parte al castello si trova un antico masso coppellato che collega inequivocabilmente San Giorio al megalitismo e di fianco al municipio è esposta una bella ruota forata, simbolo sacro per tutti i nativi del mondo. |