Leggende e Tradizioni

Beò de Blins, nel segno di una antica tradizione

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29 Febbraio 2012

Danze occitane alla Beò de Blins

Un rito pagano ancestrale si protrae nel tempo attraverso i millenni nelle terre occitane e reca con sé le tracce di una tradizione che non è mai morta


Bellino (Cuneo), alta Val Varaita, 21 febbraio. Siamo nel cuore della cultura occitana, che mantiene le sue evidenti radici celtiche. Il nome stesso del paese, Bellino, secondo molti studiosi ha origine dall'antica divinità celtica Belenus.

Nella frazione di Celle, a 1700 metri di altitudine, tra le montagne innevate, immersi in un panorama mozzafiato, vediamo radunarsi strane figure abbigliate con costumi molto variopinti.

I copricapi elaborati, da cui si dipartono nastri ricamati coloratissimi, ricordano quelli indossati da alcune tribù indios o da sciamani di certe etnie asiatiche. Altre figure sembrano voler raffigurare l’Uomo Selvatico presente nelle tradizioni di tutte le valli alpine, o le emblematiche presenze delle Masche che ricorrono nelle valli piemontesi.

Ma il personaggio che più ci colpisce, e su cui si impernia tutta la manifestazione, è uno strano essere il cui volto non viene mai mostrato, anzi, il volto è reso addirittura invisibile da una complicata struttura composta da specchi.

La strana tribù si rassembla e chiama a raccolta l’intero paese, che in realtà non è un vero e proprio paese, ma è un comune che raduna più frazioni, chiamate contrade. Gli abitanti delle contrade di Bellino sono tutti raccolti intorno a questa manifestazione, un vero e proprio rito pagano le cui origini sono incerte, di sicuro millenarie.


Lo Sciamano viene trascinato in catene

Al suono di campanacci, la tribù si mette in moto, e inizia la rappresentazione.

Il rito è complicato, e si snoda attorno alla figura-chiave: lo strano essere, chiamato Lou Turc, con il viso fatto da specchi, che viene trascinato in catene per tutta la sfilata da personaggi che vogliono rappresentare i gendarmi, le autorità e i notabili del corteo. Il personaggio misterioso, che presto si rivelerà lo sciamano di una tradizione pagana, è l’“alieno” della situazione. E’ il cattivo da annientare o da convertire.

Egli per tutta la durata del corteo cercherà di scappare, parlerà una lingua che nessuno capisce, avrà delle reazioni incontrollate passando davanti a chiese o a effigi religiose, sarà l’elemento estraneo che deve essere neutralizzato e reso inoffensivo.

Le altre figure emblematiche, come Lou Viei che ricorda nel costume l’Uomo Selvatico, o La Vieio, che ricorda una Masca, seguono un complicato rituale a metà fra la rappresentazione teatrale e il rito folklorico, che si ripete sempre uguale di contrada in contrada, da Celle a Chiazale, da Prafouchier per finire di nuovo a Celle. C’è anche l’Arlequin, un personaggio multicolore, che viene costantemente controllato da un alpino.

Il personaggio dell’Arlecchino è una figura che ritroviamo in tradizioni antiche molto lontane fra di loro, dal Nord al Sud Italia, ma anche nel folklore francese e germanico del medioevo. Il suo ruolo è ambiguo: è il personaggio folle e fuori dagli schemi che non vede un netto confine tra bene e male, e per questo viene spesso associato ad una figura demoniaca.


L’Uomo Selvatico del Branlou di Mezzenile

Già nel XII secolo, Orderico Vitale nella sua Historia Ecclesiastica racconta dell'apparizione di una familia Herlechini, un corteo di anime morte guidato da questo demone/gigante. Un demone simile è l'Alichino dantesco che appare nell'Inferno come capo di una schiatta diabolica.

Nonostante tutta la rappresentazione venga interpretata rigorosamente nella lingua occitana del luogo, o “lingua d’Oc”, assolutamente incomprensibile per chi non è del posto, il significato è piuttosto chiaro: si tratta infatti con molta evidenza della rievocazione di una oppressione subita dall’antica religione pre-cristiana esistente in epoche remote in queste valli. Come dire: “per non dimenticare”.

A giudicare dalla partecipazione di tutto il paese alla celebrazione, si direbbe che ogni persona presente conosca molto bene il significato, pur se tutti affermano di non sapere le vere origini della ricorrenza. Eppure tutti quanti sono partecipi e si sentono legati da un comune sentire, che sembra unirli indissolubilmente. Soprattutto il martedì grasso, il momento culmine della cerimonia, a cui, dopo tre giorni di festeggiamenti, partecipa normalmente solo la gente del posto.

La Beò de Blins è solo un esempio tra i tanti: sono molti gli strani riti che vengono celebrati in questo periodo. Il Carnevale sembra “sdoganare” certe usanze pagane, come se in virtù del fatto che “a carnevale ogni scherzo vale”, per una volta all’anno ci si permettesse di essere irriverenti nei confronti della religione secolare, e nelle valli alpine si mostrasse un volto normalmente nascosto.

In Valle d’Aosta si celebra la “Coumba Freida”, dove troviamo gli stessi personaggi e gli stessi abiti, con varianti minime. Anche qui, abiti molto variopinti, copricapi addobbati con ricchi nastri multicolori. Il rito della Coumba Freida si impernia sul tentativo di domare un orso selvatico che però riesce sempre a farla franca.


La Coumba Freida della Valle d’Aosta

Spostandoci in Valle di Susa, a Mompantero, sempre in questo periodo, si celebra la Fora l’Ours, una tradizione antichissima che si fa risalire ai Celti che abitavano queste vallate. Il personaggio principale è un orso (interpretato da un uomo di cui fino all’ultimo non si conoscerà l’identità), che viene trasportato in catene per tutto il paese e viene deriso e fatto oggetto di percosse e scherzi. L’obiettivo è domarlo, sottometterlo. Il significato di questa celebrazione viene spiegato come la soppressione dell’antico culto pre-cristiano: l’orso rappresenta l’Uomo Selvatico, lo sciamano detentore dell’antica tradizione. Nel Molise si può assistere ad una celebrazione pressoché identica, tanto che tra Mompantero e Jelsi (Campobasso) è stato fatto un gemellaggio con uno scambio di reciproci riti.

A Mezzenile, nelle Valli di Lanzo, in questi giorni ci si può imbattere in uno strano Carnevale: il Branlou. Anche qui personaggi misteriosi sfilano per il paese, e guarda caso ritroviamo l’Uomo Selvatico, lo Sciamano, la Masca, i Diavoli, questi ultimi con la stessa funzione dell’Arlecchino della Beò de Blins.

E’ già curioso ritrovare stesse celebrazioni e medesimi personaggi in valli e paesi lontani tra di loro centinaia di chilometri, ma è ancora più singolare quando le distanze in chilometri sono migliaia: nei Pirenei si ripete ogni anno una tradizione con uguali modalità.


L’Orso in catene nella Fora l’Ours di Mompantero

Ci chiediamo come sia possibile che antiche tradizioni, lontane tra di loro, che hanno subìto ogni genere di oppressione e che sono state sottoposte a ogni tentativo di annientamento, vengano ricordate con tanta intensità e pervicacia.

La Beò de Blins si svolge ogni tre anni, per assistere alla prossima celebrazione dobbiamo aspettare fino al 2015. Al termine di tre giorni di festeggiamenti, il rito si conclude a notte fonda con un grandissimo falò in cui si brucia il “ciciu”, un pupazzo di paglia che veste abiti tradizionali, a cui viene dato fuoco come in una sorta di morte e rinascita. Il fuoco rigeneratore annullerà tutte le negatività concentrate nel “ciciu” per lasciar posto ad un rinnovamento della comunità.

Attorno al falò tutti i partecipanti si scatenano in danze occitane al suono degli organetti che eseguono musiche tradizionali, in una catarsi collettiva.

La nostra immaginazione va al giorno dopo, quando tutti quanti torneranno alle loro consuete abitudini e si risveglieranno come da un sogno, tra le montagne che hanno assistito solennemente ad un rito che non può esistere, e ognuno dei partecipanti si porterà nel cuore una storia invisibile, e silenziosamente comincerà a decorare i nastri e gli abiti che indosserà fra tre anni.



 
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