Leggende e Tradizioni |
La selva misteriosa |
01 Agosto 2012 | ||||||||||
Luoghi incantati delle Valli di Lanzo
Salendo verso il Pian della Mussa, in Piemonte, alla fine delle ultime case di Balme, capoluogo della Val d'Ala, si incontra sulla sinistra, accanto all’antica costruzione di un vecchio mulino datato 1754, un rustico ponticello (lou pount d’an sìma la Tchinàl) che attraversa la Stura. Dall’altra parte del fiume, in destra orografica, vi è un area semipianeggiante, fino a qualche estate fa meta preferita di campeggiatori domenicali e dove sorge ora la nuova pista per il pattinaggio su ghiaccio. Il luogo è qualificato localmente con il toponimo “La Ghiéri”, reminescenza di qualche antico deposito alluvionale. Un grande blocco di pietra, il “Roc da Ghiéri”, domina ulteriormente la zona. Esso, divenuto ad inizio Novecento palestra di allenamento dei giovani della SARI (Società Alpina Ragazzi Italiani), associazione fondata nel 1908 da Eugenio Ferreri che ricoprirà dal ’29 al ’34 la carica di Commissario Prefettizio di Balme, è oggi abitualmente conosciuto come Rocca Sari. Una croce alla base ricorda la caduta accidentale e la morte, avvenuta il 29 luglio 1936, del Professor Lorenzo Borelli, medico e professore universitario, tra i fondatori del Club Alpino Accademico e suo presidente tra il ’22 e il ’23. A monte del macigno è attivo da qualche anno il parco avventura “L’Aghieri”, posto delle aquile, secondo un’altra interpretazione del nome riportata da antichi documenti, dove è possibile esercitarsi tra i ponti acrobatici installati sugli alti larici presenti. Accanto al masso, nella primavera del ’29 iniziarono i lavori per la costruzione di un trampolino per il salto con gli sci, inaugurato il 30 marzo 1930 con una gara che vide la vittoria del balmese Pietro Castagneri “Aria”. La struttura, inutilizzata da tempo e invasa da una fitta vegetazione, è stata recentemente ripulita e resa nuovamente visibile, sia pure nella sua austera semplicità.
Un balzo più indietro nel tempo è invece testimoniato dal ponte in pietra di Bogone, poco più in alto, fabbricato una prima volta nel 1622 e, dopo le precedenti costruzioni regolarmente asportate dai ricorrenti fenomeni alluvionali, realizzato a doppia arcata nel 1713 e, sia pure parzialmente danneggiato dall’alluvione del 2000, giunto fino ai nostri giorni. Il ponte assumeva particolare importanza in passato come principale collegamento al sentiero per raggiungere i fertili pascoli della Mussa e i colli verso la Savoia. Poco sopra il ponte, un pianoro prativo su cui incombe una ripida parete è detto l’Urdjéri, forse per l’antica coltivazione dell’orzo. Più a valle, nei pressi della cascata della Gorgia, su cui fu costruita una passerella panoramica fin dal 1882, fu realizzata, scavando nella roccia e traendovi numerosi cristalli di quarzo, la ghiacciaia di servizio all’albergo Camussot e il relativo edificio adibito a macello, costruito nel 1914. Con una bellissima veduta sulla vallata sottostante, negli anni ’30 fu edificata nelle vicinanze Villa Castagneri, imponente fabbricato in pietra a vista progettato dall’architetto e pittore Gigi Chessa. La casa, nel giugno del 1944 fu requisita dai partigiani della brigata Garibaldi e adibita a ospedale, diretto dai dottori D’Agata e Quaglia e, pochi giorni dopo, già sgomberato a seguito di un rastrellamento. Due partigiani, feriti e intrasportabili, affidati alle cure di un compagno, si nascosero sotto una barma, roccia sporgente nei pressi del trampolino. Questo riparo, noto ai balmesi come la Ròtchi dal Gouàrdies, la roccia delle guardie, è in un punto strategico per il controllo dei tragitti dei contrabbandieri, ed era utilizzato dagli agenti della Guardia di Finanza che fino alla metà degli anni’50 presidiavano il confine con la Francia ed erano alloggiati in una casermetta in centro paese. I partigiani, presto scoperti, furono torturati e fucilati il 4 luglio, uno all’interno del riparo roccioso, gli altri sul ponticello in legno. L’intero versante, che si eleva per circa trecento metri di dislivello, rivolti a nord, caratterizzati da fitti faggeti, lariceti e fronti rocciosi, ambiente preferito da camosci, caprioli e scoiattoli, vede nascere ai suoi piedi una sorgente di acqua limpida e pura che, raccolta nella vasca detta appunto della Ghiéri, viene erogata a buona parte delle abitazioni del paese. Il comune nel 2004, contemporaneamente ad un intervento di miglioramento boschivo, fece ripristinare il sentiero che, diramandosi da quello che conduce all’alpe dell’Arbousàtta, conduce ad un terrazzo intermedio, a circa 1650 metri, noto come Pian di Sarasìn. Il toponimo, che potrebbe richiamare antiche e possibili frequentazioni saracene, è più plausibilmente riferito alla presenza di grandi costoni di roccia frastagliata, detti localmente saràs.
Nel 1962 una sciovia precedentemente realizzata sulla valanga nera al Pian della Mussa per la pratica dello sci estivo e danneggiata da una slavina, fu rimontata perpendicolarmente alla sciovia “Pakinò” e proprio perché orientata in direzione dell’ altopiano, venne denominata “Sciovia Sarasìn”. Un pilone in metallo, nei pressi di una vasca dell’acquedotto della Coumba, ne rammenta la collocazione. Nello stesso punto in cui si lascia il sentiero principale per addentrarsi verso destra nel bosco in cui altissimi larici e faggi fanno a gara per elevarsi alla ricerca di un po’ di luce, preceduti da un passato rimboschimento di abeti, una lunga fila di pietre delimita la proprietà comunale da quella privata. Più avanti, un ruscelletto solca la boscaglia e, in inverno, il suo canale è il naturale percorso di una valanga che interrompe il sentiero che dalla cascata conduce ai Cornetti e si getta nella Stura, nei pressi della centrale idroelettrica. Negli inverni più secchi, si trasforma invece in una stretta lingua ghiacciata, adatta talvolta alle imprese degli sportivi. Il recente interesse suscitato dallo studio del territorio balmese, ha incoraggiato la lettura e l’esplorazione di spazi abbandonati nel dopoguerra a seguito dello spopolamento e del venir meno della pratica agricola e forestale. Va ricordato infatti, come il bosco di cui stiamo trattando ebbe spesso in passato un ruolo significativo, come per esempio nel 1771, quando “la comunità delibera di avvalersi degli alberi d’alto fusto formanti la selva dell’Aghieri per cuocere la calce occorrente alla fabbricazione della nuova chiesa, previo il permesso dell’uffizio dell’Intendenza”. Spesso, come avviene per esempio nel 1906 per far fronte alla propria quota di partecipazione ai miglioramenti stradali che interessano la valle, si fornisce il bilancio del comune di un entrata straordinaria da reperirsi mediante “un buon taglio di piante nel bosco comunale nella regione Ghieri, Re della Zeppa, Urgieri e Sarasin ove si può ottenere una buona martellatura”. L’intera superficie aveva comunque una rilevanza anche per l’economia degli abitanti stessi del paese. Il comune infatti, pur riservandosi la gestione delle piante di alto fusto, era solito suddividere e assegnare in lotti i terreni comunali meno pregiati, posizionati nell’inverso, scoscesi o boscati, ai fini di garantirsi un sia pur limitato ritorno economico. Mentre per i prati liberi da alberi era stata istituita una tassa sul pascolo, si affittavano invece all’asta ogni triennio ad uso “pascolo e legnatico” gli altri appezzamenti.
La regione Inverso, Ghieri e Sarasino che ci riguarda, era suddivisa in ben 47 lotti, sui quali gli affittuari potevano pascolare mucche e pecore, falciare l’erba e il cosiddetto fieno di montagna, raccogliere la legna morta, tagliare l’ontano selvatico e, in autunno, raccogliere le foglie per le lettiere degli animali. Era altresì consentito lo sfrondamento dei rami dei larici nella misura prevista dalle leggi forestali. L’esplorazione di questa ampia e misteriosa fascia di territorio, non si esaurisce con la raccolta della memoria storica ma, grazie alla segnalazione di altre curiosità non meglio localizzate, ci si è recentemente dedicati alla loro ricerca. E così, dal Pian dei Sarasìn, salendo tra massi erbosi e buche pericolose (bouìres), si giunge alla base della barriera rocciosa che culmina sulla dorsale del Pilone di San Pancrazio. Qui, in una posizione suggestiva si trovano i resti di una costruzione, conosciuta come la Barma dou Sarvàdjou (la balma del selvaggio). Il riparo, come si ritrova comunemente in altre parti, è costituito dalla sporgenza naturale della rupe che funge da copertura e da un tratto di muro a secco con relativo ingresso e di un piccolo spazio laterale che introduce ad uno stretto cunicolo che si perde nella roccia. Il termine sarvàdjou (selvaggio), tramandatosi nel tempo ma di cui non si conosce più traccia, conferisce al luogo, di per sé fortemente enigmatico, un’atmosfera affascinante e fa supporre che fosse luogo di ricovero, più o meno temporaneo, per qualcuno allontanatosi dal resto dei paesani, magari disertore o appestato, oppure rifugio di qualche sbandato trovatosi a percorrere la valle. O forse abitazione del leggendario uomo selvatico di cui si ha testimonianza nell’arco alpino e che a Balme è riconducibile all’appellativo Barbàn, presenza indefinita che intimoriva le notti dei bambini. Un’altra particolarità, dopo pazienti ricerche è stata rintracciata: è la Tchòca di Sarasìn (la Campana dei Sarasìn). Si tratta di un masso all’interno del quale si trova un incavo naturale che ricorda l’interno di una rustica campana, molto simile alla Tchòca di San Perou (Campana di San Pietro) individuata nei pressi della torbiera di Pian Saulera. La si trova poco lontano, proseguendo in direzione della Bessanese (ovest), lasciandosi sulla sinistra le grandi fiancate di roccia friabile in cui il gelo, la pioggia e il vento hanno scolpito curiose cavità che meritano attenzione. Qui la natura ha fatto il suo corso e dopo decenni di totale abbandono, alberi schiantati dai venti e dalla neve e una vegetazione dirompente conferiscono al posto un fascino particolare.
Seguendo una traccia appena accennata, si raggiunge questo masso, duecento metri a precipizio sopra l’alpe del Castàs. Appena a valle si imbocca un sentiero ora appena riconoscibile e sconsigliabile, lungo l’accidentato pendio delle Còstes at Bougoun che un tempo collegava il vallone della Coumba, ricco di alpeggi, con la frazione Bogone e il Pian della Mussa. Nelle vicinanze i ceppi residui di antichi tagli di larice rammentano l’antica vocazione forestale del sito. Potrebbero essere quegli stessi alberi che, fatti rotolare nel canalone dell’Urgiéri per avvicinarli alla strada, trascinarono insieme la guida alpina Giuseppe Castagneri Tucci (detto Rous at Minòt) di 38 anni, causandone la morte il 24 ottobre 1921. Da quel punto, risalendo con qualche difficoltà verso la sommità del crinale in una fitta boscaglia di ontani, si raggiunge la Castà, ampio crestone boscato che fa da spartiacque. Nel punto in cui si sbocca si ha, proseguendo verso destra, il pianoro del Lousàs (grande losa), mentre andando a sinistra si trova un belvedere roccioso, denominato la Tchapéla dou Frà, la cappella del frate. Anche in questo caso è difficile riallacciarsi all’origine del toponimo ma è facile riconoscere nel luogo, vista la posizione elevata sulla valle sottostante ed alla pace che lo circonda, un punto adatto al raccoglimento e alla contemplazione. Poco distante il pilone dedicato a San Pancrazio offre una spettacolare visuale sul paese sottostante e sulla Val d’Ala. La via del ritorno può avvenire seguendo il sentiero che attraversa il pendio e conduce alle malghe in parte diroccate della Coumba, oppure si può discendere direttamente sulla dorsale a valle del pilone. La selva della Ghiéri o dell’Aghiéri, che a prima vista potrebbe sembrare una zona di modesta attrazione, cela invece numerosi segreti che abbiamo voluto raccogliere, svelare e condividere, come un invito a percorrerla e ad esplorarla ulteriormente. Un posto che non troverà i favori degli alpinisti più intrepidi o degli escursionisti esigenti e nemmeno lo spazio adatto per i pic-nic estivi, ma di certo un ambiente sorprendente in cui, magari in solitudine, si possono provare sensazioni primordiali che ci riconciliano con noi stessi e ci rappacificano con il mondo circostante.
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