Meditazione

La meditazione, il frutto proibito dell’Eden

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15 Marzo 2011



L'Yggdrasil, l'Albero della Vita degli antichi Druidi

L’antica civiltà planetaria e il mito dell’Eden nella sua sopravvivenza attraverso i miti e i simboli dei Popoli naturali. Una antica conoscenza che può portare l’individuo di ogni tempo alla sintonia con l’Assoluto e a realizzare una Nuova Terra. Tra i simboli della Tradizione, l’Albero Sephirotico della Qabbalah ebraica e l’Yggdrasil druidico rappresentano l’archetipo evolutivo presente nell’universo che può essere interpretato nell’esperienza della meditazione per realizzare benessere e conoscenza.


Dall’alba dei tempi l’uomo ha cercato di capire la natura e il significato dell’esistenza che stava vivendo, giungendo a paragonarla a un sogno vissuto in un sonno misterioso. E proprio in questa condizione di sonno venne compreso che era necessario risvegliarsi a un’identità interiore per accedere alla vera realtà esistente al di là delle apparenze, per trovare finalmente pace interiore e un posto preciso nel grande caos dell’universo dei sentimenti e degli eventi.

L’uomo scoprì in tal modo la meditazione e i grandi processi dell’ascesi interiore.

Da questa esperienza nacquero i primi cerchi sciamanici che guidarono l’umanità verso il mistero che anima l’universo e all’edificazione di una grande civiltà planetaria che si sarebbe manifestata su tutti i continenti della Terra.

Da questa saga storica dell’umanità è nato il mito dell’Eden, un mondo dominato dalla conoscenza spirituale e tecnologica, un mondo di giustizia sociale e di grandi scoperte scientifiche. Un mondo che tuttavia a seguito di grandi catastrofi ambientali scomparve lentamente sino a divenire un mito come quelli del Graal e di Fetonte.

Ma il valore morale di questa antica civiltà non andò perduto, poiché si volle trasmettere nel tempo il carattere di una conoscenza raggiunta nella speranza che un giorno, nel tempo a venire, l’antico Eden potesse essere nuovamente ricostruito nel segno di una Nuova Terra.

Nacquero in tal modo nel cuore dell’umanità il significato e l’opera della Tradizione. Di essa conosciamo il riflesso storico nell’epopea dei grandi miti, nel significato dei simboli millenari, nella cultura del megalitismo che ha lasciato tracce su tutto il pianeta e nella manifestazione dei Popoli naturali, che da sempre si sono sottratti all’ipoteca delle grandi religioni e che oggi rappresentano i continuatori dell’antico Eden. Attraverso la loro testimonianza possiamo comprendere che i miti non sono solo racconti infantili, ma rappresentano la manifestazione di una conoscenza spirituale ben precisa, antica quanto l’umanità.

I Popoli naturali attuali sono gli eredi di questa antica sapienza. Oggi essi rappresentano la continuità di una conoscenza esoterica segreta, riservata a pochi e veri interessati alla realizzazione spirituale. Ma anche molte religioni conservano, inconsapevolmente, nei loro riti e nelle loro dottrine, elementi comuni e importanti della scienza dello spirito che possono essere recuperati alla loro origine primigenia e restituiti all’umanità nel loro effettivo significato esoterico.

La conoscenza tramandata dal druidismo dei Nativi europei, quale manifestazione della cultura dei Popoli naturali del nostro continente, ci consente di poter intravedere e leggere con chiarezza le tracce della Tradizione che emergono frammentarie dalle varie religioni storiche del nostro tempo.


La continuità della Tradizione nei miti dei Popoli naturali

Per citare elementi dell’antica conoscenza che hanno origine nella Tradizione possiamo ricordare ad esempio il culto della Madonna Nera, l’antica Madre Terra venerata dai Celti, che oggi è stata cooptata e inserita nelle liturgie del cattolicesimo.

Possiamo citare il caso dei Tarocchi che hanno un posto privilegiato nella Tradizione. Il numero delle ventidue lamine degli “Arcani Maggiori” dei Tarocchi è significativo e riveste un preciso ruolo nella conoscenza tramandata dalla Tradizione. Il loro numero è identico a quello delle lettere dell’alfabeto sacro dell’antica Grecia e di altre lingue come l’ebraico che è la base della lettura esoterica della Bibbia. Senza dimenticare che proprio le ventidue lamine dei Tarocchi costituiscono i ventidue capitoli dell’Apocalisse di San Giovanni, l’ultimo libro aggiunto dal cattolicesimo ai testi canonici della Bibbia, tanto da far identificare le immagini di ciascuna lamina negli elementi della narrazione.

Sempre ventidue erano le gemme dell’Hatmar, la ruota degli archetipi di conoscenza donata da Fetonte all’umanità in cui erano racchiuse le scienze del Cielo, della Terra e dell’interiore.

Oggi si crede sempre più diffusamente che le lamine dei Tarocchi contengano effettivamente la conoscenza segreta dell’antica Tradizione, sopravvissuta nel tempo per giungere sino ai nostri giorni. Un mezzo per occultare un messaggio esoterico attraverso un ruolo di gioco di carte per sottrarre il suo messaggio dall’interdizione delle inquisizioni religiose.


La carta dei Tarocchi " Il Matto"

Si ritiene infatti che il messaggio della Tradizione sia così rivoluzionario e in antitesi con le credenze religiose illiberali e i poteri oscurantisti, che se questi si fossero accorti del suo potenziale conoscitivo avrebbero provveduto ad impedire che il gioco si diffondesse come è invece accaduto. Ormai i Tarocchi sono diventati un mazzo di carte comune tra le tante versioni di altre carte da gioco, tanto che oggi se il potere religioso dovesse censurarli avrebbe serie difficoltà a giustificare il proprio gesto dovendo attribuire loro una singolarità sino ad oggi sconosciuta al pubblico.

La Tradizione ha spesso effettuato un suo percorso anche all’interno del mondo dominato dalle grandi religioni storiche, che molte volte si sono prestate in maniera del tutto inconsapevole a costituire un vero e proprio veicolo di continuità. Lo testimoniano l’esistenza delle grandi cattedrali gotiche europee che nelle loro strutture architettoniche celano messaggi esoterici disponibili alla lettura di chi li sa interpretare al fine che la conoscenza della Tradizione possa sopravvivere e circolare anche all’interno della religione che da sempre ha cercato di reprimere.

Tra le svariate forme con cui la Tradizione si manifesta nella storia del mondo maggioritario dominato dalla grandi religioni attuali possiamo prendere in esame la dottrina della Qabbalah ebraica. Dottrina che è alla base della struttura religiosa ed esoterica dell’ebraismo e che mostra in tutta la sua evidenza i tratti essenziali della conoscenza della Tradizione, palesata attraverso simboli ermetici la cui decifrazione è appannaggio di quanti interpretano la religione al di fuori del culto.

La traduzione letterale di Qabbalah significa propriamente "Tradizione" e si riferisce apertamente ad una conoscenza segreta considerata antica quanto l’umanità.

L’origine storica di questa conoscenza va ovviamente ben più in là della cultura del popolo di Israele. La sua dottrina filosofica era già conosciuta con altri nomi presso le civiltà dell’Europa antica, della Mesopotamia e dell’Antico Egitto. I sacerdoti egizi attribuivano alla conoscenza che esprimeva una origine divina, affermando che erano stati gli angeli discesi dal cielo ad insegnarla agli uomini, lasciando intravedere un inevitabile riscontro nei miti celtici del Graal e di Fetonte.

Certamente la Qabbalah apparteneva alle conoscenze segrete dell’antico Egitto e Mosè, il fondatore dell’ebraismo, nelle vesti di principe egiziano e membro della casta dei sacerdoti ebbe occasione di approfondirla e di cooptarla come elemento specifico della cultura ebraica. A Mosè si attribuisce, infatti, l’origine della dottrina della Qabbalah, ricevuta secondo la tradizione ebraica da Dio sul Monte Sinai, in uno dei templi megalitici che sorgono sulla sua cima.

La dottrina della Qabbalah ebraica si incentra su due libri: lo "Sepher Yetzira", ovvero il Libro della creazione, e lo "Sepher ha-Zohar", il Libro dello Splendore. Occorre approfondire l’enunciato filosofico di questi due testi fondamentali dell’esoterismo della Qabbalah per comprendere l’orientamento metafisico e operativo della sua dottrina.


La conoscenza dello Sepher ha-Zohar e lo Shan del druidismo

Lo Sepher ha-Zohar propone una dottrina razionale e compiuta sul piano cosmologico. Afferma che nell’esistenza è manifesto un grande Segreto che coinvolge tanto l’individuo che l’universo, che definisce come un Assoluto esaustivo a se stesso, a cui l’uomo può accedere esperienzialmente, realizzando contemporaneamente il significato e il fine ultimo della propria esistenza.

Afferma che nell’esistenza è manifesto un principio assoluto e segreto, l’ “En Soph”, inteso come l’Infinito, non percepito e inconoscibile agli uomini, ma che ha facoltà di interagire comunque con essi. L’En Soph rappresenta un Ente misterioso al di fuori da ogni possibile comprensione da parte dell’uomo, il quale fa riferimento al mondo sensibile del quotidiano e lo usa come base per la sua limitata conoscenza.

Anche per l’antico druidismo l’esistenza era intesa come un valore assoluto. Un piano di esistenza conosciuto e condiviso dall’antica cosmologia druidica nel concetto di “Shan”. Un termine concettuale usato per descrivere la Natura nel suo aspetto immateriale, sinonimo di “Vuoto”, inteso come un vuoto privo di attribuzioni concettuali derivanti dall’esperienza ordinaria che non poteva giungere a rappresentare l’Assoluto in alcun schema intellettuale.


L'Albero Sephirotico della Qabbalah

Lo Shan comprendeva una rappresentazione cosmologica riferibile all’esperienza vissuta dell’individuo. Un elemento particolare di questa cosmologia era rappresentata dal “cerchio vuoto di Keugant”, che come l’En Soph, anche se trascendente al mondo dell’uomo, è comunque attivo e presente nell’universo come una sorta di Causa Prima in cui si identifica la primigenia natura causale dello Shan, esaustiva a se stessa.

Lo Sepher ha-Zohar afferma che l’En Soph è esprimibile attraverso i dieci Sephiroth, che rappresentano i suoi attributi esperienziali e che possono essere comprensibili dall’uomo, ma afferma che comunque la sua reale natura è sempre al di fuori della loro stessa rappresentazione simbolica, come un dito che indicando una stella potrebbe occultarla se si guarda solamente al dito stesso.

L’En Soph può essere interpretato dagli uomini con l’idea di una Causa prima e può essere anche antropomorfizzato per esprimerlo in una forma simbolica comprensibile, ad esempio citando "la mano di dio" per definire una azione che ha origine divina, ma comunque mantiene la sua natura trascendente ed è fuori dai valori del mondo degli uomini.

Lo Sepher ha-Zohar ricorda come all’interno del sogno sensoriale e mentale vissuto dall’individuo esistono due mondi identificabili con l’esperienza ordinaria, ovvero il mondo manifesto, il “nara” della tradizione druidica, e il mondo nascosto, che nella cultura druidica viene definito come il mondo della “matchka”. L’individuo si dibatte ordinariamente tra questi due contrapposti esperienziali, posti tra ragione e superstizione, credendo di volta in volta di trovare una risposta ai propri problemi esistenziali che lo riconducono inevitabilmente in una o nell’altra delle due dimensioni.

Lo Sepher Yetzira, dal proprio canto, afferma tuttavia che l’uomo non è prigioniero di questi due mondi poiché egli partecipa in ogni caso alla realtà assoluta e trascendente dell’ En Soph e può raggiungerlo secondo proprio bisogno.

L’En Soph non si cela all’individuo e può essere percepito nelle breccie misteriose che si aprono nella matrice fenomenica del vissuto quotidiano.

Ogni volta che c’è una trasformazione dell’ordinario, o quando una situazione stabile è alterata per un qualsiasi motivo, l’Assoluto diviene visibile per un istante mistico passeggero. Lo sciamanesimo druidico cita in proposito il caso dei “fad”, le esperienze occasionali che portano a dare attenzione alla dimensione posta oltre il sogno illusorio del quotidiano per cogliere l’intuizione della manifestazione della realtà dello Shan.

Per intenderci, un fad si potrebbe identificare ad esempio in ciascuno degli eventi che, dopo essersi manifestati, hanno “trasformato” il ricco e mondano principe Siddharta nella figura mistica del Buddha.

Lo Sepher ha-Zohar dice che Dio, dopo aver tratto dal nulla l’intero universo, ha dato vita a ventidue archetipi di esistenza che, uniti in varie combinazioni, hanno creato in seguito tutte le manifestazioni possibili di ciò che esiste nell’universo. Pronunciando il nome delle ventidue lettere dell’alfabeto sacro, messe nel loro giusto ordine, ha quindi concesso all’universo di potersi evolvere fino alla comparsa dell’uomo.

Ed è per questo motivo che oggi ogni uomo, che è unito naturalmente alla natura dell’En Soph, può attivare interiormente il potere immenso della Creazione avvalendosi dell’uso dei ventidue archetipi.

Per tale motivo l’uso e la conoscenza dei significati dei ventidue archetipi apre alla conoscenza dei segreti dell’esistenza che l’individuo può impiegare per migliorare la propria condizione, conoscere gli altri e il significato dell’universo.

Tema ripreso dal mito celtico del Graal e da quello di Fetonte che dona all’umanità l’Hatmar, la ruota dei ventidue archetipi esperienziali che costituiscono le pagine di un vero e proprio libro di conoscenza con cui rapportarsi ai fenomeni del mondo e in cui trovare un cammino che possa portare l’individuo alla sua realizzazione interiore.


Lo Sepher Yetzira e l’Yggdrasil, l’Albero della Vita degli antichi druidi

Lo Sepher Yetzira rappresenta la base dell’esperienza mistica e magica della Qabbalah. Porta a concepire un rapporto del tutto particolare tra l’individuo e l’Assoluto, inteso come il piano reale e mistico dell’esistenza. Lo Sepher Yetzira afferma che Dio, o il piano reale dell’esistenza, non è lontano dall’individuo anche se la sua natura trascende il vissuto quotidiano. In proposito indica che attraverso la meditazione contemplativa si può giungere all’esperienza dell’estasi che porta a contatto con Dio o con il piano fenomenico reale dell’esistenza.

Una contemplazione complessa che nella proposta qabbalistica è articolata dapprima sulla contemplazione della Natura vista come manifestazione dell’opera divina, e successivamente sullo stesso nome di Dio. Metodologia che riecheggia in quella detta “esicasta”, praticata dai monaci della Chiesa ortodossa e dai Sufi islamici.

Lo Sepher Yetzira si addentra poi in vari simbolismi con cui concretizza la sua cosmologia.

Afferma che la creazione del mondo è subordinata alla manifestazione di dieci Sephiroth, le emanazioni di Dio che sono comprensibili all’uomo, e al significato delle ventidue lettere dell’alfabeto sacro ebraico. Questi ulteriori ventidue enti rappresenterebbero delle forze inafferrabili attraverso le quali, usando più combinazioni, è possibile dominare e comprendere l’universo. I nomi dei ventidue elementi possono essere addirittura usati come parole di potenza con cui dominare gli eventi naturali e le vicende umane.

Gli enunciati metafisici del Sepher Yetzira vengono espressi con maggiore chiarezza attraverso il mandala cosmico dello “Otz Chiim”, ovvero l’”Albero Sephirotico”, che in definitiva rappresenta la conoscenza della Tradizione interpretata nella prospettiva qabbalistica.

L’Albero Sephirotico riecheggia simbolismi paralleli di altre antiche cilviltà. Come quello dell’albero sacro del “Djied”, dei misteri degli antichi Egizi da cui l’ebraismo ha preso e assimilato all’epoca di Mosè. Oppure quello dell’Yggdrasil, l’albero cosmico della vita dell’antico druidismo.

E’ inevitabile rapportare l’Albero Sephirotico, e l’Yggdrasil, anche al biblico albero della conoscenza che secondo il libro della Genesi era posto al centro dell’Eden da cui poi Adamo ed Eva vennero allontanati, secondo l’interessata trascrizione da parte degli esseni circa antichi eventi dell’umanità, riscontrabili nel mito del Graal e in quello di Fetonte, proprio per aver assaggiato uno dei suoi frutti.

Nella chiave interpretativa del Sepher Yetzira, i dieci Sephirot sono suddivisi in tre gruppi di tre Sephirot ciascuno dei quali consente di realizzare la schematizzazione simbolica dell’Albero Sephirotico. La struttura ternaria dei tre gruppi di Sephirot porta così a rappresentare, partendo dal basso verso l’alto i tre piani di esistenza vissuti dall’individuo: il corpo e il mondo della natura così come è percepita dai sensi, il mondo dei sentimenti prodotto dalla mente e il piano spirituale dell’Io consapevole e mistico.


Meditazione alla Côte Sauvage, Bretagna

Per ultime, le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico giungono a rappresentare ventidue segmenti, che collegano le tre terne dei Sephirot e creano la struttura portante di tutto lo schema dell’Albero Sephirotico e costituiscono le sue fronde.

Le tre terne dei Sephirot creano l’immagine dei tre piani di evoluzione dell’ “Adam Khadmon”, l’Uomo Cosmico che evolve nella stessa evoluzione che permea tutto l’universo. Comprendendo nel suo significato tanto l’umanità che tutte le altre forme di vita esistenti sul nostro mondo.

Lo Sepher Yetzira afferma che esiste una unità imprescindibile tra l’individuo e il cielo, e che tutto l’universo nella sua globalità evolve nell’esperienza dell’”Adam Khadmon”, un concetto di Uomo cosmico che trova la sua identità e senso della propria esistenza nella realtà assoluta dell’En Soph. Un concetto noto come il “meditante cosmico” della tradizione druidica o il concetto del “corpo di Cristo” ripreso a posteriori dal cattolicesimo.

L’Albero della Vita proposto dalla Qabbalah mostra quindi l’universo come la dimensione in cui avviene una grande opera alchemica in grado di trasformare la materia inerte nello stato straordinario della coscienza che evolve verso la partecipazione al mistero dell’En Soph il quale, non a caso, nello schema dell’Albero Sephirotico è posto proprio alla sua sommità.

La sua concezione cosmologica riporta all’innegabile cammino evolutivo dell’universo che ha visto la trasformazione dell’energia primordiale in materia stellare e quindi in stelle e sistemi solari, dando supporto alla vita fino a giungere alla consapevolezza dell’Io mistico e spirituale.

In questo modo, la dottrina della Qabbalah mostra il percorso evolutivo possibile all’individuo che vuole rispondere al richiamo del trascendente.

L’individuo è descritto sostanzialmente come un prigioniero inconsapevole dei sensi e dei sentimenti. Una creatura dormiente, non completa sul piano esperienziale, che ignora o mitizza, senza mai giungervi, la condizione della coscienza spirituale vivendo un continuo disagio esistenziale e rimanendo nella sofferenza.

La dottrina della Qabbalah indica nel risveglio interiore la soluzione di questo problema. Se l’uomo non ha chiarezza dell’esperienza ternaria, che vive in ogni caso, e non supera l’illusione dei sensi e dei sentimenti, giunge a privarsi delle possibilità che sono proprie del piano dell’Io consapevole.

Infatti solo dopo aver raggiunto questo piano di esperienza egli può realizzare la piena coscienza dell’En Soph. Prima di questo evento ha solo l’illusione di partecipare al segreto dell’esistenza mediandola attraverso le sue aspettative personali o l’ignoranza superstiziosa delle religioni.

Partendo dal basso dell’Albero della vita, il Mago, o meglio lo sciamano, può accedere alla conoscenza totale secondo le indicazioni espresse dal simbolismo della struttura stessa: l’atto catartico che porta all’ascesi spirituale, l’uso dei dieci sephirot, l’equilibrio tra gli opposti e il percorso dei ventidue sentieri.


L’Yggdrasil e la via interiore della meditazione

La proposta della Qabbalah è in pratica la via esperienziale offerta dalla mistica dell’Yggdrasil druidico che si identifica nell’esperienza della meditazione. Un’esperienza che, attuando un intimo processo alchemico interiore, può portare ad entrare in sintonia con la natura reale dell’esistenza. Significa mettersi in postura, qualunque essa sia, e iniziare la propria esperienza interiore per far crescere l’Albero della Vita che è latente in ciascuno di noi.

E’ sufficiente che il meditante si renda disponibile a interiorizzare il profondo messaggio di conoscenza che esprime il mandala cosmico dell’Albero della Vita proposto dalla Qabbalah o dalla filosofia druidica e si prepari a rendere concreta la precisa proposta operativa che esso può indicare.

Proposta che si concretizza nella visitazione di ciascuno dei tre mondi per affermare le loro competenze e dare seguito alla specifica natura di ciascuno di essi. Ovvero vivere il mondo dei sensi ma tacitare la sua percezione illusoria. Vivere allo stesso modo la dimensione della mente per usarla all’occorrenza come una lavagna con cui interfacciarsi sul mondo sensibile ma tacitare in ogni caso la sua possibile preponderanza verbale e immaginativa. Liberi alla fine di vivere la dimensione che è propria dell’Io consapevole e mistico non più fuorviato dalla limitatezza dei sensi o dal plagio della mente.

Qui giunti, poco alla volta si aprirà una breccia nell’ordinario e tutto diventerà chiaro e semplice. Il meditante si trasformerà senza esitazioni in Maestro di se stesso, pronto a risalire lungo le immensità del mistero dello spirito per giungere alla risposta di ogni suo quesito in un abbraccio di conoscenza e di amore con l’Assoluto.



 

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