Misteri

Nel mare abissale, il Kraken dormiva il suo antico, indisturbato, sonno…

Stampa
23 Luglio 2021
'San Brendano e il Pesce Isola' da La navigazione di San Brendano
"San Brendano e il Pesce Isola" da La navigazione di San Brendano

Storia e storie criptozoologiche di un gigante dei mari… forse non solo leggendario


Continuando il nostro viaggio nel mondo fantastico della criptozoologia, vogliamo parlare di Calamari? L’argomento è intrigante, anche perché, al di là di quanto ci sembri scontata e ben conosciuta la figura di questo animale non umano, in realtà abbiamo a che fare con un autentico Alien, un’intelligenza diversa dalle mille sfaccettature, giunta a noi con un bagaglio di storia molto antico.

Intanto, chi è il Calamaro? È un bel tipo di animale marino, davvero interessante e parecchio criptozoologico. Il suo nome scientifico è Loligo Vulgaris, classificato nel 1798 dal naturalista francese Jean Baptiste de Lamarck; il nome comune o nome popolare, Calamaro, si formò molto tempo fa, addirittura nel Medioevo, a causa del fatto che il suo corpo ha la forma di una vaschetta che ricordava la forma dei calamai, di onorata memoria… calamai ai quali lo accomuna anche la proprietà di emettere, per difendersi o per cacciare, il famoso nero di seppia, il liquido nerastro chiamato così perché viene emesso anche dalle Seppie e che da sempre è stato associato all’inchiostro nell’immaginario collettivo. Insieme con i Totani, i Polpi e per l’appunto le Seppie il Calamaro compone la classe dei Cefalopodi, cioè dei molluschi marini più diffusi in assoluto: hanno colonizzato praticamente tutte le acque temperate e tropicali della Terra e sono chiamati Cefalopodi perché nel loro corpo si distinguono una testa e dei piedi, questi ultimi corrispondenti ad estremità in forma di appendici esterne e tentacoli.

Detto del Calamaro in generale, andiamo ad incontrarne uno davvero speciale, navigando ai confini tra storia e leggenda.

Cosa ne sappiamo, davvero, del Kraken? Un nome mitico, criptozoologico ante litteram, che affonda le sue radici nei miti e nelle leggende dell’Europa nordica.

'Kraken', illustrazione dell’anno 1800
"Kraken", illustrazione dell’anno 1800

Stiamo navigando in mari burrascosi, seguendo l’epopea di viaggi pieni di avventura, narrati da saghe antiche, saghe medievali che ci parlano di esseri incredibili, grandi come isole, che si muovevano tra le onde dei mari artici, tra la Norvegia e l’Islanda. Forse la prima citazione di quello che sarebbe stato chiamato Kraken negli anni a venire la troviamo nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, un’opera ancora oggi fondamentale per la storia degli studi naturalistici, opera dove il grande scienziato latino parlò diffusamente di creature marine indescrivibilmente grandi e misteriose. A seguire, troviamo la Navigazione di San Brendano, un’opera anonima scritta in latino e conosciuta attraverso manoscritti del decimo secolo. È un classico della letteratura medievale sulle vite dei santi e si basa su antiche leggende celtiche irlandesi (tradizione di cui, con ogni probabilità, Brendano si faceva portatore), mescolate con notizie di derivazione cristiana. Il monaco irlandese Brénnain Clúana Ferta, alias Brendano da Clonfert, visse nel sesto secolo, fu abate benedettino e si procurò fama di navigatore avendo viaggiato a lungo tra le isole dell’Irlanda e della Scozia. L’opera che tramanda questi viaggi narra di vari incontri con creature fantastiche, tra le quali uno sconosciuto ed enorme animale marino che, da fermo, risultava essere “grande come un’isola”.

E poi incontriamo la Saga di Oddr l’arciere, una leggenda islandese del 1200 che narra dell’avventurosa vita di un grande guerriero e ci racconta di un «enorme mostro marino», capace di inghiottire «uomini, navi e persino balene».

Sempre nel XIII secolo, tra il 1247 e il 1262, veniva scritto il Konungs skuggsjá (in lingua norrena, l’antico norvegese, significava "specchio del re"), un’opera pensata da un anonimo cortigiano per l'educazione dei figli dei re di Norvegia: nel capitolo dedicato alle meraviglie del mare islandese, l’autore cita due enormi animali marini provenienti dall’antica tradizione norrena, uno dei quali è più grande della più grande delle balene e capace di inghiottire ogni cosa.

'Polpo Colossale' da Pierre Denys de Montfort, 1801
"Polpo Colossale" da Pierre Denys de Montfort, 1801

E simili affermazioni si ritrovano in numerosi testi successivi, tra i quali rimane un caposaldo la Historia de gentibus septentrionalibus, pubblicata a Roma nel 1555 dall’ecclesiastico e geografo svedese Olav Manson, meglio conosciuto con il suo nome latinizzato di Olaus Magnus. Quest’opera tratta diffusamente degli ambienti naturali, della flora e fauna, degli usi e costumi delle genti scandinave, in particolare degli svedesi e riporta per prima, nei capitoli dedicati a misteriosi abitanti dei mari, il nome di Kraken come quello di un grandissimo e temutissimo abitante degli abissi profondi, capace di rovesciare una nave con i suoi immensi tentacoli.

Era nata così la leggenda del Calamaro gigante. Leggenda che troverà riscontri di prestigio, per centinaia di anni. Nel 1752 il vescovo della città norvegese di Bergen, Erik Ludvigsen Pontoppidan, citava il Kraken nella sua Storia naturale della Norvegia, definendolo “una bestia di un miglio e mezzo di lunghezza, che se afferrasse la nave da guerra più grande del mondo sarebbe in grado di trascinarla sott’acqua”. Poco prima, nel 1735, era stato addirittura il celebre naturalista svedese Carl Nilsson Linnaeus, padre della moderna tassonomia scientifica, ad inserire il Kraken nel Systema Naturae, la sua opera basilare in materia di classificazione degli esseri viventi animali e vegetali nonché dei minerali.

Ce n’è abbastanza per individuare un autentico criptide, un animale non umano di cui non abbiamo prove certe ma di cui abbondano le testimonianze.

Non conosciamo l’esatta etimologia del termine Kraken: c’è chi dice che derivi da un antico termine norvegese che significa “albero contorto”, per il terribile aspetto creato dal contorcersi dei lunghissimi tentacoli. Altri lo riferiscono a un termine germanico che sta a significare seppia o piovra. Altri ancora ritengono che derivi, in maniera onomatopeica, dall’inglese “crack”, termine che si riferisce alla rottura e alla distruzione, con un preciso collegamento alla rovina delle navi con cui il Kraken veniva a scontrarsi.

Quello che sappiamo per certo è che, dal Medioevo ad oggi, la leggenda del Kraken si è continuamente accresciuta, forte di tantissime testimonianze riportate da navigatori, marinai, viaggiatori di ogni tipo che solcarono i mari non più soltanto del grande Nordeuropeo ma anche degli oceani. E, sempre, viene riportata l’immagine di un essere enorme, dal corpo che poteva essere alto come una nave e dai lunghissimi tentacoli, che potevano arrivare fino alla lunghezza davvero stupefacente di sessanta metri. Un essere immenso, che viveva nelle profondità degli abissi e che risaliva in superfice, attirato da chissà quali enigmatici richiami.

Un essere che fu ampiamente ospitato dalla letteratura. Il poeta inglese Lord Alfred Tennyson, nel 1830, scriveva «Molto, molto al disotto del mare abissale il Kraken dormiva il suo antico, indisturbato, sonno”. E di Kraken si parla nelle opere degli scrittori inglesi Walter Scott e Thomas Love Peacock, vissuti tra il 1700 e il 1800, così come gigantesche piovre sono tra i “protagonisti” di opere famosissime come i romanzi I lavoratori del mare di Victor Hugo o Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne o Moby Dick di Herman Melville.

Calamaro gigante, Baia di Trinity, Isola di Terranova, 1877
Calamaro gigante, Baia di Trinity, Isola di Terranova, 1877

Se la letteratura ospitò il Kraken potremmo dire con rispetto, non altrettanto fece la scienza ufficiale, dove gli skeptics sono sempre in agguato. È rimasto tristemente noto il caso di un grande naturalista francese di fine ‘700, Pierre Denys de Montfort, il quale, forte della sua insaziabile curiosità scientifica ed apertura mentale, così come di numerosissime testimonianze che aveva raccolto, dedicò un ampio studio al Kraken in una sua opera del 1801 intitolata Storia naturale, generale e particolare dei molluschi. Purtroppo per lui e per la Scienza con la Esse maiuscola, mal gliene incolse, perché la comunità scientifica che oggi potremmo definire Mainstream rifiutò in blocco la ricerca di Montfort, tacciando l’autore di ciarlataneria e condannandolo ad un discredito che lo portò letteralmente in rovina.

Ciononostante, le testimonianze relative all’esistenza del leggendario animale non cessarono per lungo tempo. Famosa rimase quella di Frank Thomas Bullen, capitano di marina e scrittore inglese vissuto a cavallo tra l’’800 e il ‘900 il quale, mentre si trovava al comando di una nave baleniera, dichiarò e confermò poi per il resto dei suoi giorni di aver avvistato “un gigantesco polpo che si batteva con un capodoglio”. Bullen fece di questo animale una descrizione molto dettagliata, riferendo di grandi occhi situati alla base di lunghissimi tentacoli, cosa che corrobora la possibilità che Bullen si fosse veramente trovato di fronte ad un enorme Cefalopode.

E non siamo solo in presenza di testimonianze visive ma anche di resti di Calamari apparentemente giganteschi, che sono stati rinvenuti in numerose spiagge sparse qua e là per i mari. Tra queste, il ritrovamento più eclatante, che fu ampiamente documentato dai media dell’epoca, avvenne sulla spiaggia di Sainte Augustine, una località della Florida, il 30 novembre del 1896: furono due ragazzini a dare la notizia di un gigantesco essere informe che giaceva sulla spiaggia, parzialmente ricoperto dalla sabbia.

Polpo di Saint Augustine, Florida, 1896
"Polpo" di Saint Augustine, Florida, 1896

Vennero naturalmente fatti tutti i controlli del caso da parte delle autorità, risultato: ci si trovava di fronte ai resti di un essere sconosciuto, non più integro, che nella sua interezza avrebbe potuto toccare l’incredibile lunghezza di circa trenta metri per una mole di svariate tonnellate di peso. Nessuno sapeva di cosa si trattasse, i resti vennero visionati da numerosi ricercatori e ci fu chi, come lo zoologo Addison Verrill della prestigiosissima Università di Yale, argomentò con convinzione trattarsi dei resti di un Cefalopode gigante. Ipotesi confermata molti anni dopo, nel 1971, quando Joseph Gennaro, biologo dello Smithsonian Institute di Washington, analizzando i resti della misteriosa carcassa, che erano stati tenuti sotto formalina, confermò trattarsi di tessuti chiaramente da attribuirsi ad un Cefalopode, per la precisione ad un Polpo di dimensioni colossali. Ci furono ad onor del vero altri ricercatori che preferirono ritenere la carcassa di Sainte Augustine come i resti di una grande balena ma, direi, il mistero incombe su questo gigantesco ritrovamento che, se non altro in ipotesi, conferma incredibili leggende che ci arrivano dalla notte dei tempi.

Ipotesi che sono state finalmente riconosciute anche dalla zoologia ufficiale, che è arrivata alla conclusione di definire l’esistenza di una specie particolare di Cefalopode, potenzialmente molto più grande di tutti gli altri individui della stessa famiglia. A questa specie, dai contorni ancora piuttosto sfumati, è anche stato dato un nome scientifico: Architeuthis dux.

Creatura che è un mistero ancora oggi. Non si sa praticamente nulla di quale sia il suo habitat naturale, della sua etologia, del suo ciclo vitale, né se si tratti di una vera e propria tipologia unica di animale marino pochissimo conosciuto, oppure di numerose tipologie di pseudo Cefalopodi, diverse tra loro. In due casi, recentemente, è stato filmato un Cefalopode riconducibile alle caratteristiche di un gigante della sua specie.

Loligo Vulgaris
Loligo Vulgaris

Il 30 settembre 2004 i ricercatori Tsunemi Kubodera e Kyoichi Mori del Museo Nazionale di Scienze del Giappone riuscirono a catturare le prime immagini in assoluto di quello che poteva essere definibile come un Calamaro gigante, lungo circa otto metri, vivo nel suo ambiente naturale al largo delle Isole giapponesi di Ogasawara. Gli stessi ricercatori, in team con l’Associazione Whale Watching delle Ogasawara, il 4 dicembre 2006 riuscirono a filmare per la prima volta, nella stessa zona, un Calamaro gigante vivo.

Successivamente, nel 2012, un team di scienziati dell’Ocean Research and Exploration (una commissione della NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration, agenzia federale statunitense che si interessa di oceanografia, meteorologia e climatologia), ha pubblicato un video in cui un Calamaro gigante, lungo molti metri, veniva avvistato nel Golfo del Messico, per la precisione nella leggendaria area del Triangolo delle Bermuda. E sempre dalle Bermuda arriva la voce del ricercatore Rob Simone, convinto che “La leggenda del Calamaro gigante non è una leggenda. Esistono alcuni esemplari lunghi più di 45 metri”.

Una lunghezza mitica, ben superiore ai 14 - 18 metri che si presume possa raggiungere l’Architeuthis Dux. Per ora, l’unica cosa che sappiamo per certo del moderno Kraken è che vive a profondità abissali.

E il mito continua…



Elio Bellangero, ricercatore della Ecospirituality Foundation, conduce la trasmissione “Animali ed Enigmi” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it