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Intervista a Paolo Nespoli

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07 Giugno 2011

Paolo Nespoli

Le prime impressioni della sua missione spaziale



“La Terra vista da lassù? Una splendida modella che cambia ogni 30 secondi”


"Il momento più difficile? Quando ho saputo che mia mamma stava molto male"


“Mi sento stordito, mi fanno male tutti i muscoli. E' come se avessi bevuto due litri di vino". Paolo Nespoli dopo l’atterraggio in Kazhakstan con la navicella Soyuz è già al centro Johnson della Nasa a Houston pronto a raccontare le prime impressioni della sua missione spaziale da record: 159 giorni sulla stazione spaziale internazionale a 400 chilometri d’altezza. La sua voce al telefono è squillante.


Il momento più difficile?

"Quando ho saputo che mia mamma stava molto male. Le ho parlato, avrei voluto essere con lei ma era impossibile. Ora non c’è più".


E i ricordi più belli?
"Tanti. A cominciare dalla cavalcata del lancio, l’arrivo sulla stazione, il guardare la Terra, essere consapevole di una grande, unica esperienza”.


Ci si può abituare anche alla visione straordinaria della Terra?
"No, impossibile. E’ come guardare una splendida modella: ogni 30 secondi cambia qualcosa e scopri aspetti nuovi e inaspettati".


Un dettaglio che ti ha attratto più degli altri?
"La muraglia cinese. Ho cercato di fotografarla sotto ogni angolo, orbita dopo orbita".


In quasi sei mesi può cambiare il modo di vivere lassù?
"Col passare del tempo ci si sente sempre più padroni di casa, sicuri di sé, e si scorge la differenza con i compagni che arrivano per brevi periodi con lo shuttle".


Ti sei annoiato qualche volta sulla stazione?
"Mai. Le giornate erano sempre frenetiche. Dopo il meeting della sera alle 19.30, spesso si ricominciava a lavorare fino alle 22. Il ritmo era pesante".



Paolo Nespoli a bordo della Stazione Spaziale Internazionale

E quando ti chiudevi nella tua microstanza a che cosa pensavi?
"Mi affidavo a Twitter che mi ha dato grandi soddisfazioni. Rispondevo ai messaggi, spesso molto belli, mandavo fotografie, ma più di frequente ero così stanco che mi addormentavo immediatamente. Non ho mai sofferto il sonno anche se ogni notte si dormiva abbastanza poco, al massimo sei ore, ma spesso di meno".


Che cosa ti mancava di più?
"Il cibo, soprattutto, senza sapore, in pratica sempre uguale: non c’era il sapore e il gusto italiano".


Non ti sei mai sentito solo?
"Impossibile con tutto quello che dovevo fare. Anche se poteva capitare di non incontrare nessuno per una intera giornata".


E la famiglia?
"Ogni 15 giorni avevo una teleconferenza in video: era una gioia vedere mia moglie e la mia piccola bambina".


Prima di partire esprimevi qualche paura per qualcosa che potevi sbagliare. E successo?
"No. E’ andato tutto bene. Solo qualche insignificante dimenticanza, normale nella vita quotidiana anche sulla terra. E i miei colleghi mi vedevano come l’uomo adatto per mediare nelle situazioni complicate".


Torneresti per un altro soggiorno di sei mesi sulla stazione?
"Per una missione così lunga occorre una preparazione di qualche anno. Non lo escludo, naturalmente. Ma ora devo pensare anche a che cosa fare da grande".


(Dal Corriere della Sera del 25 maggio 2011 – Per gentile concessione dell’Autore)


Giovanni Caprara, giornalista e scrittore, è responsabile della redazione scientifica del Corriere della Sera

 

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