Scienze di Madre Terra

I colori ci curano

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14 Febbraio 2013

L’arcobaleno, il simbolo più comunemente legato agli effetti dei colori, è presente in tutti i miti del pianeta


Nelle antiche scienze dei Popoli nativi, i colori hanno sempre costituiscono un elemento importante, sia per quanto riguarda il simbolismo che per le proprietà terapeutiche.

I colori, elemento fondamentale dello scenario che la realtà ci propone, e di cui noi stessi facciamo parte, altro non sono che radiazioni che il cervello umano traduce in percezioni visive alle quali attribuisce un nome e un valore. Proprio a causa di tale percezione sensoriale, i colori sono stati da sempre in grado di suscitare sensazioni sottili molte volte inspiegabili, che vanno oltre la semplice sfera sensoriale per raggiungere quella emotiva.

L’esempio più interessante è forse l’esperimento condotto in un carcere minorile della California, dove i ragazzi particolarmente violenti vengono condotti in una piccola stanza rosa. In pochi minuti si calmano, smettono di gridare e spesso si addormentano. Altri esperimenti condotti allo scopo di studiare il comportamento umano nei confronti dei colori hanno portato alla scoperta che il rosso aumenta l’appetito e fa alzare in fretta la gente al ristorante, mentre l’ultravioletto stimola il quoziente intellettivo.

A Londra il Blackfriars Bridge, tristemente emerso nelle cronache internazionali perché sotto uno dei suoi archi venne rinvenuto impiccato il corpo del banchiere Roberto Calvi, in origine era nero, ma è stato ridipinto di azzurro per cercare di ridurre il numero di suicidi e di disgrazie legate ad esso. E le statistiche sembrano confermare la tesi.

Molti allenatori sportivi fanno ridipingere gli spogliatoi delle squadre avversarie per renderle meno aggressive. Le ricerche nel campo hanno dimostrato che i colori condizionano la pressione sanguigna, il battito cardiaco e la respirazione, oltre all’attività cerebrale e ai bioritmi.

L’influenza dei colori sulla psiche sembra ormai un fatto assodato, eppure la cromoterapia, pur essendo una delle branche più conosciute della medicina tradizionale, è contestata dalla scienza ufficiale che la relega nelle pseudoscienze.


Secondo la cromoterapia, i bagni di luce blu combattono la depressione

Tuttavia nella scienza dei Popoli naturali questo metodo terapeutico è usato da sempre ed è insegnato ancora ai giorni nostri. Nei costumi tradizionali dei Nativi di tutti i continenti i colori hanno un ruolo importante: ne abbiamo un esempio nei colori dei tartan scozzesi, che manifestano precisi simbolismi tradizionali e contraddistinguono il Clan di appartenenza, o negli abiti dei Nativi africani, così come nei costumi rituali degli Apache o degli Aborigeni australiani. I colori, presso questi Popoli, vengono ancora oggi usati nei tessuti ma anche dipinti sul corpo, per manifestare l’appartenenza al proprio Clan o alla propria etnia.

Nel Forum annuale delle Nazioni Unite di New York dedicato ai Popoli indigeni, più di tremila delegati e Capi clan di nazioni native di tutti i continenti partecipano a quella che si è rivelata come la più vasta assemblea dell’ONU, tutti quanti rigorosamente vestiti con i loro abiti rituali. I colori ne distinguono le appartenenze e manifestano i simbolismi delle varie etnie.

Le pratiche cromoterapiche erano note fin dall’antico Egitto: la mitologia egiziana assegna al dio Thot la scoperta della cromoterapia. Secondo la tradizione ermetica, sia gli Egizi che i Greci facevano utilizzo di minerali, pietre, cristalli e unguenti colorati, oltre a dipingere le pareti stesse dei luoghi di cura. Nell’antico Egitto ogni colore aveva una potenzialità specifica. L’approccio con i colori e con le cure si fondava sul rapporto fra malattia, cura e trascendenza.

La mummia del Similaun, un uomo vissuto circa 5000 anni fa e ritrovato mummificato sulle Alpi italiane, ha rivelato di possedere circa sessanta tatuaggi di colore blu. L’ipotesi di alcuni ricercatori è che i tatuaggi avessero scopi terapeutici basati sull’agopuntura e sulla proprietà dei colori. Altri riconducono i tatuaggi alla sua attività di cacciatore.

I piccoli segni presenti sull’epidermide della mummia sarebbero il risultato di una pratica medica finalizzata a combattere l’artrosi, malattia di cui sono stati scoperti i postumi sullo scheletro. I tatuaggi sono stati eseguiti infatti sulla pelle delle articolazioni colpite da artrite. Al colore blu anticamente veniva attribuita la proprietà di curare i dolori artritici.

I Greci associavano i colori agli elementi fondamentali, acqua, aria, fuoco e terra. La salute era considerata la risultanza dell’equilibrio di questi elementi, mentre la malattia ne era lo sbilanciamento. I colori, così come erano associati agli umori, venivano anche utilizzati come trattamento contro le malattie.

Il medico e filosofo persiano Avicenna, che sosteneva che “il colore è un sintomo osservabile della malattia”, ideò una carta che metteva in relazione i colori con la temperatura e la condizione fisica del corpo. Secondo Avicenna, il rosso faceva scorrere il sangue ed era perciò sconsigliato in caso di ferite o emorragie, mentre il blu lo “raffreddava” e favoriva la coagulazione.

Anche i Cinesi affidavano il proprio benessere fisico all’azione dei vari colori: addirittura, le finestre della camera del paziente venivano coperte con teli di colore adeguato e gli indumenti del malato dovevano essere della stessa tinta.

Oggi la cromoterapia è declassata a pseudoscienza, anche se le terapie ad essa legate continuano a essere praticate. Le prime testimonianze moderne risalgono alle ricerche di Augustus J. Pleasanton, generale americano che nel 1871 pubblicò il libro The Influence of the Blue Ray of the Sunlight and of the Blue Colour of the Sky nel quale sosteneva la propria convinzione che la luce del Sole, filtrata attraverso vetri blu, acquistava proprietà curative. Seguendo le idee di Pleasanton, nel 1878 l’americano Edwin Babitt pubblicò il libro The Principles of Light and Color, che ebbe diffusione mondiale e pose la prima pietra per la moderna cromoterapia.


Lo spettro dei colori visibili con relative lunghezze d'onda (espresse in nanometri)

In anni più recenti, nel 1920, il colonnello indiano Dinshah Pestanji Framji Ghadiali inventò la “spettrocromoterapia”, una terapia che prevedeva per ogni patologia l’utilizzo di luci di colori diversi, unite a prescrizioni dietetiche.

Un predecessore meno discusso del precedente fu il danese Niels Finsen, pioniere della ricerca sulla luce, che scoprì e mise a punto nel 1893 una tecnica per curare le cicatrici da vaiolo tramite esposizione alla luce rossa. Finsen aprì la strada a studi medici sui reali effetti della luce colorata sul corpo umano, e ricevette il premio Nobel nel 1903 per le sue scoperte sulla fototerapia nella cura della tubercolosi.

La cromoterapia ha dimostrato che i “bagni” di luce blu hanno sostituito le trasfusioni di sangue nella cura di trentamila bambini nati prematuramente e affetti da itterizia. Gli ultravioletti sono invece usati per prevenire malattie polmonari e nella cura della psoriasi, mentre la luce bianca cura gli herpes. Anche i guaritori del secolo scorso usavano filtri di vetro colorati per curare ogni malattia, dall’influenza alla meningite.

La scienza ortodossa tuttavia non si pronuncia in proposito, e le varie teorie scientifiche che tentano di spiegare l’influenza dei colori sul corpo umano tendono a dare una spiegazione essenzialmente psicologica, basata sulla percezione soggettiva del paziente e sulla suggestione.

Qualcuno però sostiene che gli effetti non sono direttamente psicologici.

Alexander Schauss, direttore dell’American Institute for Biosocial Research, afferma che il colore ha un’influenza fisiologica diretta. La sua energia elettromagnetica, egli spiega, interagisce con la ghiandola pituitaria, quella pineale e l’ipotalamo. Questi organi regolano il sistema endocrino il quale controlla molte funzioni fondamentali dell’organismo e molte risposte emotive.

Quindi la radiazione emanata dai colori trascenderebbe addirittura la percezione visiva: in un esperimento condotto in una scuola inglese, luce e colore hanno mostrato di avere gli stessi effetti sulla pressione sanguigna, il polso e la respirazione di due bambini ciechi e sette invece dalla vista perfetta.

Proprio perché in grado di sollecitare percezioni dal profondo, i colori sono stati da sempre usati anche per ottenere particolari stati percettivi di coscienza. È un dato di fatto che i colori, così come gli odori o i suoni, possono suscitare particolari sensazioni, o rievocare ricordi, o calare in particolari dimensioni, a seconda delle loro differenziazioni. Anche i colori, come molte altre componenti dell’universo “manifesto”, sono in grado di provocare particolari condizioni che possono favorire l’apertura di una porta verso dimensioni fuori dell’ordinario.


Il tradizionale kilt scozzese contraddistingue nel disegno del tartan l’appartenenza al Clan

Così come un profumo può inebriare, e un ritmo ripetitivo può addirittura mutare le percezioni sensoriali, anche i colori possono contribuire a immergersi in dimensioni parallele a quella quotidiana. A prova di ciò è sufficiente sperimentare una permanenza prolungata, ad esempio, in una stanza tutta nera: dapprima si avvertirà una tendenza al pessimismo e alla depressione, poi subentrerà l’esigenza di interiorizzazione e di contatto più intimo con se stessi. Mentre una stanza verde faciliterà maggiormente un atteggiamento disteso e disponibile all’esperienza.

I colori quindi sembrano diventare un mezzo abile per favorire mutamenti di condizioni e percezioni di realtà diverse.

Ma come usarli? Secondo le antiche scienze dei Popoli nativi, ogni colore ha un preciso significato simbolico. Il primo passo perciò è quello di penetrare il simbolismo che i colori esprimono.

In secondo luogo, per entrare in sintonia con il significato che il colore esprime, è necessario immedesimarsi nel simbolismo fino a identificarsi con esso, allo scopo di trarre forza dal colore scelto per assumere quelle caratteristiche che gli sono proprie.

Per fare un esempio: il verde, il cui significato è la disponibilità ad affrontare nuovi piani di realtà, se viene indossato per un certo periodo, potrà aiutare a trovare dentro se stessi l’archetipo che il colore rappresenta. Con l’immedesimazione nel colore scelto si facilita tale processo. Proprio per favorire questo scopo, il colore non va cambiato spesso.

Ma esibire un colore può avere anche un significato sociale: quello di esprimere semplicemente una condizione interiore o manifestare un atteggiamento nei confronti degli altri. I colori infatti venivano anticamente usati anche per “colorare” emotivamente la comunicazione non verbale. Ne è un esempio l’antica scrittura shannar dello sciamanesimo druidico, che veniva tracciata in colori diversi per esprimere gli stati d’animo riferiti al contenuto delle frasi.

In questo utilizzo dei colori venivano anche usate le varie gamme di uno stesso colore, che indicavano le diverse sfumature degli stati d’animo.

In definitiva, secondo le antiche culture del pianeta, ogni colore rappresenta un archetipo, e come tale può racchiudere molteplici proprietà e significati, riferiti sia alla terapeutica psicofisica che a un simbolismo più profondo, di natura spirituale.