Tradizioni Celtiche

Storie di Draghi, Cromlech e Templari - 3

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16 Marzo 2012

Il rito del “Palo di Beltane” di Maggio, conosciuto anche come il “May Pole”, è praticato in tutti i Paesi dell’Europa, compresi il nord e sud Italia

In Piemonte sopravvivono antiche tradizioni dell’epopea celtica. La leggenda di Fetonte e il cerchio di pietre costruito dai suoi aiutanti di metallo dorato riecheggiano nell’iniziativa dello Stone circle di Dreamland, costruito per dare visibilità alla filosofia naturale dei Celti. Le tradizioni delle “Famiglie celtiche” delle Valli riportano storie dimenticate che ruotano intorno al Parco La Mandria coinvolgendo la figura della “Bela Rosin”, l’enigmatica amante di Re Vittorio Emanuele II


Il cromlech di Dreamland e la storia dimenticata

Quando si decise di realizzare il Cromlech di Dreamland non avremmo mai immaginato quel che sarebbe accaduto in seguito e quale significato storico e morale avrebbe potuto risvegliare con la sua presenza sul territorio.

La sua costruzione è andata infatti ben oltre l’intenzione di farne un evento che doveva dare visibilità all’antica cultura dei Celti, giungendo a catalizzare una serie di situazioni che hanno aperto uno squarcio sulla storia antica dei Celti delle Valli di Lanzo. Ci siamo così trovati ad essere proiettati in una sorta di viaggio nel tempo in cui gli antichi miti del Celtismo e gli eventi della storia odierna si sono saldati in una continuità inaspettata, riportando alla luce antiche cronache dimenticate, se non volutamente occultate, della storia.

Tutto ebbe inizio all’epoca in cui, insieme a Rosalba Nattero, stavo scrivendo “Rama Vive”. Un lavoro che nasceva dalla scoperta di resti di mura megalitiche in Val di Susa che si ritenevano essere le vestigia della leggendaria città di Rama, con lo scopo di dare visibilità al patrimonio megalitico dimenticato del Piemonte e delle sue relazioni con quello, più noto, dell’Europa.

Per questo motivo, con l’intento di documentarci il più possibile, avevamo preso contatto con vari ricercatori del mondo piemontese ed europeo. In quella stessa occasione eravamo entrati in contatto, per una serie di casi fortuiti, anche con le discrete “Famiglie celtiche”, come amano definirsi loro stesse, esistenti sul territorio della Val di Susa e delle Valli di Lanzo.


Il Cromlech di Dreamland, realizzato per dare visibilità alla cultura e ai miti dei Celti e per mostrare al pubblico le loro conoscenze in campo astronomico. Anticamente, nel luogo dove sorge, venivano celebrati i riti dei druidi delle Valli di Lanzo e del popolo celtico dei “Rama”

L'incontro con queste singolarità storiche fu fruttuoso in quanto si evidenziarono varie narrazioni su eventi che costituivano una preziosa testimonianza sulle vicende dei popoli celtici dell'area piemontese.


L’Albero sacro degli antichi druidi

Furono proprio due esponenti di una delle Famiglie celtiche delle Valli di Lanzo venuti inaspettatamente in visita a Dreamland a rivelarci una storia che ignoravamo del tutto in cui il nostro Cromlech si sarebbe rivelato protagonista suo malgrado.

Tra i vari aneddoti storici, ci raccontarono soprattutto che il luogo in cui ci trovavamo in quel momento, che è parte del Parco Regionale La Mandria, già anticamente era luogo di incontro dei “loro vecchi” dove praticavano vari riti druidici.

Secondo la loro narrazione, qui si ergeva anticamente una grande quercia che era molto più alta di tutte le altre che coprivano da millenni tutta la zona. L’albero, a memoria della loro tradizione di Famiglia, si trovava all’interno di una grande radura situata nella fitta foresta del tempo. Era un albero che aveva avuto una vita molto longeva, circa duemila anni, ed era stato piantato dai druidi del tempo innestando nel terreno un ramoscello portato dal perduto focolare della cultura Celtica che loro collocavano nel bacino della terra fertile dell’attuale Mar Nero.

Quell’albero, cresciuto miracolosamente, era considerato un simbolo delle proprietà vitali e cosmiche dell’Yggdrasil, l’Albero cosmico della Vita dei druidi che dalle sue radici sprofondate nell’abisso oscuro della terra si erge con il suo tronco verso il cielo dove dispiega le folte fronde al fine che siano illuminate dal Sole.


Una mappa medievale che mostra zone occupate dalle tribù celtiche. In essa si evidenzia il sito stanziale in Val di Susa del popolo celtico dei “Rama” conosciuto nell’area delle Valli di Lanzo come i “Ramat”. La migrazione dalla loro terra di origine avvenne, secondo le leggende degli anziani di Cantoira, attraverso una lunga galleria attraverso il monte “Roc Maol”, l’attuale Rocciamelone

Intorno all’albero millenario si erano alternate centinaia di generazioni. Qui venivano celebrate particolari cerimonie in occasione dei Solstizi e degli Equinozi. In queste occasioni si legavano alla sommità del tronco del gigantesco albero numerosi e lunghi nastri colorati che venivano tenuti in mano dai convenuti che danzandogli intorno si intrecciavano sul suo tronco.

L’albero rappresentava anche un punto di incontro dove i druidi provvedevano all’istruzione dei loro allievi e accoglievano gli ammalati per praticare la terapeutica con l’uso dell’acqua di una sorgente naturale che si trovava nei pressi dello stesso albero e con l’impiego dei cristalli che erano raccolti ritualmente presso i pendii dell’attuale cittadina di Balme, che si trova in Val d’Ala, e con gli zirconi che venivano raccolti in Val di Viù.


La tribù celtica del popolo dei “Rama”

I due Anziani ci raccontarono che ancor prima dei loro “vecchi”, il luogo dove sorgeva il grande albero era stato considerato sacro e al centro della loro spiritualità anche da innumerevoli precedenti generazioni di popolazioni celtiche.

Le prime migrazioni, secondo i nostri ospiti, erano giunte anticamente quando i ghiacci che ricoprivano l’area dell’attuale Parco Regionale La Mandria si erano ritirati da tempo per lasciare spazio a una immensa foresta. Qui avevano disboscato parecchi ettari di terreno fino alle Valli di Lanzo per creare spazi agricoli necessari per la semina.

In questo avvicendarsi di popoli, in ultimo si era infine installata, intorno al 1200 a.C., l’etnia celtica dei “Salassi” appartenente alla cultura di “Hallstatt" che si era formata originariamente a nord delle Alpi verso il XIII secolo a.C.

Questo popolo era essenzialmente agricoltore e secondo una leggenda vantava l’origine di discendente della stirpe di Saturno, trasposizione romana del dio celtico Thor. Un popolo pacifico che si era integrato con i precedenti residenti e si trovava dislocato soprattutto nel nord del territorio piemontese, verso Ivrea e Aosta. La lingua parlata era il gallico e ne è rimasta una evidente traccia ancora oggi nei variegati dialetti franco-provenzali delle Valli di Lanzo.

Al popolo dei Salassi si era aggiunta in seguito un’altra tribù ancora, di più modeste dimensioni, che si distingueva con il nome di “Rama” o “Ramat” e che si era spinta ad occupare l'area compresa tra le attuali cittadine di Fiano, Robassomero e La Cassa.

Era un gruppo che manteneva il riferimento al mito di Fetonte e che vantava addirittura di custodire la sua ruota forata d'oro. Una entità storica ancora vitale che ancora oggi, secondo i due Anziani, rappresenterebbe l'origine diretta di una delle Famiglie celtiche delle Valli di Lanzo sopravvissuta alla guerra di conquista della zona da parte dei romani e poi alla sanguinosa repressione che culminò con la tragica scomparsa dei Catari presenti in zona.


I resti delle mura dell’antica città di Rama che sarebbe sorta, secondo la tradizione druidica, a seguito della discesa dal cielo del dio Fetonte. All’inizio il dio fece erigere dai suoi due aiutanti di metallo dorato un grande Cromlech, a cui ci si è ispirati per realizzare il cerchio di pietre di Dreamland. Intorno al suo Cromlech nacque la città di Rama, riedificata millenni più tardi dal popolo dei Pelasgi. Si può osservare il taglio serpentino tra le pietre eseguito per dare stabilità alla posa dei giganteschi massi

L’origine storica di questa ultima tribù celtica venne mostrata del tutto rocambolesca dalla narrazione del nostro ospite. Essa era originaria della Valle di Susa, dove si trovava da tempo in un suo specifico sito stanziale, e ad un certo momento per sfuggire ai propri nemici dovette abbandonare la sua terra tribale per giungere nelle Valli di Lanzo dove si installò per il resto dei secoli seguenti.

Il suo viaggio, che portava in salvo le vestigia lasciate da Fetonte, a quanto pare obiettivo dei suoi nemici, avvenne attraversando una lunga caverna che, secondo le antiche leggende druidiche, si apriva su un fianco del “Roc Maol”, l’attuale Rocciamelone, sino a raggiungere il versante delle Valli di Lanzo.

Una storia che sembra riecheggiare nel mito africano di Ngog Lituba dove i progenitori dell’umanità trovarono rifugio dai loro inseguitori proprio all’interno di una caverna dalla quale uscirono per popolare la Terra. O quella del culto mediorientale di Mithra, il dio nato in una caverna indicato nel cielo da una cometa.

La tribù dei Rama, o Ramat, giunta nella terra dei Salassi si trovò ad occupare l’area a nord dell’attuale Parco Regionale La Mandria, ed ereditò di fatto l’antica tradizione dell’albero e delle cerimonie che venivano eseguite da tempi immemorabili prima di loro.

Tuttavia al tempo della loro venuta l’albero plurimillenario non esisteva più, cancellato dal tempo, e al suo posto, in occasione dei Solstizi e degli Equinozi, veniva eretto un grande tronco che lo sostituiva simbolicamente nelle cerimonie.


Il mito di Rama nelle tradizioni delle Valli di Lanzo

La storia del popolo dei Rama presente nella zona delle Valli lanzesi sembra aver lasciato tracce nelle tradizioni locali che possono ricordare l’antica tribù dei “Rama”.


L’Yggdrasil, l’Albero della Vita dell’antico druidismo, ispiratore del rito del “Palo di Beltane”

Possiamo citare l’attributo di “Ramaset” che veniva dato agli antichi abitanti dell’attuale cittadina di La Cassa. Un appellativo che nel primo novecento risultava come connotato negativo, ma che ben si sovrapponeva a quello dispregiativo di “bon homme” dato agli sconfitti Catari che, prima della loro fine sanguinosa, indicava invece lo stato di persona onesta e retta.

Possiamo anche citare l’usanza del “rito della Rama”, una sorta di benedizione del pane che veniva eseguita dai contadini delle Valli di Lanzo. Un rito che consisteva nel passaggio sui pani di una rametto chiamato per l’appunto con il nome di Rama. Nome che si lega probabilmente alla possibile etimologia dell’origine dello stesso nome della città di Rama vista come un centro da cui si dipartivano, come rami di un albero sacro, le strade che portavano i suoi rappresentanti verso le terre d’Europa.

Non mancano neppure le leggende popolari esistenti nelle Valli di Lanzo, supportate dai racconti delle Famiglie celtiche odierne, che narrano dell’esistenza di lunghe e grandi gallerie che mettevano in comunicazione la Valle di Susa con quelle di Lanzo. Gallerie oggi non più percorribili perché interrotte da frane, ma che furono oggetto di interesse da parte degli antichi romani e in tempi recenti anche oggetto di ricerca da parte dei nazisti che erano sulle tracce di depositi di armi dei partigiani.

Un altro esempio della sopravvivenza della cultura celtica in queste valli è la celebrazione del “Rito dell’Albero” praticato, secondo il racconto delle Famiglie celtiche di Lanzo, dalla popolazione celtica dei Rama nell’area dell’attuale Parco Regionale La Mandria, dove oggi sorge il grande Cromlech di Dreamland. Si tratta del "bran", “il palo di maggio" che ancora oggi viene praticato in tutta l’Europa, compreso il nord e sud Italia.

All’epoca dei "gallo-romani" la celebrazione era dedicata a Bel, il dio celtico della Luce, e veniva svolta in Primavera alla vigilia di Calendimaggio, quindi tra il 30 aprile e il 1° maggio.


Il rito del “Palo di Beltane” in una raffigurazione medievale

Il Palo di Maggio era sostanzialmente un lungo tronco piantato a terra, alla cui cima erano legati dei nastri colorati le cui estremità venivano tenute in mano dai danzatori che vi correvano intorno intrecciandoli.

Nelle Valli di Lanzo abbiamo molti esempi della celebrazione dell’antico rito del Palo di Maggio, anche se alle volte è stato trasformato nelle celebrazioni delle feste di paese con il ben noto “albero della cuccagna”.

Possiamo citare l’albero di Balme in Ala di Stura, di cui gli storici Giovanni e Pasquale Milone, nel loro studio relativo alle Valli di Lanzo del 1911, scrivevano: «Una cinquantina d'anni fa in Balme usavasi innalzare presso la cappella della Visitazione una specie di albero della cuccagna, adorno di fiori e di nastri».

Possiamo citare ancora le celebrazioni dell’albero di Balangero all’imbocco delle Valli di Lanzo, o dell’albero di Ceres o quello di Cantoira nella Val Grande. A Cantoira c’è ancora oggi l’usanza di portare lungo il paese un albero di agrifoglio agghindato con nastri colorati e dolciumi per poi lasciarlo esposto per qualche giorno.

A Giaglione, in Val di Susa, esiste un’usanza analoga: durante la celebrazione della Danza degli Spadonari, nel periodo di Candelora, viene esposto il Bran e portato in corteo per tutto il paese. Il Bran è un palo addobbato con fiori, spighe di grano e grappoli d'uva, intessuto con fiocchi e nastri colorati, che in basso ha una grossa forma di pane casereccio.

Per curiosità, ancora oggi in Bretagna alcuni alberi sono considerati sacri dalla gente del posto, quali simboli dell’Yggdrasil druidico, e vengono appesi sui loro rami doni votivi, biglietti di suppliche, poesie e vari nastrini colorati.


L’Albero sacro e la storia segreta della “Bela Rosin”

La radura, protetta dall’impenetrabile antica foresta, continuò ad essere il luogo dove i druidi della tribù dei Rama si riunivano per praticare le celebrazioni dei Solstizi e degli Equinozi e le loro pratiche terapeutiche.

Il luogo sacro rimase nascosto e protetto dalla foresta, anche quando, intorno al 150 a.C., le truppe dell’esercito romano incominciarono a occupare i luoghi combattendo contro i Salassi e spingendosi a nord del Piemonte.

Rimase tale anche dopo il 450 d.C. nonostante le persecuzioni della cosiddetta “Antica religione” operate dalla Chiesa dopo il Concilio di Arles contro i culti celtici rimasti in vita, in cui era stata promulgata la proibizione dell'adorazione degli alberi, delle fonti e dei megaliti.


La “Bela Rosin” con il Re Vittorio Emanuele II

La pratica del culto dell’albero sacro venne continuata nell'area delle Valli anche dopo l'editto della Chiesa e il grande tronco che sostituiva l’albero millenario veniva piantato nel terreno in occasione delle celebrazioni per essere poi nascosto. Si stendevano ancora i nastri colorati che partivano dalla sua sommità verso il basso a rappresentare i raggi del Sole e i doni di abbondanza elargiti dalla Natura e i convenuti danzavano intorno ad esso.

La foresta di querce rimase praticamente immutata nella sua estensione fino all’arrivo dei Savoia che ne destinarono una parte prima a riserva di caccia e poi ad allevamento di cavalli.

Intorno al 1850 il Re del Piemonte, Vittorio Emanuele II, decise di far recintare l’area, circa tremila ettari, con un muro di cinta di quasi trentacinque chilometri. Questa area privata, che sarebbe divenuta l’attuale Parco Regionale La Mandria, in parte venne adibita ad ospitare i palazzi con gli appartamenti Reali in cui si trovò a vivere con la sua seconda famiglia, la moglie morganatica Rosa Vercellana, soprannominata affettuosamente dal popolo del tempo la “Bela Rosin”, e i suoi figli.

L’area recintata venne utilizzata come terreno agricolo e come personale zona di caccia del Re. A questo scopo Vittorio Emanuele II, senza troppi scrupoli, fece importare all’interno della zona recintata cervi, cinghiali e altri animali che dovevano servire come prede per le sue “regali” uccisioni.

I due Anziani della Famiglia celtica di Lanzo raccontarono che “i loro vecchi”, ancora pochi secoli prima che il re Vittorio Emanuele scegliesse il sito per i suoi scopi, utilizzavano liberamente la zona nord della Mandria, dove era esistito migliaia di anni prima l’albero millenario, per compiere i loro riti druidici.

Tuttavia, precisarono che anche dopo che l’area fu recintata riuscirono ancora a frequentare il posto e a proseguire nelle loro tradizioni poiché la moglie del Re, la “Bela Rosin”, era stata abbastanza comprensiva verso le loro richieste e aveva permesso l’accesso.


Il Mausoleo dedicato alla Bela Rosin dai suoi figli. In stile neoclassico mostra evidenti riferimenti esoterici. Si ritiene che fosse stato realizzato per rappresentare sia il Pantheon di Roma, per simboleggiare la sua ecletticità laica, sia la Gran Madre di Torino, dove si dice sia custodito il Graal, nel riferimento alla sua ricerca filosofica

Secondo il testimone, la Bela Rosin era dedita dalla sua infanzia a studi e a pratiche di natura “esoterica” e proprio questo l’aveva aiutata ad interessare e ad affascinare il Re.

La Bela Rosin, o Rosa Vercellana, era nata a Nizza Marittima, in Francia, in un ambiente di "masche", le sacerdotesse della sopravvissuta Antica religione, e dove era stata forte la presenza della cultura celtica. Va ricordato come in zona era esistita sino agli anni ’70 una gigantesca piramide alta circa 50 metri, poi abbattuta per lasciare posto ad uno svincolo autostradale.

La città in cui la Bela Rosin era vissuta da giovane, Moncalvo, vicino a Crescentino in Piemonte, era anch’essa una zona dove c'era una forte presenza della cosiddetta “stregoneria” erede delle antiche tradizioni celtiche. Non va dimenticato che proprio in queste zone c'era stata una importante presenza dei Catari, cancellati dalla Storia a seguito di cruente repressioni da parte della Chiesa del tempo.

Secondo il nostro testimone la Bela Rosin condivideva i suoi interessi con vari studiosi dell’occulto e altre figure del mondo massonico dell’epoca. Interessi che venivano dibattuti con letture durante gli incontri nel suo salotto privato, attuati nella residenza della Mandria, dove si avvicendavano personaggi come il Conte Camillo Benso di Cavour, massone ed esoterista, che a sua volta era amico di Costantino Nigra, ritenuto dalle voci del tempo un druido e comunque un sostenitore della cultura celtica. Incontri in cui la Bela Rosin riuniva ogni genere di personaggi particolari con cui probabilmente venivano sviluppati discorsi di varia filosofia.

Il re Vittorio Emanuele II, appagato dal sincero affetto che divideva con la Bela Rosin, la lasciava fare senza preoccuparsi troppo delle sue frequentazioni e dei suoi interessi, occupato nelle sue lunghe giornate di caccia con nobili e amici a tessere avventure amorose di ogni genere.

Avvicinata dai “vecchi” delle Famiglie celtiche del tempo la Bela Rosin non ebbe quindi difficoltà a concedere il permesso di entrare liberamente nella zona nord del parco reale per eseguire i loro riti a cui, secondo i due testimoni, partecipò anche lei in più occasioni.

E proprio per la sua benevolenza e i suoi interessi sembra che venisse accolta in una delle Famiglie di Lanzo e riconosciuta nella qualità di aspirante druidessa.

Dopo la morte del re Vittorio Emanuele II, avvenuta il 9 gennaio 1878, la Bela Rosin non abitò più alla Mandria e non ebbe modo di rinnovare il suo permesso di accesso. Così accadde che le Famiglie celtiche delle Valli di Lanzo non ebbero più la possibilità di entrare nell’antico luogo sacro per celebrare i loro riti e dovettero definitivamente abbandonarlo.


Il cromlech di Dreamland ospita secondo la consuetudine dell’antico celtismo incontri di varia cultura, di musica e di esperienze di meditazione. Nella foto, un incontro di meditazione con il supporto della “nah-sinnar”, l’antica musica dello sciamanesimo druidico

Il luogo rimase quindi deserto e anonimo, parte della foresta rimasta venne abbattuta per far posto a campi coltivati e del luogo sacro rimase memoria solamente nelle tradizioni delle Famiglie celtiche del luogo.

Il caso volle che secoli più tardi venne l’idea, inconsapevolmente, di realizzare il Cromlech di Dreamland nella stessa zona. Solo la narrazione fortuita degli Anziani della Famiglia celtica riportò in luce l’antica memoria storica.

Per curiosità, circa la complessa e non ancora svelata figura della Bela Rosin si può ancora aggiungere doverosamente che probabilmente proprio per la sua particolare personalità, alla sua morte, avvenuta nel 1885, i suoi figli fecero erigere un emblematico Mausoleo in Torino in cui posare le sue spoglie. Si dice avessero fatto realizzare quest’opera monumentale per una rivalsa su Casa Savoia che aveva vietato espressamente che la loro madre venisse sepolta al Pantheon di Roma, insieme a Vittorio Emanuele II, poiché non era mai stata elevata al rango di Regina.

A osservare bene le caratteristiche dell’architettura neoclassica del Mausoleo si può notare come mostri evidenti riferimenti esoterici che potrebbero essere riferiti alla vita vissuta della Bela Rosin.

Alcuni ricercatori sostengono che il Mausoleo fosse stato realizzato per rappresentare in dimensioni ridotte il Pantheon di Roma, sede delle statue di tutti gli dei delle terre conquistate dall’Impero romano, come simbolo della sua ecletticità laica, aperta ad una filosofia senza confini. E che ricordasse volutamente la chiesa della Gran Madre di Torino, dove si dice sia custodito il Graal, per simboleggiare lo spirito della sua conoscenza filosofica.

Il Mausoleo in effetti, nel tempo, si è rivelato inevitabilmente come un preciso simbolo esoterico rispondente al pensiero laico della Bela Rosin, anche se le consuetudini sociali e la riservatezza dei suoi discendenti lo hanno sempre negato e contestato.

Rimane tuttavia ancora oggi il punto di incontro dei vari gruppi di esoteristi torinesi che lo considerano un luogo magico e denso di significati simbolici e profondamente spirituali.


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