Tradizioni Celtiche

Storie di Draghi, Cromlech e Templari - 4

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02 Luglio 2012

Il cromlech di Dreamland realizzato sul sito dove anticamente i druidi delle Valli di Lanzo si riunivano attorno al grande albero secolare per i loro riti e per la terapeutica con i cristalli di Balme

La leggenda di Fetonte e il cerchio di pietre costruito dai suoi aiutanti di metallo dorato hanno ispirato l’iniziativa dello Stone circle di Dreamland. Le tradizioni delle “Famiglie celtiche” delle Valli di Lanzo riportano storie dimenticate che ruotano intorno al Parco La Mandria. Il patrimonio culturale del celtismo racchiuso nelle leggende e nel megalitismo delle valli piemontesi


Il cromlech di Dreamland e la magia dei simboli celtici

Il ricordo della presenza dei Celti a nord della città di Torino sopravvive ancora attraverso la tradizione perpetuata dalle “Famiglie celtiche”, come esse stesse tendono a definirsi. Grandi nuclei di persone con strette parentele tra di loro e amici accettati a farne parte che continuano le antiche tradizioni celtiche. Ce ne sono in tutto il Piemonte, dalla Valle di Susa alle Valli di Lanzo, in Val Maira, nel Vercellese, nel Canavese, nell'Astigiano.

Nel corso della stesura del nostro libro “Rama Vive”, con cui ci prefiggevamo lo scopo di raccogliere e dare visibilità ai miti e alle tradizioni celtiche del Piemonte, Rosalba Nattero ed io abbiamo avuto l’occasione di incontrarci con alcuni esponenti di questi gruppi tradizionali.

Nel corso degli incontri avvenuti nella terra di Dreamland, a nord del Parco Regionale La Mandria, avevamo confidato loro la nostra intenzione di realizzare, oltre al libro, anche un cromlech (cerchio di pietre), sempre allo scopo di portare a conoscenza del pubblico la cultura misconosciuta dei Celti.

Descrivemmo il nostro progetto, un grande cerchio di pietre erette, che doveva ricordare quello che, secondo il mito, sarebbe stato edificato da Fetonte ai piedi del Roc Maol, il monte Rocciamelone, dopo la sua discesa dal cielo nella Valle di Susa. Un luogo comunicante anticamente con le valli di Lanzo, dove ci trovavamo in quel momento, con lunghe gallerie che attraversavano la montagna da valle a valle. I due Anziani con cui stavamo conversando, incuriositi, ci chiesero pertanto di mostrare loro il luogo dove avremmo costruito il nostro futuro cromlech.


Il dolmen del Rio Combin a Cantoira. Un’opera del tutto simile a quelle che si osservano nel Nord Europa

Indicata l’area di prato sul quale avevamo intenzione di posare le pietre del cromlech, uno dei due Anziani ci disse che quello, secondo la descrizione fatta più volte dai suoi vecchi, era il posto dove anticamente venivano celebrate le cerimonie druidiche di molti secoli fa.

Secondo il suo racconto, nel luogo che gli avevamo indicato, anticamente esisteva un grande albero sotto il quale avvenivano riti e pratiche terapeutiche dei druidi del tempo. Dopo che l’albero cadde al suolo, vinto dal tempo, il luogo continuò ad essere considerato sacro. Nei secoli successivi venne eretto l'albero sacro delle cerimonie druidiche, che ancora oggi è ricordato come il “Palo di Maggio”, e costituiva un punto di incontro per i Celti del luogo nelle occasioni dei Solstizi e degli Equinozi.

Una usanza che, nel racconto dell’Anziano, i suoi vecchi avrebbero praticato sino a pochi secoli fa, quando era ancora in vita la “Bela Rosin” che aveva dato loro il permesso di accedere alla tenuta fatta cintare dal Re Vittorio Emanuele II come sua zona di caccia privata.

Ovviamente incuriositi, alla nostra richiesta di indicarci la posizione dove si sarebbe dovuto trovare il punto di infissione del “Palo di Maggio” dei suoi antenati, con la motivazione che avremmo potuto usare anche noi come centro del cromlech che stavamo per costruire, l’Anziano rispose di non preoccuparci poiché ci avrebbe pensato Madre Terra a indicarcelo. Aggiunse che dovevamo semplicemente prestare attenzione ai segni che essa ci avrebbe dato.

Sarà stata una coincidenza, ma pochi mesi dopo l’incontro con i due Anziani, si era alla fine del 1999, un airone cinerino scese a posarsi sul prato e rimase immobile per parecchio tempo su un preciso punto, indicato da uno dei due ospiti come l’antica area sacra dei loro vecchi.


La Madonna nera di Cantoira. La statua che rappresenta la Madre Terra dei Celti è ancora oggi venerata, insieme ad altre similari, nelle Valli di Lanzo

Interpretammo questo evento come un “segno” da parte della Natura. Del resto la figura dell'airone rivestiva presso gli antichi popoli della Terra una serie di importanti significati. Nelle leggende irlandesi l'airone possedeva poteri soprannaturali ed era messo in relazione con la coppa del Graal, tanto da essere considerato un uccello segreto e magico. Presso i cinesi l'airone era conosciuto come l'uccello di fuoco, personificazione delle forze primordiali dei Cieli, e presso gli Egizi l'airone era associato al mito della Fenice e al pianeta Venere. Proprio la Fenice simboleggiava la venuta di una “nuova era” che "distruggeva" gli antichi testi sacri blasfemi, lontani dai valori della Causa Prima dell’universo, per far risorgere una nuova spiritualità dai resti della precedente. Presso i greci l'airone era inoltre associato alla figura del Drago e alla saggezza antica degli dèi dall’aspetto del serpente.
Quando l’airone, dopo qualche tempo, si allontanò in cielo posammo subito una pietra al suolo per segnare il punto del prato sul quale aveva sostato.

Il giorno dopo vedemmo un falco scendere dal cielo e andare a posarsi proprio sulla pietra che avevamo messo il giorno prima. Anche lui, per quanto ci avvicinassimo incuriositi, rimase per qualche tempo al suolo, immobile, prima di spiccare il volo verso il cielo.

Anche questo secondo evento fu recepito come un ulteriore "segno" della Natura, da raccogliere come suggerimento per il luogo dove collocare il centro "magico" intorno al quale si sarebbe dovuto costruire il futuro Stone circle.

Anche la figura del falco ha rivestito per i popoli antichi importanti significati. Presso gli antichi Egizi rappresentava il dio Horus che ereditava il potere del dio Osiride, suo padre, a cui si sovrapponeva come significato mistico, e della cui morte, causata da Seth, faceva giustizia.


La Madonna nera di Lanzo, centro delle omonime Valli piemontesi

Nei racconti delle leggende irlandesi, il falco manifestava inoltre un preciso ruolo sacro. Nella leggenda di Tuan Mac Cairill, il druido primordiale sopravvissuto al diluvio, che secondo il mito nordico ha dato vita alla cultura d'Irlanda, il falco rappresentava uno dei suoi stati iniziatici. Nella mitologia gallica il falco corrispondeva all'aquila e al suo potere celeste.

Le Valli di Lanzo e l’antica tradizione celtica

Ma il luogo dove avremmo poi costruito il nostro cromlech non era il solo ad essere intriso di antiche reminiscenze storiche legate ai Celti. Raccogliendo dati per il nostro libro abbiamo potuto constatare che in tutto il territorio contiguo, posto a nord dell’area di Dreamland, sino alle alte Valli che si dipartono dalla cittadina di Lanzo, esiste una indubbia presenza dell’antica cultura celtica che ha lasciato una sua considerevole impronta e che rimane ancora vitale tra le genti di questi luoghi.

Una sopravvivenza culturale favorita innegabilmente dall’impenetrabilità del territorio montano, accessibile all’epoca solo a mezzo di sentieri impervi che portavano all’interno delle tre valli. Una circostanza che aveva impedito alle armate inviate dalla Chiesa del tempo di esercitare completamente il loro controllo sulle popolazioni di quei luoghi.


La Madonna nera di Forno Alpi Graie, a cui è associato il culto della Madonna nera del Rocciamelone

Ne è prova che nelle Valli di Lanzo si parla ancora oggi il “franco-provenzale”, reputato dal luogo comune un dialetto locale ma che in realtà rappresenta un idioma che deriva dall’antica lingua dei Celti. Un idioma che oggi è associato al gruppo delle lingue “gallo-romanze”, come il francese e l’occitano, e conosciuto anche come lingua provenzale.

Inevitabile constatare che “qualcuno” deve pur aver tramandato nelle tre Valli questo idioma nonostante le persecuzioni subite. E insieme ad esso anche la cultura e le conoscenze tradizionali a cui si riferisce.

Considerando i numerosi reperti megalitici su tutto il territorio, la continuità delle tradizioni popolari nel folklore e la presenza delle “Famiglie celtiche” oggi ancora vive, viene da pensare che questa zona doveva essere stata uno degli ultimi avamposti piemontesi dell'antica religione celtica che ha resistito nonostante l’assedio del cristianesimo che stava attestandosi in tutto il Piemonte.

Possiamo citare numerosi esempi di questa continuità storica e culturale attraverso la sopravvivenza di leggende popolari e di opere megalitiche esistenti ancora oggi, che mantengono vivo il ricordo di un antico passato.


La Madonna nera del Rocciamelone, nella Valle di Susa. Secondo le leggende, esisterebbero gallerie che collegano la Valle di Susa con le Valli di Lanzo attraverso le quali anticamente venivano mantenuti i collegamenti tra le valli

A Forno Alpi Graie, nelle Valli di Lanzo, si trova un grosso masso erratico con misteriose incisioni: il paese è come riparato da questo grande masso posto appena sopra l'abitato. Una antica leggenda della valle narra che questo masso era inizialmente d'oro ed era piovuto dal cielo, scagliato dal diavolo con l’intenzione di distruggere il paese perché gli abitanti coltivavano culti pagani. Ma un eremita indebolì il diavolo con le sue preghiere e il masso, diventato di pietra, si collocò dolcemente a terra e da distruttore si trasformò addirittura nel protettore del paese. Gli incavi, le striature, i solchi che la roccia presenta non sarebbero altro che le impronte degli artigli, delle zampe, degli unghioni che il diavolo furibondo avrebbe lasciato.

La leggenda ha notevoli analogie con il mito di Fetonte da cui ha avuto origine la leggenda della città di Rama. È facile identificare il masso d’oro con il carro di Fetonte e con lo stesso Graal, così come è evidente il legame tra il demonio della leggenda, la figura di Lucifero e quella di Fetonte.

Nel museo della cittadina di Balme si può osservare una preziosa ruota forata legata all’antico simbolismo celtico. Poco distante dal borgo si può ammirare una collina artificiale che può essere identificata come un “tumulus” di evidente fattura celtica. Esiste nei pressi anche quello che viene definito “l’altare druidico”, un grande masso con al centro una coppella di vaste dimensioni, attorniata da altre coppelle minori.

A Ceres, in una foresta di faggi, si erge un grande menhir alto circa 5 metri. Alcuni ricercatori hanno rilevato sulla sua superficie vari graffiti di fattura celtica.


Uno dei numerosi “bonhom” che si ergono di varie dimensioni sul versante nord del Gran Bernardè nella Val Grande di Lanzo

Nell’area della cittadina di Cantoira, sul versante orientale della Val Grande di Lanzo, ai margini del Rio Combin, si trova un dolmen alto circa 2,40 metri e profondo 2,50. Un dolmen del tutto simile a quelli che si possono osservare nella Bretagna francese. A sentire i racconti degli anziani, una volta ne esistevano anche altri, ma secondo loro molti sono andati distrutti per ricavare pietre da costruzione. Vicino al dolmen si trova una fonte che nel folklore locale viene considerata terapeutica.

Nella Valle del Tesso, a ridosso di Lanzo Torinese, solcata dal torrente omonimo, esiste un vero e proprio parco di reperti megalitici di notevole importanza. Possiamo citare ad esempio il lungo dolmen a “corridoio”, che si trova sul “Colle della forchetta”, identico ad altri reperti simili esistenti sul suolo della Bretagna.

Abbiamo poi la presenza misteriosa dei “bonhom”, una sorta di torri realizzate con la posa di pietra a secco che si ergono nelle tre Valli di Lanzo, ma soprattutto sulle montagne della Val Grande di Lanzo. Ce ne sono tantissime, sparse lungo i versanti del Gran Bernardè e di tutte le dimensioni. Alcune anche in forma decisamente antropomorfa. Sono monumenti del passato dimenticati dalla storia e che la ricerca ufficiale evita di menzionare. Sono ricordati solamente dai pochi valligiani che continuano le antiche tradizioni e si può solo supporre che facessero parte di opere realizzate dai Celti che abitavano questi luoghi.

La loro funzione probabilmente era quella di costituire delle figure di “oranti”, come è stato supposto per la presenza dei menhir di Carnac in Bretagna, oppure di essere oggetti magici, sempre come i menhir, in grado di unire le forze del Cielo a quelle della Terra per convogliare l’energia tellurica che i druidi usavano per le loro azioni terapeutiche.


Una serie di “mongioie”, una sorta di strutture a forma di parallepipedo che ricordano le are cerimoniali degli antichi druidi

Nella stessa zona si trovano anche numerosissime “mongioie”, una sorta di strutture a forma di parallelepipedo, anche queste realizzate accuratamente con la posa di pietre a secco, che ricordano le are cerimoniali degli antichi druidi.

Per curiosità storica, con il termine di “bonhommes” si distinguevano i Catari, gli “uomini buoni”, ma dopo il loro sterminio ad opera della Chiesa del tempo la definizione prese un significato quasi dispregiativo, ossia “buonuomo”, per indicare una persona stupida e ingenua tanto da farsi plagiare dagli imbonitori.

C’è poi il caso delle numerose "madonne nere" che, sebbene costituiscano un mistero sul piano storico e religioso per chi non sa nulla della cultura dei Celti, rappresentano un geloso oggetto di culto da parte degli abitanti delle varie cittadine delle Valli. Statue che manifestano una origine inspiegabile agli occhi dei fedeli per l’inusitato colore della loro epidermide, ignea e marmorea, che rimangono a testimoniare la continuità storica degli antichi culti di Madre Terra e dei riti della fertilità del mondo celtico.

Esistono numerosi esempi di queste “vergini” nere. Le troviamo nelle cappelle e nelle chiese di Lanzo, Cantoira e Groscavallo. Proprio a Forno Alpi Graie, centro della leggenda che ricorda Fetonte, c’è una chiesa dedicata al culto della “madonna nera”, con un santuario costruito nel 1757 per un voto fatto a seguito di vari prodigi avvenuti all’epoca. La statua attuale, una Madonna nera di circa un metro di altezza, è posta al centro dell’altare. Il santuario è stato fatto edificare da Pietro Garino che avrebbe avuto l’indicazione dalla Madonna del Rocciamelone, a cui egli era devoto.

Proprio sulla cima del Rocciamelone si erge una madonna di bronzo alta quattro metri, particolarmente significativa poiché il Rocciamelone, o Roc Maol, secondo il mito sarebbe il monte alle cui pendici Fetonte avrebbe edificato il grande cromlech.


La ruota forata di Balme

Quello delle madonne nere rappresenta un culto particolare che, per curiosità di cronaca, è presente tuttora anche nell’area della città francese di Nizza, dove nacque la Bela Rosin, moglie morganatica di Re Vittorio Emanuele II, ricordata nel racconto dei due Anziani delle Famiglie celtiche come la persona che favorì l’accesso dei loro antenati alla radura dell’Albero sacro di Dreamland dopo l’avvenuta recinzione dell’attuale Parco La Mandria.

Per dare un’idea dell’importanza del culto seguito dai fedeli della zona francese, tra i vari esempi, si può citare la statua in bronzo della madonna nera, alta 11 metri e mezzo, eretta vicino a Villefranche-sur-Mer.

Anche se nel nostro tempo le madonne nere sono state cooptate nella liturgia cristiana, la gente dei vari luoghi in cui sono custodite dedica loro una particolare affezione che va al di là della consueta celebrazione mariana e che sembra affondare in radici ancestrali mai completamente distrutte.


Il tumulus di Balme

In merito alla colorazione nera delle immagini sacre, rimane ingenua e singolare la spiegazione che viene data dalle gerarchie ecclesiastiche ai fedeli che si interrogano sull’origine dell’epidermide nera. L’inconsueta colorazione viene spesso giustificata adducendo un loro annerimento naturale dovuto al fumo delle candele votive accese in loro prossimità. Dimenticando di spiegare come mai, a parte il viso e le mani, le statue conservino i loro brillanti colori degli abiti e delle insegne regali.

L’antica Saga della cultura celtica

Una emblematica leggenda popolare piemontese del ‘700 sembra stigmatizzare la particolare situazione culturale delle Valli di Lanzo legata alle vicende del celtismo e la sua sopravvivenza nonostante le persecuzioni di cui è stata oggetto.

La leggenda parla dell’esistenza di un terribile e gigantesco drago che viveva in una foresta a nord di Torino e che costituiva un pericolo per gli abitanti di questa città, timorati cristiani, che si trovavano a passare da quelle parti.

I malcapitati viandanti che si avventuravano sulla strada che portava a Lanzo erano spesso aggrediti e divorati. Il drago aveva l'abitudine di immobilizzare le sue vittime con lo sguardo per sedurle con la sua abile e suadente parlata fino a quando queste non opponevano più resistenza e si facevano divorare.

Secondo la leggenda, il drago, evidente demonizzazione dell'antica cultura dei Celti da parte della Chiesa del tempo, rappresentava una inevitabile minaccia per tutta la cristianità della città di Torino e ci volle una grande impresa per ucciderlo e liberare dal pericolo il territorio. La Chiesa del tempo risolvette il problema scagliando contro il drago un possente toro che con le sue affilate corna lo uccise liberando tutta la zona.

Ma a quanto sembra, prendendo atto della cultura sopravvissuta del celtismo locale ancora viva al momento presente, la Chiesa del tempo non raccontò la verità ai suoi concittadini.


L’altare druidico di Viù con le tre “norne” della mitologia nordica

Il drago non fu affatto sconfitto, ma, a fronte delle iniziative repressive della Chiesa, scelse solamente una strategia di prudenza, per evitare l'assalto e le soverchierie delle armate cristiane, nascondendosi nella profondità delle valli per continuare a custodire l'antica tradizione celtica.

La stessa prudenza che ancora oggi, forse anacronisticamente, ma come dar loro torto, perseguono ancora le attuali Famiglie celtiche che continuano a tramandare discretamente le antiche conoscenze della tradizione senza esporsi in alcun modo.

Nel nostro tempo, la tradizione dei Celti presente in queste zone del Piemonte costituisce un prezioso bagaglio culturale che necessita di essere studiato e compreso per riscoprire un antico aspetto della nostra storia che è andato apparentemente dimenticato.

Per tale motivo occorre ricostruire il percorso culturale compiuto dalle generazioni che ci hanno preceduto portando alla luce fatti e reperti che possano poco alla volta completare il quadro storico che ci è stato sottratto.

Un lavoro che si presenta di immane portata e tutt’altro che facile, ma che rimane essenziale per capire e gestire meglio il nostro presente.


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