Viaggi

Ngima Sherpa, dal tetto del mondo ai monti balmesi

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11 Aprile 2015

Ngima Sherpa sull’Everest


Sorriso e sguardo sincero, viso abbronzato, poche parole, passo tranquillo e approccio cordiale. I suoi piedi hanno pestato i giganti della Terra e, da qualche anno, i sentieri della Val d’Ala in Piemonte. Già, perché Ngima Sherpa è nepalese, più precisamente dal Khumbu, la valle ai piedi del Sagarmatha o, come lo conosciamo qui, dell'Everest, ma dal 2012 trascorre l'estate al Rifugio Gastaldi, il più antico rifugio delle Valli di Lanzo. «Provengo – ci racconta - dalla terra della mia gente, gli Sherpa. Sono una guida d’alta quota e accompagno clienti sulle montagne himalayane, cime di 7-8000 metri. I miei clienti sono generalmente alpinisti europei e americani, magari bravi arrampicatori, ma non sempre esperti di alta montagna, che desiderano coronare il sogno della loro vita. Per alcuni è la cima più alta del mondo, per altri è la sfida con se stessi ed è carica di significato, per altri ancora fa parte di una collezione.» Ngima, che ha 43 anni e lavora per un’agenzia che segue gli aspetti commerciali e burocratici della professione, ha cominciato questo lavoro per caso: «Come tutti i ragazzi sherpa, lavoravo nei campi e nella stagione buona accompagnavo le spedizioni come portatore. Durante una di queste conobbi un alpinista francese che mi spronò a diventare guida offrendomi di sponsorizzare lui i corsi scuola. Per diventare guida di alta montagna bisogna superare infatti una serie di esami, la cui difficoltà consiste non tanto nell'impegno tecnico ma nel costo stesso di iscrizione, che non tutti possono permettersi. Per me si trattò di un’opportunità inaspettata e l’occasione di scoprire una passione che non immaginavo di avere. Da piccolo forse mi sarebbe piaciuto studiare, ma mio padre non poteva permetterselo. Adesso sono io che aiuto i miei fratelli più piccoli oltre ai miei figli. La scuola è importante e in Nepal, se vuoi studiare seriamente, devi poter accedere alle scuole private con costi molto alti che pochi possono permettersi».


Spedizione sull’Everest

Per una salita all'Everest occorrono 5-6 settimane, compresa la marcia di avvicinamento: circa una settimana fino al campo base e poco meno per il ritorno. Durante il trekking la cucina è fornita dai lodge (rifugi) ed è un’alimentazione normale, tipicamente nepalese, a base di riso, verdure, legumi e anche carne. Al campo base viene preparata dal cuoco della spedizione utilizzando le scorte, anche di cibo fresco, portate dai portatori, e gli alpinisti mangiano in una tenda-mensa comune. Ai campi alti, dentro le tendine, si utilizzano solo cibo liofilizzato e integratori energetici perché la digestione diventa difficile e i cibi sono induriti dal freddo; si bevono molti liquidi caldi per reidratarsi. Nonostante le complicazioni delle spedizioni, il suo curriculum è impressionante: «Fra gli 8000, ho scalato nove volte l’Everest, sette il Cho Oyu, due lo Shixa Pagma e una volta il Lothse. Sono salito due volte sul Baruntse e tre volte sull’Ama Dablam, una delle montagne più belle della Terra. In Nepal operano circa mille mountain guide, guide di alta montagna, e per questo un buon curriculum non significa solo prestigio personale, ma maggiori opportunità di lavoro poiché più affidabili, o vincenti, come direste voi.».

Eppure il suo rapporto con la montagna è particolare: «Noi siamo credenti e buddisti convinti. La prima cosa è ringraziare le divinità per averci aiutato e protetto dai pericoli. Per noi la cima non ha il vostro significato e prevale la gran voglia di tornare giù in fretta. In genere non ci si ferma che pochissimi minuti, il tempo delle foto. Non c’è molto spazio per altri pensieri. Non è una sensazione piacevole stare lassù. Il fiato è corto, il freddo e il vento sono spesso molto forti. La prima volta ero felice ed emozionato. Era un gradino di successo per la mia professione. Ma ogni volta il rischio è elevato e non sei mai sicuro di arrivare in cima e che tutto fili liscio. Ora so bene come lavorare e affrontare gli imprevisti della salita, ma ogni volta è diversa dalle altre».

Ngima ha lavorato anche con Gnaro Mondinelli alla posa delle stazioni meteo sul tetto del mondo e ha partecipato alla spedizione del 2011 alla ricerca delle tracce di Mallory e Irvine, per scoprire se già l’Everest era stato da loro salito nel 1924. Nel suo futuro però si delinea ormai la possibilità di limitarsi a salite meno impegnative e ai trekking, con l'obiettivo di realizzare un locale per turisti vicino a Kathmandu, da gestire con l'aiuto della moglie e dei suoi tre figli.


L’Uja di Ciamarella e l’Uja Bessanese nelle Valli di Lanzo, Piemonte

«Di solito accompagno un cliente in particolare salendo assieme a lui ed aiutandolo a portare i carichi e montare i campi. Inoltre mi occupo di posare le corde fisse con le quali è più sicuro salire e scendere lungo le pareti fra i vari campi, perché conosco bene quelle pareti e perché mi preoccupo che, dai portatori, alla cucina, alle tende, tutto funzioni al meglio. Inoltre per qualcuno rappresento un possibilità in più di successo. Certo, è capitato diverse volte di rinunciare alla salita, sempre per garantire la sicurezza mia e dei miei clienti. La sicurezza dipende dalle condizioni della montagna, dal tempo, ma anche molto da quelle fisiche degli alpinisti. Nel mio lavoro incontro spesso italiani, francesi e austriaci che mi raccontano con entusiasmo delle Alpi e avevo perciò desiderio di conoscerle di persona. Se dovessi stare via per molto tempo però mi mancherebbe tutto, credo. Anche se siamo abituati ad emigrare, a volte in modo definitivo, per opportunità lavorative che qui non abbiamo. Ad esempio mio fratello minore si è laureato ingegnere aeronautico negli USA e spera di poter rientrare in Nepal per lavorarci come pilota, ma non è detto, dipende dalle possibilità che la vita gli offrirà. Sicuramente siamo sempre molto uniti anche a distanza. Diciamo che mi mancano un po’ le partite di “Karom” con i miei amici, una specie di biliardo giocato con mani e pedine su una plancia di legno».

E cosa ti è piaciuto delle Valli di Lanzo? «Ho percorso solo la zona sopra Balme, dal Rifugio Cibrario fino alla Ciamarella, che ho trovato molto divertente. Mi piacciono le montagne sopra il Rifugio Gastaldi e ne ho salite alcune. Ma soprattutto adoro la polenta concia!»

Il nostro amico, se fosse un europeo, sarebbe considerato un alpinista d’eccezione. Ma lui reputa quasi normali il suo curriculum e le sue capacità; conoscendolo si scopre quanto sia lontano da molti “superman” nostrani, rivelandosi una persona davvero mite e modesta, con una grande attenzione per chi gli è accanto.


 

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