Viaggi

Lungo il Fiume degli Dei

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28 Gennaio 2012

I templi di Abu Simbel

In crociera sul Nilo per ammirare le vestigia di una civiltà millenaria. L’Egitto dei faraoni rivive nei templi edificati durante quaranta secoli di storia, simboli del potere e della fede che hanno sfidato il tempo e la natura. Una rotta indimenticabile, destinata a restare per sempre il mito di ogni viaggiatore


La meraviglia arriva osservando le foto, quel bottino che ogni viaggiatore si porta appresso per conservare ed ordinare le proprie emozioni. Si tratta sempre di un risultato qualitativo (che dipende dal talento e dai mezzi a disposizione) ma anche squisitamente ‘numerico’: dove la quantità corrisponde al numero delle sollecitazioni vissute durante l’esperienza diretta. Bene, una settimana in Egitto dilata a dismisura quest’ultimo dato, con gli scatti triplicati, con una densità di soggetti e inquadrature imparagonabile se confrontata a viaggi precedenti. E' questa la prima conseguenza dell’indimenticabile, il risultato più concreto e misurabile di un percorso nella storia e nella civiltà senza eguali.

C’è poi un secondo risultato – sempre fotografico, anche se meno appariscente – sul quale vale la pena di riflettere. Rivedendo le immagini scattate balza sempre all’occhio un elemento di contrasto: a fianco del soggetto (panorama, monumento, edificio…) appare sovente qualche elemento di disturbo, fastidiosamente persistente, che lo scorrere del tempo ha reso inevitabile: edifici contemporanei, chioschetti, auto, turisti incolonnati… In Egitto queste presenze inopportune appaiono sotto una luce diversa: tutto è così solenne, mistico, smisurato, ancestrale, che ogni altro dettaglio risulta nanificato, indifferente, privo di valore. Anzi di più: gli sciami di visitatori (o il singolo ometto intento a fotografare il colosso) sembrano rimandare beffardamente al chatwiniano ‘che ci faccio io qui?’, polvere di misera umanità, zanzare in processione di fronte a qualcosa che non potrà mai più essere così grande. Se queste prime considerazioni aiutano a inquadrare le ragioni di un viaggio, un’altra valutazione va fatta sui tempi a disposizione per effettuarlo.


Il Tempio della regina Hatshepsut

Di solito la regola è semplice: più giorni si hanno a disposizione e più una località si riesce a comprendere nella sua pienezza. Un concetto che vale per città e destinazioni ad ogni latitudine, quasi una risultante matematica che governa scelte e programmazioni, pacchetti ‘ben confezionati’ ed itinerari condotti in piena libertà. Tutto questo viene rimesso in discussione se l’obiettivo è una prima esperienza egiziana. L’immensità del territorio, la ricchezza imponente dei siti da visitare, le lunghe distanze da percorrere, la preparazione storica ed archeologica necessaria per comprendere ciò che si incontra, imporrebbero soggiorni lunghi, uno studio anticipato impossibile da improvvisare, una conoscenza del territorio ampia se non addirittura dettagliata. In buona sintesi: o si hanno settimane a disposizione o si rischia un ‘effetto Bignami’, deludente prima ancora che sintetico. Inoltre occorre tenere in considerazione il clima: torrido tra luglio e agosto, quando occorre rassegnarsi a visite che impegnino esclusivamente la prima e l’ultima parte della giornata. Ma quella egiziana è stata una grande civiltà fluviale, segnata dai ritmi e dagli influssi del Nilo, l’immensa vena azzurra che solca il deserto per centinaia di chilometri. Lungo le sue rive si trovano le vestigia del più grande impero dell’antichità e il Nilo, oggi come allora, rappresenta la via privilegiata di comunicazione e di collegamento.

Tramontata l’epopea dei faraoni, divenuto l’Egitto terra di conquista per altre genti e altri sovrani, il grande fiume ha continuato ad esercitare il suo ruolo; fino ai tempi più recenti, quando l’immensa opera architettonica della diga di Assuan ne ha regolato e modificato flusso e potenza. Dove navigarono eserciti e sacerdoti, divinità e cortei in processione, oggi – insieme ai battelli commerciali e alle feluche dei nativi – solcano le acque del Nilo centinaia di motonavi concepite per le esigenze del turismo moderno. Una formula, quella del turismo di navigazione, che aggiorna i leggendari viaggi dei pionieri di inizio Novecento, resi celebri da racconti, pellicole intramontabili, relazioni romantiche e romanzi d’autore, il cui capostipite continua ad essere l’irrinunciabile ‘Poirot sul Nilo’ di Aghata Christie.


Il Tempio di Medinet-Habu

Ma cosa resta oggi di quel mondo dorato dove archeologi, avventurieri, teste coronate, spie, fanciulle trepidanti e miliardari in crociera affrontavano l’Egitto con caschi da esploratore, velette, sahariane e cocktail d’ordinanza gustati in un tramonto dal fascino millenario? Forse più di quello che si potrebbe attendere o immaginare. Certo, i tempi di navigazione sono cambiati, l’industria turistica ha diversificato l’offerta (si va dal lusso più sofisticato alle formule abbordabili per ogni clientela), la folla dei visitatori ha irrimediabilmente compromesso (come in ogni altra località di appeal universale) la maestosa solennità ed il silenzio dei siti monumentali, il contesto ambientale ha risentito dello sviluppo, anche caotico, di una società (quella egiziana) che è tipica dei paesi mediorientali più affollati in via di sviluppo. Tutti elementi di una modernità con la quale è inevitabile fare i conti, ma che hanno solo inevitabilmente ‘corretto’ il fascino assoluto di un itinerario che resta mitico e imprescindibile per ogni vero viaggiatore. Se oggi possiamo ancora godere di un patrimonio senza pari, il merito va equamente diviso tra il valore assoluto delle vestigia (immortali nel vero senso della parola) e la professionalità di chi riesce a mettere in campo un prodotto turistico impeccabile, conciliando tempi, esigenze, budget e qualità nell’accoglienza. La ‘crociera sul Nilo’ – quando è inscenata dai suoi migliori interpreti – permette ciò che a prima vista potrebbe apparire inconcepibile: l’immersione concreta (per quanto limitata nei giorni) in una realtà archeologica, storica ed umana di valore assoluto.


La piramide di Saqqara

Così l’alternativa a quel viaggio egiziano ‘lungo e profondo’, alla portata di pochi, trova la sua alternativa ideale (l’unica possibile) in questa formula ‘crociera’ dove si vede tutto l’indispensabile, godendo dei vantaggi strategici millenari di un fiume nato per essere vissuto e navigato. I tempi morti, ed i trasferimenti pesanti tra una località e l’altra, vengono idealmente sintetizzati da una sequenza di approdi e partenze: si lascia un tempio per salire a bordo, il viaggio tra una meraviglia e l’altra è scandito dallo scorrere delle acque, tra deserti che confinano con la riva, tra le indolenti dolcezze di un incedere pronto a rivelare villaggi, ancora altri templi, macchie rigogliose di vegetazione, natura, umano fluire delle cose tra sabbie, dune, chiuse, case, aironi, isole, feluche, bimbi vocianti, colori sempre diversi col passare delle ore. Si naviga e ‘si vede’, si riflette su ciò che si è visto e ci si prepara al prossimo sbarco. Il ponte della nave diventa una casa provvisoria, dove leggere la Lonely Planet, Aghata Christie o l’ultimo romanzo di ‘Ala Al-Aswani, dove chiacchierare oppure sonnecchiare accarezzati dal sole, dove appostarsi col tele per catturare uno scorcio che arricchirà il nostro ormai foltissimo carnet di immagini.

Ma una settimana basta, anche perché questo è un paese generoso, non si lesina né si nasconde, ti arriva velocemente negli occhi e nel cuore indipendentemente dall’età, dalla cultura, dalla tua preparazione.

L’antico Egitto consente il confronto immediato con una dimensione divulgativa e impattante allo stesso tempo, ideale per essere compresa (nei suoi tratti essenziali) da ogni visitatore. Europei e giapponesi, colti studiosi di archeologia e neofiti, tutti – allo stesso modo – afferrano il significato di una civiltà che seppe mettere in scena la propria grandezza come poche altre.

Se non vediamo più case, magazzini e città, costruiti in legno e fango, cancellati dal deserto e dalle inondazioni, i monumenti funerari ed i templi bastano – da soli – a sedurre con l’imponenza di architetture inserite in uno scenario semplice e netto (deserto, roccia, lungofiume), dai colori idealmente sincronizzati su pochi (perfetti) accostamenti: giallo, ocra, bruno, qualche volta in significativo contrasto con il solo il blu delle acque.


Il Tempio di Kom Ombo

Due dimensioni compongono la magia di una solennità che tempo e natura hanno ‘asciugato’ cancellando il superfluo: quella verticale (colonne, mura, statue immense…) e quella orizzontale, con chilometri quadrati di geroglifici, iscrizioni e bassorilievi.

Così la storia si ‘vede’ nella sua maestosità per poi essere ‘letta’ attraverso figure e segni in grado di raccontare dinastie, figure, battaglie, riti, vicende, fatti e cronache. Il medium di tutto ciò diventa la guida, l’esperto, l’egittologo, colui che sa ‘interpretare’ traducendo la meraviglia e lo stupore in ragionamento e comprensione. Il nostro accompagnatore, Essam, merita qualcosa di più di un semplice elogio, perché ci ha rivelato l’essenza dell’impero più longevo di sempre stringendo un ponte col presente: «Abbiamo anticipato di duemila anni la storia del mondo. Qui venne realizzata la piramide di Cheope quando ancora non si conoscevano il ferro e la ruota. In Egitto fu inventata la scrittura e creata la tecnologia per i primi templi in pietra, prodigi che generazioni di studiosi non si sono rassegnati ad accreditare alla nostra gente. Secondo molti di loro il contributo determinante arrivò sempre da qualcun altro, scomodarono persino gli atlantidi e gli extraterrestri. Forse è la conseguenza di un sonno lungo 1400 anni, quel limbo che ci ha fatto riscoprire solo dagli stranieri e tanto tempo dopo.

Ma oggi la realtà è sotto gli occhi di tutti: noi eravamo già adulti quando gli altri popoli uscivano dall’età della pietra. Però la storia gira, cosi, tra Cleopatra e Nasser, i padroni di questa terra non siamo più stati noi; abbiamo dovuto attendere per secoli l’indipendenza senza dimenticare la nostra grandezza, mantenendo un orgoglio che ci ha lasciato in eredità tolleranza e saggezza. L’Egitto contemporaneo è un luogo accogliente dove il visitatore è sempre un ospite, con un tasso di delinquenza ed aggressività più basso rispetto a molti paesi europei, con il culto della famiglia e il rispetto assoluto per gli anziani. Siamo un paese islamico ma accettiamo le antiche divinità come il culto copto di molti nostri fratelli.


Immagine notturna del tempio di Kom Ombo

Al Cairo le ragazze velate si accompagnano per la strada ad amiche in abiti moderni, i grandi mercati sono aperti fino a notte e, nonostante vivano sotto lo stesso cielo ventidue milioni di persone, ogni aspetto quotidiano ha sempre una sua dignità». Grazie ad Essam l’Egitto millenario non è mai stato un corpo estraneo da osservare con astrazione. Nella settimana passata in sua compagnia, e con lo staff di Francorosso, abbiamo raccolto un bagaglio di emozioni che riusciamo a riassumere solo lavorando per immagini. Nella mente e negli occhi restano le imponenze dell’antica Tebe, consacrata al dominio di Amon-Ra, coi giganteschi templi di Luxor e Karnak. Questo «scrigno di tesori d’inestimabile ricchezza», come scriveva Omero, rivive ancora nell’imponenza dei monumenti adagiati sulle due rive del Nilo, una consacrata ai culti dei vivi, l’altra alla grandezza dei defunti.

E proprio nell’impossibilità di comprendere la grandiosità di Karnak, che ospita la più grande sala ipostila mai eretta (uno spazio sufficiente a contenere San Pietro e la Cattedrale di San Paolo a Londra...), lasciamo lo sbalordimento alle parole di Amelia Edwards, che la vide nell’Ottocento: «è un luogo sul quale molto è stato scritto e spesso dipinto; ma nessuna descrizione letteraria né opera d’arte è in grado di renderne altro che una pallida immagine... La scala è troppo vasta, l’impressione che se ne ricava troppo intensa, il senso della propria nullità, piccolezza e incapacità troppo netto e opprimente».


La Piramide di Chefren

Valicando la riva e approdando ad occidente, ammirate alcune delle 63 tombe imperiali del Nuovo Regno, l’incanto ottico e prospettico ha i 3500 anni di storia del tempio della regina Hatshepsut, con la rampa trionfale e i colonnati che sembrano concepiti per l’Eur, magari dagli architetti di Stalin o da Albert Speer: antichità millenaria che abbraccia la metafisica, gioco di epoche e suggestioni sovrapposte. Risalendo il Nilo si raggiunge il tempio di Edfu: mura vertiginose, pareti lisce con immense figure scavate nella pietra; dedicato a Horus – il dio garante dell’ordine cosmico – è il meglio conservato e probabilmente l’ultimo tra i grandi edifici concepiti dagli egizi.

La crociera si interrompe ad Assuan, nei pressi della grande diga, dove ciò che resta dei villaggi nubiani cancellati dal lago Nasser si affaccia nell’incanto di coste bordate dal deserto, tra rapide scintillanti e chiazze di verde smeraldo: intatti scorci di natura accarezzati dal sole, a pochi chilometri dai diciotto templi ‘spostati’ verso l’alto per impedirne il fatale inabissamento.

Mancano ancora 280 chilometri da superare in volo per la ‘grande emozione’, quella che solo l’impassibile imponenza dei colossi di Abu Simbel può regalare. Le statue alte venti metri appaiono ancora più immense nel ‘nulla’ della roccia e delle acque: volute da Ramsete II, il ‘re dei re’, segnavano i confini dell’impero lanciando un monito alle genti del sud. Quegli sguardi fissi verso l’eternità, più di ogni altra cosa nanificano la presenza umana e quasi fanno dimenticare l’impresa che portò alla loro salvezza: una missione internazionale (con la fondamentale manodopera italiana) innalzò di 65 metri i colossi ‘tagliando’ l’intero complesso dei templi in 2mila blocchi di pietra (del peso tra le 10 e le 40 tonnellate), per poi rimontarlo nella direzione originale ricostruendo anche il paesaggio circostante. Il rientro sul Cairo è un altro omaggio all’adrenalina del viaggiatore: Giza con le piramidi e la Sfinge, in uno scenario così sfrontatamente grandioso da far rischiare la sindrome di Stendhal, la ‘città dei morti viventi’, dove 150mila esseri umani vivono barricati tra tombe e mausolei, l’incredibile museo egizio dagli allestimenti demodé che espone neanche metà del suo patrimonio, ma ti regala brividi irresistibili con l’intero corredo funerario di Tutankhamon… Ci sarebbe dell’altro, ancora molto altro, ma nel capogiro di sensazioni forti abbiamo scelto quelle maggiormente (e personalmente) più impattanti: gli appunti segnati in rosso di una moleskine dove non restano pagine libere. Quando una civiltà ha oltre cinquemila anni di vita ogni viaggio è il cammino di piccoli uomini sulle tracce dell’eternità.


Panoramica notturna delle Piramidi di Giza


Foto Guido Barosio e Franco Borrelli



Guido Barosio, giornalista, fotografo e scrittore, è direttore della rivista Torino Magazine e dell’Agenzia di Stampa nazionale LaPresse.





 

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