Arte |
La pittura: linguaggio per tutti? |
06 Giugno 2013 | ||||||
“Si dice che sono troppi. Ma i pittori sono sempre stati troppi. Dipingere non è proibito. È un diletto, un piacere che non va negato a nessuno; una libertà che ciascuno si può prendere. Al tempo delle classi privilegiate, non c’era damigella che non aveva cognizione di pittura... Soltanto, costoro non avevano velleità di esporre, e nemmeno sognavano di farsi fare la monografia. Il fatto nuovo è che è sorta un’industria, che dispone di sale illuminate, spaziose e centrali. Poi ci sono le ‘presentazioni’. La gloria è a portata di mano...” così scriveva Mino Maccari nel dicembre del 1960. Spesso mi sono chiesta, guardando le tante tele che si trovano un po' ovunque, in gallerie, musei, mostre, fiere artistiche, spazi espositivi diversi, a cosa vale dipingere e cercare di farlo bene in questa contemporaneità. Negli ultimi cento anni molti artisti hanno lottato, sudando ed esponendosi in prima persona, per rompere i canoni classici della pittura, negando la rappresentazione della realtà per esaltare i propri sentimenti. Nacquero numerosi movimenti contemporaneamente o in successione che portarono nel corso di pochi anni alla totale libertà di ricerca e di espressione. Tutti gli artisti del passato recente sono d’apprezzare per lo sforzo fatto in virtù della libertà di espressione. Ma oggi? Esiste ancora la libertà di espressione? Siamo in preda ad un’arte che è diventata un ostacolo, una trappola mortale per artisti di ogni genere. Non si dipinge il figurativo perché non si è accettati dai critici, e non si dipinge in piena libertà di espressione perché si finisce per scopiazzare l’arte informale: Action painting, Tachisme, Espressionismo astratto, ecc. Un’arte già fatta ormai da troppi pittori, fatta e rifatta in ogni sua forma, in ogni sua versione. In arte non prevale più l’ingegno, il saper fare o la conoscenza, ma le conoscenze e le appartenenze, perciò chi può paga e chi è pagato scrive.
La pittura e la scultura sono linguaggi antichi ma pochi li conoscono e comprendono il loro valore. C’è un solo modo per tornare ad avvicinare il pubblico all’arte ed è quello di farla bene. Non è sufficiente dipingere, è necessario, come sempre nelle stagioni migliori della pittura, dipingere bene: ricercare la bellezza del quadro, della forma e del segno; avere rispetto del mestiere. E soprattutto rifiutare la facile e accattivante banalità per non essere inghiottiti nel vortice dove “tutto è arte”. Si è affermato che con l’avvento della fotografia la necessità di rappresentare le cose con verosimiglianza, appartenuta in passato al disegno e alla pittura, sia venuta meno costituendo per queste arti un inevitabile motivo di crisi. Quest’idea, in uso fino agli anni sessanta, si è poi riformulata (non per caso in tempi d’informale) quando si è potuto osservare che la pittura e il disegno, al di là della forma e del suo racconto, sono sempre frutto di una astrazione, come esclusivo risultato della fantasia. Non esiste, soprattutto in Italia una vera definizione di “artista” professionista, come succede in molti altri Paesi. Mi è capitato alcune volte (e non è successo solo a me) di sentirmi dire: “Tu che lavoro fai?” “La pittrice.” “Sì, sì, ma che lavoro fai?” Nessuno vuole negare il diritto, anzi il piacere, anche terapeutico molte volte, per tutti di dilettarsi con la pittura, la scultura, la fotografia. Tutto sta nel termine “dilettarsi”. Ognuno rivendica per la propria presenza uno spazio di partecipazione, il pluralismo sembra divenuto un irrinunciabile connotato di democrazia, ma cosa c'entra la democrazia? Nel mercato dell'arte non viene preso in considerazione nulla che non sia meramente economico, e così chi ha soldi espone anche se non ha nessuna preparazione. Un pittore non deve per forza seguire un percorso accademico classico ma sicuramente occorrono anni di studio, di passione e di duro lavoro per raggiungere una certa maturità artistica.
Non basta che un linguaggio trovi un’attenzione di massa per essere necessariamente arte... né mettere parole in riga per fare una poesia. Oggi invochiamo il buon governo, un ritorno all’onestà e ad un’etica; ma ogni speranza sarà vana se questa società non sarà in grado di ristabilire il valore della selettività in tutti i suoi campi. Sempre più credo che per la fotografia come per la pittura – ma per l’arte in genere – sia tempo di rimettere le cose al loro posto: se non si ritorna a scegliere la “ bella qualità”, si alimenta la confusione. Vi è mai capitato di visitare delle Fiere d'Arte contemporanea? Avete ascoltato i commenti? Tra il pubblico e gli “addetti ai lavori” c'è uno scollamento totale. I mezzi d’informazione ci dicono che i mercanti d'arte nelle fiere e nelle gallerie si lamentano di come vanno gli affari e che il mercato dell'arte è in crisi. Ma non vendono forse opere a trenta, cinquanta, ottanta , centomila euro e molto di più? Io pensavo che uno dei motivi, niente affatto trascurabile, della crisi del mercato dell’arte fosse proprio quella speculazione su valori gonfiati fino all’incredibile di opere e autori creati a tavolino e in maniera del tutto discutibile. Perché non si torna a selezioni basate soprattutto sulla qualità e non solo sulla speculazione finanziaria (per cui un autore morto vale di più)? Perché in fondo la bellezza e il valore dell'opera sono le qualità soggettive che il pittore con la sua ricerca, con la sua creatività e la sua anima è riuscito ad infonderle. |