Il blog di Guido Barosio

Lampedusa e i Popoli Nativi

Stampa
14 Ottobre 2013


Un barcone rotto, scassato, precario, affronta le onde sapendo già di perdere la sua battaglia col mare. A bordo speranze, disperazioni, preghiere, foto e biglietti stretti tra le mani; mani che conoscono la paura, le percosse, l’umiliazione e la fuga. Ma – sopra ogni altra cosa – su quel barcone navigano esseri umani: uomini, donne, bimbi, figli e padri o madri di qualcuno, carne viva che non vuole morire e cerca un riscatto. Tra le onde, in una lotta perduta in anticipo, in una rotta governata dai ‘nuovi orchi’ che ricattano, rapinano, illudono, picchiano, affollano sul ponte gente come fossero cose. Il mare – sordo e feroce, splendido solo per chi sa affrontarlo – si divorerà tutto: perseguitati e persecutori. Alle mani antiche, semplici e generose dei pescatori di Lampedusa toccherà il compito di raccogliere, forse, qualche corpo; con la paura che una legge infame li obblighi a pagare di persona se il disperato, con gli occhi sbarrati dalla paura, è ancora vivo. Facile commuoversi, inevitabile indignarsi, logico esprimere rabbia chiedendo controlli, pattuglie, canali umanitari, aiuto all’Europa, ai governanti, a Iddio stesso. Ma lo sgomento ci chiama oltre. A terre - l’Africa - dove è nato l’uomo, il primo uomo, in altipiani ruvidi e immensi dove abbiamo imparato ad andare su due gambe, a correre, a cercarci il cibo, ad amare, a scrivere storie graffiando la pietra; cercando una logica, un senso, un presente e un futuro, un figlio, un pasto, una civiltà (che parola!) per raccontare noi stessi. Il Primo Uomo oggi è un profugo, un disperato, un essere vivente che lascia il suo cielo, la sua storia, quella terra dove ha gioito, pianto, si è riprodotto; quella terra dove, con le sue mani – con il pianto, la rabbia, la forza e l’allegria - ha ‘siglato’ (per sempre), nella notte dei tempi, quell’inizio che è anche nostro. Senza di lui, oggi, semplicemente ‘niente’: niente ricchezza, case, auto, soldi, aerei, app e web, arte e strade, cinema, nobel, libri, cose, piaceri, cazzate, pensieri, amori… Niente di niente. Nulla. Solo scimmie (beate loro, forse) nelle savane di tutto il globo. Allora – come dicono i rapper – pensiamo alla parola guida che deve seguire ogni indignazione ed ogni giudizio: ‘respect’, rispetto. Rispetto per la nostra origine; rispetto per ridare una dignità a luoghi dai quali si fugge; rispetto per una storia che – se non la guardiamo in faccia – non rispetterà certamente noi; rispetto per i nativi che ci hanno offerto la natività in un luogo oggi negato. Accogliere (proteggere, sorridere, accarezzare…) non è in discussione. In discussione è la vera partita; una ‘partita negata’ perché scomoda, fastidiosa, difficile (costosa?), brutale nella sua semplicità. Restituiamo alle nostre origini la dignità del luogo dove sono venute alla luce. Riavvolgiamo la matassa del tempo e della storia; diamo alla politica e alle idee una formula che deve essere semplice, visionaria forse, ma semplice. Il fuggiasco che comprende di non poter tornare – mai – sarà sempre e solo un disperato. Guardiamoci alle spalle e proviamo a strillare, rabbiosi e concreti. Solo se sapremo offrire un percorso di ritorno il nostro essere ‘accoglienti’ avrà un senso. L’uomo che ha spezzato l’equilibrio lo ricomponga: ogni essere vivente merita il suo sole e non il destino del profugo tollerato. La dignità dei popoli nativi attende una risposta. Ma se non ci poniamo la domanda saremo solo rigattieri di barconi alla deriva.


Stay Human (in memoria di Vittorio Arrigoni)