Il blog di Rosalba Nattero

I Popoli di Madre Terra

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16 Agosto 2014


Come ogni anno mi sono “tuffata” in un mondo invisibile, l’“isola che non c’è”, e come sempre, tornando a casa, mi sono chiesta come sia possibile che questa realtà venga trascurata, nascosta, non considerata.

Partecipavo con Giancarlo alla sessione annuale dell’Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples dell’ONU di Ginevra, eravamo lì in veste di delegati di sei comunità indigene di tutto il pianeta per difendere le loro tradizioni e i loro luoghi sacri. Un impegno preso molti anni fa, riconoscendoci nei loro diritti e nella consapevolezza di una comune identità. Con noi c’erano i nostri compagni di avventura, Luca e Gianluca, staff ormai consolidato che vive con noi le stesse passioni, non solo musicali.

Rosalba Nattero all’ONU di GinevraUna full immersion tra le comunità native ha il potere di risvegliare la speranza che il mondo possa davvero cambiare. Assistere alle discussioni su come rendere pratica la Carta dei Diritti, quei diritti fondamentali che dovrebbero essere il minimo standard riconosciuto a chiunque, ascoltare le esperienze personali di chi è stato sottoposto a violenze e abusi, nemmeno tanto tempo fa, e nello stesso tempo vedere con quanta dignità, consapevolezza e armonia tutti questi problemi vengono affrontati... è decisamente un’esperienza non comune.

Così come è un’esperienza non comune vedere in tutte queste comunità, così diverse, così lontane per luogo geografico e appartenenza culturale, spesso con lingue incomprensibili, una sintonia che permette di intendersi sulle cose fondamentali, come il rapporto con Madre Terra e il riferimento spirituale nella Natura.

Avendo a che fare con queste comunità appare lampante il motivo per cui le grandi religioni e la società maggioritaria hanno cercato di annientarle. È un confronto in cui la società maggioritaria ne esce inevitabilmente perdente. È un pericolo destabilizzante, perchè mostra l’esempio di una società basata su libertà, armonia, spiritualità senza dogmi. Quando non è riuscita ad annientarle, la società maggioritaria ha cercato di assimilarle, riuscendoci solo in parte. Le nefandezze compiute ai danni dai Nativi sono molteplici e indubbiamente hanno richiesto una gran dose di genialità, pur se sembra partorita da menti malate. L’apice è stato raggiunto con l’operazione che ha cambiato nome a seconda dei continenti ma in sostanza sembra sia scaturita da una forma mentis comune. In Australia l’hanno chiamata la “stolen generation”, generazione rubata. Migliaia di bambini rubati alle loro famiglie per eliminare il Nativo che era in loro. In Canada invece, in un recente studio emerge che almeno 100.000 bambini nativi americani sono stati uccisi nelle apposite "scuole residenziali", di cui due terzi erano gestite da suore e preti cattolici. Secondo le testimonianze di alcuni sopravvissuti, risulta che i bambini venivano volontariamente infettati con malattie mortali, sterilizzati, forniti agli ospedali come cavie per esperimenti "scientifici", stuprati, venduti ai pedofili, torturati atrocemente, picchiati a morte, assassinati in varie maniere, sottoposti ad ogni forma di violenza psicologica e fisica. Nel migliore dei casi, questi bambini venivano privati delle loro famiglie, puniti se parlavano la loro lingua e se praticavano le loro tradizioni, usati come schiavi. Tristemente famoso il motto dei colonizzatori su territorio americano: “kill the indian, save the man”. Una situazione che si è protratta per oltre un secolo ed è proseguita fino al 1990.

Eppure, nonostante quello che i Nativi hanno subìto dai colonizzatori, in loro traspare un’armonia, una pace invidiabile, ma anche una determinazione nel far valere i propri diritti.

È in atto un processo di “riconciliazione” che ha lo scopo di aprire un dialogo tra i governi e i Popoli indigeni, facendo finalmente emergere le responsabilità degli Stati circa i soprusi del passato allo scopo di trovare una via di uscita da posizioni apparentemente inconciliabili, e soprattutto di intraprendere un dialogo. Ora i governi chiedono scusa ai Nativi, come l’Australia che ha instaurato il “Sorry Day”, ma questo agli indigeni ovviamente non è sufficiente. La Truth and Reconciliation Commission del Canada stimola gli aborigeni a farsi avanti, a testimoniare le violenze subite, a uscire allo scoperto. Il suo motto è: “La verità sulle nostre comuni esperienze aiuterà a liberare i nostri spiriti e aprirà la via per la riconciliazione.”

Rosalba Nattero con Kenneth Deer, rappresentante della Nazione Mohawk Kahnawake del CanadaGli Indigenous Peoples hanno molto chiara la responsabilità della Discovery Doctrine nei confronti dei torti che hanno subìto, tanto da dedicare ad essa, nel 2012, un intero Forum all’ONU di New York in cui è stato chiesto al Vaticano di abolire la famigerata bolla papale che permetteva ai coloni, per diritto divino, di impossessarsi delle terer scoperte con tutto quanto c’era sopra, Nativi compresi. Abolizione che non è mai avvenuta, nemmeno come gesto simbolico.

Eppure il genocidio dei Popoli indigeni è considerato evidentemente un fatto trascurabile dai libri di storia e dai mass media. Su Wikipedia alla voce "Genocidio" troviamo le stragi compiute dai nazisti in Europa e dai comunisti in varie parti del mondo. Nessun accenno allo sterminio degli Nativi americani, 97% della popolazione dal 1500 alla fine del 1800. Nessu accenno al genocidio canadese né a quello degli aborigeni australiani e neo-zelandesi ad opera degli inglesi che dal 1700 al 1928 ha decimato oltre il 90% della popolazione. Evidentemente, questi sono genocidi di serie B. Nemmeno a questo riconoscimento hanno diritti i Popoli indigeni.

I danni della Discovery Doctrine non sono evidenti solo nei Nativi di altri continenti: si sono manifestati anche in Europa. Le “prove generali” di genocidio delle culture autoctone sono avvenute molti secoli prima delle colonizzazioni degli altri continenti. E sono state fatte proprio in Europa, ai danni dei cosiddetti “pagani” che popolavano i nostri territori. I popoli autoctoni dell’Europa, i Nativi Europei, sono stati privati della loro cultura e delle loro tradizioni. Culture pacifiche che sono state colonizzate, assorbite e distrutte prima dall’Impero romano e poi dal Cristianesimo. Queste culture sono state per la maggior parte distrutte, ma non del tutto. Molte comunità autoctone continuano discretamente a portare avanti le loro tradizioni, ancorché nel silenzio, nell’intento di preservarle.

La sessione si è conclusa con un rito Nativo americano molto toccante, poi è stata la volta degli abbracci e degli scambi di contatti, come sempre. Come sempre, ogni delegato sapeva che sarebbe tornato alla sua Comunità arricchito, colmo di esperienze, di notizie e informazioni utili.

C’è sempre una vena di malinconia nel lasciare un ambito che è stata occasione di incontri planetari, tra comunità che, senza quell’occasione, probabilmente non avrebbero neppure saputo dell’esistenza gli uni degli altri. Eppure ogni volta la speranza è più forte e diventa sempre più concreta. I Popoli Nativi rappresentano l’unica vera speranza in questo mondo malato, in questa umanità divisa da guerre di religione. La speranza di un mondo migliore, basato sull’armonia, sulla libertà, sulla conoscenza. Nel riferimento all’unica vera nostra maestra: Madre Terra.



 

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