Tra le tante tecniche che si propongono come “liberatorie” per l’individuo, troviamo il Tantra. Una dottrina delle culture religiose indiane, con diramazioni diffuse in molti altri Paesi.
Le origini non sono chiare, ma quello che appare subito chiaro quando si parla di Tantra è il suo aspetto sessuale: infatti il Tantra viene immediatamente associato a meditazioni e riti che usano l’orgasmo per raggiungere stati elevati di coscienza. Potremmo dilungarci molto sui molteplici aspetti di questa tecnica, ma quello che colpisce è soprattutto la finalità. Infatti nel Tantra (che poi ha dato origine al Tantra Yoga) si guarda all’eros come alla via principale per arrivare al Trascendente. Nei riti tantrici l’atto sessuale porta a un’esperienza di infinita consapevolezza per entrambi i partecipanti, i quali raggiungono l’estasi e la liberazione dall’ego. In ogni donna c’è una Dea, dice il Tantra; in ogni uomo un Dio. L’unione della coppia è un ricongiungimento con la parte mancante.
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Ora, io mi rendo benissimo conto che la società maggioritaria in cui siamo nati e cresciuti, disegnata a misura della religione imperante, ci ha imposti regole e dogmi contronatura e ci ha “educati” a pensare che il sesso fosse una cosa sporca, creandoci una infinità di complessi. Sono altresì convinta che un’attività sessuale libera e un armonico rapporto con il proprio corpo possa affrancarci da patologie e tabù. Ma tutto questo cosa ha a che vedere con il piano del Trascendente?
Che bisogno c’è di rivestire di un’aura mistica un atto perfettamente naturale come l’atto sessuale?
L’atto sessuale è una risposta a uno stimolo ormonale, così come l’innamoramento è frutto di un processo chimico. Elevare questi semplici processi naturali, comuni in ogni individuo, a elementi sacri non ha spiegazione razionale.
Sono abituata a rapportarmi al pragmatismo delle Tradizioni dei Popoli Naturali, in particolare a quella dello Sciamanesimo druidico che per completezza, razionalità e laicità mi offre (fino a prova contraria) una chiave interpretativa che mi permette di confrontarmi con le altre filosofie.
Trovo molto valida l’idea della filosofia sciamanico-druidica secondo cui l’individuo è un insieme di tre fattori: corpo, mente e spirito. Pur se interdipendenti fra di loro, queste tre istanze hanno delle loro peculiarità: il corpo assolve ai bisogni fisici, la mente a quelli intellettuali ed emotivi, ma è lo spirito l’unico piano che può eventualmente rapportarsi al Trascendente.
Quindi l’aspetto sessuale fa parte di quel piano materiale che può congiungerci al piano primario dell’universo, ma non ci porta certo al Trascendente. Men che meno la mente, con tutte le personalità fittizie che ci propone in continuazione.
Capisco che un momento di meditazione, anche profonda, può essere stimolata anche da una attività sessuale. È proprio questo che il Tantra ci vuole far intendere. Ma la stessa cosa può avvenire contemplando un’icona, recitando il rosario come un mantra, o nell’estasi mistica provocata dall’osservazione di un’opera d’arte.
È un fenomeno noto nelle tradizioni sciamaniche e ha una spiegazione: la produzione mentale (pensieri, emozioni, ricordi, aspettative) si ferma per qualche istante a causa di un fattore che porta fuori dalla realtà ordinaria, e il silenzio che ne consegue provoca un benessere che ci fa sentire parte dell’universo.
Questa esperienza fa parte degli stati percettivi che si possono ottenere con la meditazione, ma solo attraverso un processo continuativo e lineare può condurre al Trascendente.
Il Tantra invece sembra condurre dalla parte opposta: verso l’esaltazione della dimensione materiale, dove il sesso purtroppo rischia di diventare non uno strumento, ma un fine.
Il corpo è visto come un tempio sacro, l’unione sessuale come un ricongiungimento di due aspetti del Trascendente.
In realtà questo può rivelarsi come una grossa trappola che rischia di portare a un binario morto.
Il sesso è un elemento che coinvolge e dà appagamento. Se lo si ammanta di un alone nobile e mistico, si rischia di rimanere invischiati in un processo che rimane fermo ad una fase materiale.
Inoltre, sempre usando la chiave dello sciamanesino druidico e di tutte le tradizioni dei Popoli naturali, la via spirituale è assolutamente individuale. I Nativi americani o gli aborigeni australiani insegnano ai loro bambini a rimanere soli con se stessi fin da piccoli poiché è nella solitudine che si trova la propria forza interiore.
Il Tantra invece insegna a cercare “l’anima gemella” per il completamento di se stessi. E questa è un’altra trappola. Non è negli altri che possiamo trovare le risposte ai nostri interrogativi esistenziali. Non è in una persona dell’altro sesso che possiamo trovare la parte mancante di noi stessi. La parte mancante la troviamo quando, praticando la meditazione, usciamo dalla mente e troviamo il nostro vero io. Ognuno di noi possiede già tutte le sue parti mancanti, occorre solo identificarle e farle emergere con un preciso metodo meditativo.
Ma qual è l’io che propone il Tantra? Come si può definire il Tantra una via di liberazione, se la via che propone esalta l’aspetto materiale di noi stessi? E quindi l’ego?
Sicuramente ci sono molte persone che in buona fede intraprendono queste vie per trovare se stessi.
Ma come si può essere sicuri di trovare se stessi se la disciplina contempla il mettere la propria vita nelle mani del guru, il quale non è solo un maestro, ma un vero e proprio dio che determina ogni azione del discepolo e a quest’ultimo non rimane altro che eseguire qualsiasi ordine che il guru gli impartisca? |