Il blog di Rosalba Nattero

Perchè non mi piacciono i tatuaggi

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05 Dicembre 2013


Ho sempre avuto una naturale avversione per i tatuaggi. Non capisco che senso abbia fissare un simbolo sulla pelle, mi sembra contronatura, contro l’evoluzione naturale. Ogni giorno cambiamo, siamo in eterna mutazione; la nostra personalità, o meglio: le nostre tante personalità, sono in continuo cambiamento, ogni giorno, ogni minuto. E allora perchè voler fermare un processo evolutivo scrivendosi indelebilmente addosso un momento passeggero della propria vita? E’ come gettare la spugna, gettare via la speranza di poter rinascere ogni giorno.

Mi stufo spesso dei vestiti che indosso, delle abitudini, delle cose troppo ripetitive... figuriamoci quanto mi stuferebbe un marchio indelebile come un tatuaggio... probabilmente mi pentirei subito dopo averlo fatto.

Del resto, se andiamo un po’ oltre la moda del momento, i tatuaggi non hanno mai avuto un significato granché positivo. Sono sempre stati usati per marchiare una discriminazione. Gli schiavi, i carcerati, gli animali, le prostitute. Nella Cina antica ad esempio i tatuaggi sono sempre stati associati a criminali e banditi, sin dai tempi risalenti della dinastia Zhou (che data tra il 1000 e il 250 a.C.). Tatuare ideogrammi che segnavano schiavi e criminali incalliti è una tradizione che si è prolungata fino ai giorni nostri, essendo sparita praticamente solo all’inizio del 1900.

Andando ancora più indietro nel tempo, in epoche arcaiche i tatuaggi erano usati dai clan dei cacciatori, una stirpe che è sfociata nell’attuale patriarcato. Nella tradizione arcaica i tatuaggi erano visti come una dimostrazione della forza di chi vuole sottomettere i più deboli.

Mi si può obiettare che ci sono vasti esempi di popoli nativi che usavano e usano i tatuaggi, come i Maori, i Pitti, come a confermare che il tatuaggio fa parte della storia dell’umanità. A parte il fatto che per molti di questi popoli il tatuaggio è una pittura temporanea, come gli aborigeni che si “scrivono” la storia della loro tradizione sulla pelle in occasione delle danze e delle cerimonie rituali, o i Pitti che vengono descritti come il popolo nero, ma in realtà si dipingevano di blu scuro per andare in guerra, il tatuaggio permanente usato da alcune culture native non è necessariamente un esempio da imitare. Ci sono anche popoli nativi che praticano la caccia e la pesca, e non costituiscono certo un bell’esempio di amore e di armonia nei confronti della natura. Per fortuna esistono i Popoli naturali che si riferiscono a una tradizione più evoluta, società che hanno rispetto per la natura e per i suoi abitanti. E c’è anche chi i tatuaggi se li fa temporanei.

I sostenitori della tradizione dei tatuaggi citano anche l’esempio della Mummia di Similau, il famoso ritrovamento di un uomo dell’età del rame su cui sono stati contati 36 tatuaggi. Ebbene, l’uomo di Similau apparteneva al clan dei cacciatori.

Con la scusa della “tradizione” vengono giustificate pratiche che dovrebbero essere ormai superate da un processo di civiltà. Prendiamo il Palio di Siena, la caccia alla volpe, la corrida e altre simili pratiche barbare.

I tatuaggi per fortuna non fanno male a nessuno tranne che a chi se li fa fare. E riconosco che in alcuni casi diventano una vera e propria forma d’arte. Ma anche se capisco che la moda del momento obbliga le persone ad omologarsi per rientrare in precise categorie sociali, e di certo non voglio criticare nessuno, visto che nessuno può sfuggire a questa regola poichè qualsiasi cosa faccia, indossi o non indossi, viene automaticamente etichettato, continuo comunque a vedere nel tatuaggio una controtendenza rispetto a un processo evolutivo che, bene o male, è in ciascuno di noi.

 

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