Storia

Case di ieri e di oggi in Val Grande di Lanzo

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14 Aprile 2017
Cappella di Bonzo
Cappella di Bonzo

Come si cancella o si recupera la fisionomia di una valle


La “sfortuna”, se così si può dire, delle Valli di Lanzo (Piemonte), sta nella loro vicinanza alla metropoli. Tale prossimità, nei secoli passati, costituì un vantaggio, poiché offriva preziosi sbocchi all’emigrazione stagionale, consentendo ai montanari di integrare i magri bilanci e sopravvivere nei loro paesi. Inoltre, siccome in certi casi le partenze erano definitive, nei villaggi alpini si manteneva una situazione demografica equilibrata rispetto alle risorse. Il rapporto con la città era anche un mezzo di sviluppo culturale: gli abitanti dell’alta valle, che erano numerosi a migrare nella stagione fredda, erano più evoluti di quelli delle terre basse, i quali praticavano di meno tale usanza.

Nella seconda metà del secolo scorso tutto cambiò. La monocoltura industriale provocò l’esodo dalla montagna, anticipato e massiccio rispetto alle aree più lontane. All’opposto, data la vicinanza e perciò la comodità, si generò dalla città un flusso turistico di massa verso le nostre montagne, che recò, dagli anni ’60 in poi, la devastante speculazione edilizia delle seconde case e compromise paesaggio ed ambiente. Se effettuiamo un confronto con zone alpine più lontane e meno note, come la Val Chiusella a nord o il Cuneese, scopriamo un’urbanizzazione ben più moderata e libera da eccessi.

La contiguità con Torino scatenò anche il turismo domenicale, del tipo “mordi e fuggi”, che dona un modestissimo contributo all’economia del posto e danneggia l’ambiente. Nel corso del tempo le autorità locali non hanno mai fatto nulla per disciplinare tale fiumana, salvo rari interventi recenti. Ad esempio il Comune di Balme, resistendo vigorosamente alle polemiche populiste, ha saputo regolamentare in modo proficuo l’accesso al Pian della Mussa. Lo stesso si dovrebbe fare altrove.


Le dimore dei montanari

Gli insediamenti montanari di un tempo si collocavano su tre livelli d’altitudine: il fondovalle, con le dimore permanenti; le sedi intermedie, dette “muande”, e gli alpeggi. In Val Grande le prime nacquero, probabilmente, abbastanza tardi, forse intorno al Mille, poiché le aree contigue al torrente offrivano pochi spazi ospitali ed erano soggette a frane ed alluvioni. E’ opinione diffusa che la colonizzazione sia iniziata dai ripiani di media altezza, come quelli di Vonzo o di Vrù. I nuclei di fondovalle potrebbero addirittura essere nati come centri di raccolta e lavorazione mineraria, prima ancora che di attività agro-pastorali.

Uno dei pochi edifici di Forno Alpi Graie rimasti intatti
Uno dei pochi edifici di Forno Alpi Graie rimasti intatti

La conformazione geografica delle Valli di Lanzo comporta due elementi di fatto, che hanno condizionato gli insediamenti. Essendo esse in prevalenza strette ed incassate, specie verso la loro testata, il fondovalle è poco soleggiato. Perciò la maggior parte della gente soggiornava assai più a lungo nelle ariose “muande”, spesso da aprile a novembre-dicembre. Dove i solchi vallivi sono più ampi, come nel Veneto e nel Trentino, la permanenza nelle sedi stabili durava assai di più che nelle intermedie “maggiorìe”. Altresì la scarsità di terra coltivabile, oltre a costringere alla faticosa costruzione dei terrazzamenti, faceva sì che, intorno ai paesi, quasi tutto lo spazio fosse dedicato alle colture, mentre per il foraggio dell’inverno si saliva faticosamente a falciare con la “missoiri” (falcetto) nei luoghi più impervi, dove il bestiame non arrivava.

Delle abitazioni di fondovalle, salvo rare eccezioni, oggi non resta quasi più nulla, nemmeno i ruderi. La gran parte è stata abbattuta o “aggiustata” per costruire edifici moderni, prima da parte dei residenti o di chi era emigrato, poi dai cittadini in cerca della seconda casa. Un tempo le residenze stabili (come, in genere, anche le “muande”) racchiudevano in un unico complesso sia la parte abitativa, con la cucina al piano terreno e la soprastante “chambra”, sia quella riservata agli animali (la stalla ed al primo piano il fienile). La cantina-deposito era semi-interrata. E’ un’usanza diversa rispetto, ad esempio, al Veneto, al Friuli ed al Trentino, dove il fienile era quasi sempre autonomo, talvolta abbastanza distante dal villaggio, e la stalla in una costruzione separata.

Dato che le aree utilizzabili per costruire erano limitate, sia per i pendii acclivi o rocciosi sia per non sottrarre terreno alle coltivazioni, l’architettura spontanea ricorreva a molteplici soluzioni per sfruttare al meglio lo spazio disponibile: costruzioni o disposizioni asimmetriche degli ambienti, spesso seguendo il profilo della montagna o magari appoggiandosi a grandi massi; angoli esterni curvilinei, incavi con scale di accesso e così via. Non erano molto frequenti le colonne e le tettoie, benché se ne vedano alcuni esempi, ad esempio nella frazione Vonzo di Chialamberto. Forse non esisteva un artigianato diffuso, che necessitasse di tettoie da usare da laboratorio esterno (come in altre aree alpine). Una di queste si trova nell’interno di Forno Alpi Graie. Tra le borgate che hanno ancora conservato qualche edificio originario o elementi architettonici caratteristici sono da segnalare, nel fondovalle, soprattutto Bonzo, Migliere e Richiardi, nel Comune di Groscavallo, che meritano un giro di ricognizione, per riscoprire qua e là particolari interessanti.

Migliere. Esempio di edificio con sede unica per abitazione e stalla e l'antico ballatoio di legno
Migliere. Esempio di edificio con sede unica per abitazione e stalla e l'antico ballatoio di legno

Pressoché tutte le antiche case sopravvissute nella Val Grande sono sette-ottocentesche. Per questo si riscontra l’uso dell’intonaco esterno, che in tempi più lontani non era praticato, poiché si lasciavano le pietre a vista (come si vede ancora negli alpeggi), che non si collocavano ordinatamente, “a corso”, ma giustapposte come riusciva meglio. In genere solo i blocchi angolari erano ben squadrati. In rari casi si osserva nelle pareti qualche tratto di pietre disposte a spina di pesce (la “piüma”). In molti edifici, sia del fondovalle sia delle “muande” , era intonacato solo il pianterreno, con cucina e stalla. Gli architravi di porte e finestre attualmente sono quasi tutti di legno, il quale in passato sostituì più economicamente il materiale litico. Per ciò che riguarda le aperture, normalmente strette (talvolta strombate) per una serie di motivi, sono rarissime quelle ad arco, così diffuse ad esempio nel Canavese. Nelle “muande”, più intatte, sempre che non sia prevalso il degrado, sovente è possibile scoprire le soluzioni architettoniche più interessanti (ad esempio al Mogliasso di Bonzo o a Ca’ Giaclin, sopra i Bussoni). Molte, non essendo raggiungibili in auto e quindi troppo costose da restaurare, sono rimaste integre e sono l’ideale per gradevoli passeggiate esplorative.

Nella prima metà del ‘900 parecchie case di fondovalle furono ricostruite dai “locali” con maggiori dimensioni ed altezza (anche tre piani fuori terra, oltre al solaio) e con balconi dalle ringhiere metalliche anziché di legno. Sono più maestose, ma conservano l’aspetto rustico, con il loro intonaco grezzo ed i tetti scuri di lose, cosicché non stonano con l’insieme. Gli esempi più numerosi si riscontrano nella media e bassa valle, ad esempio a Cantoira.


I tempi della speculazione edilizia

Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento parecchie famiglie agiate di città fecero costruire, nelle Valli di Lanzo, le loro dimore estive (allora non si sentiva ancora il bisogno delle Maldive o di Bali per le vacanze). Si trattava di palazzine o anche di edifici imponenti, in genere con uno spazio verde, che mostravano dignità architettonica e particolari eleganti, dalle colonne ai loggiati ai trompe l’oeil. A Groscavallo è addirittura presente una costruzione settecentesca, purtroppo in abbandono, adorna di elaborate rifiniture di legno. Un altro esempio significativo, a Richiardi, è Villa Pastrone con il suo parco fitto di alberi. Ma ormai questa stagione di architettura aulica è finita da un pezzo.

Sopra l'Albone, esempio di spina di pesce nella parete di un  edificio
Sopra l'Albone, esempio di spina di pesce nella parete di un edificio

Gli anni ’60-’70 del Novecento hanno visto invece il boom delle ricostruzioni e delle seconde case, che ha stravolto l’aspetto dei vari centri abitati, e non solo. Prima si sono realizzate villette modeste, magari al posto delle vecchie case di famiglia, poi si è passati ai “villoni” pretenziosi, in cui il grande si associava al brutto, con il beneplacito dei pubblici amministratori. Ecco allora una serie di rivestimenti esterni dai materiali e colori più disparati, di colonne e balconi di tipo balzano. Un altro elemento distintivo di questa fase edilizia sono i tetti degli edifici, per i quali si sono utilizzati tutti i materiali possibili tranne le lose: le assurde tegole rosse, le onduline di cemento catramato, persino l’eternit. In genere tali abitazioni sorgevano ai margini dei nuclei antichi, ma si può anche “ammirare” qualche chiazza di coppi in mezzo al grigio delle lose. Chi restaurava la casa di famiglia cercava di imitare gli usi cittadini anche nei balconi, nei terrazzi e negli interni, con sfoggio di piastrelle luccicanti, poiché si vedeva orgogliosamente in tale opzione un riscatto dalla passata povertà. Ricordo che un anziano montanaro, visitando il mio rustico riattato solo con legno e pietra locale, mi disse disgustato: “Ma che cosa avete fatto ? Sembra un rifugio !”.

Dagli anni ’70 in poi la speculazione edilizia si scatenò con la realizzazione di giganteschi condomini, che soddisfacevano a prezzo accessibile il desiderio della casa in montagna. Soprattutto nei centri maggiori, come Cantoira e Chialamberto, sono sorte queste megastrutture, che soverchiano il paesaggio, ma anche i centri minori non ne sono rimasti esenti. Persino Forno Alpi Graie, alla testata della valle, ha il suo “capolavoro”, che viene chiamato “fungo”. E che dire dell’assurdo condominio di Case Ghitta, che si erge solitario in mezzo ai prati, coprendo la vista delle montagne ? La speculazione ha colpito anche le valli vicine: penso ai palazzoni di Ala di Stura o all’area periferica di Balme dove, sulla spianata, accanto allo stabilimento dell’acqua, si allineano enormi edifici residenziali (per fortuna in paese o ai Cornetti non c’era posto per roba simile). Quanto alla valle di Viù, come esempio basti per tutti l’ecomostro incompiuto dell’Alpe Bianca.

Osservando tutte queste mostruosità, mi chiedo sempre come i costruttori possano aver ottenuto dalle varie autorità i permessi di edificazione. E non è solo questione di brutture estetiche, ma anche di sicurezza. Non mancano gli edifici collocati in posizione pericolosa, magari in riva al torrente o su terreni esposti a rischio idrogeologico. Non lontano da Chialamberto, sul pendio, un intero quartiere di ville è sorto proprio ai piedi del canalone di una frana “viva”, che parte appena sotto il ripiano di Vonzo.


Bonzo.  Nel restauro si è conservato il caratteristico incavo della cantina
Bonzo. Nel restauro si è conservato il caratteristico incavo della cantina

La svolta recente

A partire dagli anni ’90 è iniziata in valle una certa inversione di tendenza, sia pur non generalizzata. Anzitutto almeno alcune Amministrazioni hanno posto in essere vincoli e controlli più rigidi, sia per la collocazione degli edifici in fatto di sicurezza sia per l’uso dei materiali. Ad esempio si è finalmente imposto, per i tetti, l’uso delle lose anziché del tegolame vario. In secondo luogo numerosi committenti hanno voluto abitazioni più consone all’ambiente montano ed al buon gusto, ottenute grazie al lavoro di alcuni validi muratori-artigiani della pietra locali.

Al riguardo uno dei casi più significativi è la “muanda” dell’Albone, posta sul suo aperto e soleggiato altopiano sopra Bonzo e raggiunta da una carrozzabile. Qui, con il restauro, si è realizzata tutta una serie di case che, con l’eleganza delle architetture, la scelta accurata dei particolari, l’utilizzo di materiali come la pietra ed il legno e l’allestimento di gradevoli spazi verdi, costituisce un ambiente unico. Chi si reca all’Albone, magari per una gita ai laghi di Unghiasse, può dedicare qualche minuto a girare per i vari nuclei abitati. Ma anche in altre borgate, specie alle altitudini intermedie, come i Rivotti, Vrù, Lities e soprattutto Vonzo e Candiela, scopriamo costruzioni di gran pregio. Gli interventi hanno toccato persino alcuni alpeggi più bassi, come le “Pügi”, le Benne ed in particolare Chiappili, sopra Vonzo. In Val d’Ala merita di essere citato almeno il Monte di Voragno. Quasi tutti i luoghi raggiungibili mediante carrozzabile hanno vissuto un rinnovamento edilizio (ma spiace vedere in abbandono, benché raggiunta da una strada, la bella “muanda” di Laietto, sopra Mondrone). Significativi esempi di case rifondate sulla base di pietra e legno, linee sobrie e cura dei particolari, si possono trovare a Forno Alpi Graie, che già prima dell’ultima guerra mondiale aveva visto sorgere alcune ville in stile alpino.

Per concludere il discorso sullo sviluppo edilizio degli ultimi due decenni, occorre anzitutto una precisazione. In certi casi si è trattato solo di un restauro apparente, nel senso che le antiche case, spesso cadenti, sono state abbattute e rifatte completamente, sia pur nel rispetto dei modelli locali, talvolta persino dell’aspetto originario, dotandole di moderni accorgimenti, come la coibentazione degli interni. In altri casi si è attuato un restauro vero e proprio, conservando la vecchia struttura, ma consolidando i muri portanti ed il tetto.

Rustico semi-diroccato ai Rivotti. Notare i grossi blocchi cantonali
Rustico semi-diroccato ai Rivotti. Notare i grossi blocchi cantonali

Un’importante pietra di paragone per valutare i nuovi edifici è la rifinitura delle pareti esterne. Gli esempi migliori sono quelli in cui la bravura degli artigiani ha fatto sì che, nelle connessioni delle pietre, la calce restasse nascosta, dando l’apparenza della pietra a secco. In altri casi, oltre ad aver scelto pietre più chiare, si è lasciato in evidenza eccessiva il cemento. Un elemento, però, accomuna le varie tipologie: pressoché ovunque si sono usate per la copertura lose quadrangolari rifinite a macchina, tutte uguali, per cui si è ottenuta una configurazione regolare, assai diversa da quella genuina, mossa e disomogenea, insomma rustica, di una volta. Non è la stessa cosa osservare dall’alto una vecchia costruzione dal tetto annerito ed una moderna dall’aspetto geometrizzante.

Agli sviluppi edilizi positivi che ho delineato non si accompagna, purtroppo, un quadro apprezzabile dell’ambiente naturale. In primo luogo il degrado è derivato dall’abbandono: i prati di un tempo, non più curati, si sono inselvatichiti o rimboschiti e spesso sono devastati dai cinghiali, che prendono liberamente di mira proprio i pochi spazi ancora ben gestiti. Di interventi di tutela manco si parla, per non urtare gli animalisti. In certe zone, come a Forno Alpi Graie, le alluvioni del 1993 e del 2000 hanno sconvolto il territorio. Altri danni sensibili vengono dal turismo selvaggio, al quale non si impone alcun controllo. Quando vedo, in certi posti, le auto parcheggiate sui prati, i sassi sparsi ovunque sull’erba per predisporre sedili e focolari (per il pic nic non bastano i panini, ci vogliono per forza costine e salciccia alla griglia), penso con malinconia all’amore con cui i nostri vecchi curavano la loro terra, che era fonte di vita.


L'articolo è comparso a suo tempo sulla rivista "Panorami", di cui si ringraziano Direttore e Redazione per la gentile concessione.