Storia

Armenia, la voce delle pietre urlanti

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20 Agosto 2020
Il sito megalitico “Carahunge” nei pressi della cittadina armena di Sisian. Carahunge significa “pietre urlanti”
Il sito megalitico “Carahunge” nei pressi della cittadina armena di Sisian. Carahunge significa “pietre urlanti”


La civiltà armena rappresenta uno dei patrimoni più misconosciuti del pianeta. Fra le principali motivazioni di questa scarsa visibilità vi sono secoli di aggressioni subite e culminate con i tragici fatti legati al Genocidio del 1915 (il primo del XX secolo), tornati alla ribalta negli ultimi anni con implicazioni di varia portata internazionale.

Eppure stiamo parlando di uno dei più interessanti capitoli della storia delle civiltà, apparsa (per restare a confini vicini alla nostra cultura) almeno 1500 anni prima di quella greca o romana.

Uno dei suoi tratti distintivi va certamente riconosciuto nell’essere la prima ad avere adottato il Cristianesimo: ma va sottolineato qui che si tratta di un Cristianesimo d’Oriente, quindi delle origini, che pochissimo ha da spartire con la Chiesa di Roma. Oltretutto, nel 451 d.C, la Chiesa Armena fu una delle tante Chiese d’Oriente messe al bando, scomunicate e considerate eretiche dal Papa per avere mantenuto pratiche, rituali e tradizioni esistenti da tempo immemore appartenenti ad una spiritualità arcaica e cristallina.

Molto di questa identità si ritrova per esempio nella poesia mistica del monaco e filosofo Gregorio di Narek (951-1003) uno dei primi grandi interpreti della cultura armena che ha saputo catalogare e comporre egli stesso scritti e musiche di straordinaria bellezza. Facendo un passo indietro, in Armenia nascono quasi contemporaneamente le prime scritture neumatiche e il primo alfabeto in concomitanza con quello ortodosso introdotto da Cirillo: si deve al monaco Mesrop Mashtots l’invenzione nel 403-404 di questo alfabeto e della notazione musicale tipicamente armena rimasta in vigore fino ad oggi.

Khatchkar (croci di pietra funerarie), simboli caratteristici dell’arte armena
Khatchkar (croci di pietra funerarie), simboli caratteristici dell’arte armena

Per rimanere alla musica Armena, vengono introdotti criteri espressivi tipici del mondo bizantino e di tutta la cultura mediorientale che verranno poi ripresi anche nella tradizione liturgica del medioevo occidentale. La parte sacra, è una delle più antiche tradizioni musicali scritte al mondo e ancora più antiche sono le sue tradizioni popolari vive e vegete nel terzo millennio. Possiamo dire di vedere qui rappresentata una perfetta unione di “sacro e profano” unica, autentica ed originale: la notevole diversità e profondità di questa tradizione è pressoché sconosciuta agli ascoltatori occidentali.

Questo filo rosso è mantenuto nell’opera dei trovatori armeni il maggiore dei quali fu Sayat Nova (1712-1795). Fu tra i pochi ad avere acquisito il titolo di ashugh che veniva conferito a chi sapeva cantare in diverse lingue, suonare diversi strumenti, comporre ed eseguire. La maggior parte dei trovatori infatti si tramandava esclusivamente in forma orale tutto un patrimonio che datava secoli. Sayat Nova invece, fu anche l’unico ad avere fatto pubblicare un totale di 230 componimenti apparsi per la prima volta a Mosca a metà del XIX secolo. Si tratta della più alta forma di poesia orientale che trattava per lo più l’arte del “bardo amoroso”.

Ma il musicista più amato dagli armeni, colui che li rappresenta maggiormente e in cui si identificano è senza dubbio Komitas Vardapet (1869-1935). Figura geniale, dalla vita intensa e drammatica. Divenne monaco dopo avere perso entrambi i genitori ma ben presto si dedicò alla musica intraprendendo una importantissima ricerca etnomusicologica. Girò infatti di villaggio in villaggio per tutta l’Anatolia alla ricerca di tutte le tradizioni musicali delle diverse etnie apparse in quelle vaste regioni. Riunì in totale 4000 canti che purtroppo si ridussero a 1200 a causa del Genocidio. Senza il lavoro di Komitas questo patrimonio culturale sarebbe andato probabilmente in massima parte perduto. Le sue raccolte sistematiche e rielaborate posero le basi della musica orchestrale armena. Inoltre, i suoi viaggi in Europa a partire dal 1897 permisero anche al mondo occidentale di conoscere questo straordinario tesoro musicale orientale che ben si prestava a una sintesi di diversi generi. Komitas conobbe la notazione musicale occidentale che gli permise di trascrivere il suo lavoro e ben presto fu conosciuto in tutto il mondo. Nel 1915 Komitas fu vittima del Genocidio: sebbene fu salvato in circostanze fortuite davanti a un plotone di esecuzione turco, da quel momento subì un enorme trauma psicologico che lo portò a vivere gli ultimi vent’anni della sua vita in una clinica psichiatrica di Parigi dove morì. Ci rimane la sua capillare ricerca che intendeva andare all’epoca pre-cristiana senza tralasciare espressioni musicali di diversa derivazione oltre quella armena. Una personalità molto aperta, atteggiamento che gli procurò non pochi problemi con la Chiesa Armena sebbene ne facesse parte.

Il regno d'Armenia attorno al 50 d.C.
Il regno d'Armenia attorno al 50 d.C.

Il famoso filo rosso di cui si è parlato è stato quindi ripreso, tracciato e tramandato da questo grande personaggio il cui lavoro è stato mantenuto fino ad oggi da numerosi compositori.

Gli Armeni sono un popolo indoeuropeo ma non sono collegati a nessun altro gruppo simile sopravvissuto. Stranamente, sembrano avere contrastato anche una tendenza di 10.000 anni del movimento indoeuropeo, migrando da ovest a est nell’ottavo secolo a.C stabilendosi nella regione chiamata Urartu (che è il nome dell’antica Armenia). L’Armenia oggi occupa solo una piccola parte della patria originale. Gli Armeni, da sempre popolo pacifico, hanno subìto continue conquiste, spartizioni e massacri da parte di vicini più grandi - l’Impero persiano, i Greci di Alessandro, i Romani, i Turchi e i Russi - che hanno provocato una grande diaspora e così attualmente moltissimi armeni vivono al di fuori dell’attuale piccola Repubblica d’Armenia. Dagli antichi confini resta oggi fuori un simbolo storico: le favolose cime gemelle del Monte Ararat che si trovano attualmente nella Turchia orientale. Inoltre parti dell’Armenia medievale sono ora detenute da Iran, Russia e Azerbaijan. La capitale Yerevan è una delle città più antiche della Terra: originariamente chiamata Erebuni le sue prime rovine risalgono al 782 a.C.

L’Armenia ha conservato il suo patrimonio culturale all’interno delle robuste mura dei monasteri molti dei quali sono stati scolpiti nelle pareti delle montagne per scopi monastici e contemplativi. I primi risalgono al IV secolo. L’importanza di questi monasteri è enorme: le loro biblioteche erano depositarie della più grande poesia, musica e letteratura che il paese poteva produrre o importare: si tratta di manoscritti insostituibili nascosti in quei luoghi per sopravvivere al saccheggio.

L’architettura armena, a lungo considerata semplicemente come area periferica del mondo greco-bizantino, rivela in occasione di recenti scavi un grande interesse. Monasteri, monumenti sepolcrali, palazzi, caravanserragli, ponti o “semplicemente” i Khatchkar (croci di pietra funerarie) sono i simboli più caratteristici di quest’arte armena. La presenza nel territorio di tufi di vario colore e grandi quantità di rocce eruttive (basalti e ossidiana) hanno consegnato agli artisti e artigiani del passato molteplici possibilità dal punto di vista stilistico. Lo stile architettonico armeno ha influenzato molte tecniche a noi conosciute dal nord Europa (romanico su tutti) al Nord Africa e anche per questo tipo di arte possiamo dire che si tratta di una mirabile sintesi molto originale di diversi influssi orientali (siriaci, iraniani) ed è possibile trovare iscrizioni ed incisioni in diverse lingue oltre all’armeno.

Il Re Armeno Sarduri II. Durante il suo dominio la civiltà di Urartu raggiunse il suo massimo splendore. Viene rappresentato con un carro che ricorda il carro di Fetonte o la ruota del dio celtico Taranis
Il Re Armeno Sarduri II. Durante il suo dominio la civiltà di Urartu raggiunse il suo massimo splendore. Viene rappresentato con un carro che ricorda il carro di Fetonte o la ruota del dio celtico Taranis

Un luogo molto particolare situato nei pressi della cittadina di Sisian è il sito megalitico di Zorats Karer conosciuto come Carahunge. Si tratta di un complesso di 223 menhir costituito da diverse sezioni: un cerchio centrale, un braccio che punta a nord, uno a sud, un corridoio in direzione N-E ed un settore che attraversa il cerchio centrale. A livello internazionale è anche noto come la Stonehenge armena. Tuttavia il sito, risalente alla Media Età del Bronzo e Età del ferro (ma riportato alla luce nel periodo 1994-2001) ha caratteristiche assolutamente legate a questi luoghi. Intanto l’etimologia del nome Carahunge deriva da due parole dell’armeno antico: car (o kar) che significa “pietra” e hunge o hoonch che significa “suono”. Pertanto Carahunge è traducibile come “pietre parlanti”. E questa versione è avvalorata dal fatto che, in giornate ventose, i menhir emettono suoni particolari considerati i molteplici fori incisi con angolature diverse in tempi preistorici. Originariamente il complesso fungeva da necropoli ma recenti studi hanno definito la possibilità che si sia trattato di un osservatorio. In questo caso si tratterebbe di uno dei più antichi osservatori astronomici del mondo, tesi avvalorata dalla specifica disposizione dei menhir in relazione all’alba e al tramonto durante solstizi ed equinozi mentre altri sarebbero collegati alle fasi lunari.

 

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