Alimentazione Vegan |
Non siamo fatti per mangiar carne |
23 Luglio 2021 | |||||||||||||||
Capita spesso di sentire frasi tipo: “da che mondo è mondo, l’uomo mangia la carne”. Ma è giunta l’ora di sfatare questo falso mito. Al riguardo ci vengono in aiuto la paleontologia e la paleobotanica.
Dati interessanti ci arrivano da studi condotti durante le ricerche in un sito archeologico spagnolo, a El Sidron, nelle Asturie, pubblicato su Nature già nel 2017, che hanno portato a rivalutare l’alimentazione dei nostri antenati e quello che rende il fatto molto interessante è che si tratta di antenati piuttosto indietro nel tempo. Addirittura risulterebbe essere il più antico campione analizzato dal team di scienziati che risale a 48mila anni fa. Dall'analisi del Dna ricavato da alcune placche dentali, si deduce che fossero completamente vegetariani. Il materiale genico estratto dai denti contiene molte utili informazioni sul comportamento e la salute delle antiche specie di ominidi. Fino ad ora le evidenze sulle possibili somiglianze dell'uomo di Neanderthal con l'uomo attuale non avevano toccato la dieta o le malattie. Ma dall'osservazione di questi esemplari provenienti dalla caverna di El Sidron, si capisce come si nutrissero soprattutto di funghi, pinoli e muschi e non mostrino traccia di carne nella dieta. Sulla base di queste evidenze, Laura Weyrich, una delle autrici della ricerca, dell’Università di Adelaide, Australia, esperta in ricerche sul microbioma umano, ha affermato che la vera dieta preistorica non è stata quella senza carboidrati, come è stato spesso erroneamente valutato, ma “mangiare qualsiasi cosa sia là fuori nell'ambiente”. I Neanderthal erano i nostri parenti più stretti, che 350mila anni or sono, emigrarono dall'Africa per giungere sul continente europeo e che vissero in Europa prima di estinguersi 40.000 anni fa, ma che hanno lasciato il loro Dna nelle persone di origine eurasiatica.
Sempre dalle ricerche effettuate al sito di El Sidrón è stato perfino possibile osservare come un giovane maschio, avesse sofferto di un ascesso dentario al mascellare inferiore e inoltre avesse una infezione intestinale, ovvero una microsporidiosi causata da Enterocytozoon bieneusi, che è un protozoo parassita endocellulare. Ma la cosa sorprendente è che il soggetto in questione si stava curando con un antiinfiammatorio e antidolorifico, come dimostrato dalla corteccia di pioppo rinvenuta nel tartaro dentale, il cui principio attivo è l’acido salicilico, che è un ingrediente analgesico dell’attuale Aspirina, e della contemporanea presenza del fungo penicillium, che oggi sappiamo sia in grado di produrre un ben noto antibiotico, ovvero la penicillina, che fu ufficialmente scoperta molti millenni dopo, nel 1929, da Alexander Fleming. Al riguardo il ricercatore Carles Lalueza Fox, che lavora presso l'Istituto di Biologia Evolutiva di Barcellona ed è specializzato in tecniche di recupero del Dna da resti archeologici, ha sottolineato, durante una presentazione degli studi in questione, che la corteccia di pioppo non ha alcun valore nutritivo, e quindi “perché avrebbe dovuto masticarla se non per alleviare il dolore?" Così l’uomo di Neanderthal potrebbe aver sperimentato rimedi naturali contro malattie e infezioni e soprattutto nutrirsi con una alimentazione a base vegetale e non essere così troglodita come la storia ufficiale finora lo ha dipinto. Altra notizia che è venuta alla ribalta, proprio da poco, è quella relativa alla pubblicazione di recentissimi studi condotti all’interno del sito archeologico di Göbekli Tepe, in Turchia al confine con la Siria, che riguardano specificatamente l’alimentazione dei nostri antenati.
Laura Dietrich, del gruppo dell’Istituto Archeologico Tedesco di Berlino, presente a Göbekli Tepe, si è direttamente occupata di archeologia del cibo e proprio in questo sito, risalente a circa 13.000 anni fa, ha fatto scoperte notevoli! Ad esempio, che le popolazioni neolitiche si nutrivano abitualmente di zuppe e stufati vegetali derivati dal grano lavorato e macinato attraverso strumenti specifici ed efficaci. Grazie ad analisi complesse sull’usura di quegli strumenti è stato possibile stabilire che la maggior parte è stata utilizzata per la lavorazione dei cereali quasi, potremmo dire, su scala industriale, come confermato dalla grande presenza di cereali nel sito e attestata da ulteriori analisi fitolitiche delle strutture rigide e microscopiche di silice presenti in alcuni tessuti vegetali. Il lavoro della Dietrich suggerisce che gruppi di esseri umani tra la fine del Mesolitico e l’inizio del Neolitico utilizzassero cereali probabilmente ancor prima di “addomesticare” quelle piante stesse e, in generale, da molto prima di quanto si considerasse precedentemente. Attraverso l’impiego di diverse tecniche, si è cercato di capire il ruolo che i cereali e altri amidi avessero nella dieta dei nostri avi, scoprendo che le diete non fossero poi così carnee come si pensava e portando di conseguenza molti dubbi sull’efficacia delle cosiddette “paleo diete” moderne, basate sul consumo di carne e sull’ evitare cereali e altri amidi. Questo lavoro di ricerca viene così a collocare i pezzi mancanti nella comprensione dei tipi di alimenti che componevano le diete arcaiche avvalendosi di tecniche che vanno dall'esame di segni microscopici su strumenti ritrovati nei siti, all'analisi dei residui di Dna all'interno dei recipienti. Guardando ancora più indietro, le prove suggeriscono che alcuni individui mangiavano piante amidacee più di 100.000 anni fa. Alcuni studiosi stanno anche cercando di ricreare sperimentalmente i pasti di 12.000 anni fa usando metodi di quei tempi. Altri dati interessanti derivano dalla branca scientifica denominata archeobotanica, secondo cui si è potuto vedere come le antichissime popolazioni “lavorassero” le piante. Alcune delle prime prove dell’addomesticamento delle piante di cereali provengono da chicchi di piccolo farro rinvenuti in un sito vicino a Göbekli Tepe, mentre invece in quest’ultimo i grani recuperati sono diversi per forma e genetica e sembrerebbero appartenere a varietà selvatiche.
Una delle tecniche più recenti utilizzate da Dietrich e dai suoi colleghi consiste nell’analisi microscopica delle tracce di cibi carbonizzati, tipo da zuppe lasciate troppo a lungo sul fuoco nei contenitori utilizzati come pentole. Nel caso delle tracce di grani, gli ingrandimenti effettuati al microscopio elettronico a scansione permettono di individuare cambiamenti significativi nella struttura cellulare dovuti alla cottura. I grani hanno rivelato così di avere un aspetto diverso a seconda che fossero freschi o bolliti, oppure macinati o interi, o ancora secchi o ammollati. Tutte scoperte che hanno rimesso in discussione molte delle interpretazioni iniziali di Göbekli Tepe, che lo descrivevano come un luogo di ritrovo per cacciatori maschi impegnati a mangiare antilopi alla brace, in cima a una collina, bevendo birra durante celebrazioni occasionali. In realtà, come fatto presente dalla Dietrich stessa: “… le persone a Göbekli Tepe sapevano cosa stavano facendo e cosa si poteva fare con i cereali... quei costruttori di monumenti non erano persone che facevano esperimenti con i cereali selvatici, ma bensì proto-contadini con una consolidata conoscenza delle possibilità di cottura del grano”. Anche uno studio condotto in Israele ci offre un panorama diverso dell’alimentazione paleolitica, molto più varia e ricca rispetto a quella riportata nei libri fino a oggi, considerata erroneamente esclusivamente carnea. I ricercatori Melamed e Goren-Inbar, insieme al loro gruppo di lavoro, della Bar-Ilan University di Ramat Gan hanno raccolto molti dati sulla diversità e abbondanza di resti vegetali nei periodi in cui vi è evidenza di attività umana, analizzati nel sito archeologico di Gesher Benot Yàaqov. Questo team di esperti ritiene che una grande varietà di piante sarebbe stata proprio una caratteristica importante dell’alimentazione dei soggetti presenti in quell’insediamento e, cosa peculiare, molto prima degli albori dell’agricoltura. Inoltre hanno ipotizzato che la conoscenza dell’ambiente avesse dato la possibilità agli ominidi di sfruttare le piante stagionali, permettendogli di abitare nella stessa zona durante l’anno.
Il sito archeologico di Gesher Benot Yàaqov rivela anche le prove di un utilizzo del fuoco controllato e di strumenti che avrebbero permesso di trattare gli alimenti prima di cuocerli. Il tutto a dimostrazione che avevano un gusto davvero ampio e con un vasto range di sapori. Rispetto ai vegetali è emerso che raccoglievano e conoscevano circa 55 diversi tipi di piante, come: noci, frutta, semi e gambi sotterranei che mangiavano come verdura. La cosa sensazionale è che stiamo parlando di un sito abitato 780 mila anni fa, dove gli studiosi hanno ricostruito la vera alimentazione paleolitica dagli avanzi preistorici ritrovati. Esistono, oltretutto, anche alcune caratteristiche delle parti del corpo umano che segnalano un evidente adattamento all’ alimentazione vegetale, come illustrato dal biologo italiano Carlo Consiglio, in un lavoro pubblicato nel 2015 dalla SSNV, Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana. Si può citare l’articolazione temporo-mandibolare (ATM) quale adattamento a masticare oggetti piccoli e duri. Ma è una articolazione che ha anche importanza nella postura eretta, nella fonazione e nella deglutizione. Così come una arcata dentaria ampia e parabolica idonea a mangiare grani di cereali. La struttura piccola degli incisivi, utile per l’utilizzo di foglie come cibo o la riduzione dei canini quale modifica per mangiare cibi duri. Senza dimenticare i premolari e i molari con cuspidi basse, adattamento anche questo per masticare cibi duri e compatti. Teniamo presente che proprio nella nostra dentatura, i molari supportano un carico di masticazione di almeno 80 kg, raggiungendo a volte 120-150Kg. Senza tralasciare lo spessore più accentuato dello smalto dentale sempre per supportare la durezza di cibi come grani e semi. Ricordiamo che lo smalto è la sostanza più dura del nostro corpo, che protegge la corona dei denti ed è formato dalla stratificazione di minerali quali carbonato di calcio, fosfato di calcio e fluoro, tanto da ricordare la consistenza delle conchiglie marine. E infine: la forma del colon con tasche e pieghe semilunari, quale adattamento alla dieta vegetale. Proprio l’intestino introduce un importante argomento: quello del microbiota, cioè la popolazione di microrganismi che lo popolano e il loro microbioma, ovvero l’intero patrimonio genetico posseduto dal microbiota, cioè i geni che quest’ultimo è in grado di esprimere.
La stessa ricercatrice di Adelaide, Laura Weyrich, che ha lavorato al sito archeologico spagnolo di El Sidròn, ed esperta in studi sul microbioma umano, ritiene che “osservando il Dna antico, possiamo studiare come i cambiamenti culturali, i cambiamenti nella dieta e le malattie hanno modellato il microbioma umano. Inoltre, possiamo studiare come l'evoluzione di questi microrganismi buoni che collaborano col nostro organismo, influisca sulle malattie odierne e come possano aver cambiato l'evoluzione umana”. Il nostro microbiota intestinale riveste un ruolo di primaria importanza nel mantenimento di un buono stato di salute. Ma quanto e in che modo il cibo lo influenzi è materia di studi attuali al fine di capire come migliaia di nutrienti diversi agiscano su una quantità enorme di microrganismi. Alcuni ricercatori dell’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, hanno pubblicato sulla rivista GUT i risultati di uno studio che ha ampliato le vedute al riguardo. In particolare, hanno voluto verificare come l’assunzione di alcune classi di alimenti fosse o meno associata alla presenza di un tipo di flora batterica più favorevole allo sviluppo di infiammazioni. Così per studiare la composizione del microbiota in relazione alla dieta, hanno analizzato gli scarti fecali di 1.425 persone, alcune delle quali sane, altre con il colon irritabile, altre con colite ulcerosa, altre ancora con morbo di Crohn: una patologia di carattere infiammatorio cronico di origine autoimmunitaria. Ne è risultato che gli alimenti processati e quelli di origine animale sono associati a un incremento della presenza di specie opportunistiche note per favorire l’infiammazione. Al contrario il pane e simili e i legumi sono collegati a meno microrganismi opportunisti e di come gli alimenti di origine vegetale siano associati a specie di batteri “buoni” intestinali che tengono bassa l’infiammazione del tratto digerente.
Al consumo di noci e semi, frutta, verdura, cereali corrisponde poi una maggiore presenza di una specie nota per essere una di quelle che più sintetizzano acidi grassi a catena corta, cioè quelle molecole che esercitano una potente azione antinfiammatoria e protettiva nei confronti delle pareti intestinali. All’estremo opposto si trovano gli alimenti processati, le carni, il junk food, ovvero il cosiddetto “cibo spazzatura”, che, in tutti i soggetti esaminati che se ne cibano, risultano associate a una spiccata presenza di specie considerate non positive e che possono danneggiare la mucosa intestinale. Tutto questo non può che evidenziare quanto la dieta umana moderna sia chiaramente limitata rispetto a quella arcaica a base vegetale. Per di più con la dieta odierna può anche succedere di essere succubi di una voglia incontrollabile di cibo, che può riguardare sia la dieta carnea che la dieta ricca di grassi, con rischio di procurare obesità e malattie metaboliche. Lo si può evidenziare da uno studio pubblicato a giugno su Frontiers in Psychology dal titolo Differences in Food Craving in Individuals With Obesity With and Without Binge Eating Disorder, in cui si è visto come “i modelli di apprendimento del comportamento alimentare eccessivo e del BED (Binge Eating Disorder), disturbo da alimentazione incontrollata, presuppongono che il semplice confronto con il cibo porti a una risposta condizionata che viene vissuta come desiderio di quel cibo. Di conseguenza, gli individui con obesità e BED hanno dimostrato di avere voglie di cibo intense e frequenti in quanto vi è un aumento della reattività del segnale e del desiderio alla vista di cibi ritenuti dal soggetto appetibili.”
Bisogna comunque tener presente che l’alimentazione carnea non soddisfa, porta a un adattamento dell'organismo ai suoi componenti e induce ad assumerne in dosi sempre maggiori o semplicemente viene difficile rinunciarvi, a meno che si utilizzi un atto consapevole di cosa sia la carne e dei danni che può provocare al proprio organismo e anche a quello dei propri cari con cui condividono la stessa tipologia di alimentazione. In conclusione, comunque stiano procedendo questi lavori di indagine che abbiamo trattato fin qui, si evince di come la storia alimentare abbia risvolti diversi da quanto ufficialmente sia stato raccontato finora, come già nel 2016 Giancarlo Barbadoro, fondatore di Shan Newspaper, descriveva in un suo esplicativo articolo, riportando che in un tempo molto più antico, che riguarda le nostre radici arcaiche,l’alimentazione fosse vegetale e rispettosa della vita e di come “la storia che conosciamo non racconta ciò che è effettivamente accaduto. Questa storia artefatta coinvolge la conoscenza delle nostre radici sino a compromettere la nostra alimentazione e la nostra salute” Molto meglio dunque ritornare all’alimentazione arcaica, fatta di cibo a base vegetale. Oggi in questo siamo avvantaggiati, trovando un’offerta di mercato davvero molteplice e variegata, sia per quanto riguarda direttamente i frutti che la terra ci offre, sia per i cibi proteici di derivazione vegetale reperibili ormai in molti supermercati oppure online, ma anche con la ristorazione sempre più attenta alle esigenze di questo trend che inesorabilmente si sta attestando e procede verso il futuro. Riferimenti: -Neanderthal behaviour, diet, and disease inferred from ancient DNA in dental calculus https://www.nature.com/articles/nature21674 -How ancient people fell in love with bread, beer and other carbs Well before people domesticated crops, they were grinding grains for hearty stews and other starchy dishes https://www.nature.com/articles/d41586-021-01681-w -The plant component of an Acheulian diet at Gesher Benot Ya‘aqov, Israel Yoel Melamed, Mordechai E. Kislev, Eli Geffen, Simcha Lev-Yadun, and Naama Goren-Inbar PNAS December 20, 2016 113 (51) 14674-14679; first published December 5, 2016; https://www.pnas.org/content/113/51/14674
-Carlo Consiglio - Gli adattamenti alimentari dell'uomo – SSNV Società Scientifica di Nutrizione Vegetriana -Long-term dietary patterns are associated with pro-inflammatory and anti-inflammatory features of the gut microbiome https://gut.bmj.com/content/70/7/1287 -Front Psychol. 2021 Jun 2;12:660880. doi: 10.3389/fpsyg.2021.660880. eCollection 2021 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8206470/
Miriam Madau è medico omeopata e nutrizionista vegano. Conduce su Shan Newspaper le rubriche “Felicemente Veg” sull’alimentazione vegana e “H2O” sull’omeopatia. Conduce inoltre la trasmissione “VeganSì” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it
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