Esobiologia |
Le piante: segreti di un’intelligenza aliena |
07 Febbraio 2013 | ||||||||||||||||
Le caratteristiche comportamentali del mondo vegetale. I sorprendenti meccanismi di trasmissione di informazioni nelle piante, le capacità mnemoniche e la sensibilità all’ambiente. Il fenomeno dell’entanglement, l’empatia con l’uomo e le manifestazioni ESP delle piante
Le piante e il fenomeno dell’entanglement Le moderne teorie scientifiche che indagano sulla misteriosa struttura dell’Universo stanno lentamente rendendo familiare un concetto di per sé complesso e straordinario come quello dell’entanglement, una sorta di intreccio cosmico che lega indissolubilmente ogni cosa della Natura. Secondo questa teoria esiste una intima interconnessione fra tutte le strutture dell’Universo e questo legame rivela le ripercussioni inevitabili che ogni evento provoca a catena sul mondo circostante. Questo scenario definisce in modo sorprendente anche il rapporto che siamo abituati ad avere con le piante, un mondo di cui amiamo circondarci per godere della sua bellezza e compagnia nei nostri ambienti familiari ma che ad una indagine più approfondita rivela essere soggetto alla stessa legge in virtù delle profonde relazioni, consapevoli o meno, che stabiliamo con esso anche nel comune ambiente domestico. Gli elementi che caratterizzano il normale rapporto che quotidianamente stringiamo con gli esseri viventi a noi più vicini, emozioni, pensieri, risoluzione dei problemi, memoria, meccanismi di difesa, reazioni a stimoli esterni, empatia, ecc. sono gli stessi che si ritrovano anche nella relazione che stabiliamo con il mondo delle piante. Siamo intimamente interconnessi anche a loro poiché proveniamo dallo stesso fenomeno esistenziale. Se ci si inoltra nell’universo interiore delle piante si scopre pertanto una dimensione inaspettata di complessità strutturale e comportamentale che rivela, con buona pace della scienza accademica che ne aborre il solo pensiero, una vera e propria intelligenza. Esplorando questo mondo sconosciuto vengono a galla inevitabilmente gli stessi interrogativi che di solito ci troviamo di fronte quando si affrontano temi delicati ed ostici come la definizione del confine tra vivente e non, gli attributi dell’intelligenza, che cos’è la coscienza, e si assesta una vigorosa spallata al nostro incorreggibile antropocentrismo. La convinzione che le piante possano custodire un ignoto mondo interiore non molto diverso da quello animale ha indirizzato settori non convenzionali della ricerca scientifica verso lo studio dei meccanismi che determinano e regolano la loro vita, ottenendo risultati davvero clamorosi. Studiosi e osservatori della Natura del resto sono stati da sempre attratti dalla loro natura e dai segreti del loro comportamento. Già nell’antichità Aristotele si occupò di indagare e dare delle definizioni “filosofiche” al mondo vegetale. La sua analisi, esposta nel “De Anima” lo portò alla conclusione riduzionista che le piante siano esseri con un’anima di basso livello a confine tra materia vivente e non, ma senza sensazioni, e questo pensiero ipotecò la considerazione del genere umano per le piante fino al sec. XVIII, quando prima Carl Von Linnè, iniziatore della botanica moderna, e poi Goethe nelle sue contemplazioni di carattere filogenetico del mondo vegetale, diedero un impulso decisamente contrario al pensiero vigente dell’epoca.
Le piante si muovono? Linnè affermò che l’unica differenziazione riscontrabile tra il mondo animale e vegetale è l’assenza in quest’ultimo del movimento, concetto che fu poi ampiamente superato, a incominciare da Charles Darwin che nel 1880, nel suo libro “il potere del movimento delle piante”, espone l’esempio della capacità indipendente di movimento del viticcio che noi non percepiamo solo per la scala temporale in cui esso avviene, fortemente diversa dalla nostra. Egli afferma che le piante si avvalgono di questo fattore e lo mostrano solo quando ne traggono vantaggio; conclude poi con decisione, alla luce di considerazioni tratte dalla formidabile capacità delle radici di percepire diversi stimoli come il tatto, l’umidità, la luce, la gravità, “che non è esagerato dire che l’apice della radice agisce come il cervello degli animali inferiori”: la prima clamorosa affermazione della scienza nella direzione di una possibile intelligenza vegetale. Ma fu un altro grande scienziato di quella stessa epoca, l’indiano Jagadir Chandra Bose, un fisico che studiava la propagazione delle onde elettromagnetiche, in anticipo su Guglielmo Marconi, a gettare intorno al 1900 le prime basi sperimentali fisiologiche sulla reazione delle piante a stimoli elettromagnetici, anticipando le scoperte fatte verso la metà degli anni ’60 sullo straordinario mondo reattivo e comportamentale dei vegetali. I suoi esperimenti sulla propagazione delle onde elettriche nelle varie forme della materia e la risposta che inducevano, fortemente osteggiati dalla comunità scientifica dell’epoca, lo condussero al risultato che non è possibile tracciare una linea di demarcazione netta tra mondo vivente e non, tra il fisico e il fisiologico, sollevando un coro unanime di disappunto, se non di disprezzo, tra gli scienziati ortodossi che vedevano minate le certezze canoniche che avevano retto da sempre il paradigma scientifico. Nei suoi esperimenti, la reazione di un muscolo e di un barattolo di metallo e il cambiamento molecolare indotto da sollecitazioni elettriche era sorprendentemente e inconfutabilmente simile. Pensò pertanto potesse essere uguale anche nelle piante e i relativi studi su di esse confermarono la sua ipotesi. Egli intuì che per comprendere i movimenti e i mutamenti che avvengono nelle piante era necessario stabilire con loro un “linguaggio comune”, uno stimolo adeguato che potesse produrre un feedback da decodificare. Jagadir Chandra Bose ideò a tal fine un congegno strumentale in grado di rivelare, amplificandoli 10000 volte, i movimenti della crescita delle piante, e gli esperimenti che condusse confermarono scientificamente le affermazioni di Darwin, mettendo soprattutto in evidenza il ritmo preciso e le modalità con cui avviene lo sviluppo della pianta che è uguale per tutte le specie. In sostanza egli condusse le sue ricerche e ottenne questi risultati, così scandalosi per il pensiero comune corrente, partendo dalla semplice e disarmante considerazione che non esisteva un motivo scientificamente valido per negare un equivalente del sistema nervoso nei vegetali. Esistono forti similitudini comportamentali tra il mondo vegetale e animale, dai movimenti alle capacità digestive, presenti ad esempio nelle piante carnivore, dalla respirazione al consumo energetico, ma il fattore in comune più importante è il programma informativo delle basi della vita, prodotto dell’evoluzione cosmica e filogenetica, che nel mondo vegetale è impresso nel seme mentre nel mondo animale è presente nel corredo genetico della cellula. Una forma di intelligenza diversa Queste affermazioni, che suscitavano scalpore se non scandalo per l’epoca, erano già state tracciate da un altro fisico e filosofo della metà dell’ ‘800, Gustav Theodor Fechner, che aveva affrontato con spirito critico e con molta audacia la rigida scala gerarchica che classifica gli esseri viventi - uomini animali e piante - su una scala discendente, dai superiori agli inferiori, collocando il mondo vegetale, in quanto ultimo, al servizio degli altri due: "Perché non ci dovrebbero essere oltre le anime che camminano, gridano, mangiano, anche anime che silenziosamente fioriscono e spandono odori?", citava testualmente.
Ispirandosi al principio animista della natura, per altro già individuato da Goethe, Fechner, supportato da rigorose osservazioni scientifiche, lancia delle vere e proprie provocazioni ribaltando la classificazione piramidale degli organismi viventi: "le piante si nutrono degli uomini e degli animali, ovvero dell'anidride carbonica prodotta dai polmoni e degli effetti della decomposizione”. Poi si spinge ancora oltre, affermando che non c’è motivo di pensare che una pianta non possa essere consapevole della sete e della fame, al pari di un animale, solo perché non in possesso degli organi di senso conosciuti. Vedremo come la sua intuizione provocatoria sia stata in seguito suffragata da dati sperimentali. I risultati ottenuti con le osservazioni e le riflessioni filosofiche di questi studiosi e scienziati del XIX secolo insieme alle sperimentazioni più complesse che seguirono intorno alla metà degli anni ‘60, riprese poi da ricerche d’avanguardia ai giorni nostri, hanno posto nel loro insieme le basi per una riflessione critica sul fenomeno dell’intelligenza. Quali parametri possiamo indicare nella valutazione dell’intelligenza di un organismo? Non è questione facile, ma sicuramente possiamo individuare la capacità di raccogliere dati dall’ambiente e di elaborarli, con il fine di risolvere problemi in maniera funzionale per trarre esperienza dalle circostanze e riuscire a rapportarsi così in modo armonico e pragmatico con l’ambiente. Nella visione antropocentrica, che siamo inconsapevolmente soggetti a sviluppare grazie alla disinformazione della cultura dominante, riteniamo che l’intelligenza sia un fenomeno riscontrabile solamente nell’uomo e nei mammiferi in generale, ma le frontiere della ricerca scientifica moderna, supportata dalle motivazioni filosofiche dei grandi ricercatori del passato che abbiamo incontrato, rivelano invece un quadro molto diverso in cui anche il mondo vegetale viene dipinto come un universo a suo modo intelligente. Forse potremmo trovarci di fronte ad un’intelligenza diversa, aliena, ma come non prendere in considerazione una possibilità del genere tenendo conto che è ormai accertato che le piante pensano, ragionano, ricordano, rispondono a stimoli esterni ed elaborano informazioni, risolvono problemi che l’ambiente sottopone, oltre che provare emozioni ed empatia per l’uomo? Può sembrare assurdo, ma gli studi di neurologia vegetale, una branca della biologia vegetale, ed esperimenti pubblicati su molte riviste scientifiche accreditate, hanno messo in luce che le cose potrebbero effettivamente stare così. Nonostante sia universalmente riconosciuto che le piante non possiedono un sistema nervoso centrale come gli animali, sono stati tuttavia registrati nelle radici, nella cosiddetta zona di transizione grande circa 1 millimetro, stimoli elettrochimici molto simili alla funzionalità dei neuroni nello scambio di informazioni attraverso le trasmissioni sinaptiche e un copioso consumo di ossigeno, entrambi segni evidenti di un potenziale in azione che si propaga velocemente, ed a grande distanza dal punto d’origine, proprio come avviene negli animali. Non è quindi esagerato parlare di presenza di sinapsi vegetali, che pur assumendo una morfologia diversa da quelle animali (le sinapsi vegetali sono dotate di pareti rigide tubolari allungate che non hanno bisogno di ramificazioni, come quelle animali, per connettersi alle cellule partner) assolvono però lo stesso identico ruolo di trasmissione di informazione con gli stessi medesimi meccanismi.
L’esistenza di cellule sinaptiche nei neuroni presuppone la presenza di neurotrasmettitori, ossia i composti deputati al rilascio dell’informazione chimica. Ebbene, può sembrare incredibile ma è ormai appurato che anche le piante possiedono numerosi neurotrasmettitori, molti dei quali sono in comune con gli animali: l’acetilcolina, la serotonina, la melatonina, l’ATP, l’acido glutammico e un suo derivato, la glicina, il monossido d’azoto, mentre si è individuata l’auxina, un ormone vegetale che sembra rivestire un ruolo di neurotrasmettitore specifico del mondo vegetale. Del resto non è affatto detto che per trasmettere le informazioni vitali le piante debbano necessariamente possedere meccanismi sinaptici simili a quelli degli animali. Ed è altrettanto vero che alla luce dei riscontri effettuati in laboratorio sarebbe riduttivo considerare sinapsi solo quelle animali. Le cellule della zona di transizione sono altamente specializzate, come i neuroni animali, non dovendo assolvere ad altre funzioni se non quella di indirizzare tutte le loro risorse sull’acquisizione, l’elaborazione, e l’immagazzinamento di informazioni. Ogni apice radicale è in grado di percepire, monitorare ed elaborare contemporaneamente e in modo continuativo ben 15 parametri corrispondenti ad altrettanti stimoli ambientali vitali per la pianta come tocco, umidità, gravità, luce, ossigeno, sali, nutrienti, distanza da altri organismi, che determinano nel loro insieme vere e proprie decisioni e conseguentemente comportamenti “motori”. E tutto ciò senza un sistema nervoso centrale! Le cellule apicali sono poche centinaia per radice e questo potrebbe dare la misura di una ridottissima attività elettrochimica, ma dobbiamo pensare che in alcuni vegetali possono essere presenti fino a 14 milioni di radici che possono sviluppare fino a 600 km di terminazioni. In più va considerato che ogni singolo capillare delle radici immagazzina e scambia dati a stretto contatto con tutti gli altri, proprio come una rete informatica. Potremmo dire che funziona un po’ come Internet. Queste insospettabili capacità delle piante fanno dedurre che possiedono in qualche modo dei sistemi d’archiviazione ed elaborazione dei dati. Non va dimenticato inoltre che il meccanismo dell’evoluzione e della selezione naturale ha fatto sì che i vegetali, per sopperire all’handicap di non potere evitare i pericoli con lo spostamento, hanno sviluppato, grazie ad una raffinatissima sensibilità, la capacità di produrre adattamenti fisiologici e morfologici preventivi ai mutamenti, e quindi agli eventuali allarmi, provenienti dall’ambiente. L’internet del mondo vegetale Potremmo dire che ogni pianta riveste quindi anche la funzione di sonda, di strumentazione che raccoglie spontaneamente e continuativamente dati sull’ambiente, e considerando che più del 99% della materia viva del pianeta è costituita da biomassa vegetale ”comunicante”, torna di nuovo calzante il parallelo con le reti informatiche.
Questa importante caratteristica delle piante, se venisse studiata più a fondo, potrebbe costituire un patrimonio informativo incommensurabile sul monitoraggio dello stato dell’ambiente, molto più efficace delle strumentazioni oggi impiegate per la rilevazione della sua salute. In questa direzione c’è un progetto d’avanguardia chiamato Pleased che si prefigge la realizzazione di una strumentazione per la decodifica dei segnali, soprattutto quelli di allerta sulla salute del pianeta, emessi dalle rete delle piante. Il concetto dell’Internet delle piante può sembrare assurdo, tuttavia acquista credibilità se si prendono in considerazioni alcuni elementi stupefacenti, emersi da studi fisiologici effettuati già da tempo sul comportamento dei vegetali, che mettono in evidenza le loro doti di sintonizzazione e comunicazione con l’ambiente e tra di loro. L’ incredibile sensibilità percettiva alle variazioni di frequenza fa delle piante un eccezionale strumento interattivo con i componenti dell’habitat che le circonda. In questo quadro sono stati condotti un’infinità di esperimenti che hanno rivelato inaspettate doti mnemoniche, di sensibilità musicale, di “lettura del pensiero”, nonché la capacità di entrare in empatia con gli esseri umani che si prendono cura di loro. Intorno alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso, un tecnico dell’F.B.I, Cleve Backster, ideatore degli standard usati dagli esaminatori mondiali nella “macchina della verità”, un giorno mentre ne metteva a punto i meccanismi, incappò in un esperimento casuale, dettato più che altro da semplice curiosità: impiegando gli stessi sensori del poligrafo volle misurare la differenza nella resistenza elettrica di una Dracena per effetto dell’innaffiamento. Con suo grande stupore notò che questo valore, contrariamente a quanto si aspettava, anziché aumentare sensibilmente per la presenza di acqua nei tessuti diminuì parecchio, come avviene solitamente nei test della verità quando un soggetto è in preda a forti emozioni. Non credendo ai suoi occhi ripeté più volte l’esperimento, inserendo a questo punto anche un altro elemento di variante, l’intenzione di nuocere alla pianta. Il grafico ottenuto dalla reazione elettrica a questo evento fu davvero sorprendente perché dimostrò che la pianta al solo pensiero negativo dell’individuo reagì con una fortissima emissione elettrica che fece impennare il poligrafo rendendo evidente che la Dracena era in qualche modo “consapevole” di essere in procinto di subire uno shock. Non avendo la pianta organi di senso, almeno per come vengono comunemente intesi, potremmo quindi parlare di un fenomeno telepatico? Gli esperimenti sulle capacità percettive delle piante si spinsero oltre fino alla dimostrazione della loro facoltà non solo di percepire in anticipo le intenzioni, di qualsiasi tipo, nei loro confronti ma addirittura di poter immagazzinare sensazioni e richiamarle in seguito quando eventi ad esse correlati vengono riproposti. Una sorta di straordinaria memoria percettiva. Seguendo questi incredibili risultati (che possono anche essere discutibili per le modalità con cui sono stati ottenuti che non tengono purtroppo conto dello stress gratuito che viene comunque indotto a delle forme di vita) si arrivò addirittura a sfruttare la capacità delle piante di poter cogliere, registrare e riprodurre le minime variazioni nelle frequenze di un ambiente, segnalatori di particolari stati d’animo, nel campo delle indagini poliziesche. Le piante comunicano anche a distanza Il test all’americana compiuto nei confronti di alcuni soggetti indiziati di un crimine commesso in presenza di una pianta e sottoposti al riconoscimento da parte della “testimone”, ha consentito di accertarne il responsabile attraverso la reazione emotiva della pianta, registrata dal poligrafo, una volta trovatasi al cospetto dell’autore del delitto. Allo stesso modo è stato appurato con assoluta certezza che piante accudite amorevolmente rispondono con un feedback positivo agli effetti benefici delle attenzioni ricevute, instaurando con chi si occupa di loro una sorta di feeling, di empatia che sembra travalicare i confini spazio-temporali del luogo in cui si stabilisce la relazione. Così è stato possibile monitorare, attraverso un meccanismo di sincronizzazione remoto, il comportamento davvero stupefacente di una pianta che ha registrato a distanza notevole (dell’ordine anche di centinaia di chilometri!) le variazioni di umori e di intenzioni della persona con cui conviveva; ad ogni input da quest’ultima prodotto, annotato con precisione, corrispondeva contestualmente una variazione del tracciato delle risposte elettriche della pianta. Un dato del genere, anche se può sembrare assurdo, farebbe di nuovo pensare ad un manifestazione di telepatia.
Ad ogni modo questo inspiegabile fenomeno, messo in relazione con le capacità di lettura delle intenzioni umane che le piante hanno rivelato negli esperimenti di Backster, conferma ancora una volta che anche le piante rispondono alla legge universale dell’entanglement che abbiamo incontrato all’inizio di questo percorso, secondo la quale tutto nell’universo è strettamente interconnesso perché proveniente dallo stesso evento iniziale del Big Bang, che tutto comprendeva in un unico atto fenomenico. In virtù di questo principio, le piante inevitabilmente stabiliscono dei legami molto profondi con tutto ciò che le circonda, e alcuni test hanno dimostrato che sembrano essere sensibili a distanza anche alle forma di vita meno complesse di quella umana, come gli invertebrati e i batteri. Oltre a questi sorprendenti fattori di natura “sottile” manifestati dal mondo vegetale, ve ne sono altri forse più tangibili ma non per questo meno affascinanti. Ad esempio il “movimento”, che normalmente non viene ad essa attribuito ma che in realtà si manifesta continuamente nella vita di una pianta. È senz’altro impressionante osservare attraverso un amplificatore di velocità la sequenza di fotogrammi che ritrae l’arco di una giornata di una pianta. Si rimarrà stupiti davanti allo spettacolo della danza che compie nelle azioni vitali giornaliere, dall’orientamento alla luce all’apertura e chiusura dei petali o alla contrazione delle foglie al contatto con input estranei, oppure ai repentini scatti compiuti dalle piante cosiddette carnivore nell’atto predatorio. E che dire del movimento delle radici? In continuo moto alla ricerca nel terreno dei gradienti migliori per la loro sopravvivenza o alle prese con l’esplorazione delle immediate vicinanze per determinare la presenza o meno di piante competitive o compatibili con la propria zona di influenza. Se ancora non fossimo sufficientemente stupiti dall’universo interiore delle piante fin qui scoperto, allora soffermiamoci ancora un istante sulle loro incredibili abilità mnemoniche. Oltre alla capacità di riconoscimento, che abbiamo analizzato nel caso dell’indagine poliziesca, i vegetali rivelano altre forme di immagazzinamento dati, e il loro richiamo all’occorrenza, come risposta a stimoli esterni che spesso ripetendosi nel tempo aumentano l’efficienza della reazione e migliorano così l’adattamento all’ambiente. Questo fenomeno si manifesta particolarmente nell’interazione con la luce e nella cosiddetta “vernalizzazione” in cui si assiste al fenomeno per cui numerose piante affinché fioriscano in primavera devono necessariamente aver assimilato il “ricordo” di aver attraversato un periodo di freddo invernale. Nel primo esempio è stato riscontrato attraverso rilevazioni strumentali, illustrate in un meeting internazionale di Biologia Sperimentale a Praga, che le informazioni provenienti dalla luce che colpiscono una singola foglia vengono elaborate e trasmesse all’intera pianta di foglia in foglia, causando la riposta dell’intero organismo. Irraggiata solo metà di una foglia e registrate le sue reazioni elettrochimiche, anche l’altra reagiva allo stesso identico modo. La pianta nel suo insieme risponde a cascata alla sollecitazione proveniente da un singola zona attraverso un meccanismo di trasmissione innescato da un tipo di cellula specializzata che avvolge le nervature delle foglie; ma il fattore più sorprendente è stato riscontrare che il fenomeno proseguiva anche in condizioni di totale oscurità. Quindi la pianta in qualche modo dimostrava di ricordare le informazioni riguardanti la luce riutilizzandole anche quando lo stimolo cessava del tutto. A proposito del ruolo che la luce esercita sulle piante, è nota la sua funzione vitale di fonte di energia che viene ricavata mediante quel meraviglioso e complesso processo chimico qual è la fotosintesi clorofilliana; ma non è altrettanto conosciuta la mansione di fattore immunogeno che esercita contro i patogeni stagionali. Le piante sembrano essere in grado di percepire la variabilità del colore della luce che ogni stagione produce, compiendo una vera e propria computazione biologica luminosa e sfruttano queste diverse lunghezze d’onda della luce per stimolare reazioni chimiche all’insorgere degli specifici patogeni che ogni stagione può portare. Un comportamento del genere rientra nei meccanismi di difesa e adattamento che le piante devono escogitare per sopravvivere. Lo studio delle reazioni delle piante all’ambiente mette a fuoco un’insieme di accorgimenti sorprendenti per la loro complessità che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, il loro grado di intelligenza, misurabile, ad esempio, dalla capacità di rispondere a sollecitazioni esterne come malattie, attacchi di insetti, cambiamenti ambientali repentini, assalti di erbivori, ecc.
I meccanismi di difesa che scattano in presenza di un pericolo si innescano attraverso l’emissione nell’aria di molecole che svolgono la funzione sia di deterrente per gli insetti nocivi che attaccano la singola pianta, sia di tempestiva comunicazione tra piante diverse e lontane, in modo da consentire loro le adeguate contromisure. La comunicazione tra gli individui vegetali è stata effettivamente riscontrata grazie ad un accorgimento genetico compiuto su alcuni esemplari che induceva, contestualmente all’emissione del gas che avviene in presenza di una ferita o attacco biologico, la produzione di una proteina dalla particolarità di emanare luce. Grazie ad una tecnologia di ripresa video molto avanzata è stato così possibile registrare l’infinitamente debole, ma incredibilmente significativo, tracciato luminoso che accompagnava lo scambio di informazioni molecolari tra piante. Una ulteriore conferma del grado di complessità del comportamento delle piante proviene dalla grande abilità che mostrano nel mettere in campo sofisticate strategie finalizzate alla riproduzione, utilizzando ad esempio tecniche di richiamo per gli insetti che svolgono un ruolo compartecipativo nella diffusione del polline. Sorprenderà scoprire che alcune specie di piante riescono a stabilire un rapporto di dialogo e di mutuo soccorso con le formiche, dalle quali ottengono protezione in cambio di nettare. Il percorso fin qui compiuto porta decisamente a cambiare la prospettiva con cui possiamo guardare all’universo del mondo vegetale; la nostra amata pianta sul tavolo del soggiorno, alla luce di queste considerazioni, non può più essere vista solo come un elemento di arredo. Dobbiamo infatti entrare nell’ottica che circondarsi di questi bellissimi esemplari comporta stabilire un rapporto vero e proprio con degli individui a modo loro intelligenti. Del resto, perché meravigliarsi di una possibilità del genere? Il mondo vegetale è stato la prima forma di vita a comparire ed affermarsi sul pianeta, ed è rimasto per tutto l’arco temporale dell’evoluzione come l’elemento essenziale per la sopravvivenza degli esseri viventi. Le piante costituiscono più dell’80% dell’intero mondo vivente e non è esagerato affermare che di fatto nutrono il pianeta. Riescono a intercettare l’energia solare che viene impiegata per trasformare la materia inorganica, povera di energia, in quella organica, ricca di energia, che poi viene utilizzata come fonte alimentare dagli organismi eterotrofi. Senza le piante, dunque, non esisterebbe la vita sulla Terra. Anche l’attività umana principale, il consumo di energia per sopravvivere, è resa possibile dalle piante che forniscono la materia prima necessaria alla sua soddisfazione. Ciò nonostante, la “generosità” delle piante non dovrebbe implicare di essere considerate creature della Natura a disposizione dell’uomo, abituato ad avere una concezione del genere anche nel rapporto con gli animali.
Le piante depositarie di antiche conoscenze? Se riflettiamo sulle qualità manifestate dalle piante e in più sulla longevità che le caratterizza, in alcuni casi si rimane stupiti dall’enorme esperienza che possono sviluppare nell’arco della loro esistenza. Come il mondo minerale, anche quello vegetale sembra distante dalla nostra comprensione, ma lo è soltanto per l’abisso che separa le due scale temporali di vita. Esistono esemplari di sequoia datate 4500 anni! In un lasso di tempo del genere non si può escludere che una pianta possa aver immagazzinato una quantità di dati inimmaginabili per un essere umano, avendo potuto assistere a cambiamenti climatici, a catastrofi naturali, vicende umane, e in più, essendo in grado di comunicare con i suoi simili, potrebbe aver sviluppato un bagaglio conoscitivo, sicuramente per noi alieno, ma non per questo meno profondo.
Non è un caso forse che le tradizioni popolari attribuiscano da sempre alle piante e in particolare agli alberi, soprattutto se secolari, un connotato di saggezza e di messaggeri dei segni sottili della Natura. Nelle antiche culture dei popoli naturali del pianeta e in particolar modo in quelle dei Nativi Europei il disegno dell’intreccio dei rami ha ispirato un vero e proprio alfabeto, l’Ogham, composto da 22 caratteri, ognuno dei quali custodisce un significato mistico ed esperienziale che l’individuo può interpretare per la propria esperienza. Del resto le piante, e soprattutto gli alberi, rappresentano una condizione esistenziale particolare, un ponte naturale gettato tra le profonde radici che affondano nella Terra e le folte fronde che si proiettano nel Cielo, e non è un caso che proprio l’albero posto tra Cielo e Terra è il simbolo con cui viene definita nelle culture native del Nord Europa la dimensione esperienziale evolutiva dell’uomo. Il rapporto simbiotico che lega il mondo delle piante alla Natura appare in tutto il suo mistero e nella sua eleganza negli archetipi universali che si possono leggere nella morfologia degli elementi che caratterizzano il mondo vegetale. Il modello archetipale della foglia, così come l’accrescimento dei rami in un albero, la disposizione delle foglie lungo la linea di crescita, la distribuzione dei pistilli e dei petali in un fiore, sono tutti elementi che hanno una funzione vitale in una pianta e sono regolati da precise frazioni matematiche che possono essere ricondotte, come asserì il ricercatore svizzero Hans Jenny a conclusione di approfonditi e complessi studi condotti negli anni’40, allo stretto rapporto che sottende le note musicali (frequenze di intervalli matematici) alle forme delle piante. Egli individuò una legge della natura secondo la quale, comprimendo tutti i toni musicali nell’intervallo di un ottava e traducendo questi valori in angoli geometrici, l’insieme delle linee che si dipartono da questi angoli determina esattamente la forma archetipica della foglia. Studi su questo tema hanno rivelato nelle forme geometriche del mondo vegetale l’esistenza della proporzione aurea, o divina, regolata dalla famosa sequenza di Fibonacci, il matematico italiano che visse nel 1200 e che individuò una successione in sequenza di numeri interi in cui ciascun numero è il risultato della somma dei due precedenti. Questo rapporto rappresenta una legge che ordina moltissime manifestazioni della natura, come ad esempio la quantità di petali che in quasi tutti i fiori sono tre o cinque o otto o tredici o ventuno o trentaquattro o cinquantacinque o ottantanove, rispettando la sequenza di Fibonacci. Nel mondo vegetale quindi ritroviamo il riflesso degli archetipi della natura. Il regno vegetale convive sul pianeta con quello minerale e animale in una esperienza unitaria e interconnessa con l’universo intero, formando così un’entità unica e indissolubile che può essere vista, come descritto nell’affascinante “Ipotesi Gaia” dello scienziato scozzese James Lovelock, come un superorganismo vivente e intelligente in cui le piante che ne costituiscono la grandissima maggioranza rivestono un ruolo fondamentale nel suo equilibrio generale. Rifacendosi a questa concezione unitaria dell’esistenza, intesa in un’accezione ancora più ampia della dimensione ecologica del pianeta, i Nativi, o Popoli della Terra, ritengono che la Natura manifesti un processo formativo evolutivo teso all’armonia e percepibile da ogni essere vivente nell’esperienza del silenzio interiore. Non è quindi azzardato pensare che le piante siano anch’esse sensibili al richiamo della Natura essendo in “entanglement” con essa e come antenne rivolte verso il cosmo colgano e vivano il silenzio. Nella loro apparente immobilità allora potrebbe avere luogo un colloquio con l’ essenza più intima della Natura. Anche in questo le piante potrebbero ancora una volta stupirci. |