Megalitismo |
Enigmi di pietra |
04 Febbraio 2011 | ||||||
Megalitismo e archeoastronomia nel Lazio La storia antica dell’Italia studiata sui banchi di scuola descrive uno scenario in cui recita un solo attore: l’ingrombrante civiltà romana che ha marchiato con un imprinting indelebile la nostra cultura. Certo, si parla anche dell’influenza esercitata dalla civiltà etrusca, ma nulla o molto poco viene invece ufficialmente riferito a proposito del quadro storico e culturale preromano-etrusco; si riportano vaghi cenni rivolti a popolazioni primitive e tesi a sottolineare il vuoto culturale che imperava nell’Italia e nell’Europa protostorica. E’ mai possibile che la “civiltà evoluta” compare improvvisamente con i Romani e che prima di loro, Etruschi a parte, esistesse solo un arido deserto culturale? La ricerca accademica di quel periodo spesso anziché chiarezza crea confusione; in mancanza della “pistola fumante” come reperti archeologici inconfutabili o documenti scritti non riesce a ricostruire un quadro lineare coerente dell’epoca protostorica e finisce così per dirimere la questione applicando un criterio semplificativo occamista, ponendo cioè la cultura etrusco-romana come linea di demarcazione della civiltà vera e propria e attribuendo ad essa anche le testimonianze archeologiche sicuramente precedenti. Viene così resa riduttiva l’incidenza storica delle popolazioni preromane che invece erano in grado di esprimere un sorprendente livello culturale. Eppure nel Lazio, in Toscana, in Abruzzo e nel resto dell’Italia centro-meridionale sono sotto gli occhi di tutti straordinarie vestigia megalitiche che rappresentano l’eredità culturale di una civiltà antichissima. Lo stupore provocato dalla loro silenziosa imponenza, il rispettoso timore che sollecitano, l’enigma della loro origine e del loro significato sono emozioni che non sempre si provano al cospetto delle rovine romane. In questa zona dell’Italia non si trovano molti degli elementi tipici con cui viene di solito identifcata la cultura megalitica come menhir, cromlech o dolmen (probabilmente andati per lo più distrutti nel corso dei millenni e tuttavia rimasti per fortuna come rovine in alcuni luoghi) ma è una terra ricca di mura “ciclopiche”, resti di templi megalitici, ipogei. Particolarmente interessante per la straordinaria imponenza e lo stato di conservazione sono le cinte murarie di numerose città laziali la cui tecnica esecutiva sembra molto vicina a quelle recentemente scoperte in Val di Susa, in Piemonte, forse riconducibili alla leggendaria città di Rama (fondata, secondo il mito, da popolazioni del Nord Europa giunte in loco in tempi remoti con il concorso dei Pelasgi provenienti dal bacino del Mar Nero), tanto da poter ipotizzare una stessa mano edificatrice. Alcui autorevoli studiosi di storia romana antica, dando corpo alle antiche leggende e tradizioni italiche, affermano che popolazioni pelasgiche erano effettivamente già presenti sul nostro territorio intorno al 2000 a.C. e che a seguito di una migrazione partita dall’area occidentale del Mar Nero e giunta nella zona padana dopo aver interessato il sud-est della penisola, abbiano successivamente influenzato le zone centrali interne del nostro paese. Si suppone abbiano avuto addirittura un ruolo determinante nella costituzione del primo nucleo abitativo che darà origine al tessuto urbano di Roma. Sembra accertato che i Pelasgi al termine di una migrazione lungo il corso del Tevere si fossero stanziati sul luogo che diverrà il simbolo della romanità, il Campidoglio, che allora si chiamava Monte Saturnio in onore del re che li conduceva. La tradizione racconta che l’insediamento di Saturno sul colle romano produsse una pacifica e fertile convivenza con le popolazioni locali preesistenti chiamate Aborigeni. Grazie alle conoscenze del popolo migratore pelasgico fiorirono l’agricoltura, le arti metallurgiche, l’arte megalitica, la tecnologia e le scienze e per questo tale epoca fu definita l’Eta dell’Oro. E’ il periodo in cui fu fondata la cosiddetta “Saturnia Tellus”, la Terra di Saturno, una rete di città megalitiche che comprese una vasta regione del Lazio e parte della Toscana. Oggi è ancora possibile ammirarne le possenti vestigia in un’infinità di luoghi laziali tra i quali spiccano per importanza e imponenza l’acropoli del Circeo a sud di Roma e quella di Alatri nella Ciociaria. La caratteristica principale di questi siti è la presenza di cinte murarie gigantesche sia per estensione che per dimensioni e forma delle singole pietre che le compongono; spesso i blocchi di pietra superano abbondantemente diverse decine di tonnellate di peso con misure che si aggirano mediamente tra i 2 e 3 metri per raggiungere in alcuni casi anche i 4,5 metri . La precisione della lavorazione e della posa in opera delle singole pietre scolpite con forme poligonali e rese adiacenti fra loro senza l’apporto di malta cementizia è tale che fra i giunti non è possibile inserire una lama di coltello. Per gli studiosi la movimentazione e la tecnica di assemblaggio resta tutt’ora un enigma irrisolto poiché anche con la tecnologia in nostro possesso edificare chilometri di mura del genere sarebbe un’impresa ardua se non proibitiva. Erigere mura ciclopiche è il risultato di un’impresa progettuale ingegneristica molto complessa il cui senso globale e le forti motivazioni che ad essa soggiaciono ci sfuggono se rapportate alla nostra logica utilitaristica. La loro realizzazione lascia intuire la notevole capacità organizzativa e di aggregazione sociale, in termini di risorse umane abilità tecnica e tempo d’impiego, di cui i Pelasgi erano in possesso. Da queste considerazioni si deduce che, contariamente a quello che vuole il luogo comune, gli edificatori di tali imponenti opere non possono essere dipinti come dei primitivi selvaggi dediti alla caccia e vestiti di soli pelli.
Gli storici e gli archeologi ortodossi, forse alimentati proprio da questa convinzione, sostengono che le mura megalitiche siano da attribuire ai Romani datandole intorno al V-II secolo a.C. e non vogliono saperne di mettere in dubbio questa incontrovertibile certezza. Eppure è sufficiente avere qualche rudimentale cognizione di tecnica esecutiva romana per accorgersi che questa affermazione è palesemente priva di ogni fondamento scientifico. I Romani costruivano in “opera quadrata” utilizzando blocchi relativamente piccoli uniti con malta cementizia. Inoltre ritenevano che le mura ciclopiche fossero meno sicure di quelle ad opera quadrata (e questa critica costruttiva dimostra in modo evidente che le mura poligonali erano per i romani oggetto di studio, quindi già presenti). Al di là del fatto che questa affermazione è stata smentita da studiosi specializzati che hanno individuato nelle mura megalitiche criteri costruttivi antisismici, rimane inspiegabile per quale motivo i Romani avrebbero dovuto abbandonare una tecnica costruttiva conosciuta e collaudata per adottarne una di cui non si fidavano affatto. Inoltre va ricordato che mentre sono numerosi i resti di mura ciclopiche in tutto il Lazio arcaico, dove l’influenza e l’egemonia di Roma dei primordi era pressochè assente, non se trovano tracce all’interno del tessuto urbano di Roma. Questa particolarità dimostra che le opere megalitiche erano un elemento estraneo alla cultura romana. Di fronte ai ragionevoli dubbi che sorgono con queste riflessioni rimane sconcertante l’accanimento dell’ortodossia accademica nel negare in modo assoluto l’esistenza di una civiltà preromana in possesso di cognizioni tecnologiche tali da innalzare strutture così imponenti. Viene da chiedersi che cosa alimenti la paura nell’ipotizzare una possibilità del genere o, ancor di più, quale scomoda realtà si voglia sottacere aggrappandosi alla ostinata difesa delle scivolose e poco credibili attribuzioni romane. Eppure l’evidenza dei fatti è quantomeno imbarazzante. Di fronte allo sforzo e alle motivazioni che hanno richiesto la posa delle colossali pietre delle mura dell’acropoli del Circeo, posizionate su ripidi pendii a precipizio sul mare o alla maestosa imponenza della Porta Maggiore nelle mura di Alatri non si può fare a meno di rimanere stupiti. La misteriosa civiltà megalitica pelasgica possedeva evidentemente conoscenze di ingegneria eccezionali ma anche, sorprendentemente, di astronomia e geometria. Osservando la disposizione sul territorio delle città laziali caratterizzate dalla presenza di mura megalitiche alcuni ricercatori hanno scoperto che congiungendole fra loro con delle ideali linee si definiscono con una precisione strabiliante diverse costellazioni mentre il perimetro delle acropoli di Alatri e del Circeo ricalcano, rispettivamente, le costellazione dei Gemelli e del Toro in modo quasi perfetto. Anche da un punto di vista costruttivo le acropoli, e in particolare quella di Alatri, sono state edificate seguendo complessi rapporti geometrici ispirati a concezioni cosmiche; non a caso Alatri viene chiamata la città stellare perché la sua pianta è stata ideata ispirandosi alla forma di una stella. Un altro suggestivo elemento che conferma le grandi conoscenze in possesso del popolo megalitico è rappresentato dalla straordinaria capacità di orientare le acropoli nella direzione di costellazioni che rivestivano una particolare importanza, come, ad esempio la Croce del Sud che era legata a funzioni terapeutiche, o verso eventi astronomici come i solstizi e gli equinozi che scandivano il ritmo dei cicli stagionali della comunità. All’interno delle mura megalitiche del Circeo, ad esempio, si trova sul terreno un foro del diametro di 40 cm. circa che costituisce l’ingresso di un ambiente ipogeo ritenuto, neanche a dirlo, un pozzo romano. Osservando con attenzione questa cisterna, che è stata costruita con la tecnica megalitica dei massi aggettanti e sovrapposti senza malta, ci si accorge anche in questo caso che l’opera non può essere attribuita ai romani, né tantomeno presenta le caratteristiche di una cisterna perchè la sua tipologia costruttiva non è idonea a contenere l’acqua. Cosa è allora? Studiosi si sono addentrati dentro complessi calcoli geometrici giungendo ad ipotizzare che questa struttura ipogea altro non è che un luogo di culto e allo stesso tempo un calendario astronomico perfettamente funzionante. Le sorprese del Circeo non finiscono qui; infatti sul lato nord dell’acropoli è situato un enorme menhir di circa quattro metri posto orizzontalmente con funzioni di altare sul quale al solstizio d’inverno si infrange il primo raggio di sole. Ma l’aspetto più sorprendente è che il suo perimetro riproduce quello dell’acropoli in scala 1:100 con una precisione impressionante! Collegando tutti questi fattori davvero enigmatici si delinea un profilo quantomeno sorprendente di questa sconosciuta civiltà che sembrerebbe esprimere un grado di cultura molto più elevato di quanto si è sempre ritenuto.
Sicuramente molto più armonica di quella espressa dalla nostra società perchè era saggiamente e pragmaticamente incentrata sul rapporto uomo-ambiente. Il modello sociale a cui si ispirava era costruito sulla riproduzione in terra di ciò che percepivano in cielo ponendo l’uomo a vivere idealmente la sua esistenza come collegamento tra i due elementi. I popoli della cultura megalitica si riferivano alla Natura per definire la propria condizione esistenziale e non avevano perciò bisogno di aderire a religioni rivelate; per questo motivo si possono a tutti gli effetti definire Nativi europei e proprio per i loro usi e credenze sono stati in passato oggetto di una feroce “caccia alle streghe” mossa dal cristianesimo che voleva sradicare il paganesimo laddove sopravviveva alla sua opera di evangelizzazione. Se ne trova una traccia evidente nei luoghi megalitici laziali dove l’apposizione di croci sulla sommità delle acropoli o l’inglobamento delle mura e degli antichi altari preromani nelle fondamenta delle chiese ha significato una sistematica sovrapposizione del simbolismo cristiano agli elementi pagani preesistenti. Il cristianesimo ha sempre avuto bisogno di un suggello popolare attraverso il rfiuto degli antichi culti pagani; ad Alatri ne troviamo una chiara conferma nella Chiesa S.Maria Maggiore in cui una lapide contenente un’iscrizione pagana inneggiante al Dio Giove trovata tra le sue fondamenta è stata murata su un pilastro della chiesa capovolta affinchè risulti illegibile ma allo stesso tempo visibile testimoniando con un monito il definitivo trionfo della Chiesa sul mondo pagano. Fino a non molto tempo fa in questo paese era costume sancire il rifiuto dell’idolatria con la macabra usanza di lapidare l’antica scultura del dio pelasgico Saturno posta nelle sue mura. Altro palese esempio di sovrapposizione religiosa è costituito della cattedrale di Alatri (sul timpano della quale è visibile una curiosa croce celtica) che è stata edificata sulle splendide mura ciclopiche dell’acropoli inglobandone, e occultandone, il suo antico centro sacro. Al termine di questo viaggio l’impressione che se ne trae è quella di essere di fronte ad una capillare opera di disinformazione da parte della cultura ufficiale nei confronti del misterioso fenomeno del megalitismo. Non solo la civiltà dei popoli naturali europei è stata distrutta o assoggettata dalla cultura predominante delle varie epoche, ma di ciò che è miracolosamene giunto a noi viene data una visione distorta e lasciato nel disinteresse e nell’incuria totale. Ormai è divenuto un luogo comune negare al megalitismo gli attributi di una vera e propria civiltà che ha calpestato il nostro suolo in tempi arcaici quando Roma non era neanche in germe. Tuttavia il megalitismo è un fenomeno planetario innegabile, ricco di misteri che la ricerca scientifica e storica non hanno mai affrontato seriamente e di fronte alla sua incombente evidenza e alla sistematica disinformazione di cui è oggetto si ha proprio l’impressione che il vero corso della storia della civiltà europea, e non solo, non sia quello raccontato ma quello taciuto. |