A cura di Angela Betta Casale
In molti scritti sull'arte ci sono continui riferimenti a termini come emozione e sentimento per descrivere i contenuti e la fruizione di un'opera d'arte. ”L'emozione estetica”, così è denominato lo stato emotivo suscitato da un'opera d’arte, sia dall'artista che la realizza, sia dallo spettatore e si riferisce a un sentimento che si prova innanzi alla contemplazione della bellezza e dell’armonia che sono elementi solitamente peculiari di un’opera d’arte. Secondo alcuni studi in psicologia, l’arte costituisce un ambito particolarmente adatto per investigare le emozioni, perché ha il merito di rendere più esplicite tutte le intuizioni umane, riuscendo a cogliere in modo più immediato la natura del fenomeno emotivo.
Studi psicologici degli anni cinquanta del '900 hanno contribuito a diffondere l’idea che l’emozione è connessa all’arte non per il suo contenuto immediatamente percepibile, quanto piuttosto perché essa presenta schemi sensoriali, immagini e pensieri come forme che hanno la capacità di trasmettere qualcos’altro. Secondo il Natya Shastra, il più antico trattato d’arte, drammaturgia e danza, considerato dalla tradizione indiana il “quinto Veda”, lo scopo dell’arte non consiste nella bellezza in sé ma nell’abilità di evocare gli stati più elevati dell’essere. Molti studiosi hanno cercato spiegazioni scientifiche sui meccanismi nervosi alla base delle reazioni che si hanno davanti all’opera d’arte, tali da spiegare l’universalità o, almeno, il largo consenso su ciò che è attraente e bello. Le recenti tecnologie di imaging cerebrale ci mostrano che, davanti a un quadro che ci attrae, regioni specifiche del cervello si attivano e che quindi il bello ha un suo equivalente oggettivo a livello del sistema nervoso. “La bellezza delle cose esiste nella mente di colui che le contempla” (David Hume 1745); nell’arte e anche nell’esperienza dell’arte c’è il respiro della libertà cerebrale, del momento in cui il razionale cede all’emotivo, a quel pizzico di follia che fa l’uomo così differente dal computer, lo rende creativo e umanamente grande. L’arte è il regno dell’illusione e non c'è scienza che sappia spiegare il mistero di come pochi segni generino la percezione di forme complesse, i colori e i chiaroscuri, lo sfumato o la profondità provochino emozioni diverse. La ricerca della comunicazione emotiva, rispetto al patrimonio tecnico e stilistico del passato, inizia a metà ottocento ma nel novecento con i vari movimenti artistici ci sarà una vera rottura con il passato e la tradizione. Quali sono gli elementi principali della pittura che, se utilizzati dall'artista in modo opportuno, provocano più emozione? Linguaggio del segno, colore, luce e chiaroscuro. Il linguaggio del segno Nei disegni e nelle rappresentazioni grafiche la raffigurazione delle figure e delle forme può essere affidata alle sole linee di contorno. Alcune immagini preistoriche contengono forme di animali e di uomini rappresentate solo mediante linee più o meno sottili. La possibilità di trasmettere l’informazione figurativa con i contorni trova spazio con gradi diversi anche nelle opere d’arte. Nella pittura rinascimentale i segni di contorno sono praticamente assenti, mentre la rappresentazione del confine tra aree di luminosità o di colori diversi diventa più realistica e molto vicina a ciò che viene percepito nella visione reale. Questo si accentua ancor più nella pittura impressionistica, dove vengono del tutto a mancare le linee nette di contorno, che tornano, invece, a dominare nelle scuole successive di pittura, più intellettualistiche, come, per esempio, l’astrattismo e il cubismo, le quali si propongono di rappresentare prevalentemente simboli e concetti. Il colore Il colore è uno degli aspetti più attraenti di ciò che vediamo ed è anche uno degli elementi che rivestono un maggior ruolo nell’arte pittorica per la sua capacità altamente evocativa. Dal punto di vista fisiologico, i colori che noi vediamo sono essenzialmente il risultato dell’attività di strutture del nostro sistema visivo, presenti nell’occhio e nel cervello.
Il colore, in ultima analisi, non è una proprietà intrinseca degli oggetti, bensì una qualità della nostra percezione: un oggetto non è rosso, verde o giallo di per sé, ma ci appare rosso, verde o giallo in opportune condizioni di illuminazione e, in un determinato contesto, la percezione del suo colore può essere influenzata dalla presenza di altri oggetti. ”Per rendere un paesaggio d'autunno non cercherò di ricordarmi quali tinte si convengano a questa stagione ma mi ispirerò solamente alle sensazioni che essa mi procura.” Henri Matisse. La luce È chiaro che un dipinto, ottenuto stendendo sostanze coloranti su una tavola o una tela, non può in nessun caso dare luogo a una vera sorgente primaria di luce. Tuttavia, sfruttando effetti di contrasto è possibile creare la percezione illusoria di una sorgente luminosa: il Sole, la Luna, una fiamma. Nella pittura l’artista può scegliere tra una rappresentazione con ricchezza di dettagli, così come sarebbero visibili a occhio nudo, e una più sfumata dai contorni meno netti. Un altro fenomeno di contrasto cromatico è quello delle ombre colorate, per cui, in un ambiente illuminato con luce di un certo colore, le zone di ombra tendono ad assumere un colore complementare. Così, nella luce rosata di un tramonto le ombre possono apparire verdastre, mentre nella luce gialla del Sole diurno esse tendono ad assumere colori tra l’azzurro e il violaceo. Vi sono numerosi esempi nella pittura in cui il colore dell’ombra contribuisce a creare contrasto. Un altro effetto di contrasto di notevole efficacia pittorica è quello che si crea tra tinte calde e tinte fredde, per esempio tra rosso e blu. Se nel Medioevo e nel Rinascimento stava a indicare dualità tra ciò che è materiale e ciò che trascende la materia, in seguito è stato largamente usato dagli impressionisti per contrapporre alla tonalità azzurra dell’atmosfera, e alle sue zone d’ombra, la tonalità calda delle aree illuminate dal Sole.
Detto questo, gli ultimi anni del Novecento hanno dato ampio spazio all'Arte concettuale e a svariate performances e installazioni con un totale rifiuto e anche disprezzo per l'arte figurativa definita come dilettantistica e artigianale. Nell'arte concettuale l'idea è l'aspetto più importante del lavoro, lasciando da parte qualsiasi abilità dell'artista come artigiano. Ma la comunicazione emozionale si è interrotta e si è creato uno scollamento totale tra la stragrande maggioranza delle persone e un'élite ristrettissima di “esperti”. Il pubblico è spiazzato dall'irriconoscibilità di queste opere e non è in grado di valutare in termini di estetica, di bellezza, di emozione. Io penso che se un'opera ha bisogno di lunghissime spiegazioni più o meno create ad hoc come operazione commerciale per rendere interessante qualcosa che di per sé non lo è... ebbene quale valore ha? Ogni persona ha una sensibilità e un vissuto diverso e questo ci porta a emozionarci e ad apprezzare opere con capacità evocative differenti, siano astratte o figurative, antiche o moderne. Questo va al di là di qualsiasi imposizione commerciale o critica e dovremmo sentirci liberi di esprimere ad alta voce questi sentimenti, senza aver paura di passare per incompetenti. Non dobbiamo dimenticare mai che per un artista vero il momento creativo è uno stato emotivo alto in cui le scelte del linguaggio, della luce, del colore sono dettate non solo dall'abilità tecnica ma soprattutto dalla capacità di far fluire sulla tela una parte importante ed elevata del suo stesso esistere. Ha scritto Matisse: “Il colore contribuisce a esprimere la luce, non in quanto fenomeno fisico, ma la sola luce che effettivamente esiste, quella del cervello dell’artista”. E ancora: “L'arte è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede ma ciò che dice a se stesso riguardo ciò che ha visto”. Pablo Picasso
Nel Novecento l’arte figurativa tende a interfacciarsi con l’uso di materiali diversi e media negli ultimi vent’anni anche con nuovi mezzi espressivi come il computer, costruendo una serie di relazioni innovative con il pubblico e lo spazio espositivo. Anche la fotografia, considerata arte minore a cavallo tra Otto e Novecento, attualmente è entrata prepotentemente nel sistema dell’arte contemporanea (sembra che oggi non vi possa essere alcuna istituzione museale-espositiva che non presenti appena possibile una mostra fotografica, come se il non farlo significasse automaticamente il dimostrarsi fuori dal tempo e lontani dalla realtà…)
Dobbiamo però fare un grande distinguo tra utilizzare materiali diversi per realizzare opere comunque pittoriche e uniche e l'utilizzo delle tecnologie digitali. La creatività, può essere facilmente stimolata da un uso insolito di materiali, che possono essere anche molto semplici e comuni. Per esempio, il gesso, il cartone, il sale, la gommapiuma, la colla, la sabbia, la carta stagnola etc. riescono a darci, quando vengono adeguatamente accostati, delle realizzazioni di superfici ricche di qualità tattili e pittoriche, che possiamo trovare spesso in opere d'arte importanti. L’utilizzo di materiali sperimentali o di uso comune, oltre a quelli tradizionali, ha esteso le possibilità espressive, ma, al contempo, ha reso le opere molto più complesse tecnicamente. L’impiego di acciaio, plastiche, intonaci etc. rendono necessario un bagaglio di conoscenze tecniche importanti come i collanti, le saldature e un continuo aggiornamento sui nuovi materiali. Ci sono due modi di concepire un’arte più materica della semplice pittura tradizionale. Nel primo caso l'artista adopera le tecnologie che la contemporaneità gli mette a disposizione, e le usa al meglio, nell'intento di trovare una forma, un segno, che realizzi la sua espressività. Utilizza i materiali perché si pieghino alla sua creatività, per esempio l’impiego della sabbia e dei sassolini perché nel contesto del quadro evochino il ricordo del mare o del deserto o un fondo in gesso per evocare un affresco antico.
Nel secondo caso l'artista, piuttosto che cercare il mezzo adeguato per esprimere il suo mondo, cerca di capire e di esprimere il mezzo stesso, le sue potenzialità poetiche. Utilizza ad esempio una serie di rami raccolti nel bosco, semplicemente accostati l’uno all’altro con finalità puramente estetiche. Tutt’altro discorso, a mio avviso, quando si parla di videoart e di fotografia digitale. C’è dentro più creatività, sperimentazione o tecnologia? La videoarte è semplicemente arte in formato audiovisivo. Non ha regole, è sperimentazione e reinvenzione. Scaviamo nel lato tecnologico di questa forma creativa, territorio di confine dell’arte contemporanea: quali nuovi e vecchi media ci sono dentro? Fin dall’inizio la profonda connessione con la scienza, con le avanguardie dell’elettronica nelle sue manifestazioni più hi-tech scardina il canone tradizionale della ricerca artistica ma nello stesso tempo con la computer grafica e il 3d, esploso negli anni ’80, gli interventi in pittura digitale frame by frame e la trasformazione di un video in una sequenza d’immagini su cui si interviene a mano fotogramma per fotogramma, il fattore umano e la creatività dell’artista sono assolutamente in primo piano. Cosa cambia allora, se è sempre la mente umana ad elaborare? La fruizione e la comunicazione.
Occorre prima di tutto dire che l’arte “tradizionale” viene esposta in circuiti particolari, musei, gallerie d’arte, fino ad arrivare alle esposizioni per strada o ai murales ma rimane sempre opera unica, compiuta e creata dall’artista e come tale presentata al pubblico. L'utilizzo delle tecnologie digitali, e soprattutto la rete, e quindi la webart, ha dato e sta dando la possibilità di sperimentare radicali cambiamenti nel pensare i modi di percepire l'arte. L’opera non è mai finita e chiusa poiché esiste la possibilità concreta di acquisire quella determinata immagine, rimaneggiarla, stravolgerla e farla diventare qualcosa d’altro, in pratica di rimetterla in rete appropriandosene. Altra questione importantissima: io, pubblico, posso scegliere di andare a vedere una esposizione di quadri, un museo o altro luogo in cui ci siano opere d’arte, mentre attualmente assistiamo ad un tale bombardamento di fotografie, riproduzioni, video, spot, che ci viene imposto dai media e ad un massiccio utilizzo delle immagini nella propaganda politica, in quella religiosa e soprattutto per pubblicizzare un qualsiasi prodotto che si voglia vendere. Non abbiamo la possibilità di scegliere, di definire quello che ci piace vedere oppure no. Non possiamo bendarci per evitare manifesti, televisione, computer, riviste e giornali, noi viviamo il nostro tempo. E si assiste anche ad un totale impoverimento qualitativo, il massiccio utilizzo di cellulari e tablet di ultima generazione e di programmi atti a facilitare la realizzazione tecnica di filmati e fotografie danno la falsa illusione ai fruitori di essere tutti “artisti”.
Non è così, un mezzo tecnico di altissimo livello non dà automaticamente la capacità al suo possessore di essere un artista. Sono la capacità di trasmettere emozioni, di utilizzare al meglio un insieme di tecniche, di percepire determinate luci o inquadrature, sono queste le qualità essenziali che contraddistinguono un artista. Davanti ad un quadro, una fotografia, un video realizzati da un artista si deve provare emozione, coinvolgimento al di là di qualsiasi mezzo espressivo venga utilizzato. Riassumendo, non dobbiamo porci limiti quando si parla di arte, tutto può essere o non essere un ‘opera d’arte, il limite è solo la capacità di comunicazione dell’opera stessa. Il vero problema sta nel non farci influenzare sia dalle grandi lobby economiche del commercio dell’arte, sia da critici e curatori prezzolati e da media che ci impongono di tutto, di più. Gli uomini primitivi usavano il carbone e la terra per dipingere e le loro immagini sono quanto di più spettacolare sia mai stato fatto, perché la pulsione alla rappresentazione figurativa è la forma più antica di comunicazione. Semplicemente sono cambiati i mezzi e cambieranno ancora, ma l’animo umano avrà sempre la capacità di percepire e rielaborare i messaggi che gli giungono se l’artista saprà lasciar fluire il suo mondo attraverso la sua opera.
Un'opera d’Arte può far nascere in noi delle “reazioni”, delle “sensibilità”, delle EMOZIONI! Il modo in cui si percepisce normalmente la realtà è funzionale ma estremamente povero e prosaico, perché si tende a vedere ciò che ci circonda attraverso il filtro dello stereotipo. Lo stereotipo è una costruzione sintetica della mente, in cui ci si adagia a uno schema precostituito: un sistema molto semplice per creare immagini subito fruibili, standardizzate, icone che permettono di riconoscere immediatamente un oggetto (la sedia ci può fare avvertire la stanchezza; l’acqua la sete…il cibo la fame). Gli artisti hanno sempre cercato di trasgredire la forma, l’anatomia, il colore, lo spazio, lo sfondo, gli stereotipi, grazie all’apporto della fantasia.
David Hume scriveva nel 1757 che la bellezza delle cose esiste nella mente di colui che le contempla; nell’arte e anche nell’esperienza dell’arte c’è il respiro della libertà cerebrale, del momento in cui il razionale cede all’emotivo, a quel pizzico di follia che fa l’uomo così differente dal computer, lo rende creativo e umanamente grande. Moltissimi sono i mezzi che l'artista può utilizzare per comunicare soprattutto in quest'epoca dove la rappresentazione visiva è molteplice, dalla fotografia all'istallazione, dal video art ai murales. Quali sono gli elementi che producono emozione in chi guarda una pittura o una scultura o comunque un'opera visiva? Uno degli elementi più importanti per comunicare emozioni attraverso un'opera d'arte è la luce. La luce viene studiata sin dai primi abbozzi dei progetti, e addirittura molti Artisti, dopo un attento studio sulle proprietà della luce, hanno realizzato delle opere in cui l’elemento espressivo principale, era proprio la luce con tutte le sue caratteristiche. In una immagine disegnata, dipinta o fotografata, la luce costituisce un mezzo espressivo di grande efficacia. Può ad esempio comunicare sensazioni di inquietudine, tranquillità o allegria, con la sua caratteristica, può evidenziare il volume di un oggetto, può accentuare o potenziare l’effetto di profondità spaziale di un ambiente rappresentato. Per fare un piccolo esempio possiamo notare due diverse interpretazioni della luce: morbida e delicatamente sfumata in Leonardo, drammaticamente contrastata nel volti dipinti da Caravaggio, nei suoi quadri dal fondo buio emergono i personaggi investiti dalla luce, che ne modella le fisionomie descrivendo con cura tutti i particolari del quadro, che sono resi con straordinaria verosimiglianza pittorica. Un altro fattore importantissimo è il taglio o l'inquadratura. La scelta di dove inserire un personaggio o un elemento è alla base della realizzazione di ogni opera d’arte, è un atto consapevole che racchiude una serie di operazioni mentali: si abbandona il resto con intenzionalità, ed è determinata dall’artista. Una delle prime cose che s’insegna nel dipingere un paesaggio “en plein air” è selezionare uno scorcio, un pezzo del paesaggio nella vastità di quello che si vede, prima di realizzare un quadro, perché dipingere tutto quello che si vede è la prerogativa per creare un brutto lavoro. Ogni artista sceglierà una certa inquadratura e solo quella, in base al suo gusto, a quello che vuole realizzare, alla sua complessità culturale storica e sociale.
Nella percezione estetica la parte scelta diventa un tutto in cui l’artista cerca di creare un universo suo personale che risponde a leggi da lui create. Anche i colori, fin dall’antichità, hanno avuto un ruolo fondamentale nell’arte, così come nella vita comune delle persone. Differenti colori indicavano diverse classi sociali e quindi diversi patrimoni; per esempio il rosso porpora, raro e costoso, divenne simbolo di regalità, di potere e quindi di ricchezza. I colori assumono un ruolo fondamentale, introducendo lo spettatore nel mondo e nello stile dell'artista. Infatti, in tutti i periodi, artistici e storici, il colore ha permesso ai vari artisti di esprimersi al meglio, emblematico è il periodo impressionista. Il colore è uno degli elementi più importanti per comunicare emozioni. Oggi si usa il termine emozione per qualsiasi esposizione d'arte o presunta tale, ma entrando in una sala dove sono esposti tanti quadri il nostro sguardo immediatamente si ferma su un'opera. Cosa c'è in quell'opera in particolare che smuove dentro di noi dei sentimenti, delle emozioni? In parte il valore dell'artista che riesce a “parlarci” attraverso gli strumenti sopra elencati, ma entra in gioco anche il nostro vissuto, le nostre conoscenze, la nostra sensibilità. Tutti noi abbiamo l'impressione di vivere in un’epoca di continuo cambiamento, veloce e che non lascia spazio a sentimenti o espressioni, e in parte è vero. Ma non tutto è nuovo – e non sempre ciò che è (o sembra) “innovazione” è un miglioramento. Ci sono cose che abbiamo dimenticato e che dobbiamo riscoprire, come ci sono errori e nefandezze di cui ci eravamo liberati (o così sembrava) e in cui stiamo ricadendo. Se dovessimo cercare di capire la turbolenta complessità in cui ci troviamo basandoci solo sulle esperienze di oggi, sarebbe difficile, confuso, sconcertante e superficiale. Il mare di chiacchiere sulla “globalità” o “globalizzazione” è assordante quanto inconcludente, pretestuoso e confuso. Il fatto è semplice: i sistemi di comunicazione non hanno reso piccolo il mondo, ma enormemente aumentato la nostra capacità di conoscerlo.
Nessuno può pensare che sia possibile, o desiderabile, tornare indietro, richiuderci nella culla del villaggio o della microcultura, non abbiamo altra scelta che imparare a vivere in un mondo più aperto, che ci può offrire esperienze affascinanti se non perdiamo proprio la capacità di emozionarci. Una cosa che mi colpisce sempre è come facessero, migliaia di anni fa, a essere così profondamente collegate culture fisicamente molto remote. Fin da tempi antichissimi quando si andava a piedi, a cavallo, a dorso di cammello o su fragili imbarcazioni senza bussola, c’era più comunicazione fra culture lontane di quanto, nella percezione di oggi, può sembrare possibile. I motivi, probabilmente, sono due. Il desiderio di conoscere – e perciò di comunicare – che (almeno per alcuni, i più curiosi e consapevoli) è sempre stato più forte degli ostacoli. E la capacità di saper comprendere simbologie, segni e colori che superano le difficoltà di linguaggio, il gesto di rappresentare con un disegno quello che si vuole far capire è assolutamente universale fin dall'infanzia e dalla notte dei tempi. Gli strumenti crescono e si evolvono, ma la sostanza non cambia. Fin dalle più remote origini ci sono sempre state parole e lingue, pensiero e arte, poesia e narrazione, pittura e scultura, architettura e musica, spettacolo e teatro. Ci siamo sempre espressi per segni e simboli, gesti e parole, ragione ed emozione. Comunicano le persone, non gli strumenti. Le tecnologie possono essere affascinanti. Se e quando funzionano bene – e sono usate con criterio – possono essere molto utili. L’arte è la massima esaltazione dell’individualità e dell’originalità umana, il sommo rimedio contro il sopruso e l’azione annichilente del potere. Apre degli spazi di libertà su quello che si nasconde dietro alle convenzioni comuni. Ma la risorsa fondamentale della comunicazione tra artista e spettatore è una: la nostra umana capacità di piangere e ridere, di guardare il mondo non solo con gli occhi e la ragione ma anche e perché no? Dal cuore. L’artista del mese: Vincent van Gogh, uno degli artisti che comunica più emozioni attraverso i suoi quadri Vincent Willem van Gogh nasce il 30 marzo 1853 a Groot Zundert – Olanda - ed ebbe, a causa della sua estrema sensibilità di artista, una vita molto tormentata. Autore di ben 864 tele e di più di mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, influenzò profondamente l'arte del XXsecolo. Dopo aver trascorso molti anni soffrendo di frequenti disturbi mentali, morì all'età di 37 anni per una ferita d'arma da fuoco, molto probabilmente auto-inflitta. In quel momento i suoi lavori erano conosciuti da ben poche persone e apprezzati da ancora meno.
Van Gogh iniziò a disegnare da bambino e continuò a farlo finché non decise di diventare un artista. Iniziò a dipingere a trent'anni e realizzò molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni della sua vita. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi,di fiori, cipressi, rappresentazione di campi di grano e girasoli. Van Gogh trascorse la sua prima età adulta lavorando per una ditta di mercanti d'arte, viaggiò tra L'Aja, Londra e Parigi Per breve tempo si dedicò anche all'insegnamento; una delle sue aspirazioni iniziali fu quella di diventare un pastore e dal 1879 lavorò come missionario in una regione mineraria del Belgio dove ritrasse persone della comunità locale. Nel 1885, dipinse la sua prima grande opera: I mangiatori di patate. La sua tavolozza al momento costituita principalmente da cupi toni della terra, non mostra ancora alcun segno della colorazione viva che contraddistinguerà le sue successive opere. Nel marzo del 1886, si trasferì a Parigi dove scopre gli impressionisti francesi. Più tardi, spostatosi nella Francia del sud, i suoi lavori furono influenzati dalla forte luce del sole che vi trovò. Estende i suoi esperimenti fino a includere una maggiore varietà di colori e sviluppa un grandissimo interesse per le incisioni su legno giapponesi. Tenta di intraprendere una qualche formazione artistica alla Ecole des Beaux-Arts, ma respinge molti dei principi che gli vengono insegnati. Desiderando continuare con qualche tipo di educazione artistica formale, sottopone qualcuno dei suoi lavori all'Accademia di Anversa, dove viene posto in una classe per principianti. Come ci si aspetterebbe, Vincent non si trova a suo agio all'Accademia ed abbandona.
L'importanza, che il suo iniziale dilettantismo e la sua inclinazione essenzialmente romantica, attribuiva al soggetto del dipinto e alla correttezza tecnica dell'esecuzione, gli faceva apprezzare perfino pittori assolutamente classici lodatissimi a quel tempo ma molto lontani dal suo spirito. Sapeva tuttavia che l'abilità tecnica non doveva essere il fine dell'arte ma solo il mezzo per poter esprimere quello che sentiva: «quando non posso farlo in modo soddisfacente, mi sforzo di correggermi. Ma se il mio linguaggio non piace, ciò mi lascia completamente indifferente» Per ironia della sorte, mentre lo stato mentale di salute di Vincent continua a peggiorare nel la sua opera inizia infine a ricevere riconoscimenti presso la comunità artistica. Dopo una serie incredibile di alti e bassi, sia fisici che emotivi e mentali, e dopo aver prodotto con incredibile energia una serie sconvolgente di capolavori, muore nelle prime ore del 29 luglio 1890, sparandosi in un campo nei pressi di Auverse. Il funerale ha luogo il giorno dopo, e la sua bara è ricoperta di dozzine di girasoli, i fiori che amava così tanto. Van Gogh Museum Amsterdam Con i suoi 200 dipinti e 550 fra disegni e acquerelli, rappresenta una delle più grandi collezioni mondiali dedicate al pittore olandese; La collezione permanente, disposta su tre piani, permette di seguire l’evoluzione artistica di Van Gogh e di comparare il lavoro del pittore con altri artisti del XIX secolo, suoi contemporanei.
Tutti i quadri presenti nel museo possono essere visti (per titolo o in ordine alfabetico) sul sito web del Museo: www.vangoghmuseum.nl
"Viaggio al centro del Potere Occulto" L’evento, in programma dal 15 dicembre al 12 gennaio 2013, suggerisce un confronto tra visione esoterica e esoterismo della visione, all’interno del contesto subalpino, nel quale la tradizione esoterica ha radici secolari. La mostra curata da Patrick Caputo, con presentazione e critica di Massimo Centini, propone una selezione di opere che si avvalgono di tecniche diverse (pittura, scultura e installazioni video). In occasione del vernissage, performance by Edoardo Cinalski, scenografo musicista. Vernissage: sabato 15 dicembre ore 17,00 Galleria Unique - C.so Vittorio Emanuele II, n. 36 Torino Tel. 011.561.70.49 – Cell. 334.801.73.14 Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. "Dipingere non è un'operazione estetica: è una forma di magia intesa a compiere un'opera di mediazione fra questo mondo estraneo ed ostile e noi."
Uno degli sviluppi dell’arte del Novecento è il progressivo perdersi del “contesto” all’interno della rappresentazione, e un suo recupero all'esterno di essa. Chiariamo il concetto con qualche esempio; prima del Novecento ogni soggetto, ogni figura dipinta, era inserita in uno spazio, in un ambiente, in una luce interna alla rappresentazione. L'opera cioè non si limitava a rappresentare il soggetto isolandolo dal contesto, ma lo inseriva in un ambiente. È una delle caratteristiche principali della pittura che va dal Rinascimento ai primi del Novecento. Nel Medioevo la prospettiva non era ignorata solo per incapacità tecnica, ma anche perché non era il punto di vista umano e la natura terrena ad attirare l’interesse in quell’epoca, ma il punto di vista divino e lo studio della teologia imposto da una religione che aveva il potere assoluto. Ecco che spesso le figure erano decontestualizzate o contornate da arabeschi o sfondi stellati, quasi si trovassero in uno spazio metafisico. In compenso erano tutte realizzate su muri con la tecnica dell'affresco in ambienti come chiese e castelli, simboli del potere, e intese per catechizzare il popolo, quindi inamovibili.
La novità della modernità è che l’opera diventa asportabile, ed esponibile in ogni luogo, appare anche la cornice (non c’era nel Medioevo e torna a sparire nell’arte novecentesca), che aveva il compito di dare compiutezza al quadro, finito per se stesso, cioè con la figura o le azioni inserite in una prospettiva, un paesaggio, degli sfondi ecc. Oggi come nel Medioevo, di nuovo, oggetti e figure vengono decontestualizzate dallo spazio reale, e inserite in uno spazio altro, oppure presentate isolate da ogni spazio. È da notare che più l’opera perde quello che è il suo spazio interno della rappresentazione, più ha bisogno di porsi come elemento dello spazio reale; di qui opere che vengono chiamate installazioni. I musei d’arte contemporanea sono sempre più camere decorate e arredate in maniera particolare, cioè spazi reali riempiti con oggetti e colori, e sempre meno luoghi in cui vengono raccolte opere bidimensionali come i quadri. Attualmente la pittura è considerata fuori mercato da tutte le grandi élite dell'arte. Perché, è chiaro, non stiamo parlando dei gusti della gente comune, ma di quelli delle caste economiche, dei loro artisti, delle loro fondazioni e riviste, dei loro critici, dei loro politici. Se il mercato non la cura più, se le riviste specializzate la snobbano, se la evitano le grandi sale espositive, se i politici riservano gli investimenti per altre forme d'arte, se si cerca di evitarla nelle moderne architetture da rivista patinata, cos'ha la pittura che li urta? Forse puzza di vecchio? Forse ricorda tutto un mondo, tutta un'epoca, un millennio quasi, dal basso medioevo agli inizi del Novecento, nel quale non ci si riconosce più? Eppure noi siamo in tutto il prodotto finale di questo millennio. Quello che urta non è questa o quella forma di pittura, ma la pittura stessa, in quanto prassi, è considerata sbrigativamente superata, e le vengono preferite le installazioni e le performance. Cerchiamo di capire perché. Cosa è la pittura, cosa è una installazione, cosa una performance? Non partiamo dall'idea che ne hanno critici o filosofi, ma dalle nozioni comuni, quelle che abbiamo tutti. Pittura: si tratta di prendere della materia colorata e stenderla manualmente, con una certa cognizione e una certa abilità, in genere acquisite negli anni, su delle superfici per creare delle forme più o meno concrete, più o meno raffigurative. L'installazione; si tratta di modificare l'ambiente per creare dei contesti significativi, nei quali è molto importante l'interazione con lo spettatore. L'aspetto cognitivo prevale in genere su quello manuale, i materiali di partenza sono i più diversi, non è più possibile dunque discutere sul loro buon uso o meno, come si fa in pittura. Spesso le installazioni vengono smontate, si fanno per determinate occasioni, temporaneamente, non sono permanenti come i vecchi dipinti o le vecchie sculture. La performance è una specie di rappresentazione teatrale con coinvolgimento di pubblico, dovrebbe essere considerata figlia del teatro, più che della pittura. Eppure, per un caso strano che merita la massima attenzione, perché forse può gettare qualche luce sul mondo in cui viviamo, questa forma d'arte è ritenuta l'estrema evoluzione dell'arte figurativa; questi performer annoverano tra i propri maestri, non Sofocle, Shakespeare o Pirandello, bensì Apelle, Michelangelo, Modigliani; si ritengono i loro eredi, quelli che ne avrebbero continuato, adattandosi ai nuovi mezzi, la ricerca. Si sente spesso dire che se Michelangelo fosse vissuto oggi, avrebbe fatto cose alla Cattelan. Si tratta di un'ipotesi così astratta che è davvero impossibile discuterne. Oggi nelle grandi rassegne di arte contemporanee si trovano delle installazioni e delle performance, ritenute eredi e superatrici della pittura.
In sintesi la pittura produce un'opera materiale stabile, l'installazione sistema la materia in maniera significativa e per lo più temporanea, la performance produce solo un evento. Sono evidenti già due cose: una progressiva smaterializzazione e una progressiva conseguente riduzione dell'opera al presente, col negarle una durata troppo lunga. Già vediamo delle affinità col mondo contemporaneo, in particolare col mondo degli affari: non opere permanenti, ma eventi, non solidità, ma fluidità, non stabilità ma flessibilità. La pittura in quanto prassi, non questo o quel quadro, non questo o quell'artista o corrente, ci parla di un mondo in cui ha valore la durata, la stabilità, la costruzione di qualcosa capace di andare al di là della vita breve di un singolo individuo. La performance ci parla del presente, di null'altro che del presente. Nulla di duraturo vi viene costruito, nulla che sopravviva all'evento, se non la sua immagine virtuale. Questo è profondamente contemporaneo, vero, ma è umano, è possibile vivere per un uomo in un mondo fluido, in perenne stato di incertezza? Veniamo a un ulteriore aspetto, quello della abilità tecnica necessaria all'esecuzione della pittura. È facile, per chiunque abbia un'educazione pittorica, valutare la bontà o meno delle opere di pittura. Ovviamente questo non vuol dire togliere libertà alla pittura. Anche il più semplice e astratto dei gesti pittorici può essere fatto in mille modi, e si vede se la mano che lo ha fatto era sicura o incerta, se dominava i materiali o se ne lasciava dominare, se era libera o costretta in schemi mentali. Tutto questo diventa difficile valutarlo nelle performance o nelle installazioni, proprio perché si usano materiali e contesti ogni volta diversi. Da un masso dipinto posso ricavare moltissimi dati e informazioni sulla sensibilità e l'abilità di chi lo ha prodotto, sulla sua soggettività e di conseguenza sul suo mondo. Da un masso reale posto nel museo, posso ricavare ben poco, se non l'alto livello di cerebralizzazione di chi ve lo ha posto. Da questo esempio si vede come vengono misconosciuti il soggetto, la professionalità e il lavoro, il passato e tutte le esperienze e abilità acquisite, il valore intrinseco delle cose. Come faccio a stabilire se un'installazione è fatta bene o meno? Con quali parametri? Ci può essere presentata qualsiasi cosa, messa insieme in maniera conveniente. Questo significa che l'opera non ha più un valore intrinseco, dovuto al valore del lavoro umano che l'ha prodotta, ma che le viene attribuito un valore, prima da parte di un intelletto critico che vi vede incarnata una qualche idea, poi dal mercato che l'investe di un alto valore di scambio. Oggi vi è un gran desiderio di eventi e di contesti. Pare che la presentazione dell’opera non basti più. L'intrinseco dell’opera non interessa più, ciò che interessa è la sua capacità di iscriversi in un evento.
Quale sia l’arte di establishment lo sappiamo già; basta vedere a chi vanno i finanziamenti pubblici e quale arte è incoraggiata dai grandi gruppi finanziari che controllano il pianeta. È un'arte che ha la funzione di ammantare di cultura un mero discorso di capitalismo e come tale ha i suoi sacerdoti e i suoi difensori, che spesso, magari senza volerlo, sono i migliori apologeti dell’attuale disumano ordine mondiale. Spero che l’arte, con la sua capacità di agire sulle emozioni, i bisogni e i desideri profondi, inizierà a lottare per un mondo diverso contro la pubblicità, lo strumento che il consumismo adopera per promuovere questo mondo che si regge sul superfluo e i bisogni indotti, su di un vivere superficiale, da consumatori senza identità e senza desideri altri da quelli per i quali vi è pronto un prodotto da comperare. L’artista del mese: Hilaire Germain Edgar Degas Hilaire Germain Edgar Degas (Parigi 1834-1917) pittore e scultore francese. La maggior parte delle opere di Degas possono essere attribuite al grande movimento dell'Impressionismo, nato in Francia verso la fine dell'800 in reazione alla pittura accademica dell'epoca. Gli artisti che ne facevano parte come Monet, Manet, Renoir, Sisley, Pissarro, Morisot, stanchi di essere regolarmente rifiutati al Salone Ufficiale si erano riuniti in una società anonima per mostrare la loro arte al pubblico. In genere le caratteristiche principali dell'arte impressionista sono il nuovo uso della luce e i soggetti all'aperto. Gli impressionisti riuscirono a rivoluzionare la pittura, accorgendosi che l’occhio umano non riceve dalla realtà un'immagine dettagliata, ma un insieme di colori che poi la mente rielabora in forme distinte. Così la prima impressione visiva divenne fondamento e scopo dell’Impressionismo. Infatti questi artisti lavoravano “en plein air” (all’aperto) e ciò consentiva di riportare subito sulla tela la realtà visiva percepita. La tecnica pittorica consisteva in rapide pennellate di colore, non fissando i dettagli, ma dando un effetto cromatico-luminoso dell’insieme.
Sono invece rese plastiche con la luce tonale e non con il chiaroscuro, e in questo segue la tecnica impressionista. Ciò che contraddistingue i suoi quadri sono sempre dei tagli prospettici molto arditi. Per questi scorci si è molto parlato dell’influenza delle stampe giapponesi, anche se appare evidente che i suoi quadri hanno una inquadratura tipicamente fotografica.Tra i suoi soggetti preferiti ci sono le ballerine (che costituiscono un tema del tutto personale) e le scene di teatro. Anche in questo, Degas coincide con l’Impressionismo: la scelta poetica di dar immagine alla vita urbana, con i suoi riti e i suoi miti, a volte borghesi, a volte bohémiens. In riferimento alla sua fedeltà alle regole classiche come pure alle sue innumerevoli innovazioni, si può affermare che Degas abbia gettato un ponte tra due epoche, legando il passato al presente. Assolutamente da non perdere "Degas-Capolavori del Museo d'Orsay": a Torino, presso la Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti, 80 opere, tra cui alcune che non hanno lasciato Parigi se non in rarissime occasioni 18 ottobre – 23 gennaio 2013 Tra le opere in esposizione, non solo quadri, ma anche disegni e sculture. Altro aspetto degno di nota, la possibilità di poter ammirare buona parte dei temi della produzione artistica: l'ambiente familiare, l'esperienza italiana, il mondo parigino degli artisti, della musica e dei café, il paesaggio, i cavalli, le ballerine e il nudo femminile. Palazzina SOCIETÀ PROMOTRICE DELLE BELLE ARTI, Viale Crivelli, 11 - TORINO www.mostradegas.it Orario tutti i giorni: 10.00-19.30 giovedì: 10.00-22.30 Chiuso al martedì. La biglietteria chiude un'ora prima FESTIVITÀ lunedì 24 e lunedì 31 dicembre: 10.00-14.30 - martedì 25 dicembre e martedì 1 gennaio: 14.30-19.30
"Chiamiamo artisti non solamente i creatori, ma anche coloro che godono dell’arte, che sono cioè capaci di rivivere e valutare con i propri sensi ricettivi le creazioni artistiche."
Il capire un’opera d’arte, sia essa antica, moderna o contemporanea, è un’azione difficile. Suppergiù dall'inizio del secolo scorso l'arte si è fatta astratta, concettuale, latrice di idee e di percorsi, e ha abbandonato il fine di rappresentare il bello, quindi diventa di lettura più complessa. Non sempre possiamo capire e apprezzare tutto ciò che è esposto e ci accontentiamo di uno sguardo superficiale e passiamo oltre. Quando il quadro o la scultura è esposta diviene raggiungibile da chiunque, e davanti a essa, non dissimilmente dall’incontro con le persone, si rende necessario andare al di là della prima impressione: non sempre quello che “vediamo” corrisponde a quello che “crediamo” di vedere.
Alcune opere risultano più intuitive ed istintive di altre, ma spesso è questione di gusti e condizionamenti. La preparazione alla lettura di un'opera serve per apprezzare e saper meglio comprendere un linguaggio e saper riconoscere in esso l'unicità e la sensibilità di un artista. Si cerca spesso un messaggio nascosto, ma non sempre c'è un messaggio. Le immagini, qualunque esse siano, parlano, comunicano, attraverso un linguaggio fatto prevalentemente di segni, forme, colori. Esistono tanti tipi di immagini con funzioni diverse. L’uomo, per comunicare, oltre al linguaggio verbale, si serve di linguaggi non verbali fondati sull’intero arco delle capacità percettive: messaggi olfattivi, tattili, uditivi, visivi. L’opera d’arte, forma eclettica, completa, si esprime e comunica con uno o più o anche con tutti questi linguaggi, sottraendoli alla normalità ed elevandoli a strumenti creativi. L'opera informale astratta, per esempio, non cavalca la necessità di esprimere e divulgare un qualcosa, bensì utilizza il colore o la materia come mezzo per trovare una soluzione estetica nuova, una soluzione per indagare l'emozione, semplicemente. La valorizzazione di un'opera spesso non sta nella composizione in se, ma in ciò che essa costituisce. Per godere appieno di una visita ad un museo, o ad una mostra d’arte è indispensabile saper vedere e osservare. Osservare non è un’azione facile, istintiva, ma richiede intelligenza, conoscenza e sensibilità; operazione complicata durante la quale non usiamo solo gli occhi, ma anche la mente: noi guardiamo con i primi, ma percepiamo con la seconda. I linguaggi visivi sono costituiti dall’organizzazione di un insieme di segni in immagini, e, come il linguaggio verbale, hanno un’organizzazione, delle regole e delle strutture. Le parole si formano grazie ad aggregazioni di segni fondamentali corrispondenti alle lettere dell’alfabeto e nello stesso modo si formano le immagini. A seconda dell’elemento visivo dominante si parla di linguaggio grafico, quando prevale il segno, linguaggio pittorico quando prevale il colore, linguaggio plastico quando prevale il volume, linguaggio spaziale, quando prevale lo spazio o quando quest’ultimo ha comunque un ruolo determinante, come ad esempio nell’architettura.
Quindi un prodotto artistico nella maggior parte dei casi non è altro che il risultato del modo in cui gli elementi del linguaggio visivo vengono utilizzati per esprimere qualcosa. L’osservazione di un’opera determina una reazione psicologica ed emotiva, diviene fonte di energia, colloquia, interagisce con l’osservatore. Non tutti vediamo allo stesso modo: alcuni particolari, forme e colori vengono percepiti e ricordati più facilmente, perché l’attenzione di ognuno si concentra su ciò che più lo interessa. Ad un osservatore inesperto queste realizzazioni possono addirittura sembrare deformazioni dovute all’incapacità di riprodurre il vero. Frasi spesso ricorrenti come “L’arte deve essere capita da tutti, altrimenti non è arte”, “Che bello, sembra vero”, “Che brutto, non si capisce cosa rappresenta” oppure “Questo lo so fare anch’io”, sono solo stereotipi usati nel giudicare un’opera d’arte. È in realtà opera d’arte quella che suggerisce un’emozione, quella che si distingue da quei quadri, spesso accatastati sulle bancarelle delle fiere o sotto i portici delle vie cittadine, improbabili copie di autori moderni e contemporanei, oppure raffiguranti occasionali mareggiate, funghi, pere, paesaggi o fiori. Opere dozzinali, fatte in serie e in poco tempo, appariscenti, dal banale accostamento di innumerevoli colori vivaci, che costa poco ed è semplice da capire, non richiede cultura e impegno.
Occorre poi fare un distinguo. Io credo che tutti percepiamo lo scollamento tra la visione e la fruizione di un’opera da parte di gente “comune” e le parole e le spiegazioni della Critica artistica. La funzione della critica è sempre stata controversa, definita in modi diversi dalla modernità e revisionata a più riprese in passato parallelamente al mutare del concetto di arte: accusata di volta in volta di voler imporre una sua visione dell'opera, di fare della semplice storiografia, di svolgere un'attività di parte a favore di alcuni artisti, di involversi in intellettualismi indecifrabili per i destinatari, la critica moderna, nella generale confusione dei valori e nell'attuale carenza di parametri di riferimento, si è spesso assunta, a torto o a ragione, il compito di discriminare ciò che è arte da ciò che non lo è. I critici d'arte solitamente analizzano l'arte in un contesto estetico o di teoria della bellezza. Uno degli obiettivi della critica è quello di ottenere delle basi razionali per la valutazione e l'apprezzamento dell'arte. La varietà dei movimenti artistici ha reso necessaria la divisione della critica artistica in differenti discipline, storica e contemporanea e ciascuna di esse che utilizza i propri criteri per giudicare le opere. La critica storica, che ha molti tratti in comune con lo studio della storia dell'arte, apparentemente più “innocua”, in quanto per secoli l'arte ha voluto imitare la natura e questo ne garantiva un'immediata comprensione da parte di tutti. Occorre però considerare la funzione che l'arte svolge nella società in quanto anch'essa istituzione sociale e resta da discutere sull'uso delle testimonianze, sia oggettive che scritte. Infatti il critico storico effettua una preselezione ideologica e ci mostra solo quello che vuole mostrarci. Per esempio, leggendo un qualsiasi libro di storia dell’arte viene presa in considerazione solo e unicamente l’arte “occidentale” senza mai compararla allo sviluppo che l’arte ha avuto in altri continenti dall’Africa all’Asia all’Oceania. La critica contemporanea valuta altresì i lavori di artisti viventi. Attualmente, la mercificazione più totale nel campo artistico fa si che prevalga una figura prezzolata che, previo pagamento dall’artista medesimo redige una “Critica” per la prefazione di una mostra, per un portfolio ecc. Tale mercantilismo si avvale spesso di un linguaggio pseudofilosofico, mistico, tecnologico, linguistico e prende il posto dell’analisi; e ne risulta corrotta la funzione stessa della critica, che, da introduzione all’opera, diviene discorso meramente pubblicitario. Dobbiamo perciò diventare noi stessi dei critici. L’opera d’arte, come la bellezza personale ed esclusiva, è unica, non ne può esistere una copia, quindi fermarsi ad osservare, farsi rapire da una luce, da un colore, da una pennellata diventa un mezzo per alleggerire il nostro quotidiano e arricchisce la nostra mente e il nostro cuore. L’artista del mese: Johannes Jan Vermeer Della vita di Vermeer si conosce molto poco: le uniche fonti sono alcuni registri, pochi documenti ufficiali e commenti di altri artisti. La data di nascita non si conosce con precisione, si sa solamente che venne battezzato il 31 ottobre 1632, nella chiesa protestante di Delft. Il padre Reynier era un tessitore di seta della classe media, che si occupava anche di commercio di opere d'arte. Nel 1641 la famiglia acquistò una locanda, Dopo la morte del padre, nel 1652, Johannes ereditò sia la locanda che gli affari commerciali del padre. Nonostante fosse di famiglia protestante, sposò una giovane cattolica, Catherina Bolnes, nell'aprile del 1653. Fu un matrimonio sfortunato: oltre alle differenze religiose, la famiglia della donna era più ricca di quella di Vermeer. Qualche tempo dopo le nozze, la coppia si trasferì dalla madre di Catherina, Maria Thins, una vedova benestante, che viveva nel quartiere cattolico della città: qui Vermeer avrebbe vissuto con la famiglia per tutta la vita.
Maria ebbe un ruolo fondamentale nella vita del pittore e usò la propria rendita per sostenere il genero che cercava di imporsi nel mondo dell'arte. Johannes e la moglie ebbero in tutto quattordici figli, tre dei quali morirono prima del padre. Alla sua morte nel1675, Vermeer lasciò alla moglie e ai figli poco denaro e numerosi debiti. In un documento, la moglie attribuisce la morte del marito allo stress dovuto ai problemi economici. Catherina chiese al consiglio cittadino di prendere la casa e i dipinti del marito come pagamento dei debiti: diciannove opere rimasero a Catherina e Maria, e di queste, alcune furono vendute per pagare i creditori. Vermeer era in grado di ottenere colori trasparenti applicando sulle tele il colore a punti piccoli e ravvicinati, tecnica nota come pointillé,una tecnica che punta ad una resa il più vivida possibile, con effetti, soprattutto di colore, che egli ricerca con un interesse quasi scientifico. Non ci sono disegni attribuibili con certezza all'artista e i suoi quadri presentano pochi indizi dei suoi metodi preparatori. Nel libro Il segreto svelato, il noto pittore inglese David Hockney, sostiene che Vermeer, come molti altri pittori della sua epoca, facesse largo uso della camera oscura per definire l'esatta fisionomia dei personaggi raffigurati e la precisa posizione degli oggetti nella composizione dei dipinti. Secondo la questa tesi, l'utilizzo di questo strumento ottico giustificherebbe ampiamente la mancanza di disegni preparatori precedenti ai dipinti di straordinaria precisione "fotografica" e fisiognomica di molti artisti fiamminghi, come Van Eyck, e successivamente di epoca barocca, come Caravaggio o Velasquez, ed appunto dello stesso artista olandese. Ma soprattutto, secondo tale tesi, l'uso della "camera oscura" spiegherebbe anche alcuni dei sorprendenti effetti di luce dei quadri di Vermeer, in particolare i curiosi effetti "fuori fuoco" che si riscontrano in taluni dei sui capolavori, dove alcuni particolari sono perfettamente a fuoco ed altri no, con un tipico effetto riscontrabile nella moderna tecnica fotografica. L'estrema vividezza e qualità dei colori nei dipinti di Vermeer, tutt'ora riscontrabile, è dovuta alla grande cura posta dall'artista nella preparazione dei colori ad olio e nell'estrema ricercatezza dei migliori pigmenti rintracciabili all'epoca. Esempio di tale qualità è il largo uso che Vermeer fece del costosissimo blu oltremare, ottenuto dal lapislazzulo, utilizzato in tutti i suoi dipinti non solo in purezza, ma anche per ottenere sfumature di colore intermedie. Non rinunciò ad usare questo pigmento dal costo proibitivo anche negli anni in cui versava in pessime condizioni economiche.
Nota e controversa è la proliferazione sui mercati d’arte di inizio '900 di falsi dipinti di Vermeer, dovuti ad uno dei più noti falsari del secolo scorso, l'olandese Han van Meegeren. Questo abilissimo falsario, utilizzando le stesse tecniche pittoriche dell'artista, creò numerosi dipinti con composizioni del tutto originali riuscendo a spacciarli come opere autentiche di Vermeer, tanto che molti famosi collezionisti ed alcuni dei più importanti musei d'Europa acquisirono questi falsi dipinti nelle proprie collezioni. Questo eclatante fenomeno fu certamente facilitato dalla curiosa mancanza di fonti documentali e di studi approfonditi dell’opera e della figura dell’artista olandese, che fino a metà Ottocento versava in un anomalo oblio, che aveva fatto perdere quasi traccia della vicenda artistica del pittore. Infatti la moderna fortuna critica di Vermeer ha inizio solo con l’attenzione postagli quasi a fine Ottocento dello studioso francese Théophile Thoré-Bürger. Da questo punto in poi, la sua figura sarà sottoposta a costanti e crescenti attenzioni critiche e pubbliche, fino ad acquisire l’attuale fama internazionale. Nessun quadro di Vermeer è in una collezione italiana.
Scuderie del Quirinale - Roma
Per tutte le info: http://www.scuderiequirinale.it
28 settembre – 10 ottobre
Palazzo Graneri della Roccia
Esiste un linguaggio universale dell'arte, che tutti gli uomini conoscono, che prende forma e visibilità attraverso la ricerca artistica e quella spirituale. Questa lingua lega passato, presente e futuro, per mezzo di un sentimento insito in tutti gli uomini di tutti i tempi di ogni luogo.
Da Oriente a Occidente, la ricerca spirituale fa parte del percorso teologico quanto di quello artistico in tutti i popoli. Per esempio nella simbologia di culture distanti migliaia di chilometri ritroviamo le stesse forme, gli stessi simboli, gli stessi significati e quindi gli stessi archetipi. Nel cattolicesimo cristiano le rappresentazioni delle gesta delle mani del Cristo, dei Santi e degli Apostoli, sono pressoché identiche a quelle dei mudra delle Divinità dell'Induismo indiano, il simbolo della svastica si trova nelle decorazioni dei meandri dei templi greci, nei mosaici pavimentali romani, nella ruota della vita e delle stagioni tibetana e nella simbologia norrena e cattolica. A questo proposito nel 1989 a Parigi fu organizzata una mostra intitolata Les Magiciens De La Terre, alla quale furono invitati artisti da tutto il mondo: America Latina, Caraibi, USA, Europa, Africa, Australia, Cina, Nepal, Corea... Alla mostra non è stato dato un tema, e gli artisti potevano creare opere libere, che parlassero di qualunque cosa. Il tema è venuto da solo: terra, origini, nascita, morte, vita, radici, universo. L'esistenza dell'uomo come punto di ricerca. Per questo, quasi tutti gli artisti partecipanti hanno utilizzato figure uguali, che riportano al cerchio, simbolo del ciclo di vita, infinito, cosmo. L'arte è ricerca esistenziale, si riferisce all'essere in generale, alle sue strutture immutabili, oggettive e reali, proprio come quella spirituale e quella scientifica. Sono ricerche che hanno lo stesso punto di arrivo, ma sperimentano su livelli diversi. La ricerca scientifica si avvale degli elementi tangibili, della matematica, della fisica, di ciò che è realmente materiale e comprensibile logicamente. Quella spirituale è l'esatto contrario, ricerca sul livello immateriale, quello metafisico, che trascende la fisicità. Gli orientali, gli aborigeni e gli africani sono portatori di un pensiero che vede l'arte come un canale di dialogo con la Divinità, la Madre Terra, la natura tutta. In Occidente l'arte ha passato e oramai sfondato la visione di arte religiosa o sacra, diventando una questione individuale di indagine di se stessi e del mondo, che si forma nell'espressione dell'interiorità dell'artista, libera da qualsiasi vincolo, obbligo e dovere, che viene messa in mostra.
Si è trovato un sentimento comune tra tutti gli artisti, quello del moto della creazione, che parte dal centro dell'artista e punta diretto all'emozione del fruitore, al cuore. La somiglianza e il riutilizzo delle stesse forme molto probabilmente sono dati dall'universalità del linguaggio artistico interiore, comune a tutti. Ogni artista procede in una ricerca interiore, in un certo senso, un cammino spirituale, consapevolmente o inconsapevolmente. In ogni forma d'arte di ogni luogo, gli artisti seguono lo stesso percorso, in modi diversi per differenza culturale e temporale, ma verso lo stesso fine. L'arte si esprime con ogni forma, che cambia nel corso del tempo seguendo l'evoluzione dell'uomo e delle sue percezioni. Un tempo l'ascolto dell'interiorità e il tentativo di dialogo con il Divino facevano parte del vivere quotidiano e l'arte ne era una grande espressione, un rito, un mezzo. Il mecenatismo ha comunque fin dai tempi antichi piegato l’arte occidentale a una vocazione “commerciale” ed era uso manifestarsi in forma di sostegno economico e materiale, da parte di sovrani, signori, aristocratici e possidenti, nei confronti di artisti visti comunque come comunicatori i quali, a fronte della relativa libertà di produrre le proprie opere, davano così prestigio alle loro corti. Il mecenatismo contemporaneo diverge per un aspetto fondamentale: oggi, nell’era dell’economia finanziaria, le opere d’arte sono un investimento, e il loro valore è determinato da un mercato internazionale, quindi molti artisti si piegano a un discorso puramente commerciale e razionale. La comprensione di alcune forme, meccanismi e opere, sarebbe più semplice se ci ponessimo più frequentemente all'ascolto del silenzio, in una pausa, osservare dentro, al raccoglimento. Il linguaggio universale dell'arte parla con il cuore e si rivolge al cuore. Quando un'opera 'funziona', cioè emoziona, essa punta direttamente al cuore e si stampa nella memoria del fruitore. Il principio di creazione di tutte le opere è lo stesso, per questo una scultura antica emoziona tanto e allo stesso modo di una contemporanea. Ciò che spinge gli artisti a creare è la ricerca infinita, e le opere eterne, quelle che emozioneranno sempre, provengono dallo stesso punto, parlano la stessa lingua e sono dirette nello stesso luogo, cercano la stessa cosa e si portano via il fruitore facendolo viaggiare nel mondo delle emozioni. In ogni opera artistica vi sono dei tempi di creazione ben precisi, dall’idea viscerale che viene dal profondo, dall’inconscio e dal vissuto dell’artista alla progettazione diciamo mentale e logica della scelta del supporto, dal taglio alle dimensioni, alla tecnica per realizzare l’opera.
Se nel lavoro finito prevarrà la parte mentale e logica anziché commerciale sarà comprensibile soltanto da coloro i quali sono culturalmente preparati, in grado di rapportarsi all'opera, ai suoi processi di creazione e al suo significato. Un’opera concepita di cuore anche se tecnicamente non perfetta sarà compresa da tutti perché parlerà una lingua universale e non passando dal filtro del ragionamento, arriverà direttamente a far vibrare le emozioni. L’artista del mese: Egon Schiele Pupillo di Gustav Klimt, Egon Schiele (Tulln, giugno 1890 – Vienna, ottobre 1918), è stato un pittore e incisore austriaco, uno dei maggiori artisti figurativi del primo '900, nonché esponente assoluto del primo espressionismo viennese. La vita di Egon Schiele è circondata da un'aura mistica: talento precoce, muore alla giovane età di 28 anni. Nonostante la breve vita, il suo corpus di opere è impressionante, trecentocinquanta dipinti e duemilacinquecento tra disegni e acquerelli. Il suo lavoro è noto per l'intensità espressiva, l'introspezione psicologica e la comunicazione del disagio interiore attraverso i suoi numerosi ritratti. I suoi soggetti sono spesso uomini e donne che posano nudi, simbolo del suo complesso rapporto con il sesso femminile; corpi contorti, figure spesso non completate nella loro interezza; ritratti e molti autoritratti. La sua infanzia viene presto offuscata dal progredire della malattia mentale del padre e dalla sua precoce morte, esperienza traumatica che segnerà profondamente tutta la sua pittura, dandogli un'immagine del mondo tetra e malinconica.
Il suo ricco padrino, che ne assume la tutela, riconobbe il talento artistico. Fu infatti in questo periodo che Schiele cominciò a dipingere, in particolare autoritratti, producendo in poco più di un decennio circa trecento dipinti e più di tremila opere su carta. Di fronte all'aridità degli insegnamenti proposti in Accademia, dal clima conservatore e chiuso della scuola (che abbandona nel 1909), dove gli era permesso solo disegnare "secondo gli antichi", Egon cerca i suoi modelli al di fuori, soprattutto all'interno dei Cafè, dove si lega ad artisti molto vicini alla sua sensibilità. Studiando da solo, Egon cresce e si migliora, sperimentando i diversi stili, all'epoca considerati d'avanguardia. L'incontro decisivo per tutto il suo percorso artistico avvenne nel 1907 a Vienna: la personalità di Gustav Klimt lo influenza non meno di quanto lo avesse influenzato quell'arte (la Secessione Viennese) che rappresentava modernità e progresso. Schiele utilizza una linea tagliente e incisiva per esprimere la sua angoscia e per mostrare impietosamente il drammatico disfacimento fisico e morale. Il colore acquista un valore autonomo, non naturalistico, risultando particolarmente efficace. In molti trovarono troppo scioccanti i modi espliciti dei suoi lavori e ne denigrarono lo stile. La spiccata natura dei suoi dipinti e la sua morte prematura fanno assurgere Schiele a simbolo dell'artista incompreso, raffigurazione stereotipa di un artista frustrato e alienato da una società percepita come bigotta e ignorante. Il 1909 è un anno di nette cesure: ottiene il ritiro, da parte dello zio, della tutela, abbandona l'Accademia, fonda il Neukunstgruppe, si emancipa definitivamente dall'influsso di Klimt e, al raffinato erotismo dell’Art Nouveau, contrappone una rappresentazione della sessualità intesa come pulsione esistenziale profonda dell'uomo. Nel 1912 Schiele viene rinchiuso in prigione per un breve periodo, con l’accusa di avere traviato una giovinetta non ancora quattordicenne, di aver avuto rapporti con lei, nonché di averla rapita. Alla fine del processo, è ritenuto colpevole soltanto di aver esibito le sue opere, considerate pornografiche dalle autorità. Il matrimonio gli dona una serenità che muta la sua ispirazione: una composta forza emerge dai dipinti di questa nuova fase. Proprio quando nel 1914 la sua fama artistica si va affermando, scoppia la prima guerra mondiale: sarà la fine di un'epoca, con il crollo definitivo dell'impero Asburgico; Alla sua morte Klimt è considerato il più importante pittore austriaco, ma la sua carriera, finalmente toccata dal successo, viene stroncata dalla terribile epidemia di influenza spagnola che fece in Europa circa 20 milioni di morti. Purtroppo Egon non scampò al contagio e nell’ottobre 1918, a soli 28 anni, morì.
L'attenzione artistica di Egon Schiele è concentrata essenzialmente sulla figura umana, in particolare su quella femminile, che rappresenta con una vasta e varia gamma espressiva. Schiele viene influenzato dal linguaggio prezioso e raffinato di Gustav Klimt, ma la sua pittura è un viaggio nell'introspezione psicologica. I suoi sono segni che mettono a nudo l'inconscio, assumendo una profondità dai contorni emozionali molto più marcati. Sono segni che, caratterizzati da una linea nervosa, quasi nevrastenica, prendono corpo sulla tela in una dissonanza armonica che nega l'estetica e rompe gli schemi tradizionali. L'Io dell'artista emerge, contorce la materia e si ferma nello sguardo allucinato e nelle mani contorte. Egli rivendica l'importanza della esperienza interiore e delle sue manifestazioni più o meno violente. Scava nei propri personaggi per metterne a nudo la loro anima. Schiele è un abile disegnatore, dal tratto nitido, rapido e secco, senza ripensamenti; non concede spazio al decorativismo o al compiacimento estetico delle sue opere. Le sue opere hanno tutte un impatto forte e violento sull'osservatore, che assume quasi una posizione di interprete psicoanalitico; esse trasudano di voglia di ribellione e provocazione, cosi come di angoscia esistenziale. Nella fase finale della sua vita il tratto si fa più nervoso, raggiunge la massima libertà espressiva realizzando molti paesaggi. Lavori in cui è sempre presente un costante senso drammatico e una visione della realtà sofferta e meditata nell'interiorità. L'arte di Schiele ci consente, quindi, di perderci nell'infinito esistenziale e ritrovarci a tu per tu con il senso della vita, che sfugge a ogni ordine e si ferma nel magma emozionale di una macchia di colore. «L'Arte non può essere moderna, l'Arte appartiene all'eternità.» E. Schiele
L'arte, in ogni sua manifestazione, è la più alta espressione umana di creatività e di fantasia, ed è l'unico momento che permette all'uomo di esteriorizzare la propria interiorità.
Il significato della parola «arte» non è definibile in maniera univoca ed assoluta. La sua definizione è variata nel passaggio da un periodo storico a un altro, e da una cultura a un’altra.
2) la interpreta facendosene un’idea. A questo punto nasce la rappresentazione. Definiamo una rappresentazione naturalistica quando essa è uguale alla percezione. Viceversa una rappresentazione è antinaturalistica quando è diversa dalla percezione. Facciamo un esempio. Un ritratto eseguito da Raffaello è un’immagine naturalistica; la scomposizione cubista di un volto come realizzata da Picasso è una rappresentazione antinaturalistica. L’arte ha un ruolo di primo piano nella cura della salute, il filosofo Maritain affermava “È il potere di guarigione e l’agente di spiritualizzazione più naturale di cui abbia bisogno la comunità umana”. Le arti vengono considerate generalmente realtà troppo nobili e alte per entrare e plasmare la vita di persone comuni, ma nella realtà spesso accade il contrario.
In questa condizione è possibile capirsi più profondamente e giungere a una piena consapevolezza di sé, fermarsi per cogliere il significato della realtà, per fare scelte consapevoli e progettare la propria vita. Ma al contempo la stessa opera d’arte è il riflesso di modi pensare, vivere, sentire dell’artista che continuamente corregge, sostituisce, rifà. L’artista del mese: Gustav Klimt La vicenda artistica di Gustav Klimt (1862-1918), coincide quasi per intero con la storia della Secessione viennese. Con il termine Secessione si intendono quei movimenti artistici, nati a fine ’800 tra Germania e Austria, che avevano come obiettivo la creazione di uno stile che si distaccasse da quello accademico. Di fatto, le Secessioni introdussero in Austria e in Germania le novità stilistiche dell’Art Nouveau che in quel momento dilagavano per tutta Europa. La Secessione viennese fu un vasto movimento culturale e artistico che vide coinvolti architetti e pittori. La Vienna in cui questi artisti si trovarono a operare era in quel momento una delle capitali europee più raffinate e colte. Vienna era tuttavia l’apoteosi di un mondo che stava per scomparire, consapevole della sua prossima fine. Cosa che avvenne effettivamente con lo scoppio della prima guerra mondiale che decretò la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico.
Questa coscienza della fine, tratto comune a molta cultura decadentista di fine secolo, pone anche la Secessione viennese nell’alveo della pittura simbolista. E tale caratteristica è riscontrabile anche nella pittura di Klimt che rimane il personaggio più vitale ed emblematico della Secessione viennese. Gustav Klimt nacque in un sobborgo di Vienna, e in questa città frequentò la Scuola di arti e mestieri. Giovanissimo, insieme al fratello e a un amico, diede vita alla prima società artistica, procurandosi commissioni per decorare edifici pubblici. Ne ricavò una certa notorietà e ulteriori commissioni, quale l’importante incarico di decorare l’aula magna dell’Università. Klimt nei suoi primi lavori mostra una precisione di disegno e di esecuzione assolutamente straordinarie. La sua personalità comincia ad acquisire una importante caratteristica intorno al 1890 quando la sua pittura partecipa sempre più attivamente al clima simbolista europeo. Ma la svolta che portò Klimt al suo inconfondibile stile avvenne dieci anni dopo con il quadro «Giuditta (I)» del 1901. Da questo momento il suo stile si fa decisamente bidimensionale, con l’accentuazione del linearismo e delle campiture vivacemente decorate. Due viaggi compiuti a Ravenna nel 1903 diedero a Klimt ulteriori stimoli. Da quel momento l’oro, già presente in alcune opere precedenti, acquista una valenza espressiva maggiore, fornendo la trama coloristica principale dei suoi quadri. Il periodo aureo di Klimt si concluse nel 1909 con il quadro «Giuditta (II)». Seguì un periodo di crisi esistenziale e artistica dal quale Klimt uscì dopo qualche anno. Il suo stile conobbe una nuova fase. Scomparsi gli ori e le eleganti linee liberty, nei suoi quadri diviene protagonista il colore acceso e vivace. Questa fase viene di certo influenzata dalla pittura espressionista che già da qualche anno si era manifestata in area tedesca. E Klimt l’aveva conosciuta soprattutto attraverso l’opera di due artisti viennesi, già suoi allievi: Egon Schiele e Oscar Kokoschka. La sua attività si interruppe nel 1918, quando a cinquantasei anni morì a seguito di un ictus cerebrale. La mostra di Klimt a Venezia
Al Museo Correr di Venezia la mostra Klimt nel segno di Hoffmann e della Secessione, in collaborazione con il Museo Belvedere di Vienna e con la Fondazione Musei Civici di Venezia, e curata dallo studioso di Gustav Klimt Alfreid Weidinger. La mostra celebra i 150 anni della nascita di Gustav Klimt, avvenuta a Vienna il 14 luglio del 1862, e resterà aperta fino al prossimo otto luglio. Saranno esposti dipinti, disegni, oggetti preziosi e mobili realizzati da Klimt e da altri esponenti della Secessione viennese, il gruppo di pittori, architetti, scultori che nel 1897 si staccò dall’Accademia di Belle Arti viennese per fondare un movimento artistico rivoluzionario e innovativo dedicato a nuove idee sulla ricerca del bello: George Minne, Jan Toorop, Fernand Khnopff, Kolo Moser, il fratello Ernst e l’amico e architetto Josef Hoffmann. Tra le più famose opere di Klimt che verranno esposte ci sono Giuditta I del 1901, Salomè e Giuditta II, del 1909. Info: 0412405211
10 Giugno 2012 |