Scienze di Madre Terra |
Viaggio in un mondo sconosciuto |
16 Ottobre 2020 | ||||||||
Speleologia: in contatto con il cuore del pianeta – Terza parte
… Riprendiamo il nostro cammino alla scoperta degli affascinanti misteri del mondo sotterraneo. Nella seconda parte ci eravamo fermati descrivendo alcuni tipi di concrezioni in particolar modo quelle “di soffitto”. Ora ci fermiamo un attimo ad analizzare le concrezioni “di parete” che sostanzialmente possono essere di due tipi: le “vele” o “drappi”, e le concrezioni di “splash”. Nel primo caso, le gocce, percorrendo un tratto di parete prima di staccarsi, lasciano sulla roccia un orlo di carbonato di calcio che, nel corso del tempo, si svilupperà in una concrezione dalla forma estesa e sottile: la vela o drappo che dir si voglia. Nel secondo caso si hanno formazioni di tipo “mammellonare” che si formano in presenza di abbondante stillicidio inverso. Le gocce che rimbalzano sulle pareti, se trovano adeguate condizioni (ad esempio asperità o sporgenze della roccia), depositano il carbonato di calcio in strati concentrici di concrezione che, sviluppandosi, prendono una forma sferoidale e, collegandosi l’una all’altra, assumono una struttura ad aggregato mammellonare. Le formazioni minerali che si accrescono sul pavimento si possono riassumere in “stalagmiti” e “tazzette”. Le stalagmiti che generalmente rappresentano le concrezioni di maggiori dimensioni nelle grotte di Borgio, si generano grazie all’impatto sul terreno di una goccia che si stacca dal soffitto della cavità. Il loro accrescimento avviene a sezione circolare, in quanto la goccia al suolo si disperde in modo radiale e il deposito è massimo al centro; di conseguenza inizialmente assumono la forma di calotta sferica, e via via che gli strati si sovrappongono, i bordi tendenzialmente si allargano e diventano più ripidi, fino a diventare verticali; a questo punto inizierà l’accrescimento in altezza. I fattori condizionanti l’accrescimento stalattitico sono due: la quantità d’acqua e il suo contenuto di anidride carbonica.
La stalagmite e la corrispondente stalattite, accrescendosi, tendono ad unirsi formando una unica concrezione chiamata colonna che, ovviamente, non si svilupperà più in altezza, ma in spessore. Le tazzette o vaschette si originano dallo scorrimento dell’acqua su un terreno in lieve pendenza. In questo caso, la massima saturazione si ha a livello di superficie e quindi la deposizione avviene sui bordi delle asperità emergenti. Essi tendono a diventare sempre più vasti, unendosi e formando ampie cordonature. Queste, ingrandendosi ulteriormente, portano alla formazione di vaschette. … Le Grotte e i loro misteri ormai erano diventati parte integrante della mia vita, le grotte di Borgio Verezzi e la grotta Scogli Neri furono le prime di una lunga serie. Esse racchiudevano al loro interno una sorta di magia, le loro concrezioni e i loro percorsi in qualche modo richiamavano nella mia fantasia le avventure degli eroi di Jules Verne nel suo “Viaggio al Centro della Terra”. Ma proprio in quel periodo mi capitò tra le mani un altro libro. Questa volta non si trattava di un racconto scaturito dalla fantasia ma bensì di una narrazione di fatti realmente vissuti. Il titolo di questo libro per me indimenticabile è “trent’anni sottoterra” di Norbert Casteret. Questo libro mi catapultò in una nuova dimensione, una dimensione nella quale la poesia lasciava il posto alla fatica, dove l’acqua non formava più stalattiti colorate o cristalli di bianca Aragonite andando poi a riempire limpidi laghetti. In questa nuova realtà l’acqua scorreva impetuosa con temperature vicine allo zero. Non vi erano più percorsi con lievi pendenze o piccoli “pozzetti” da superare agilmente. Vi erano vere e proprie voragini, pozzi profondi decine e centinaia di metri nei quali a volte l’acqua si riversa formando lucenti cascate. Il mio primo approccio con questa nuova espressione di speleologia avvenne sulla Grigna Settentrionale “il Grignone”. Con l’entusiasmo che solo un ragazzo può avere mi iscrissi al Gruppo Grotte Milano – SEM – CAI e li conobbi persone straordinarie. Quasi tutte le grotte sul Grignone non avevano un nome come tante altre, le si distingueva da un numero di catasto che gli era assegnato.
La mia “prima” fu la “1528 Lo-Co” ove Lo sta per Lombardia e Co sta per Como (al tempo Lecco non era ancora capoluogo). Questa grotta si apriva pochi metri sotto la cima del Grignone a circa 2.400 mt. di altezza. Il suo ingresso era un pozzo di una decina di metri sul fondo del quale vi era una fitta coltre di neve ghiacciata. Una scala fissa a pioli di legno permetteva di raggiungere il fondo del pozzo. Questa scala era stata posizionata dai gestori del Rifugio Brioschi che sfruttavano l’ingresso della grotta come una sorta di frigorifero per conservare gli alimenti. Scendemmo quindi il pozzo e mettere il piede sulla neve ghiacciata sul fondo fu la prima di una lunga serie di emozioni che quella montagna riservava. Eravamo praticamente entrati nella grotta più alta in quota del massiccio del Grignone e sotto i nostri piedi vi era un banco di calcare spesso 1.400 mt. La grotta proseguiva sulla sinistra ed il pavimento era sempre composto da neve ghiacciata. Ci trovammo in un’ampia sala dalle pareti lisce, nessuna concrezione, solo ghiaccio e freddo…. Cercammo inutilmente una prosecuzione che se c’era, probabilmente era sotto la coltre di ghiaccio.
Un po' delusi ritornammo rapidamente in superficie fu la mia prima volta sul Grignone e nonostante la grotta non ci riservò piacevoli sorprese ero consapevole che l’avventura era appena iniziata, il versante Nord della Grigna Settentrionale con le sue doline, i campi solcati e gli innumerevoli pozzi che rappresentavano gli ingressi ad un mondo sotterraneo ancora in gran parte da scrutare garantiva sicuramente nuove esplorazioni e nuove avventure. Dopo qualche tempo, fu la volta della 1650 Lo Co, e qui le cose cambiarono radicalmente. L’ingresso di questa grotta si apriva a circa 2.000 metri di altezza in una zona conosciuta come “Alto Bregai”, e anch’esso era rappresentato da un pozzo profondo una decina di metri. Il fondo era molto scosceso e naturalmente ricoperto da neve ghiacciata. Alla base del pozzo una fessura tra neve e roccia permetteva il passaggio e sulla sinistra un brevissimo meandro portava all’imbocco di una verticale di 60 metri!! Ai tempi, per affrontare simili pozzi, si utilizzavano scalette composte da cavi in acciaio e pioli di alluminio in spezzoni lunghi 10 metri. Unimmo quindi sei “spezzoni” di scalette e calammo il tutto nella voragine. La discesa per quanto mi riguarda fu un vero inferno, la fatica fu veramente enorme e quei 60 metri sembravano non finire mai! Finalmente toccai il fondo e attesi riposandomi l’arrivo dei miei compagni. Eravamo in tre. La base del pozzo era in pratica un’ampia sala, ci spostammo verso destra e ci accorgemmo che le pareti in quel punto erano ricoperte da uno strato di ghiaccio trasparente spesso almeno una decina di centimetri e così fu anche per il pavimento. Camminando sul ghiaccio ci avvicinammo al limite opposto della sala ed in quel punto un pozzo a forma di imbuto ghiacciato ci diceva che la grotta continuava. Ci calammo in quel nuovo pozzo profondo una decina di metri e ci trovammo in un ambiente curioso e allo stesso tempo magico. Qui pavimento pareti e soffitto erano rivestiti di ghiaccio, qua e là qualche stalattite sempre di ghiaccio trasparente brillava alla luce delle nostre lampade ad acetilene. Un ampio pozzo sulla destra e una strettoia sulla sinistra indicavano che la grotta continuava in due direzioni diverse. Questo fu il nostro limite esplorativo di quella giornata, un po' la fatica, ma soprattutto la mancanza di altro materiale ci costrinse a tornare in superficie. Fu per me una risalita durissima, la mia prima risalita di un pozzo da 60 metri me la ricorderò per sempre…. Quando il giorno dopo mi recai al lavoro ogni muscolo del mio corpo era dolorante, ma l’avventura continua…
Viaggio in un mondo sconosciuto - prima parte |