Tradizioni Celtiche |
Il viaggio nel tempo dell’antico druidismo |
13 Marzo 2014 | ||||||||||||
La conoscenza del Tempo e l’apporto culturale dell’antico druidismo. La “Freccia del tempo” e l’energia creativa della Korà nel processo di evoluzione dell’universo. I miti del viaggio nel Tempo dell’antico druidismo
Il fenomeno del tempo nella cultura del druidismo La scienza moderna teorizza ed esplora la dimensione del Tempo proponendo scenari che estendono il vissuto quotidiano ad una dimensione inusitata e apparentemente irrazionale ma che è tuttavia fondata su basi fisiche reali che sfuggono alla percezione ordinaria. Un mondo che potrebbe entrare a buon merito nella casistica dei fenomeni non convenzionali. Possiamo renderci conto dell’irrazionalità del Tempo, della sua "magia" e dei suoi fenomeni paradossali, rivolgendoci alla cultura dell'antico sciamanesimo druidico dei Nativi europei che dava paritetica attenzione sia ai fenomeni della dimensione dello spazio materiale che a quelli astratti del tempo. Del celtismo sappiamo ufficialmente ben poco. Conosciamo le sue caratteristiche storiche che ci sono state tramandate dall’epoca romana e dai reperti archeologici che sono rimasti. Per la storia accademica del mondo maggioritario il continente europeo sarebbe stato abitato nell’antichità solamente da barbari rivestiti di pelli che sono stati successivamente civilizzati dall’Impero romano e poi convertiti alla verità morale del cristianesimo. Ma nulla di più falso. Il celtismo non è un ente del passato che si possa chiudere in una teca di un museo, né solamente un tema di studio del campo dell’archeologia, né tantomeno risiede solamente in una sequela di miti e di monumenti megalitici. Il celtismo rappresenta le vere radici del continente europeo e fu l’interprete di una grande civiltà. La storia raccontata dai romani conquistatori e autori del grande genocidio storico di cui si sono macchiati nei confronti degli antichi popoli del nord e la successiva rivisitazione del cristianesimo hanno portato a misconoscere l’effettiva identità culturale e tecnologica dei Nativi europei. Nel lontano passato, secondo la stima dei paleontologi, vi furono popoli che migrarono 300-400 mila anni orsono dall’Africa per giungere alle terre europee. È impensabile che in un simile lasso di tempo queste popolazioni non si siano mai evolute in alcun tipo di struttura sociale, di scienza e di tecnologia. Da quello che si evince dalle tradizioni pervenute attraverso le Famiglie celtiche europee, l’antico celtismo è stato in grado di sviluppare una civiltà che nulla ha da invidiare a quella dell’antico Egitto o delle civiltà andine. Quando queste facevano i loro primi passi, le navi della cultura dei Nativi europei battevano i mari del pianeta scambiando merci, esportando cultura e cognizioni scientifiche ed edificando monumenti megalitici. Lo testimoniano ancora oggi i vari reperti artistici di fine fattura e inimitabili, oppure le cosidette “barchette celtiche”, oggetti che con la loro rotazione anomala dominano le leggi della meccanica, oppure ancora strumenti come l’astrolabio di Nebra. E i numerosi monumenti megalitici testimoniano ancora oggi le loro conoscenze in campo astronomico.
Non abbiamo quasi più nulla di quanto hanno realizzato gli antichi druidi che erano l’anima culturale e spirituale del celtismo in quanto sia l’Impero romano che il cristianesimo hanno provveduto a distruggere o a celare ogni cosa che riguardasse le radici della cultura europea. L’astrolabio del “disco di Nebra” rimase occultato per molto tempo dagli archeologi che lo avevano scoperto, sino a quando dei tombaroli non lo rubarono e non lo misero in vendita sul mercato dell’antiquariato. La cultura degli antichi Nativi europei ha prodotto medici, architetti, commercianti, filosofi, astronomi ed esploratori che hanno creato le fondamenta culturali dell’attuale Europa. Pertanto non sorprende più di tanto che le loro cognizioni cosmologiche coincidano spesso con le teorie e la ricerca della scienza moderna. Così troviamo coincidenti teorie vecchie di millenni con le moderne visioni della fisica quantistica, tanto da sovrapporsi poeticamente nel significato di una stessa ricerca di conoscenza che l’umanità, sotto qualsiasi cielo e tempo, porta avanti per trovare risposte alla sua curiosità su che cosa sia l’esistenza e che posto abbia l’uomo in essa. Per tale motivo, alla ricerca di una conoscenza filosofica sulle proprietà fisiche del Tempo, e sui possibili viaggi temporali, si è voluto prendere spunto dall’antica conoscenza del druidismo per iniziare un lavoro di ricerca e di valutazione che può supportarsi sulle scoperte delle moderne conoscenze scientifiche. Il Tempo secondo il druidismo Il druidismo non identificava l'universo come una dimensione assoluta di esistenza, ma concepiva un piano reale dell'esistenza come un evento che trascendeva l'universo e in cui questo stesso era comparso con il Big bang e continuava ad esistere al suo interno, sotteso alle sue leggi superiori. Il druidismo concepiva il vero stato di esistenza come un atto globale che identificava nell’attributo di Shan, “il bagliore luminoso dell’intuizione”, quale aspetto immateriale e invisibile del tutto, interconnesso con tutti i suoi elementi costitutivi, che rappresentava il vero senso della realtà in cui si trovava a vivere l’individuo e ogni altro genere di vita e di cose. Un atto di realtà che si manifestava attraverso la Natura, definita anche come Madre Terra. Tuttavia, nonostante identificasse l’esistenza con un fenomeno di natura globale, il druidismo, basandosi sull’esperienza percettiva e intellettuale dell’individuo, distingueva la natura dello Shan in quattro diversi mondi che costituivano quattro piani di competenza esperienziale. Il primo, l'Annwin, riguardava l'aspetto elementare e potenziale dell'esistenza da cui era uscito l'universo, quest’ultimo identificato nel Mondo di Abred, la cui comparsa è attribuita dalla scienza moderna al Big bang e secondo il mito druidico all’urlo di un Drago primordiale sorto da uno squarcio nel nulla che attraverso il suo propagarsi sonoro nell’infinito avrebbe creato tutte le cose esistenti, dalla materia alla vita. Vi era poi il Mondo spirituale di Gwenved che rappresentava l'ultima tappa del cammino evolutivo dell'individuo. Al centro di tutto il sistema cosmologico c'era il Mondo vuoto di Keugant, la Causa Prima immanente a tutte le cose, che si manifestava nella sua vera natura in cui si rifletteva la stessa realtà dello Shan. La cosmologia druidica prevedeva per il mondo di Abred, ovvero il nostro universo, due apparenti manifestazioni fenomeniche. Una era la dimensione del Tempo e l'altra della materia con cui si identifica lo Spazio in cui si relaziona ordinariamente l'individuo. Anticipando di millenni le teorie della fisica quantistica moderna, il druidismo asseriva, riferendosi ai principi di “vuoto” e di “pieno”, che il Tempo era la parte “fluida” dell’universo che si legava alla sua qualità statica, ovvero alla materia che definisce lo Spazio. Due elementi fenomenici che si intrecciano tra di loro per formare uno “hnot”, il nodo celtico, infinito e circolare. Precorrendo in pratica l’enunciato della relatività ristretta di Einstein che definiva l’universo nel modello di cronotopo dove si evince una equiparazione tra Spazio e Tempo come visioni apparentemente diverse di un unico fenomeno cosmologico. Per l'antico druidismo il Tempo era concepito come un grande mare navigabile in ogni direzione e sede di dimensioni abitate da altre forme di vita.
La fluidità propria della dimensione del Tempo dava la possibilità agli enti della materia dello Spazio di poter evolvere in strutture sempre più complesse e funzionali. Senza la fluidità della dimensione del Tempo un seme non avrebbe potuto divenire una pianta. Un fiore non avrebbe potuto sbocciare e un individuo non avrebbe potuto nascere e neppure sviluppare situazioni di altro genere come diventare adulto, seminare i campi, costruire macchine, conquistare territori, invecchiare e morire. E neppure raggiungere uno stato di coscienza e di potere spirituale. Se l'universo non fosse accompagnato dalla dimensione del Tempo, al suo interno ci sarebbe stato solamente un grande e immenso mondo immobile fatto di materia accatastata e inutile. Un grande giardino di pietra fatto di opere tombali che mai avrebbe potuto ospitare la vita. La freccia del tempo e il concetto di Korà La fisica ordinaria contempla l’esistenza della cosiddetta “Freccia del Tempo”, come ebbe a definirla Eddington nel 1900. Un principio sostenuto dalla seconda legge della termodinamica, o legge di entropia, che comporta una sequenza inarrestabile dello scandire del Tempo che si inoltra nel Futuro, secondo lo scandire dell’orologio, e che non consente di procedere a ritroso verso il Passato. Ovvero, una tazza, una volta caduta in terra e finita in tanti cocci, non sarà mai in grado di ritornare all’indietro e ricomporsi. Questo però, come si sarebbe scoperto in tempi più recenti, riguarda solamente il piano macroscopico della scala umana, e non coinvolge il mondo subatomico, libero di comportarsi come meglio crede a seconda dei casi. Il druidismo, per parte sua, non concepiva la Freccia del Tempo come un valore assoluto che rappresentasse la vera natura del Tempo attraverso lo scandire delle ore, del fluire dei giorni o del susseguirsi di situazioni personali e di casi storici. La cosiddetta Freccia del Tempo, nel suo progressivo incedere di eventi, era considerata dal druidismo come una illusione del cervello umano, che percepisce il processo evolutivo che agisce nella dimensione effettiva del mare del Tempo, senza poterlo spiegare altrimenti. Un processo evolutivo presente nell’intero universo, comprendente l’individuo nella sua fisiologia e l’ambiente nei suoi eventi e fenomeni fisici, che veniva identificato nella manifestazione edificatrice della “Korà”, traducibile anche con il termine di “Forming”, inteso come un ente fenomenico pluridimensionale in cui si identificava il processo di evoluzione dell’intero universo nato dopo il Big Bang, che in questo caso lo si potrebbe chiamare “tempo apparente”. Un ente immateriale che fluisce come un immenso fiume lungo una precisa direttrice, soggetta a più velocità di percorso e ricca di riviere periferiche costituite da ramificazioni di frattali che si chiudono su se stessi. Un fenomeno che ha creato all’inizio le particelle elementari della materia e poi ha realizzato la materia più complessa, visibile e invisibile, sino a dare manifestazione alla vita. Un processo evolutivo nato con l’universo e basato sulle leggi della probabilità, necessarie per mettere assieme i pezzi del puzzle cosmico creato dal Big Bang che probabilmente già conteneva il “foglietto di istruzioni” del tutto. Facendo risultare insieme al processo di crescita di un fiore anche quello di un individuo, sino alla manifestazione dello stato di consapevolezza interiore in tutte le forme di vita che giungevano a strutturarsi come tali.
Un processo che rappresenta un preciso Forming fisiologico lineare dell'individuo attraverso il quale egli si forma strutturalmente e che non può funzionalmente retrocedere nel suo sviluppo. Una volta che un fiore si è sviluppato e sbocciato, non è più possibile, e non avrebbe senso, che esso ritorni al suo stato di radice o di semenza. Che senso avrebbe se lo scopo della struttura in crescita è quello di creare il fiore? Nella percezione del “tempo apparente” che scorre con il riferimento a un orologio, in realtà si ha solamente la percezione psichicamente distorta del procedere lineare del Forming personale. In effetti sarebbe più facile pensare che siamo proiettati integri nel Futuro, piuttosto che pensare che il nostro corpo e la nostra forma-mentis stiano evolvendo pezzo su pezzo. Ma possiamo constatare che le cellule del nostro corpo di 10 e più anni fa non sono quelle di adesso. C’è stato un molteplice ricambio che ci ha rinnovati e poi ci ha invecchiati. Al termine del nostro Forming personale c’è la nostra morte, decretata all’interno del Forming personale, poiché nel DNA c’è un timer che la decreta. Ma allora perchè quello che abbiamo intorno non muta mai e lo vediamo sempre eguale come se esistesse già il futuro? Perché anche se la nostra vita può essere breve, le cose del Forming intorno a noi hanno un’altra scadenza. Esiste un Forming globale dell’universo iniziato almeno 13 miliardi anni fa nel quale noi procediamo come su un sentiero già tracciato. Vediamo il cielo stellato e siamo sempre sul pianeta Terra pur andando apparentemente nel Futuro, perché il loro Forming non è ancora terminato. Ovvero, il compimento strutturale non è ancora completato. E l’ “andare nel futuro” non significa altro che “sentire psicologicamente” il proprio Forming avanzare secondo il suo disegno, pezzo dopo pezzo. Vediamo le pareti della nostra abitazione che sono sempre lì nel futuro che avanza e in cui ci inoltriamo, solamente perché l’abitazione è stata costruita prima che ci entrassimo. Ma il suo Forming terminerà tra 300-400 anni quando andrà in pezzi. Il Forming evolutivo della Korà era inteso come ben più vasto e oltre la dimensione individuale. Il Forming comprendeva anche il pianeta che stava evolvendo e la storia che portava all'evoluzione dell'umanità. All’identico modo veniva riferito all'universo intero che accoglieva nel suo Forming la Terra stessa. Un inderogabile Forming che si sviluppa linearmente e progressivamente attraverso l’effettivo mare del Tempo, e che porta ogni individuo alla sua morte, in uscita dal Mondo di Abred, il mondo della materia. Un processo di evoluzione che i druidi identificavano nel simbolo dell' “Yggdrasil”, l’Albero cosmico della vita dalle Tre braccia che attraversa i mondi. Un simbolismo presente anche in altre culture, come il “Djied” dell’Antico Egitto o l’ “Albero Sephirotico” dell’esoterismo ebraico. Il simbolismo dell’Yggdrasil mostrava compiutamente l’azione della Korà nella percezione umana. Infatti la sua percezione è di sviluppo unidirezionale, ovvia nella realizzazione di una struttura completa e funzionale. Ad esempio, una casa parte dalle fondamenta: tetto, pareti, impianti logistici e infine ammobiliamento. Questa era considerata una illusione del cervello umano e veniva riferita alla manifestazione progressiva e continua della “Korà”.
Un meditante che interpreti il simbolismo dell’Yggdrasil con la sua esperienza interiore giunge ad attivare la sua Korà per evolvere su piani di realtà, e non ha senso, né è possibile, distruggere tale piano di realtà raggiunto, come il fiore di poco sopra, per ritornare a piani elementali inferiori. Tuttavia nella mitologia celtica era concepito che i druidi, nei loro viaggi sciamanici, potessero apprendere a muoversi lungo l'Albero della Vita in entrambi i sensi, dalle profonde radici immerse nell'oscurità del suolo sino alle alte fronde che lambivano il sole. In pratica erano in grado di viaggiare attraverso il Tempo. I miti del Tempo nella cultura dell’antico druidismo Nella tradizione del celtismo abbiamo molti esempi della dimestichezza che i druidi avevano con la dimensione del Tempo attraverso la narrazione di miti che alle volte riecheggiano in teorie e scoperte della moderna fisica quantistica. Possiamo ricordare il mito di Odino, re degli Asi, ma anche considerato come lo sciamano per eccellenza dai poteri superiori, che aveva come compagni di sempre due corvi, Hugin o “pensiero” e Munin o “memoria”, che possedevano la facoltà di superare la barriera del Tempo per viaggiare attraverso le epoche e osservare e riferire sugli eventi del passato e del futuro. Il concetto del viaggio temporale era quindi ben chiaro agli antichi Nativi europei e rifletteva la credenza che gli sciamani fossero in grado di salire e scendere lungo il tronco dell’Yggdrasil per visitare mondi impossibili ai comuni mortali. Odino, tra l’altro, è l’ideatore delle rune, l’alfabeto sacro dei Celti, che realizzò secondo le indicazioni del dio celeste Loki-Fetonte ed è anche creatore della prima coppia umana, Askr e Ebla, che avrebbe dato vita a tutta l’umanità. Nella cultura dell’antico celtismo troviamo anche la leggenda di Ossian o Oisin, “l’eroe che viaggiò attraverso il tempo”. Una leggenda che, curiosamente, cita ante litteram il postulato einsteniano degli effetti della massa sul tempo apparente con l’esempio dei due gemelli che si ritrovano ad avere differenti età biologiche dopo che uno dei due era partito su una astronave che viaggiava a velocità subluminale. Oisin era figlio di Finn, l'ultimo capo dei Fianna, i mitici guerrieri irlandesi. Innamoratosi di Niamh, una principessa fatata, fu da questa rapito e portato su una nave di cristallo attraverso il cielo a Tir Nan Og, il paese dell'eterna giovinezza. Facile accostare questa descrizione alle navi di cristallo che nell’epoca di Carlo Magno, secondo le cronache del tempo, prendevano a bordo i contadini per portarli a visitare il regno di Magonia posto al di là delle nuvole. Secoli dopo Osin tornò dal suo popolo cavalcando un bianco destriero, ma le cose erano cambiate, durante il tempo da lui passato a Tir Nan Og: i cristiani avevano scacciato gli antichi Dei. Lui stesso fece l'errore di mettere piede a terra per spostare una pietra: divenne di colpo vecchissimo, il suo cavallo fuggì ed egli non poté più tornare indietro al Paese dell’Eterna Giovinezza. San Patrizio, impietosito dal povero vecchio nostalgico del suo mondo perduto, divenne suo amico e si fece raccontare tutte le storie riguardanti i Fianna. Cercò anche di convertirlo, ma Oisin non volle e visse ancora molti anni, conservando la memoria perduta delle tradizioni del suo popolo nei suoi canti e nei suoi poemi. Più o meno simile alla leggenda di Ossian nel bagaglio mitologico dei Celti c’è anche quella del re Herla che, anche lui, “viaggiò attraverso il tempo”. La leggenda narra che Herla, arcaico re dei più antichi Bretoni della terra di Bretagna, fu avvicinato dal re degli Inferi. Questi era vestito di scuro, aveva la testa grandissima e sembrava un pigmeo per via della sua bassa statura, che non superava quella di una scimmia. Inutile dire che i cultori di esobiologia vi potrebbero intravedere un esempio dei tipici “grigi”, gli alieni mediatici del nostro tempo. La strana creatura stava in groppa ad un enorme caprone ed aveva - come il dio Pan - il volo fiammante e la barba rossa e tanto lunga da toccare il petto che si intravedeva coperto da peli irti e duri come aghi, e i piedi caprini.
Il misterioso personaggio giunge ad invitare il re bretone a partecipare ai festeggiamenti per le sue nozze. Dopo un anno re Herla si mette in cammino, accompagnato da una nutrita scorta di cavalieri, guidato dal pigmeo. Giungono ad una altissima rupe ed entrano in una lunga cavità (un wormhole ante litteram?) in cui dopo essere passati da una fitta oscurità giungono ad una luce prodotta da una miriade di lumi (le stelle viste dall’interno del wormhole?) Alla fine arrivarono agli appartamenti del pigmeo, un palazzo meraviglioso definito in tutto simile alla reggia del Sole. Quindi celebrate le nozze il re Herla prende congedo e riparte carico di doni: cavalli, cani, falchi e tutti i migliori attrezzi per la caccia e la falconeria. Il re pigmeo li accompagna fino al punto in cui vi erano le tenebre facendo dono al re bretone di un piccolo cane di razza da portare in braccio, raccomandandogli più volte che lui, e nessun membro della scorta, smontasse mai a terra finchè quel cane non fosse balzato via spontaneamente dalle braccia di chi lo reggeva. Dopo poco, Herla esce dal cunicolo e ritorna alla luce del sole ed al proprio regno. Incontra un vecchio pastore, gli chiede notizie della regina sua moglie, ma il contadino guardandolo con stupore risponde che capiva a stento la sua lingua perché lui era Sassone e parlava male il bretone. Aggiunge che la regina appartiene alla leggenda popolare e che era ormai da duecento anni che i Sassoni avevano conquistato le terre in cui si trovano. Alcuni cavalieri della sua scorta, sconvolti da quello che avevano sentito, trascurando le raccomandazioni del re pigmeo, scesero da cavallo e subito si tramutarono in polvere. Il re Herla vedendo quel che succedeva e che il cane non si gettava a terra, lanciò il suo cavallo al galoppo in una folle corsa seguito dalla sua scorta, in un vagare senza fine, senza riposo né mai fermarsi per tutto il Galles. Per finire questa carrellata di miti celtici che fanno riferimento ai viaggi nel tempo possiamo citare ancora la leggenda del druido Eldrado che viaggiò nel futuro. Una antica leggenda legata alla tradizione druidica della Valle di Susa, in Piemonte, riporta l’esperienza di un viaggio nel tempo del monaco benedettino Eldrado. San Eldrado è una figura della tradizione valligiana che ricorda per molti versi quella di Merlino della saga Arturiana della Tavola Rotonda e dei cavalieri alla ricerca del Graal. Come tanti druidi del tempo, ricordando ad esempio il caso bretone di San Cornely, rivestiva il saio di Abate di una grande abbazia del posto. Spesso si recava nella natura per praticare la meditazione in un bosco vicino al suo monastero. Per meditare usava ascoltare la melodia del cinguettio degli uccellini. Un giorno, mentre medita, sembra assopirsi per un attimo. Quando riapre gli occhi decide di ritornare al suo monastero. Ma qui ha una sorpresa. Gli arredi sono diversi e non solo, anche i monaci non sono più quelli che aveva lasciato poco prima e adesso sono tutti degli sconosciuti. Eldrado ha modo di visitare l’intera abbazia e scopre di essere in un’epoca del futuro a distanza di cent’anni dal suo tempo. Non sapendo che cosa fare, ritorna al bosco dove si mette nuovamente in meditazione. Ha di nuovo un colpo di sonno e questa volta scopre di essere nuovamente nel suo tempo e può far ritorno alla sua abbazia e ai suoi compagni di sempre. Il racconto sembra ricordare l’effetto dell’esperienza di Visione che viene prodotta dalla Nah-sinnar, l’antica musica dello sciamanesimo druidico dalle tante proprietà terapeutiche e di veggenza, compresa quella di far viaggiare attraverso il tempo. Ma ricorda anche l’antica credenza secondo la quale, attraverso le tecniche di meditazione, intesa come il viaggio sciamanico lungo il tronco dell’Yggdrasil, sarebbe possibile viaggiare anche attraverso il tempo. 1 - continua |