Tradizioni Celtiche |
I misteri dei castelli dei Falletti |
08 Maggio 2014 | ||||||||||||
Nelle terre del Barolo, tra simboli celtici e storie di Càtari
Quando si parla di Langhe pochi si chiedono dove si trovino. La loro fama è internazionale e vi giungono visitatori da tutto il mondo per gustare i vini superlativi e la gastronomia che questa terra sa offrire. Non si può dimenticare il paesaggio che alterna i filari ordinati e curatissimi dei preziosi vigneti, dove si possono incontrare i nomi più famosi della viticoltura italiana, a borghi antichi arroccati sulla cima delle colline. E poi, appunto, le colline: ovunque, un mare anomalo con le sue onde sotto il vento. Lo sguardo si perde guardando questi orizzonti, così come si perde di fronte agli oceani o alle immense montagne… ma le colline fanno sognare dolcemente e aprono lo sguardo al mistero. Le Langhe hanno anche una grande storia. Sono molto conosciuti gli anni della Resistenza, Pavese, Fenoglio. Meno forse le vicende dei Liguri, gli antichi Celti delle nostre terre. Questa volta però vorrei parlarvi di alcuni castelli che racchiudono intriganti sorprese che aprono ancora una volta affascinanti interrogativi sul nostro passato. Mi riferisco a quattro castelli nel circondario di Alba (CN) che appartennero tutti, almeno per un certo tempo, alla famiglia Falletti. I Falletti sono un’antica casata piemontese di probabile origine francese (de Faillets). Famiglia attivissima in campo finanziario già nel 1110, i Falletti sono presenti a Genova dal 1184: nel corso del XIII secolo, l’attività di prestito diventerà l’occupazione principale della famiglia, soprattutto in Piemonte. Secondo alcuni studiosi i Falletti potrebbero invece derivare dagli antichi Signori di Rivalta (intorno all’anno mille) e avere costituito, con altre famiglie originate dai medesimi, il primo Comune Signorile di Pinerolo: da qui si sarebbero poi estesi ad altre località, specialmente Asti e Alba. Nel 1307 furono investiti del feudo di Barolo da Carlo D’Angiò e nel 1372 ebbero in pegno dal Marchese di Saluzzo, Federico II, Racconigi e Migliabruna.
Ma chi furono davvero i Falletti? Che cosa ospitavano nelle loro sale? Di quale tradizione e conoscenza si fecero portatori? Domande che nascono spontanee nel visitare i loro castelli. I luoghi di cui vi parlo sono il castello di Serralunga d’Alba, il castello di Grinzane Cavour, quello di Roddi e quello di Barolo. Di questi, i primi tre hanno una struttura che ripete alcune caratteristiche: hanno tutti tre torri, una cilindrica, una quadrata e possente, una terza aggettante e sottile. Del castello di Barolo non si sa con certezza, in quanto è stato profondamente rimaneggiato nel corso del 1800. Il castello di Serralunga è molto particolare: è un donjon francese, corrispondente al “mastio” dell’architettura italiana. Dalla struttura estremamente slanciata, presenta alcune parti: il Palacium, blocco compatto e allungato costituito da vaste sale sovrapposte (ciascuna di 80 metri quadri), una torre cilindrica sul lato nord-ovest, una torretta pensile sul lato opposto che presenta i caratteri più innovativi dell'architettura fortificata del Trecento e un’alta torre quadrata all’angolo sud-est. La sua costruzione si può collocare tra il 1340 ed il 1357. Domina dall’alto un panorama vastissimo.
Ma è all’interno che si nasconde una vera singolarità: nei grandi saloni sovrapposti conserva due magnifici camini il cui fronte marmoreo è decorato con belle rose a cinque petali. La rosa a cinque petali è un simbolo antico originario dello Sciamanesimo druidico, rappresenta la Conoscenza, la massima espressione dell’Ascesi, la via iniziatica. Una decorazione casuale? O un omaggio a un’antica Tradizione? Non si deve dimenticare che Serralunga è vicinissima a Monforte d’Alba, dove, a partire dall’anno mille, si sviluppò una comunità di Càtari ante litteram, comunità intimamente legata ai Templari, che riuniva nobili e plebei e che venne sterminata dall’Arcivescovo di Milano, Ariberto d’Intimiano, tra il 1026 e il 1028, precedendo di quasi due secoli la Crociata contro gli Albigesi. Sulle pareti dei saloni sono rimasti disegni e graffiti intriganti: alcuni intrecci celtici, rose celtiche e il simbolo templare del “fiore della vita”, anch’essi simboli collegati al significato dell’albero della vita. Il cortile d’ingresso al castello riserva un’altra sorpresa: una sorta di “medicine wheel” o croce celtica composta con le pietre del selciato. Antiche storie che si perpetuavano? Il castello di Grinzane: è stato costruito probabilmente nel XIII secolo ma c’è chi sostiene che la costruzione della torre risalga al 1350 e il resto ad epoca successiva. È un imponente edificio a pianta rettangolare con un poderoso mastio, che occupa tutta un'ala, e un corpo a U ornato da una serie di torrette: due quadrate e due, esterne e pensili, a pianta rotonda. Fu residenza di Camillo Benso Conte di Cavour che vi giunse ospite degli zii. Di Grinzane lo stesso Cavour fu anche sindaco per diciassette anni. Il castello ospita un “Museo delle Langhe”, museo di etnografia e di cimeli cavouriani. Vi trovano sede anche l’Enoteca Regionale Piemontese Cavour e un rinomato ristorante.
La “Sala delle Maschere”, oggi adibita a sala convegni, conserva un soffitto a cassettoni allestito nel 1547 per il matrimonio di Pietrino Falletti: riporta figure simboliche di vario tipo, tra cui coppe del Graal e uomini in atteggiamento di grande amicizia con animali. Si ritrovano anche qui le rose a cinque petali, in questo caso dipinte sulla fascia alta della camera da letto di Cavour. Al piano superiore del castello si trova il “Salone dei Pesi e delle Misure”, un grande salone luminoso col soffitto affrescato oggi sede espositiva. E proprio sul soffitto di questo salone troviamo un affresco a dir poco particolare, raffigurante la discesa di Fetonte. Nelle guide si parla, come di consueto, della “caduta” di Fetonte, ma a ben guardare l’affresco, non si nota alcuna figura che cade: si intravvede una figura appena accennata che scende dal cielo. Fra le tante scene mitologiche, perché rappresentare proprio Fetonte? C’è un filo che collega in Piemonte le raffigurazioni del mito di Fetonte: nelle leggende più antiche si parla della discesa dal cielo di un dio che in tempi remoti venne ad insegnare agli uomini del tempo la sua conoscenza. Le leggende narrano della sua discesa nella Valle di Susa, discesa da cui ebbe origine la grande città di Rama: raffigurazioni di questa mitica discesa si trovano in molti luoghi piemontesi, segno evidente che si tratta di una tradizione conservata con molta cura ovunque nelle nostre terre.
Il castello di Roddi, a pochi chilometri da Alba, risale alla fine del Trecento/inizio Quattrocento e fu probabilmente costruito proprio dai Falletti. È caratterizzato da un corpo centrale di tre piani e da due torri cilindriche; le due torri sono differenti tra loro: la prima risulta essere snella e alta mentre quella del lato opposto risulta più bassa. Fu anche di proprietà di Gaio Francesco della Mirandola, discendente e nipote del noto umanista e filosofo Pico della Mirandola. Dei quattro castelli è il peggio conservato e sicuramente necessiterebbe di seri interventi di restauro. Tuttavia conserva all’interno numerose decorazioni e soffitti lignei a cassettoni con curiosi dipinti che riproducono anche qui simboli come la coppa (il sacro Graal?) oppure esseri umani che interagiscono amichevolmente con animali e con draghi. Ricordiamo che il drago, nella mitologia celtica, è un essere saggio e nobile, portatore di vita e di conoscenza, ben diverso dal drago simbolo del male, tipico della tradizione cristiana. Infine Barolo: il primo nucleo del Castello di Barolo risale al decimo secolo e fu successivamente ampliato; appartenne sempre alla famiglia Falletti ma fu profondamente trasformato nel tempo fino ad assumere l’aspetto attuale. Ospita oggi “WiMu” (Wine Museum), esposizione etnografico-enologica strutturata su un impianto museale di eccellenza, e l’Enoteca Regionale del Barolo. Anche qui troviamo un pezzo di storia intrigante: la vita di Giulia di Barolo.
Juliette Victorine Colbert de Maulévrier, pronipote del famoso consigliere del Re Sole, andò sposa nel 1806 del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo e fu una donna veramente particolare. Viene universalmente riconosciuta come una fervente cristiana, dedita alle opere pie, al punto che si sta procedendo per una sua beatificazione. Ma non bisogna dimenticare che nella sua casa passarono gli intellettuali del tempo, a partire da Silvio Pellico, e le sue opere pie furono in realtà molto laiche, improntate a un ideale di riscatto sociale e di aiuto concreto per i diseredati. Insieme al marito, oltre che aiutare i poveri con cibo offerto gratuitamente, Giulia di Barolo si adoperò per modificare le condizioni delle donne nelle carceri arrivando al punto di redigere un regolamento discusso e approvato dalle carcerate stesse. Fondò scuole professionali, ospedali per disabili, asili. E in tutto questo trovò il tempo per dare origine, insieme a Cavour e al famoso enologo francese Louis Oudart, a un vino tra i più rinomati del mondo: il Barolo! Figura singolare quella di Juliette Colbert: una “santa” dice la Chiesa, ma forse una santa un po’ anomala, che prosegue nel tempo un filo sottile. Da Fetonte ai Celti, dai draghi medievali fino alle innovazioni dell’Ottocento: una trama che collega la vicenda umana dei Falletti e dei loro castelli a una storia di queste terre ben più antica e diversa da quella che ci raccontano. |