A cura di Donatella Devona
DICEMBRE 2018 In viaggio
Il viaggio è tante cose, è partire per un luogo diverso, è andare lontano, è uscire dai confini di ciò che è noto, è superare montagne e fiumi o preconcetti e idee sedimentate, è andare per mare o affrontare lo spazio profondo, è avventurarsi in luoghi sconosciuti o esplorare i propri sogni… E poi li viaggio è la vita, il percorso in questo mondo tra nascita e morte, ed è ricerca per capire dove si svolge in realtà questo nostro cammino e chi siamo noi davvero e che cosa valga la pena fare e da dove veniamo e dove stiamo andando… Il viaggio è un tema che offre tanti spunti di riflessione e apre a curiosità sempre nuove. Ci sarà un modo speciale di affrontare questa esperienza per ogni Segno dello Zodiaco? Ce lo siamo chiesto e abbiamo raccolto frasi di personaggi famosi e risposte di amici alla nostra domanda “Che cos’è il viaggio per te?”. Ecco il risultato della nostra indagine.
SAGITTARIO: Non ci sono limiti ma qualcosa che attira Per mettersi in viaggio c’è bisogno della nostalgia di qualcosa. Susanna Tamaro (12 dicembre 1957) è la scrittrice italiana che ha avuto successo internazionale con il suo libro d’esordio, dal titolo Va' dove ti porta il cuore. Il viaggio è una cosa in itinere e sempre pieno di sorprese… MM
CAPRICORNO: Tutto è racchiuso nell’intenzione Tutto considerato, ci sono due specie di uomini nel mondo: quelli che restano a casa loro e gli altri. Rudyard Kipling (30 dicembre 1865) è lo scrittore e poeta britannico, autore del famoso Il libro della giungla. Il viaggio è esplorare il teatro cangiante e suggestivo dell'illusione che stiamo vivendo. GB ACQUARIO: Il viaggio relativizza ciò che è conosciuto Partire è la più bella e coraggiosa di tutte le azioni. Una gioia egoistica forse, ma una gioia per chi sa dare valore alla libertà. Essere soli, senza bisogni, sconosciuti, stranieri e tuttavia sentirsi a casa ovunque, e partire alla conquista del mondo. Isabelle Eberhardt (17 febbraio 1877), scrittrice svizzera di origini russe, esplorò il Nord Africa come viaggiatrice solitaria. Il viaggio è partire verso mete sconosciute. Il viaggio ha sempre un pizzico di mistero. Il bello del viaggio è il viaggio in sé. FB PESCI: Il viaggio è ispirazione Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita. Jack Kerouac (12 marzo 1922) è l’autore di Sulla strada, il libro considerato il manifesto della Beat Generation. Ti rispondo con una frase che ho letto e in cui mi sono subito riconosciuto: Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone. BP ARIETE: Il viaggio è slancio verso qualcosa di nuovo Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole. Charles Baudelaire (9 aprile 1821) è l’autore di Les fleurs du mal. Poeta simbolista e decadente influenzò in modo determinante i poeti maledetti, come Verlain e Rimbaud. La prima cosa a cui penso è cambiamento, una visione o una percezione nuova. Il viaggio può essere fisico, geografico, emozionale, culturale, esperienziale ... un viaggio mi fa entrare in qualcosa. EP
TORO: Nel viaggio si esprime la forza che c’è in te… e anche nei luoghi che incontri La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi. Bruce Chatwin (13 maggio 1940) è lo scrittore e viaggiatore britannico, autore di racconti di viaggio tra cui il bellissimo “Le vie dei canti” in cui racconta l’Australia vista dagli occhi degli aborigeni, percorsa dalle innumerevoli piste del Sogno tracciate dagli Antenati. Il viaggio per me è la possibilità di vedere mondi nuovi. Di scoprire luoghi affascinanti in cui uomini del passato hanno costruito monumenti che hanno superato le avversità del tempo e che ancora possono manifestare la loro essenza meravigliosa. Guarda caso, questi luoghi sono quasi sempre in posti dove la natura è lei stessa, da sola, bellissima. LL GEMELLI: Il viaggio è una dimensione poliedrica I viaggi sono legati al superamento delle frontiere, ma che per frontiere si devono intendere anche le frontiere della mente. Salman Rushdie (19 giugno 1947), è lo scrittore del realismo magico, autore tra l’altro di I versi satanici che gli fruttarono la condanna a morte perché ritenuti blasfemi, costringendolo a fuggire e vivere sotto copertura nel Regno Unito. Il viaggio è un insieme di esperienze a tutto tondo. Tempo, spazio e anche in qualche altra dimensione. Mi piace viaggiare anche da sola ma, se c'è qualcuno giusto con cui condividere l'esperienza, è anche meglio. DD
CANCRO: Il viaggio è soprattutto un’esperienza interiore L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi ma nell’avere nuovi occhi. Marcel Proust (10 luglio 1871) è l’autore di Alla ricerca del tempo perduto, viaggio nel tempo e nella memoria considerato uno dei capolavori della letteratura francese. Il viaggio per me è avventura, scoprire e esplorare luoghi e mondi nuovi, ancora più interessanti per me se sono legati ad una leggenda o a storie e racconti legati ad un mistero, e lasciarmi andare al fascino o alle sensazioni che quei luoghi possono suscitare in me. FDL
LEONE: È ricerca del tuo giusto posto nella realtà Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno. Guy de Maupassant (5 agosto 1850), è l’autore di Bel ami in cui racconta l’ascesa sociale di un uomo nella Parigi del suo tempo. Oltre che romanziere fu anche reporter di viaggio. Il viaggi ... Grande cosa. Uscire, guardare, cercare, scoprire ... Ma, sarà forse strano, in fondo al cuore il viaggio è tornare a casa. Mondi diversi e impensabili che sono un solo mondo. Grande cosa. EB VERGINE: È aspirazione ad un mondo migliore Come sempre suole accadere in un lungo viaggio, alle prime due o tre stazioni l’immaginazione resta ferma nel luogo di dove sei partito, e poi d’un tratto, col primo mattino incontrato per via, si volge verso la meta del viaggio e ormai costruisce là i castelli dell’avvenire. Lev Tolstoj, lo scrittore russo autore di Guerra e pace e Anna Karenina, è stato anche filosofo e ispiratore dell’ideologia non violenta di Gandhi. Il viaggio per me è: ricerca, sperimentazione, antitesi rispetto alle abitudini, libertà e a volte, forse, cambio di world line. PS BILANCIA: È un mondo che si rivela Di confini non ne ho mai visto uno. Ma ho sentito che esistono nella mente di alcune persone. Thor Heyerdahl (6 ottobre 1914) è l’uomo del Kontiki e delle piramidi di Tenerife, per nominare solo le più famose tra le sue avventure e scoperte. Antropologo, biologo, esploratore e scrittore può essere considerato un vero esperto di viaggi. Per me il viaggio è essenzialmente uscire dalle abitudini e avventurarsi per vedere le meraviglie del mondo. RM SCORPIONE: È un po’ morire e rinascere Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo. Louis Stevenson (13 novembre 1850), scrittore, drammaturgo e poeta è l’autore di libri famosissimi quali L'isola del tesoro, La freccia nera e Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Il viaggio per me è avventura, andare a scoprire posti nuovi sempre, conoscere le usanze e le tradizioni di un luogo e ogni viaggio scoprirne sempre uno nuovo. BB
Un personaggio del Sagittario: Mark Twain
L'umorismo è una gran cosa, è quello che ci salva. Non appena spunta, tutte le nostre irritazioni, tutti i nostri risentimenti scivolano via, e al posto loro sorge uno spirito solare. Questo simpatico aforisma è di Mark Twain, uno dei più importanti scrittori americani, vissuto tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900. È l’autore di Le avventure di Tom Sawyer, Le avventure di Huckleberry Finn, Il principe e il povero e Un americano alla corte di re Artù, solo per citare le sue opere più note. La sua prosa brillante, sagace e irriverente nei confronti dei luoghi comuni e dell’ipocrisia della società del suo tempo caratterizza la vasta produzione di romanzi e racconti che toccano anche argomenti di grande spessore quali il razzismo, il colonialismo, la giustizia sociale. Mark Twain sostiene il diritto delle donne al voto e l’abolizione della schiavitù. A questo proposito, dichiara che il Proclama di emancipazione di Abraham Lincoln non solo rese liberi gli schiavi neri, ma anche l’uomo bianco.
Sferzante e critico verso la società e la religione (La religione è stata inventata quando il primo truffatore ha incontrato il primo sciocco), mostra una grande sensibilità nei confronti degli animali (È tipico della vanità e dell'impertinenza dell'uomo definire stupidi gli animali perché così appaiono ai suoi sensi ottusi) ed è stato tra i primi a dichiararsi apertamente contro la vivisezione. Non mi deve interessare se la vivisezione produca o meno risultati giovevoli all'umanità - afferma - Anche se fossero utili, non sarei meno ostile alla vivisezione, poiché la mia ostilità si fonda sulle sofferenze che infligge ad esseri non consenzienti. È questione di sentimenti, così profondamente radicati in me che, certo, neppure per un vivisettore vivisezionato potrei provare la benché minima soddisfazione, per quanto la legge del taglione se la sarebbe meritata. Mark Twain, lo scrittore dai capelli ribelli e dai folti baffi, si chiama in realtà Samuel L. Clemens e lo pseudonimo con cui è diventato famoso sembra derivi da un’espressione dei navigatori del fiume Mississipi per indicare la profondità dell’acqua e facilitare le manovre dei battelli. Mark Twain per alcuni anni lavora come pilota dei battelli a vapore che solcano il grande fiume, e questa esperienza, che dà corpo allo spirito d’avventura e di amore per il viaggio, così naturale per il suo cuore di Sagittario, traccia un segno indelebile nella sua vita. Samuel L. Clemens, il futuro Mark Twain nasce in Missouri a Florida, sesto di sette figli, il 30 novembre 1835, al passaggio della cometa Halley, come gli piacerà sempre sottolineare. Quando ha quattro anni la famiglia si trasferisce ad Hannibal, città portuale del Missouri, dove il padre, John, esercita come avvocato e giudice. Solo sette anni dopo John Clemens muore di polmonite. Il piccolo Samuel lascia la scuola dopo aver finito le elementari e a 12 anni comincia a lavorare come apprendista in una stamperia. A 15 anni diventa prima tipografo e poi collaboratore dell’Hannibal Journal, fondato da suo fratello Orion, per il quale scrive articoli umoristici. Oltre che tipografo proprio in questo periodo diventa pilota di battelli. La città, il porto, il fiume sono gli ambienti che faranno poi da sfondo ai suoi famosi romanzi in cui racconterà le avventure di Tom Sawyer e Huckleberry Finn. Nel 1861 lascia Hannibal e parte con il fratello Orion per un lungo viaggio che lo porterà in Nevada. Qui lavora per un po’ di tempo come minatore e poi nel 1863 inizia a collaborare con il giornale di Virginia City. È in questa occasione che comincia ad usare lo pseudonimo Mark Twain.
Viaggia molto, negli stati dell’Ovest, in Polinesia, in Europa, in particolare in Italia, e in Palestina, catturando sensazioni e immagini che gli serviranno per i suoi libri futuri. Nel 1870 si sposa con Olivia Langdon, di cui si era innamorato guardando una fotografia mostratagli dal fratello di lei, conosciuto durante un viaggio nel Mediterraneo. I due avranno un figlio, che morirà ancora bambino, e tre figlie e il matrimonio durerà fino alla morte di Olivia.
Mark, oltre che viaggiatore, è anche un inventore, molto interessato alle tecnologie d’avanguardia, e, tra l’altro, grande amico dello scienziato Nikola Tesla. Nell’animo di Mark Twain si mescolano umorismo e pessimismo. Quest’ultimo si accentua sempre più a partire dalla fine degli anni Ottanta, anche a causa di una serie di eventi tristi che lo coinvolgono in modo molto diretto: la morte di due delle sue figlie e poi quella della moglie. Amarezze e inquietudini traspaiono nelle sue opere che non conoscono il successo delle precedenti. Il pubblico continua invece ad apprezzare le sue conferenze in cui lo scrittore mette a nudo l’America, mostrandone i lati meno nobili e la sua ossessione becera per il denaro e il potere. Nel 1909 Mark fa una strana previsione a proposito del suo destino legato alla cometa di Halley: Tornerà il prossimo anno e mi aspetto di andarmene con lei. Sarebbe il più grande dispiacere della mia vita se non potessi uscire di scena con la cometa di Halley. Lo ha stabilito l’Onnipotente: “Ecco questi due tipi strambi: sono arrivati insieme, devono andarsene insieme”. Mark Twain muore a Redding, nel Connecticut, il 21 aprile del 1910, il giorno dopo il passaggio ravvicinato della cometa alla Terra. La verità è più strana della fantasia perché la fantasia è costretta ad attenersi al probabile, la verità invece no.
NOVEMBRE 2018 Misteriosi visitatori e oggetti volanti
Come preannunciato nella puntata precedente questo mese parliamo della presenza di UFO e astronauti negli antichi dipinti. È un argomento affascinante che stuzzica la nostra curiosità. Se il cielo è il tema principale di questa rubrica come non chiedersi quali messaggi dal cielo provengano, quali visitatori dal cielo possano arrivare, quali tracce del loro passaggio possano essere state registrate? Tra i dipinti più antichi troviamo i disegni rupestri in Africa, in Australia, nelle Americhe e in Europa, spesso accompagnati anche da manufatti, oggetti, sculture ma anche nell’arte che potremmo definire “classica” troviamo testimonianze che ci lasciano davvero stupiti. Vediamo ora alcuni esempi. Cominciamo dall’America, più precisamente dal Sego Canyon dello Utha, dove possiamo ammirare una vera e propria galleria d’arte preistorica. Si tratta di petroglifi dipinti a partire da 8000 anni fa, secondo le datazioni ufficiali. Le figure più antiche rappresentano esseri antropomorfi, alti anche tre metri, con teste arrotondate e grandi occhi, che ricordano esseri alieni o astronauti dotati di caschi per viaggiare nello spazio. Ci spostiamo più a sud, in Messico, a Palenque, dove troviamo un altro astronauta. Scolpito su una pietra tombale, questa famosissima figura di profilo, lascia davvero senza parole: che altro potrebbe fare se non pilotare un veicolo che emette fumo e fiamme? Ci sono anche altre piccole sculture di soggetto simile, sempre di provenienza Maya, e anche per queste diventa difficile pensare ad altri significati.
Proseguiamo il nostro giro del mondo e ci fermiamo in Africa, nel Tassili algerino. Anche qui gli affreschi preistorici, dipinti tra i diecimila e i quattromila anni fa, sono molto numerosi e raffigurano soggetti diversi tra loro: animali, carri, scene di vita e strane figure con le teste rotonde, come se indossassero dei caschi. Queste pitture sono state studiate a lungo da Henri Lhote (1903-1991), archeologo francese, che nei suoi libri avanzò l’ipotesi di un contatto tra antichi astronauti e la gente che in quei tempi lontani abitava quelle terre. In particolare si soffermò sull’affresco di Jabbaren, una figura alta sei metri, con indosso un casco decorato con motivi geometrici e una specie di tuta, con pieghe orizzontali intorno al collo e verticali sul petto. Lhote la identificò come una sorta di divinità extraterrestre. Il nostro viaggio prosegue in Australia, nel Kimberly. Anche qui troviamo pitture rupestri in cui compaiono esseri dall’aspetto piuttosto strano. Questi personaggi sono stati dipinti almeno 10.000 anni fa ma indossano abiti simili a tute spaziali. Gli aborigeni li identificano come i Wandjina, gli antenati giunti sulla Terra dalle Pleiadi nella notte dei tempi. Ci trasferiamo in Giappone e qui troviamo delle curiose statuette di circa 30 cm, in argilla o in ottone, a parlarci di antichi astronauti. Sono i cosiddetti “dogu”, reperti del Giappone preistorico, risalenti al periodo Jomon, che va dal 14.000 al 400 a.C. Ritrovate nelle Prefetture di Kamegaoka, Aomori e Miyagi, furono studiate da diversi ricercatori. Uno dei primi fu lo scrittore sovietico Alexander Kazantsev, che le descrisse così: Queste antiche statue di bronzo giapponesi, sembrano indossare tute spaziali sulle quali vi sono degli strumenti e delle bande che si aggrappano al corpo, incrociandosi sul petto per entrare tra le cosce. Intorno al corpo e sulle ginocchia vi erano delle aperture come borse. Lo scafo era vincolato al cranio mediante delle fasce mentre le mani sembravano calzare dei guanti. Infine torniamo in Italia, in Valcamonica, famosa per le sue incisioni rupestri presenti su una vasta area che comprende diverse località. Tra le tante raffigurazioni di animali, uomini, oggetti e simboli ne abbiamo alcune che rappresentano persone con in testa un casco da astronauta.
Lasciamo la preistoria e facciamo un passo avanti nel tempo. Una delle prime testimonianze in epoca storica è quella raccontata dal Papiro Tulli. Alberto Tulli, direttore della sezione egizia dei Musei Vaticani, rinvenne nel 1933 questo documento, durante un suo viaggio al Cairo. Il Papiro riferisce di un vero e proprio avvistamento UFO avvenuto nel 1400 a.C. in Egitto. Il Faraone Thuthmosis III ed il suo esercito ebbero modo di osservare a lungo dei cerchi di fuoco che si muovevano nel cielo a grande altezza. Il loro splendore superava quello del sole ed essi andavano verso i limiti dei quattro pilastri del cielo, dice il papiro. Altra testimonianza interessante è quella di Alessandro Magno che mentre stava per attraversare il fiume Indo e dare battaglia all’esercito indiano vide volare nel cielo quelli che definì scintillanti scudi d’argento. I cavalli di entrambi gli eserciti fuggirono terrorizzati e di fatto Alessandro decise di non continuare ad avanzare in India nonostante l’esito della battaglia fosse a suo favore. Citiamo ora una serie di immagini in cui sono rappresentati oggetti che potremmo, con buona ragione, definire UFO. La prima è tratta dal libro "Le Livre Des Bonnes Moeurs" di Jacques Legrand (1360-1415) rintracciabile nel Chantilly Condè's Museum. Nel cielo compare un grosso globo che sembrerebbe di metallo dorato. La seconda è parte di un arazzo di epoca medioevale, custodito preso la chiesa di Notre Dame de Beaume in cui si può notare un oggetto dalla tipica forma a disco volante. Quindi abbiamo un dipinto che riporta la presenza di navi volanti sopra Angers, in Francia, nell’842, e ancora la serigrafia di una nave stellare avvistata in Arabia nel 1479 riportata in un testo del 1500. La presenza di oggetti misteriosi nel cielo si registra indifferentemente sia in opere laiche che in dipinti a tema religioso. Ad esempio nell’arazzo intitolato Il trionfo dell’estate, realizzato nel 1538 a Bruges, in Belgio, e attualmente conservato in Germania nel Bayerisches Nationalmuseum, possiamo vedere, in alto nel cielo, numerosi oggetti dalla forma classica di UFO. Analogamente troviamo delle forme molto simili nel cielo dietro la figura del Cristo nella Resurrezione dipinta da Piero della Francesca tra il 1450 e il 1463. In un dipinto del ‘600 attualmente nel Monastero dei Domenicani a Sighisoara in Romania troviamo una specie di scudo gigante sopra una chiesa in fiamme e nella crocifissione di Cristo, che si può ammirare sopra l’altare del monastero di Visoki Decani in Kosovo, compaiono due strani oggetti volanti negli angoli superiori, che sembrano veicoli spaziali.
Altri Ufo compaiono nel Miracolo della neve di Masolino, trasposizione pittorica di un fatto strano accaduto a Roma nel IV secolo: una nevicata in agosto. Il cielo è pieno di dischi volanti, chissà che non fossero i responsabili dello strano fenomeno. E ancora, nel Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, le nuvole hanno forma di astronavi bianche, nell’Annunciazione con San Emidio, di Carlo Crivelli, il fascio di luce diretto verso la Vergine Maria parte da un disco volante simile a quello da cui partono quattro raggi luminosi nel Battesimo di Cristo dell’olandese Aert di Gelde. A proposito di quest’ultima opera si racconta che Gelde avesse avuto l’opportunità di accedere agli archivi del Vaticano, che fosse riuscito a ricavarne conoscenze opportunamente occultate e che, attraverso i suoi quadri, cercasse di trasmetterle. Nel tondo quattrocentesco che rappresenta la Madonna con Gesù bambino e San Giovannino l’autore, probabilmente Jacopo del Sellaio, ha dipinto un vero e proprio UFO. Lo si vede nella parte destra del quadro, alle spalle della Madonna, dove compaiono anche due personaggi: un uomo, che sembra osservare incuriosito lo strano oggetto volante, e un cane che abbaia. L’opera attualmente è esposta nei Musei di Palazzo Vecchio a Firenze. Due stampe descrivono fatti accaduti nel XVI secolo rispettivamente a Norimberga e Basilea. L’incisore Hans Glaser testimone, il 14 aprile 1561, insieme a molte altre persone, dell’evento di Norimberga, racconta che apparvero vicino al sole due oggetti a forma di falce, simili alla Luna calante, di colore rosso. Questi oggetti si spostavano dal centro ai lati del Sole, e poi sopra e sotto… C’erano anche delle sfere di colore rosso, blu e nero, e dei dischi tondeggianti. Volavano a file di tre, o a quattro formando dei quadrati, e alcuni dischi volavano da soli. Mescolate a questi oggetti sono state viste anche molte croci di colore rosso, e fra di esse c’erano oggetti di forma allungata con la parte posteriore più spessa e la parte anteriore più snella. In mezzo a tutto questo c’erano due grandi oggetti cilindrici, uno sulla destra ed uno sulla sinistra, e dentro ognuno di essi c’erano numerose sfere, e tutti iniziarono a combattere fra di loro…
La battaglia nei cieli durò circa un’ora e fu vista da numerosissime persone, sia nella città che nelle campagne circostanti, poi alcuni oggetti caddero in fiamme sulla terra, alla periferia della città, provocando un vasto incendio ed una grande nube di fumo. I presenti videro anche, vicino alle sfere volanti, una specie di grande lancia nera. La testimonianza di Glaser venne pubblicata sulla gazzetta della città di Norimberga, interpretata però in chiave religiosa, con note sul peccato ed il Giudizio Universale. Attualmente è conservata nella Biblioteca Centrale di Zurigo. L’evento che si verificò a Basilea nel 1566 è simile, anche in quel caso molti testimoni osservarono e poi descrissero la presenza di oggetti volanti. Le navi volanti sono presenti anche in un’incisione del 1680 accompagnata da una descrizione di Erasmus Francisci in cui si fa riferimento alle navi di Magonia. Il caso di Magonia è un vero e proprio contatto ravvicinato del terzo tipo descritto dall’abate francese Mountfaucon de Villary (1635-1673) in un suo testo dal titolo Il conte di Gabalis. Secondo questo autore ai tempi di Carlo Magno e Luigi il Buono, dal cielo su navi aeree di una mirabile struttura giunsero sulla terra meravigliose creature in forma umana. Questi esseri vennero chiamati Silfi e Magonia il luogo da cui provenivano. Ci furono contatti tra uomini e Silfi, promossi dall’alchimista Zedechias, che preoccuparono i potenti del tempo, perché i Silfi erano portatori di messaggi di pace e di libertà e su questa base cominciava a rinascere un movimento culturale ispirato ai principi di libertà dell’antico druidismo. Il tentativo fu quindi di screditare i Silfi presentandoli come stregoni capaci di influire sul tempo e avvelenare i raccolti oltre a somministrare pene severissime a coloro che avevano contatti con queste creature. Un’altra incisione mostra il saggio Agobardo, vescovo di Lione, che grazie al suo ascendente sulla popolazione, salvò dal linciaggio tre uomini e una donna appena scesi da una nave volante. E con questo episodio così intrigante concludiamo la nostra rassegna sui misteriosi visitatori e oggetti volanti che compaiono insospettabilmente nelle opera d’arte. Per chi volesse approfondire gli eventi relativi a Magonia e ai Silfi consigliamo di leggere l’articolo
Un personaggio dello Scorpione: Trilussa
Mentre una notte se n'annava a spasso, Un rospo je strillò: "Scema che sei! La tartaruga è una delle tante poesie romanesche Trilussa, ovvero del poeta Carlo Alberto Salustri. Il nome Trilussa lo coniò lui stesso anagrammando il suo cognome e con quel nome diventerà famoso. Le sue composizioni e i suoi versi irriverenti e arguti interpretano piuttosto bene lo spirito dello Scorpione, Segno protagonista di questo mese. Ironico, pungente a volte sferzante e a volte sornione, Trilussa racconta un’epoca e i suoi vizi ma spesso il suo sguardo si allarga alla condizione umana e alle sue fragilità. Trilussa nasce a Roma il 26 ottobre 1871, anche se talvolta viene riportato come anno di nascita il 1873, errore alimentato dallo stesso Trilussa che amava farsi più giovane togliendosi qualche anno. Rimasto orfano di padre a soli tre anni, vive un’infanzia molto povera. La madre fa di tutto per assicurargli un’istruzione regolare ma lui non ama molto gli studi e fin da piccolo preferisce guardare la gente che popola le strade della sua città al passare il tempo sui libri. Nel 1887 il Rugantino di Luigi Zanazzo pubblica alcune sue poesie. È il suo esordio come poeta e da questo momento inizia il suo successo. Nel 1890 pubblica sonetti sul Don Chisciotte diretto da Luigi Lodi poi inizia una lunga collaborazione con Il Messaggero. Intanto va a vivere a Trastevere dove frequenta le osterie, che sono per lui fonte d’ispirazione molto più dei caffè frequentati dagli intellettuali del momento. Solo dopo il successo de La vispa Teresa, continuazione di una nota filastrocca per bambini, comincia a frequentare i salotti romani. Trilussa usa spesso, come a suo tempo aveva fatto Esopo, parlare degli animali riferendosi però agli uomini. E il perché lo spiega lui stesso molto chiaramente e naturalmente in versi:
Mentre me leggo er solito giornale Spaparacchiato all’ombra d’un pajaro Vedo un porco e je dico: “Addio maiale!” Vedo un ciucio e je dico: “Addio somaro!”
Forse ste bestie nun me capiranno Ma provo armeno la soddisfazione De potè dì le cose come stanno Senza paura de finì in priggione.
La sua fama continua a crescere tanto che dal 1922 Mondadori, il più importante tra gli editori italiani, comincia a pubblicare i suoi lavori. Trilussa scrive anche testi per Fregoli e Petrolini ma nonostante il lavoro non gli manchi rimane sempre piuttosto povero. Durante il ventennio, pur non definendosi un antifascista non prenderà mai la tessera del partito. Da alcuni viene accusato di qualunquismo ma in Fra cent'anni, poesia del 1915, aveva già espresso bene che cosa ne pensa dei conflitti: Da qui a cent'anni, quanno ritroveranno ner zappà la terra li resti de li poveri sordati morti ammazzati in guerra, pensate un po' che montarozzo d'ossa, che fricandò de teschi scapperà fòra da la terra smossa! Saranno eroi tedeschi, francesci, russi, ingresi, de tutti li paesi. O gialla o rossa o nera, ognuno avrà difesa una bandiera; qualunque sia la patria, o brutta o bella, sarà morto per quella.
Ma lì sotto, però, diventeranno tutti compagni, senza nessuna diferenza. Nell'occhio vôto e fonno nun ce sarà né l'odio né l'amore pe' le cose der monno. Ne la bocca scarnita nun resterà che l'urtima risata a la minchionatura de la vita.
E diranno fra loro: - Solo adesso ciavemo per lo meno la speranza de godesse la pace e l'uguajanza che cianno predicato tanto spesso!
L’ultima raccolta di poesie esce nel 1944 con il titolo Acqua e vino. Nel dopoguerra, la sua salute comincia a non essere più buona. È tormentato dall’asma e non va più in giro per le strade di Roma, non entra più nelle sue amate osterie. A dicembre del 1950 Luigi Einaudi lo nomina senatore a vita per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo letterario ed artistico. Trilussa, consapevole che la sua fine è ormai vicina, accoglie la notizia con grande ironia dicendo: M’hanno nominato “senatore a morte”. Muore venti giorni dopo, il 21 dicembre 1950. La strada mia
La strada è lunga, ma er deppiù l'ho fatto: so dov'arrivo e nun me pijo pena. Ciò er core in pace e l'anima serena der savio che s'ammaschera da matto.
Se me frulla un pensiero che me scoccia me fermo a beve e chiedo aiuto ar vino: poi me la canto e seguito er cammino cor destino in saccoccia.
OTTOBRE 2018 Ispirati dal cielo
Vi è mai capitato di trovarvi davanti alla vetrina di un negozio che esponga serigrafie e riproduzioni di quadri di pittori famosi, di restare incantati a guardare quanto cielo ci sia nelle loro opere e quanto significativo esso sia? Il tema di questa puntata è nato così, dallo stupore di vedere tutti quei cieli dipinti con passione, quei cieli che parlano da soli e che comunicano con l’osservatore, regalandogli la profondità e l’aria di un respiro. Così vi proponiamo questa breve carrellata di quadri, certi che vi verrà la curiosità di cercare i molti altri che qui non compaiono pur non essendo meno interessanti ed evocativi. Il rapporto con il cielo e con la terra sono radicati dentro di noi e risvegliarlo ci porta a intuire immediatamente che il senso della vita non può stare nelle mille faccende che ci coinvolgono e ci fanno correre affannati inseguendo mete che una volta raggiunte sembrano dissolversi nell’aria. Il cielo, protagonista di questa rubrica, si presenta questa volta attraverso i piccoli frammenti impressi su tela o carta dalla maestria dei pittori. ANDREA AGOSTINI (1964) Lo stupore di un sogno In questo mare mi perdo… felice, dice Andrea Agostini e così si sente anche chi guarda le sue opere. Sognanti cieli azzurri appesi ad asciugare nella notte stellata, spazi immensi e ingenui come guardati da occhi di bambini, dove i fiori, il mare, un faro e le nuvole convivono in un’atmosfera di fiaba che regala speranza e fiducia in quel che verrà. Nel guardare quest’immagine un senso di meraviglia e di infinito ti sorprende e ti mostra la tua vita come un disegno luminoso nell’immensità del cielo. ANTONIO CARENA (1925–2010) Cielo Non cerco di inventare ma di godere dei suggerimenti datimi dalla situazione in cui mi trovo. Così si presenta Antonio Carena, il pittore dei cieli. Le sue nuvole bianche, iperrealiste, si “spalmano” su oggetti di uso quotidiano, si inseriscono nei paesaggi urbani con la potenza dell’azzurro e del bianco e con una forte carica simbolica. Come in questi “frammenti di cielo” su un muro grigio, a ricordare che val sempre la pena di guardare oltre e più in alto. MARC CHAGALL (1887-1985) Sopra la città Bastava che aprissi la finestra della stanza e subito l’aria blu, i fiori e l’amore entravano con lei. Il mondo che Chagall dipinge è pieno di poesia e porta in sé un’anima di bambino e l’incanto delle fiabe antiche. Il cielo è come un respiro, uno spazio che libera dagli affanni del quotidiano e in questo quadro Marc Chagall vola con la sua Bella in alto sopra la città. CASPAR DAVID FRIEDRICH (1774-1840) Viandante sul mare di nebbia Chiudi il tuo occhio fisico, al fine di vedere il tuo quadro con l'occhio dello spirito. Poi porta alla luce ciò che hai visto nell'oscurità, affinché la tua visione agisca su altri esseri dall'esterno verso l'interno. In questo quadro il cielo offuscato dalla nebbia porta il viandante a riflettere, a guardarsi dentro a trovare la sua ricchezza interiore.
VASILIJ KANDINSKIJ (1866-1944) Bleu de ciel Mi sembrava che l’anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l’inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita. E se in effetti i quadri di Kandinskij hanno sempre qualcosa di musicale, in questo il pittore vuole mostrarci il mondo invisibile dei microorganismi, la vita che pullula dove il nostro sguardo non sa coglierla. Ma nel guardare quest’opera si viene trasportati nel blu del cielo simbolo dell’esistenza stessa in cui convivono tante forme, ognuna con la sua vita propria ma tutte immerse nello stesso misterioso elemento.
RENÈ MAGRITTE (1898-1967) La riconoscenza infinita Tutto nelle mie opere nasce dal sentimento e dalla consapevolezza che noi apparteniamo a un universo enigmatico. Il cielo è spesso protagonista nei quadri di Renè Magritte, maestro del surrealismo e capace di provocare straniamento in chi guarda le sue opere che rivelano il volto inconsueto del mondo. Il cielo di Magritte è “il silenzio del mondo”. Magritte afferma che sentire quel silenzio è il suo più grande desiderio. HENRI MATISSE (1869-1954) Icaro Il colore soprattutto, forse ancor più del disegno, è una liberazione. Henri Matisse esprime con i suoi colori una grande gioia di vita. Comincia a dipingere quasi per caso durante il periodo di convalescenza da una malattia e, come lui stesso afferma, scopre “una specie di paradiso”. Da quel momento inizia la sua sperimentazione fino a trovare la tecnica che lo soddisfa: parte dalle forme reali, le semplifica per trovarne l’essenza e le fa vivere con colori puri ed estremamente luminosi. Icaro è realizzato con la tecnica del decoupage quando il pittore anziano e malato non riusciva più a dipingere con il pennello. Il volo di Icaro tra le stelle, è un inno alla vita e alla libertà pieno di prepotente poesia. JOAN MIRÒ (1893-1983) La luna e i suoi paradigmi Sono sopraffatto quando vedo la luna crescente o il sole in un cielo immenso. Joan Miró ama il cielo fin da bambino, fin da quando il padre gli insegna a guardare le stelle con il telescopio. Dedicherà alle Costellazioni ben 23 tempere. Le dipinge in un momento triste della sua vita, durante la guerra con l’incubo delle vittorie naziste. Il cielo e le stelle diventano per lui rifugio e momento di speranza.
CLAUDE MONET (1840-1926) Ponte di Waterloo, il sole nella nebbia A Londra, ciò che amo più di ogni altra cosa è la nebbia. Questo Sole nella nebbia fa parte della serie di una quarantina di opere che Claude Monet dipinge durante tre soggiorni diversi a Londra. Il punto di osservazione è sempre lo stesso: un balcone al quinto piano dell'Hotel Savoy. La particolarità di queste opere sta proprio nella scelta dell’artista di voler ritrarre una Londra slegata dal caos e dalla vita frenetica che la contraddistingue. La Londra di Monet è immobile e silenziosa dalla nebbia che le regala una dimensione sospesa tra l’acqua del Tamigi e il cielo. E’ una città fuori dal tempo, colta in un istante incantato. PIET MONDRIAN (1872-1944) Fattoria vicino a Duivendrecht La Natura (o ciò che ne vedo) mi ispira, mi mette, come ogni altro pittore, in uno stato emozionale che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa, ma voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta (anche se solo le fondamenta esteriori!) delle cose… Questo dipinto rappresenta un momento di passaggio dell’artista tra le sue prime opere, che ritraevano i paesaggi olandesi, e quelle successive che diventano sempre più lineari e astratte. Qui già si evidenzia la forza delle linee ma è ancora molto significativo il cielo con la sua luce e i suoi riflessi. Questa fattoria, tra il cielo e il suo doppio, immersa in una luce quasi liquida, sembra veleggiare come una nave perduta in un lunghissimo tramonto del nord. VINCENT VAN GOGH (1853-1890) Notte stellata Sono molto felice quando dipingo. Vincent Van Gogh, pittore geniale e tormentato, è noto per la sua vita solitaria e per la sua fine tragica, suicida in un campo di grano. Ma quando dipingeva, per sua stessa ammissione, era felice. Le sue opere, non capite nel suo tempo, diventano famosissime in seguito. Notte stellata è forse una delle opere più celebrate. L’immagine è di grande impatto visivo, per la potenza del colore e del segno. Quel cielo così grande, così vivo e pulsante di stelle e vortici di luce non può lasciare indifferente chi guarda, impossibile non vedervi gli eventi cosmici, solo apparentemente lontani, spesso invisibili, che dominano la vita degli uomini. TIZIANO VECELLIO (1488/1490 -1576) Corona borealis, particolare di Bacco e Arianna Natura potentior Ars (l’arte è più potente della natura). Questo è il motto Tiziano Vecellio, il maestro della luce e del colore. Riconosciuto come uno dei più importanti artisti del cinquecento non ha certo bisogno di presentazioni. Qui proponiamo solo un particolare di uno dei suoi dipinti (Bacco e Arianna) che nell’angolo in alto a sinistra presenta un curioso insieme di stelline. Secondo l’interpretazione classica questo cerchio di stelle rappresenta la corona di Arianna che, nel racconto mitologico, viene trasformata nella costellazione della Corona Borealis. Qualcuno però, guardandolo, ha suggerito un’altra lettura, forse fantasiosa ma senz’altro stuzzicante: e se fosse una formazione di navi aliene? Sì perché non sarebbe la prima volta che in un quadro antico compaiono misteriosi oggetti volanti. Ma questa è un’altra storia, di cui parleremo il prossimo mese.
Un personaggio della Bilancia: Mae C. Jemison
Molte persone non vedono una connessione tra scienza e danza ma io le considero entrambe espressioni della creatività sconfinata che le persone devono condividere tra loro.
Mae C. Jemison, fisica, scienziata, ingegnera, astronauta, danzatrice e artista è la prima afroamericana a volare nello spazio. Ed è anche la prima vera astronauta a partecipare a un episodio della serie cult Star Trek. Coraggiosa e sicura delle sue scelte, non ha mai rinunciato ai suoi sogni di bambina. E’ ospite del mese in rappresentanza del Segno della Bilancia, di cui incarna la capacità di mantenere l’equilibrio tra i suoi due grandi amori, la scienza e l’arte, il suo senso della giustizia che la porta a muoversi incurante dei pregiudizi e ad aiutare anche tutti quelli che ne sono vittime e la capacità di spingersi su strade nuove che altri non hanno ancora percorso. Mae C. Jemison nasce il 17 ottobre del 1956 a Decatur in Alabama, ultima figlia di un’insegnante e un supervisore alla manutenzione per un'organizzazione di beneficenza. Quando ha tre anni la famiglia si trasferisce a Chicago, dove spera di trovare migliori opportunità di lavoro e di istruzione per i bambini, e questa è la città che vede Mae crescere. Com’è Mae da piccola? Una con le idee chiarissime. Ricordo che all’asilo la maestra mi chiese cosa volevo fare da grande ed io risposi che volevo fare la scienziata. La maestra allora mi disse: “Forse vuoi dire l’infermiera”. E io: “No. Non c’è niente di male a fare l’infermiera ma non è quello che voglio diventare”. Da bambina ho sempre pensato che sarei andata nello spazio. Pensavo, quando sarò grande, andare nello spazio sarà come andare a lavorare. E pensavo anche che per andare nello spazio sarebbe stato più facile fare l’astronauta che aspettare ET che mi venisse a prendere.
Mae cresce coltivando due passioni, quella per le scienze e quella per la danza. Quando si trova a dover scegliere tra gli studi in medicina e la danza come professionista sceglie la prima strada, consapevole che, come dice sua madre, diventando una dottoressa potrà comunque danzare ma come danzatrice professionista non potrà fare il medico. Si iscrive alla Stanford University e, con incoscienza e coraggio, affronta un percorso di studi non facile per una donna nera negli anni ‘70, quando pregiudizi e discriminazioni razziali e sessuali erano ancora fortissimi. Si laurea nel 1977 e intanto continua a studiare danza. Produce diversi spettacoli in cui integra danza tradizionale africana e jazz. Completata la sua formazione medica, Mae entra a far parte dei Peace Corps e dal 1983 al 1985 è responsabile medico dei volontari in Liberia e Sierra Leone. Nel 1983 torna a considerare i viaggi nello spazio . Infatti dopo il volo di Sally Ride, Mae capisce che anche per le donne si è aperta la possibilità di diventare astronauta, così presenta la sua domanda. In seguito dirà che una parte importante in questa sua scelta ce l’ha Nichelle Nichols, l’attrice afro-americana, che interpreta il tenente Uhura in Star Trek. Mae riceve la risposta nel 1987. Ho ricevuto una chiamata che diceva: “Sei ancora interessata?” E ho detto: “Sì”. Così entra nella rosa dei quindici prescelti tra i circa duemila candidati. E’ il primo gruppo di astronauti selezionati dopo l'incidente del Challenger nel 1986. Mae è al Kennedy Space Center nel gennaio 1992 e partecipa alla Space Shuttle mission STS-47 dal 12 al 20 settembre 1992. E’ co-investigatore di due esperimenti di ricerca sulle cellule ossee, e conduce anche esperimenti sull’ assenza di peso e la cinetosi sia su se stessa e che sugli altri sei membri dell'equipaggio. Una nota curiosa e simpatica: Mae, nonostante il rigido protocollo della NASA, inizia ogni turno con un saluto che solo i Trekkie possono apprezzare.
La prima cosa che ho visto dallo spazio è stata Chicago, la mia città natale - racconterà al suo ritorno - Stavo lavorando al middeck, dove non ci sono molte finestre e, mentre sorvolavamo Chicago, il comandante mi ha chiamato sul ponte di volo: è stato un momento davvero significativo perché sin da quando ero una bambina ero sicura che sarei andata nello spazio. Nel marzo 1993 si dimette dalla NASA: Ho lasciato la NASA perché sono molto interessata a come le scienze sociali interagiscono con le tecnologie. La gente pensa sempre alla tecnologia come a qualcosa che contiene silicio, ma una matita è tecnologia, qualsiasi linguaggio è tecnologia, la tecnologia è uno strumento che usiamo per svolgere un compito particolare e quando si parla di tecnologia appropriata nei paesi in via di sviluppo, appropriato può significare qualsiasi cosa. Insegnante di studi ambientali, membro di varie organizzazioni scientifiche, quali l'American Medical Association, l'American Chemical Society, l'Association for Space Explorers e l'American Association for the Advancement of Science, Mae continua a sostenere con forza l'educazione scientifica e gli studenti delle minoranze interessati alla scienza. Nel 1993 fonda il gruppo Jemison che ricerca, commercializza e sviluppa scienza e tecnologia per la vita quotidiana. Fonda anche la Dorothy Jemison Foundation for Excellence, che chiama così in onore della madre. Uno dei progetti della fondazione è The Earth We Share (TEWS), in cui studenti giovanissimi, di età compresa tra i 12 e i 16 anni, lavora per risolvere i problemi attuali della globalizzazione. La sua opera continua nel campo della ricerca scientifica e nell’aiuto ai più giovani per lo studio dei temi della scienza. Ad esempio nel 1999, fonda BioSentient Corp che lavora allo sviluppo di un dispositivo portatile che consenta il monitoraggio mobile del sistema nervoso involontario e nel 2018, collabora all'iniziativa denominata Science Matters che ha lo scopo di incoraggiare i bambini a comprendere e perseguire le scienze agrarie. Non permettere a nessuno di derubarti della tua immaginazione, della tua creatività o della tua curiosità. È il tuo posto nel mondo; è la tua vita. Vai avanti e fai tutto ciò che puoi con esso, e rendilo la vita che vuoi vivere.
SETTEMBRE 2018 Le Fontane dello Zodiaco
Abbiamo dedicato alcune puntate di AstroMatta ai luoghi astrologici sparsi sul pianeta, luoghi un po’ speciali in cui compaiono a vario titolo i simboli dello Zodiaco con il loro messaggio sempre vivo: il legame che ognuno di noi ha con il cielo, il legame che tutti gli esseri del pianeta hanno con l’azzurro infinito. È stato gironzolando alla ricerca di questi luoghi che ci siamo imbattuti più di una volta nelle Fontane zodiacali. Ricordate la Fontana Martins a Coira (Svizzera) di cui abbiamo parlato nella puntata di luglio di quest’anno? O le fontane di Parigi (Les Quatre parties du Monde) e Jaffa citate rispettivamente a luglio e agosto 2015? Cercando meglio abbiamo scoperto che le Fontane zodiacali sono numerose e sparse per il mondo da oriente a occidente. Ce ne sono di antiche, di moderne e di… scomparse, come quella che si trovava a Pechino in uno dei giardini dell'Antico Palazzo d'Estate. Questa fontana era un vero e proprio orologio che spruzzava acqua allo scoccare delle ore. L’acqua fuoriusciva dalle 12 statue che rappresentavano i dodici animali dello Zodiaco cinese, ognuno dei quali aveva il corpo di pietra e la testa di bronzo. Ogni due ore l’acqua zampillava da una delle statue e il mezzogiorno riservava lo spettacolo grandioso delle dodici statue che spruzzavano acqua contemporaneamente. La fontana fu progettata dai missionari Gesuiti francesi e realizzata nel 1744 per l'imperatore Qianlong. Le teste dei 12 animali furono rubate dall'Antico Palazzo d'Estate nel 1860, durante la seconda guerra dell'oppio, separate e vendute a collezionisti e musei. Ora la Cina sta tentando di recuperarle. Recentemente Ai Weiwei, artista dissidente che lotta per i diritti civili contestando il governo cinese, ispirandosi alle sculture che ornavano la leggendaria fontana di Pechino, ha realizzato le dodici teste in bronzo degli animali dello Zodiaco. Questa sua reinterpretazione è stata portata in giro per il mondo in allestimenti suggestivi a Londra, New York, Copenhagen, Vienna…
Come la fontana del Palazzo d’Estate forse altre fontane zodiacali si sono perse nel tempo distrutte dall’incuria o da eventi drammatici, alcune invece sono sopravvissute ed ecco per voi una carrellata di quelle che finora abbiamo trovato. La Fontana di Gennaro a Messina è una delle fonti pubbliche che il senato messinese aveva voluto, tra il cinquecento e il seicento. Al centro di una vasca ottagonale in marmo rosso, un giovane, che con le mani regge due anfore, siede sul globo celeste contornato dallo Zodiaco. Il giovane rappresenta l’Acquario e il nome “Fontana di Gennaro” si riferisce al mese dell’anno in cui il Sole entra nella costellazione dell’Acquario: gennaio. La posizione attuale non è quella che aveva in origine. Un tempo era orientata a sud ed è stata collocata dove si trova ora nel 1932, dopo essere stata restaurata per riparare i danni subiti nel terremoto del 1908.
La Fontana Maggiore di Perugia, realizzata tra il 1278 e il 1280 da Nicola e Giovanni Pisano su progetto di frà Bevignate, è costituita da due vasche concentriche sovrapposte, decorate con 50 bassorilievi e 24 statue, sormontate da una tazza in bronzo su cui si appoggiano tre ninfe, che rappresentano le tre virtù teologali (Fede, Speranza, Carità). I bassorilievi con i mesi dell'anno e i Segni zodiacali sono sulla vasca inferiore. La fontana monumentale dello Zodiaco di Terni si trova in piazza Tacito. Progettata dagli architetti Mario Ridolfi e Mario Fagiolo e posizionata nel 1936, voleva simboleggiare il potere dell’acqua come fonte di energia. L’acqua, scorre su un grande catino decorato a mosaico per precipitare in una seconda vasca situata più in basso, mentre al centro si erge una stele d’acciaio. L’acqua che scorre allieta la natura con la sua freschezza ma, precipitando, sprigiona un’energia che può essere utilizzata dall’uomo nell’industria metallurgica. I mosaici policromi che rivestono il catino della prima vasca, realizzati su disegni di Corrado Cagli, rappresentano i Segni zodiacali che simboleggiano il variare delle precipitazioni nel corso dell’anno. La fontana è stata quasi distrutta nel corso dell’ultima guerra e restaurata con interventi successivi fino al ’61. Attualmente avrebbe bisogno di un’ulteriore opera di restauro.
La Fontana dei Dodici Mesi si trova a Torino, all'interno del Parco del Valentino. Costruita per celebrare i 50 anni dello Statuto Albertino, faceva parte delle opere progettate per l’Esposizione Nazionale del 1898. Realizzata da Carlo Ceppi, in uno stile in parte liberty e in parte rococò, è costituita da una grande vasca ovale circondata dalle dodici statue, che rappresentano i mesi dell'anno, più quattro gruppi statuari che simboleggiano i quattro fiumi di Torino. In questa rappresentazione il Po è un uomo con la barba, opera di Edoardo Rubino, la Dora è una pastorella, realizzata da Giacomo Cometti, il Sangone è un genio che sorride a due amanti, scultura di Cesare Reduzzi e la Stura è simboleggiata dai tre nudi femminili di Giacomo Cometti. Una moderna Fontana dello Zodiaco si trova in piazza del Sole a Tinnura, un piccolo paese sulla costa occidentale della Sardegna. È stata realizzata nel 2004 dallo scultore Simplicio de Rosas ed è costituita da bocche di basalto che raffigurano i Segni dello Zodiaco da cui sgorga l'acqua, che cade su due ordini di vasconi sovrapposti a forma di “V”. La fontana dello Zodiaco di Catania è stata costruita nel 1963, in piazza Santa Maria del Carmelo a Barriera del Bosco. Composta da due vasche, dopo un periodo di abbandono, recentemente è stata restaurata. La Fonte dello Zodiaco di Treviso si trova in piazza Sant’Andrea, nella parte più alta della città. Opera di Toni Benetton, è una struttura complessa che sfrutta la pendenza naturale del terreno per far scendere l’acqua in una serie di vasche posizionate a diversi livelli. La vasca superiore ha al centro una stele che sostiene una sfera di ferro battuto su cui sono rappresentati i Segni zodiacali. La Fontana dello Zodiaco di Bucarest, in Romania, è stata costruita nel 1935 e posizionata all'entrata del Carol Park, il polmone verde della città e luogo d’incontro dei suoi abitanti. I dodici Segni sono realizzati sul lato esterno della grande coppa dal centro della quale parte il getto dell’acqua che ricadendo riempie la coppa stessa e poi la vasca sottostante.
La Fontana dei Segni zodiacali di Kosice, in Slovacchia, si trova nella città vecchia, davanti allo State Theatre. I Segni sono realizzati in metallo sul bordo della grande vasca. La Fontana zodiacale di Vienna, in Austria, si trova di fronte alla Hundertwasserhaus, il famoso complesso di edifici popolari progettati dall’architetto e artista Friedensreich Hundertwasser. La fontana comprende cinque parti poste una sopra l'altra: una vasca in cemento, una vasca in ceramica con porzioni bianche, nere e grigie, un’altra vasca di cemento, e infine una piccola vasca di ceramica rosa sormontata dalla statua di un angelo da cui parte il getto dell’acqua. I Segni dello Zodiaco sono realizzati in mosaico, sul fondo della vasca più grande. L’Atlas fountain è nel parco del Castle Howard, residenza di campagna fatta costruire tra il 1699 e il 1712 da Charles Howard, III conte di Carlisle, su progetto all’architetto John Vanbrugh. Castle Howard sorge una ventina di Km a nord di York, nella contea del North Yorkshire, nel Regno Unito. Al centro della grande fontana c’è la statua di Atlante che regge il globo contornato dallo Zodiaco. La Fontana del "Calendario orientale" si trova nei pressi dell'edificio dell'Accademia delle Scienze della Repubblica, ad Almaty, la vecchia capitale del Kazakistan e attualmente uno dei suoi principali centri commerciali. Le dodici statue che la ornano rappresentano i dodici animali dell’astrologia cinese, con qualche modifica. Compaiono il topo, il bue, il leopardo (che sostituisce la tigre), il coniglio, la lumaca (al posto del drago), il serpente, il cavallo, la pecora, la scimmia, il gallo, il cane e il maiale.
La fontana commemorativa di Andrew W. Mellon si trova a Washington DC, negli USA . Opera dello scultore Sidney Waugh, è dedicata appunto ad Andrew W. Mellon, imprenditore e politico nonché ambasciatore degli USA nel Regno Unito. La fontana è composta da tre bacini in bronzo e una vasca in granito . Dal centro del bacino più piccolo parte il getto d'acqua che, riempiendolo, trabocca dal bordo via via sui bacini sottostanti. Il più grande dei bacini in bronzo è decorato con i dodici segni dello Zodiaco posizionati con un corretto orientamento astrologico: il simbolo dell’Ariete è rivolto ad est e quello della Bilancia ad ovest. All’equinozio di primavera il sole illumina l'Ariete. Una fontana con i Segni dello Zodiaco è presente a Yerevan, in Armenia. Nella città dominata dal monte Ararat, la Montagna madre come la chiamano gli armeni, al centro della piazza intitolata al cantante armeno Charles Aznavour, si può ammirare questa grande fontana, sul cui bordo appoggiano le statue dei dodici Segni.
L’abbinamento dello Zodiaco con le fontane sembra essere molto naturale anche se il motivo non appare subito evidente. La fontana di Pechino, essendo in fondo un orologio, ha una sua spiegazione: gli strumenti per misurare il tempo si collegano bene al moto apparente degli astri che da sempre è stato utilizzato per calcolare il passare delle ore. Nella fontana di Terni, lo Zodiaco vuol simboleggiare il variare delle precipitazioni durante il corso dell’anno, ma in tutte le altre? Nella maggior parte di esse uno zampillo parte dal centro di una coppa, in alcune l’acqua sgorga direttamente dai simboli dello Zodiaco, quella di Torino vuole ricordare l’arrivo di Fetonte nella città dei quattro fiumi… Forse le fontane dello Zodiaco sono intimamente legate al mito del Graal, alla conoscenza che in tempi remotissimi fu donata agli uomini da esseri che arrivavano dalle lontane stelle.
Un personaggio della Vergine: Duke Kahanamoku
Fuori dall’acqua io non sono nulla Duke Kahanamoku è l’uomo che ha fatto conoscere al mondo la tavola da surf. Il surf “l’atto di cavalcare le onde”, antica usanza Hawaiana, ai tempi di Duke è quasi completamente cancellata, grazie all’opera dei missionari stranieri. Il surf infatti è parte della tradizione dei nativi, è espressione di sacralità capace di sviluppare l’unità tra corpo, mente e spirito ed è inserita nei rituali delle feste in onore delle Pleiadi e del ricongiungimento con l’Oceano, il Kai. Inoltre i surfisti cavalcano le onde seminudi, maschi e femmine insieme, e anche questo contribuisce alla condanna dei missionari che vedono nel surf un’usanza pagana, da abbandonare. Solo pochi la praticano ancora, e Duke la farà rinascere e conoscere al mondo intero. Nativo hawaiano, grande surfista e grande nuotatore, campione olimpionico, è ricordato anche per il suo sorriso, per il suo modo di intendere lo sport, per la sua umanità e la sua semplicità: una volta sono stato presentato a uno come principe, ma gli ho detto che non ero un principe, e poi un altro mi ha chiesto se fossi un vero duca, ma gli ho detto che Duke è solo il mio nome. Duke rappresenta la sua terra, le Hawaii, nel senso più nobile, quello dello spirito dell’Aloha: la fratellanza, la semplicità, il coraggio e, nella competizione sportiva l’umiltà nelle vittorie e l’accettazione delle sconfitte. L’acqua è il suo elemento e con l’acqua ha un legame così profondo da essere per lui sinonimo di vita e da assumere un valore metafisico (La nostra acqua è così piena di vita). Duke è ospite di questo mese in rappresentanza del Segno della Vergine di cui incarna la nota idealistica, con cui vive le esperienze che assumono spesso un’importanza totalizzante, dove la pratica è anche metafisica e nel suo caso il surf è la vita e il modo di viverla (Prenditi il tuo tempo - l'onda arriva). Inoltre la sua capacità di migliorare tecnicamente tanto la sua tecnica quanto la tavola da surf denota quell’attenzione al dettaglio tipica del Segno. (Avevo una vera mania per migliorare le tavole e ottenere il massimo dal surf. Modificavo continuamente la mia tavola, dandogli una nuova forma, nuovi contorni, nuovo equilibrio)
Duke Paoa Kahinu Mokoe Hulikohola Kahanamoku nasce il 24 agosto 1890 a Honolulu, nelle Hawaii, primogenito di Julia e Duke Kahanamoku. In famiglia il suo nome è Paoa, per distinguerlo dal padre che era stato chiamato Duke in onore del duca di Edimburgo che nel 1869 aveva visitato le Hawaii. Dal padre eredita però anche il nome con cui diventerà famoso nel mondo. Fin da piccolissimo, per lui, l’esperienza più importante è l’oceano, parlando della sua infanzia dirà: Ricordo a malapena se ho imparato prima a camminare o a nuotare. Essere il più grande di sei fratelli e tre sorelle comporta per lui impegni e responsabilità ma nonostante questo trova sempre il tempo per fare ciò che più gli piace: stare a contatto con l’acqua (Quando non ero a scuola, ero nel surf. E surf, per gli hawaiani, è la spuma dell’onda). Cresce a Waikiki, davanti all'oceano, facendo ciò che ama e in cui eccelle naturalmente: il nuoto, il surf, la canoa e il bodysurfing. Finita la scuola primaria, si iscrive alla scuola industriale di Kamehameha, ma non si diplomerà mai perché deve lavorare per aiutare la famiglia. Lascia la scuola ma non l’oceano.
All'età di 21 anni, nel 1912, alle Olimpiadi di Stoccolma, vince la sua prima medaglia d'oro olimpica, per il nuoto nei 100 metri e quella d’argento nella staffetta. Batte i record di nuoto stile libero sui 100 e 200 metri, partecipa ad altre quattro olimpiadi, vincendo cinque medaglie e conquistando la simpatia della gente di tutto il mondo. Il nuoto, in quegli anni, è uno sport riconosciuto a livello internazionale, a differenza del surf, per questo la sua carriera sportiva seguirà questa strada, ma non gli impedirà di continuare a praticare il surf, migliorando la sua tecnica, inventando nuovi modi di stare sulla tavola ed effettuando importanti modifiche alla tavola stessa. Le tavole tradizionali hawaiane erano molto lunghe e pesanti, Duke apporta numerose modifiche per renderle meglio utilizzabili. Grazie alla popolarità raggiunta come campione olimpico, Duke riesce a far conoscere al mondo intero la tavola da surf e la bellezza di questa pratica. Nel 1925 inoltre un episodio particolare fa conoscere anche le sue eccezionali doti umane, portando in salvo, con la sua tavola da surf otto dei naufraghi che stavano per annegare al largo di Newport Bay, dopo che le grandi onde avevano rovesciato la loro barca. Altri quattro furono salvati da altri surfisti ed altri ancora purtroppo morirono tragicamente. Duke partecipa ancora alle Olimpiadi di Los Angeles nei 1932 come riserva della squadra di pallanuoto, poi, visto che la sua carriera agonistica comincia a calare, accetta l’incarico di sceriffo alle Hawaii e lo manterrà fino al 1961. Nel 1959, quando le Hawaii diventano il 50° stato degli Stati Uniti, è ufficialmente nominato Ambasciatore. Nel 1940 sposa Nadine Alexander. In questi anni entra anche in contatto con il mondo dello spettacolo, partecipando a trasmissioni televisive e recitando in alcuni film, il più famoso dei quali è “La nave matta di Mister Roberts” diretto da John Ford e Mervyn LeRoy con Henry Fonda e Jack Lemmon. Duke per la verità ottiene sempre piccole parti in questi film. Negli anni cinquanta non è facile avere ruoli importanti se si ha la pelle scura… Duke Kahanamoku muore d’infarto a 77 anni, nel 1968, e le sue ceneri sono disperse nell’oceano alle isole Hawaii che tanto amava. Nel 1990, per il centenario della sua nascita, a Waikiki, gli viene dedicata una statua, posta di fronte al mare, al centro della spiaggia più popolosa di Oahu. Ogni giorno gente del posto e turisti la adornano di ghirlande di fiori. Nel 2002 il servizio postale degli Stati Uniti rilascia un francobollo di prima classe in edizione limitata raffigurante Duke Kahanamoku a Waikiki. A partire dai Giochi della XXXII Olimpiade di Tokyo, nel 2020, anche il surf diverrà disciplina olimpica.
AGOSTO 2018 Zodiaco e avventura
Avventura: una parola che accende la fantasia, che fa sognare, che fa tornare bambini con gli occhi spalancati e pieni di meraviglia. Avventura è un libro, un film, un racconto, un’esperienza vissuta…e anche molto altro. Ti mette di fronte all’ignoto, ti spaventa, ti scuote, ti attrae, ti elettrizza ma ti fa anche riflettere sulla tua vita e sul tuo modo di viverla ogni giorno. E’ per tutti la stessa cosa? Forse ci sono sfaccettature diverse di intenderla e in questa puntata proviamo ad indagare se l’appartenenza ad uno dei dodici Segni dello Zodiaco regala una particolare sfumatura nell’interpretare questa esperienza. I dodici Segni, come abbiamo ricordato tante volte, sono dodici angolature da cui guardare la stessa realtà. Ecco il risultato della nostra indagine in cui riportiamo, per ogni Segno, una frase di un personaggio e quella di un amico che ha accettato di rispondere alla nostra domanda: “Che cos’è per te l’avventura?” LEONE: Andare oltre l’esperienza acquisita Paul Claudel (6 agosto 1868) poeta e diplomatico francese: La vita è una grande avventura verso la luce. EB: Che cos'è per me l'avventura... È percorrere lo sconosciuto. Meglio se con un obiettivo... Cercare di carpire a una dimensione inabituale un pezzo in più di conoscenza e di esperienza. Avventura è mettermi in gioco, è imparare. Se possibile, anche divertirmi nel farlo :-) VERGINE: Trovare il legame profondo tra noi stessi e la vita Duke Kahanamoku (24 agosto 1890) surfista nativo hawaiano: Fuori dall’acqua, non sono nulla. BILANCIA: Scoprire un equilibrio magico nel momento che si sta vivendo Luis Sepulveda (4 ottobre 1949) scrittore cileno naturalizzato francese: Nessun uccello vola appena nato, ma arriva il momento in cui il richiamo dell’aria è più forte della paura di cadere e allora la vita gli insegna a spiegare le ali. RM: Per me l'avventura è viaggiare guardando un paesaggio diverso da quello abituale, fosse una stradina in Bretagna come una scogliera in Portogallo, in special modo se in quel posto ci sono tracce di storia antica. Ma soprattutto girare senza programmi troppo rigidi, godendo della magia di un posto.
John Keats (31 ottobre 1795) poeta britannico: La vita è un’avventura da vivere, non un problema da risolvere.
SAGITTARIO: Guardare oltre i confini Mark Twain (30 novembre 1835) scrittore statunitense: Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite. CAPRICORNO: L’ideale diventa reale Italo Svevo (1 gennaio 1879) scrittore italiano: L'immaginazione è una vera avventura. Guardati dall'annotarla troppo presto perché la rendi quadrata e poco adattabile al tuo quadro. Deve restare fluida come la vita stessa che è e diviene. GB: L'avventura per me è inoltrarmi come un esploratore nelle opzioni che si aprono nel futuro prevedendo e affrontando gli eventi che nasconde per poter continuare la mia esplorazione. ACQUARIO: Nella precarietà trovare se stessi Ella Maillart (20 febbraio 1903) scrittrice, fotografa e viaggiatrice solitaria svizzera: Amo questa vita primitiva dove ritrovo la fame, che trasforma in solida gioia ogni boccone, la sana stanchezza, che dà al sonno una voluttà incomparabile, e il desiderio di andare avanti, che ogni passo realizza. GP: Per me l’avventura è principalmente viaggiare, non con un viaggio organizzato, ma in pochi, meglio con uno zaino e le cose essenziali dentro, prendendo aerei e poi mezzi locali, alla ricerca della storia più remota dei luoghi, ma anche di cibi e curiosità. Avventura è anche camminare per sentieri da sola, in mezzo al vento, contemplare il mare e l’orizzonte. Avventura è anche iniziare un’attività nuova, un lavoro nuovo, un rapporto nuovo. Avventura insomma è fare qualsiasi cosa che non ho mai fatto prima. PESCI: Un tuffo nell’ignoto Chuck Palahniuk (21 febbraio 1962) giornalista freelance statunitense: Voglio essere al di fuori delle etichette. Non voglio che tutta la mia vita sia compressa in un unica parola. Una storia. Voglio trovare qualcos’altro, che non si possa conoscere, un posto che non sia sulla mappa. Una vera avventura.
ARIETE: L’avventura è trasformazione Vincent Van Gogh (30 marzo 1853) pittore olandese: Non sono avventuriero per scelta, ma per destino. EP: Per me avventura è andare a scoprire qualcosa che non conosco... nello spazio, intellettualmente, col cuore, nel fare un'esperienza ancora sconosciuta. Sento un po' di timore e il sostegno del coraggio. TORO: La fiducia di trovare nuova conoscenza Bruce Chatwin (13 maggio 1940) scrittore e viaggiatore britannico: Diversivo. Distrazione. Fantasia. Cambiamento di moda, di cibo, amore e paesaggio. Ne abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo. Senza cambiamento, corpo e cervello marciscono. SR: L'avventura è ricerca, conoscenza. Una volta legavo questo concetto a viaggi, situazioni nuove che si presentavano, oggi penso che ogni istante della propria vita può essere fonte di ricerca e conoscenza. GEMELLI: L’avventura nasce dalla curiosità Gilbert Keith Chesterton (29 maggio 1874) scrittore inglese: L’avventura suprema è nascere. Così noi entriamo all’improvviso in una trappola splendida e allarmante. Così noi vediamo qualcosa che non abbiamo mai sognato prima. Nostro padre e nostra madre stanno acquattati in attesa e balzano su di noi. Come briganti da un cespuglio. Nostro zio è una sorpresa. Nostra zia, secondo la bella espressione corrente, è come un fulmine a ciel sereno. Quando entriamo nella famiglia, con l’atto di nascita, entriamo in un mondo imprevedibile, un mondo che ha le sue strane leggi, un mondo che potrebbe fare a meno di noi, un mondo che non abbiamo creato. In altre parole, quando entriamo in una famiglia, entriamo in una favola. DD: L'avventura per me è vedere cose che non ho mai visto. Cercare cose e posti che mi sollecitano la curiosità. Vivere nuove esperienze che mi sollecitano la fantasia e anche un po' di brivido, che non guasta. Fare esperienze che mi mettano anche in gioco perché è più divertente. In genere deve avere anche una componente fisica come camminare, correre, saltare. Insomma muovermi: non può essere solo mentale. CANCRO: L’avventura è sogno a occhi aperti Walter Bonatti (22 giugno 1930) alpinista e scrittore italiano: Il bello dell'avventura è sognarla, dare aria all'immaginazione, poi si potrà anche tentare di dare materia ai propri sogni. Per questo la fantasia deve accompagnarci sempre.
Un personaggio del Leone: Emilio Salgàri
Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli. Così affermava Emilio Salgàri, lo scrittore che ha fatto sognare innumerevoli lettori, soprattutto ragazzi, portandoli in giro per il mondo, coinvolgendoli in incredibili avventure, in compagnia dei suoi personaggi indimenticabili. Emilio non ebbe modo di viaggiare molto nella realtà ma, scrivendo, girò il mondo intero. Emilio amava il mare, le navi, i luoghi lontani e aveva il dono di una grande immaginazione e una capacità di scrivere e raccontare quasi illimitata. Produsse 80 romanzi di avventura ed un centinaio di racconti. I suoi eroi ribelli ma animati dal senso dell’onore e della lealtà, infrangono le leggi, spesso difese o imposte da personaggi senza scrupoli, in nome di una giustizia più grande e ricordano gli eroi delle leggende o della mitologia. La vita di Emilio non fu facile e anzi risulta costellata di eventi drammatici, segnata dalle scarse possibilità economiche e con un finale triste e tragico, eppure il suo nome resta legato a quel senso dell’avventura che vive in fondo ad ogni cuore. Il Corsaro Nero, Sandokan, Tremal Naik, solo per citare i suoi protagonisti più noti, insieme a moltissimi altri, impersonano gli ideali del suo Segno di nascita. Il coraggio, la lealtà, il senso di giustizia, il legame con i ricordi, siano essi di un amore perduto o di un tradimento subìto, si mescolano al calore umano e fanno di queste figure gli eroi amatissimi da generazioni ragazzi. Emilio Salgàri nasce a Verona il 21 agosto 1862 da una famiglia di modesti commercianti. Passa la sua infanzia in Valpolicella. Appassionato lettore dei romanzi di Jules Verne e di R. L. Stevenson sogna una vita avventurosa e viaggi in paesi lontani.
Nel 1878 va a studiare a Venezia, al Regio Istituto Tecnico e Nautico Paolo Sarpi, con l’intenzione di diventare capitano di lungo corso, ma non terminerà mai gli studi. Nel 1881 torna a Verona e comincia a lavorare presso il giornale locale La Nuova Arena, scrivendo racconti che vengono pubblicati a puntate. Nel 1883 diventa redattore del giornale e due anni dopo è redattore del quotidiano L’Arena. Nel 1887 muore la madre e nel 1889 il padre, convinto di essere un malato incurabile, si suicida. Nel 1888, su La Nuova Arena viene pubblicata la prima puntata de “La tigre della Malesia” che sancisce la nascita di Sandokan, forse il personaggio più popolare di Salgàri. Nel 1892 Emilio si sposa con Ida Peruzzi, un’attrice di teatro e, dopo la nascita della prima bambina, Fatima, con la famiglia si trasferisce in Piemonte, dove l’editore Speirani gli ha offerto un contratto. I Salgàri si stabiliscono prima ad Ivrea, poi nei dintorni e nel 1894 si spostano a Genova, su consiglio dell’editore Donath. E’ a Genova che Emilio scrive Il Corsaro Nero e che stringe amicizia con Gamba, uno dei primi illustratori dei suoi libri. Nel 1900 si stabilisce definitivamente a Torino, in corso Casale. Intanto scrive, scrive, scrive. In questo periodo produce la maggior parte dei suoi libri ma dal suo lavoro non ricava quanto basta a garantire una vita dignitosa a lui e alla sua famiglia che nel frattempo si è ingrandita con la nascita di Omar, Nadir e Romero. Oppresso dai debiti, Emilio è costretto a scrivere per ben tre diversi editori (Speirani, Donath e Bemporad) e vincolato dai contratti deve produrre tre libri all’anno. Sotto stress per la mole di lavoro, oltre a scrivere, deve fare ricerche e documentarsi per raccontare le sue storie che si svolgono comunque in contesti storici e geografici precisi, Emilio comincia a fumare tantissimo e a bere. La stanchezza fisica, i debiti accumulati anche per le spese che deve sostenere per le cure della moglie, tormentata da una malattia mentale che va via via aggravandosi sempre più, e la scarsa gratificazione che i suoi lavori gli procurano cominciano a minare il suo equilibrio in maniera sempre più evidente. I suoi libri sono amati dal pubblico, soprattutto dai giovani, ma non trovano riscontro a livello accademico ed Emilio resta uno “scrittore di romanzi d’appendice”.
Sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno e alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere, si lamenta Emilio. Quando nel 1911 la moglie viene ricoverata in manicomio, Emilio ha un crollo definitivo. La mattina del 25 aprile 1911 si suicida. Lascia tre lettere: una per i figli in cui spiega loro dove troveranno il suo corpo, una ai direttori dei giornali e una agli editori, un atto d’accusa contro coloro che hanno sfruttato all’osso le sue capacità senza dargli in cambio nemmeno di che vivere dignitosamente. La lettera termina con la sua famosa frase d’addio “Vi saluto spezzando la penna”. Si racconta che al suo funerale abbiano partecipato ben poche personalità ma tanta gente comune, soprattutto giovani, che avevano amato le storie romantiche ed epiche che Emilio aveva saputo raccontare, quando dalle sue pagine scritte si creava virtualmente l’immagine del mare in tempesta: Le onde, alte come montagne, correvano da levante a ponente, rovesciandosi le une addosso alle altre con cupi muggiti e con scrosci formidabili, schizzando in alto cortine di spuma fosforescente. S'alzavano tumultuosamente, come se subissero una spinta immensa dal basso in alto, poi tornavano a scendere, scavando dei baratri così immensi, che pareva dovessero toccare il fondo del Golfo. L’unico onore ricevuto in vita da Emilio è la nomina a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, nel 1897, su proposta della regina d’Italia Margherita di Savoia. Sono numerosi i film che, dal novecento ai giorni nostri, hanno ripreso le vicende di Sandokan e del Corsaro Nero. Nel 1976, in particolare, la serie televisiva “Sandokan”, del regista Sergio Sollima, con Kabir Bedi e Carole Andrè come protagonisti, ha regalato una nuova enorme popolarità ai pirati della Malesia. Nel 1995 il pianista e compositore Ludovico Einaudi, incide un album intitolato “Salgàri”. Nel 2011, per il centenario della morte di Emilio Salgari, gli viene dedicato un francobollo.
LUGLIO 2018 Luoghi astrologici
Già in altre puntate abbiamo presentato luoghi del mondo, vicini e lontani, in cui, più o meno inaspettatamente, compare lo Zodiaco. Ora dipinti, ora scolpiti, ora incastonati, ora su una torre, ora su un soffitto, ora nella pavimentazione i dodici Segni sono riproposti infinite volte. È interessante notare come il numero di questi luoghi astrologici, come ci è piaciuto chiamarli, sia veramente elevato, come se ne scoprano sempre di nuovi e come ogni volta lo Zodiaco sappia trasmettere il suo messaggio speciale: il legame di ogni essere con il cielo e la meraviglia della danza degli astri che si ripete ogni anno con infinite variazioni. Questa volta proponiamo una serie di luoghi europei oltralpe accompagnandovi in un viaggio che, magari, potrete ripetere nella realtà, durante il periodo della bella stagione, sotto il cielo estivo. Cominciamo dalla Francia e più precisamente da Lione. La Cattedrale di questa città, intitolata a Saint Jean Baptiste e Saint Étienne è considerata, dal 1862, Monumento storico di Francia. Lo Zodiaco compare sia sul rosone di una delle sue vetrate, sia nel grande orologio astronomico, alto ben 9 metri. L’orologio, costruito nel 1389, ristrutturato dopo i danni subiti nel XVI secolo a causa del fanatismo del barone de Adrets, conserva ancora il meccanismo originale. L’orologio misura i giorni, i mesi, gli anni (fino al 2019), le fasi lunari e il sorgere delle stelle all'orizzonte di Lione. Sopra il quadrante, una serie di 19 automi si mette in movimento alle ore prestabilite, al suono di una campana.
Rouen, sempre in Francia, è definita la città dei cento campanili ed è nota per essere stata teatro del martirio di Giovanna d'Arco. È una città antica, caratterizzata da strade lastricate e chiese gotiche. Place Général de Gaulle è la piazza del municipio. La sua parte orientale, ristrutturata negli anni '80 dall’architetto Louis Arretche, è stata trasformata in una piazza pedonale ellittica. Sulla pavimentazione compaiono i dodici Segni dello Zodiaco. In Belgio, a Bruxelles ecco la Casa dello Zodiaco. Con le sue belle decorazioni dorate, si trova nel centro storico della città, affacciata sulla Grand Place. La Grand Place, definita da Victor Hugo una delle più belle piazze al mondo, è contornata da bellissimi edifici che le conferiscono una particolare atmosfera. Sembra un grande salotto e viene utilizzata come luogo ideale per mostre, concerti, eventi. L’Unesco l’ha dichiarata Patrimonio dell’Umanità. In Germania a Lubecca, visitiamo la Marienkirche (Chiesa di Santa Maria). Costruita fra il 1250 e il 1350, nel Medio Evo, era il simbolo della grandezza e prosperità della città. Terza tra le chiese tedesche per dimensioni, ha la più alta volta in mattoni del mondo e si trova nel punto più alto della città vecchia. Ha avuto un riconoscimento dall'UNESCO come edificio particolarmente significativo. È stata a lungo un modello per l'architettura in mattoni della Germania del Nord e la sua forma ha ispirato altre circa 70 chiese della regione baltica. Bellissimo lo Zodiaco su fondo azzurro del suo orologio astronomico.
Restiamo in Germania e ci spostiamo a Friburgo, nella sua Cattedrale, la Münster Unserer Lieben Frau. Costruita in un arco di tempo di circa 350 anni, dal 1200 alla metà del 1500, conserva al suo interno importanti opere d’arte medievale. La cattedrale ha una torre campanaria alta 116 metri. Proprio sul lato anteriore di questo campanile possiamo ammirare un grande orologio con i Segni dello Zodiaco. Sempre in Germania, più precisamente nel sud-ovest della Baviera, troviamo il castello di Linderhof, il più piccolo dei tre palazzi fatti costruire dal re Ludovico II di Baviera e l'unico che ha potuto vedere ultimato. Ispirato alla reggia di Versailles, voleva riprodurne il fasto e la simbologia. Ludovico aveva scelto questo luogo per costruire il suo castello anche per la vicinanza con l’Abbazia di Ettal, costruzione medievale, che interpretava come la stanza in cui era conservato il Sacro Graal. In alto, sopra la facciata del castello, svetta la statua di Atlante che regge il globo terrestre contornato dalla cintura dello Zodiaco. Ancora in Germania, in Bassa Sassonia, a Braunschweig, nella Chiesa Evangelica St. Ulrici-Brüdern, troviamo un orologio contornato dai Segni dello Zodiaco. A lato figure simboliche sottolineano l’inevitabile passare del tempo. La Brüdernkirche era, in origine, una chiesa francescana, al centro di un complesso monastico solo parzialmente conservato.
È in Germania anche il villaggio-museo di Volksdorf, alla periferia di Amburgo. Il villaggio è costituito da oltre 30 edifici storici situati su dodici ettari di terreno. Fattorie, fienili e giardini con architetture e arredamenti del tempo, mostrano la vita delle zone rurali tedesche dal 1600 fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. E nel villaggio c’è una meridiana con Zodiaco. Torniamo in Francia a Vienne. La sua Cattedrale dedicata a Saint Maurice, è edificata su un luogo elevato, considerato sacro sin dai tempi più antichi e per visitarla bisogna salire un'imponente gradinata. Sulla porta del lato nord si può ammirare un fregio con i Segni Zodiacali, caratterizzato da elementi paleocristiani o forse anche più antichi. In Belgio, nelle Fiandre, nel centro di Ostenda possiamo trovare un orologio con i Segni dello Zodiaco, mentre in Svizzera a Coira, capoluogo del Cantone dei Grigioni, considerata il più antico agglomerato elvetico, c’è una fontana zodiacale. La fontana Martins, del 1716, si trova nel centro storico, sulla Martinsplatz, davanti alla torre della chiesa di San Martino. Ora ci spostiamo a Nord, in Gran Bretagna, e più precisamente a Londra, per ammirare uno Zodiaco all’interno del Palazzo del Foreign and Commonwealth Office. Nel palazzo, il soffitto al di sopra del grandioso scalone progettato da George Gilbert Scott, uno dei maggiori promotori dell'architettura neogotica, è decorato con un rosone in cui compare lo Zodiaco. Sempre a Londra, nel British Museum, c’è un orologio zodiacale. Il British Museum, fondato nel 1753 dal medico e scienziato Sir Hans Sloane, con i suoi circa 8 milioni di oggetti che testimoniano la storia e la cultura materiale dell'umanità dalle origini ad oggi, è considerato uno dei più grandi e importanti musei di storia del mondo. Infine Hampton Court Palace, uno dei palazzi più straordinari di Londra. Sorge nel distretto londinese di Richmond, proprio sul Tamigi. Al suo esterno ci sono bellissimi giardini, al suo interno sono conservate opere d’arte di grande pregio e tra queste un orologio astronomico del XVI secolo.
Un personaggio del Cancro: Antoni Gaudì
Il grande libro, sempre aperto e che dobbiamo sforzarci di leggere, è quello della Natura. Chi visita Barcellona non può non restare colpito dalle opere di Antoni Gaudì che danno un’impronta particolare alla città catalana. Materiali come la pietra e il metallo assumono forme insolite, si curvano imitando elementi naturali, si ornano di mosaici e piastrelle dai colori vivaci che richiamano il sole e il mare. Antoni Gaudì è considerato il massimo esponente del modernismo catalano ma la sua interpretazione di questo filone artistico è del tutto originale. Gaudì infatti contamina il modernismo con altri stili, dal neogotico all’arte orientale, a spunti assolutamente personali. Gli stili vengono poi mescolati e reinventati, il gotico ad esempio diventa un gotico pieno di luce… per metà marittimo, per metà continentale, le suggestioni formali e cromatiche dell’arte orientale vengono riproposte con l’uso di materiali inediti e il risultato è qualcosa di unico nel suo genere. Gaudì è considerato anche l’anticipatore dell’espressionismo e del surrealismo. Architetto straordinario, definito da Le Corbusier plasmatore della pietra, del laterizio e del ferro ha lavorato soprattutto a Bercellona. Ben sette delle sue opere, nel 1984, sono state inserite dall’UNESCO nell’elenco dei patrimoni dell’umanità. I lavori di Gaudì colpiscono per l’originalità geniale, per il colore, per l’anima che sembrano racchiudere e ci parlano di questo artista dal carattere brusco e mutevole, innamorato della natura e pervaso da un forte misticismo. Del suo Segno natale, il Cancro, interpreta la complessità del mondo interiore, il sogno, la sensibilità e l’immaginazione. Usiamo il termine immaginazione e non fantasia per rispettare il suo pensiero. Io ho immaginazione, non fantasia - diceva di sé - La fantasia viene dai fantasmi. La fantasia è del popolo del Nord. Noi siamo concreti. L'immaginazione è del Mediterraneo. Oreste sa dove sta andando, mentre Amleto vaga perso tra i dubbi.
Antoni Gaudì nasce il 25 giugno 1852 a Reus città situata sulla Costa Daurada a 10 km da Tarragona. Figlio e discendente di calderai, per sua stessa ammissione, riceve in eredità la speciale capacità di immaginare le forme nello spazio: io posseggo questa qualità di vedere lo spazio perché sono figlio, nipote e pronipote di calderai… Tutte queste generazioni hanno definito la mia preparazione. Il calderaio è colui che da una lastra piana compone un volume e, prima di iniziare il suo lavoro, lo ha già concepito nello spazio. Antoni è un bambino dalla salute delicata e dal carattere schivo, estremamente sensibile e a volte geniale nelle sue esternazioni. È un osservatore attento di quanto avviene intorno a lui, attratto soprattutto dalla natura e dai suoi elementi. Tutta la sua opera nasce proprio da questa osservazione attenta della natura, dalle sue forme e dall’insegnamento che da essa affiora. Dirà in seguito: Volete sapere dove ho trovato la mia ispirazione? In un albero; l'albero sostiene i grossi rami, questi i rami più piccoli e i rametti sostengono le foglie. E ogni singola parte cresce armoniosa, magnifica. E ancora: Occorre combinare gli elementi sporgenti con quelli rientranti, in modo che a ciascun elemento convesso, cioè situato in luce piena, ne venga opposto uno concavo, ossia un'ombra. Come studente viene descritto come un po’ svogliato e un po’ brillante, poco amante degli schematismi accademici, capace di dare ai suoi lavori un’anima che li rende speciali. Afferma: Per fare bene le cose occorre prima l'amore, poi la tecnica.
La giovinezza è per Antoni un periodo molto pieno, di studi, esperienze ed anche vita sociale. Il ragazzino solitario si trasforma in un vero e proprio dandy, con abiti eleganti, il viso ornato da una barba ben curata, il fascino dei suoi occhi azzurri e dei capelli biondo rame. Ama la buona cucina e la vita mondana ma anche l’impegno sociale e intellettuale. Conclude gli studi di architettura nel 1878. La sua carriera di architetto inizia con un incarico relativamente modesto: la progettazione di alcuni lampioni per la Plaça Reial di Barcellona. Antoni risponde brillantemente alla commissione progettando delle originali strutture a sei bracci, combinando in modo nuovo due materiali: la pietra e la ghisa. Un incontro veramente significativo per il suo futuro è quello con Eusebi Güell, industriale, appassionato d’arte e aderente alla Renaixenḉa catalana, un movimento independentista che propugna il recupero della lingua e della cultura catalana. Tra i due nasce un rapporto di amicizia e di reciproca stima. Grazie al mecenatismo di Güell, Antoni potrà produrre alcune tra le sue opere più famose e spettacolari, quali la Torre Bellesguard, Park Güell, il restauro della Cattedrale di Maiorca, Casa Batlló, La Pedrera e la Sagrada Familia. Quest’ultimo è uno dei monumenti più famosi di Barcellona, progettato come una sorta di poema mistico in pietra, ricco di simboli e con una forma incredibile che ricorda quasi un gigantesco castello di sabbia o un insieme di stalagmiti. Rimasta incompiuta, la Sagrada Familia segnerà anche un cambiamento nel modo di essere di Antoni. Con il sopraggiungere della maturità infatti continua a produrre opere eccezionali ma pian piano si allontana sempre di più dalla vita mondana seguendo un percorso che lo porta verso il misticismo e la religiosità. Lui che aveva amato l’eleganza e la socialità comincia a vivere in modo sempre più frugale, fino a trascurare completamente il suo aspetto, a vestire quasi come un vagabondo. Qualcuno fa risalire l’inizio di questo progressivo allontanamento dal mondo all’amore non corrisposto per Pepeta Moreu. Fatto sta che Antoni dedica la sua vita all’arte e alla sua anima mistica. La sua vita si conclude tragicamente e inaspettatamente la sera del 7 giugno quando il primo tram di Barcellona, inaugurato proprio quel giorno, lo investe. Nessuno in quel povero vecchio straccione vede il grande architetto Gaudì, che così viene trasportato all’ospedale dei poveri dove morirà, qualche giorno dopo. Quando qualcuno finalmente lo riconosce e gli propone di trasportarlo in una clinica privata lui declina l’offerta preferendo restare tra la gente semplice, per quel senso di appartenenza alla vita che gli faceva sentire che non c’è nulla di male nell’essere piccoli, lo sono anche i fiori e le stelle.
GIUGNO 2018 Lo Zodiaco contro la caccia
Il tema della caccia con tutte le sue implicazioni etiche, ecologiche e di sicurezza è al centro di un dibattito molto sentito e partecipato. La caccia infatti non riguarda soltanto i cacciatori e gli animali che sono coinvolti direttamente in questa pratica crudele, ma anche tutti coloro che ne subiscono danni, coinvolti loro malgrado in quelli che vengono definiti “incidenti di caccia”. Proprio in questi giorni, a Torino, è in discussione in Consiglio Regionale, il disegno di Legge che regolamenterà l’attività venatoria sul territorio piemontese. Le Associazioni animaliste sono state ricevute dall’Assessore regionale all’Agricoltura, Caccia e Pesca e hanno chiesto, come primo passo verso un’abolizione completa, la sospensione della caccia nelle domeniche e nei giorni festivi, quando gli incidenti risultano più numerosi, perché i boschi sono più frequentati dalla gente normale che ci va a passeggiare o a cercare funghi, correndo il rischio di essere colpita da una fucilata. Nell’incontro SOS Gaia ha consegnato le 3200 firme della petizione popolare “No alla caccia la domenica e nei giorni festivi”, raccolte in pochi giorni e un dossier sulle vittime della caccia nell’ultima stagione. Il Consiglio regionale, ha sancito il divieto di caccia per le domeniche del il mese di settembre. Un provvedimento limitato ma un primo importante passo sulla strada del cambiamento. La storiella del cacciatore amante della natura e nobilitato da un ruolo utile nel contenimento della fauna selvatica è sempre meno credibile e risulta invece sempre più evidente che uccidere degli esseri per il gusto di farlo, anche se ancora la legge lo consente, è una pratica eticamente insostenibile, che evidenzia la drammaticità della condizione degli animali, esseri senzienti e degni di rispetto che invece sono trattati come oggetti. Del resto la loro condizione è l’aspetto più drammatico ed evidente di ciò che accade in questo mondo violento in cui anche gli esseri umani sono usati, sfruttati e coinvolti in giochi di sopraffazione e guerra che non li riguardano, da coloro che hanno abbracciato la logica del potere ad ogni costo, incuranti che questo possa comportare sofferenza e morte. Eppure, guardando le stelle nell’immensità del cielo notturno e percependo la nostra condizione di viaggiatori dello spazio su questa piccola astronave azzurra chiamata Terra, non possiamo ignorare la straordinarietà della nostra condizione di viventi, la fratellanza con tutte le altre forme di vita, il diritto di tutti a cercare la felicità, nel Mistero che tutti ci accomuna. E lo Zodiaco, figlio di tradizioni antiche, immagine del legame tra il cielo ed ogni vivente, in questa puntata di AstroMatta farà da filo conduttore alle parole pronunciate o scritte da molti personaggi famosi, proprio contro la caccia, pratica che niente ha a che fare con l’umanità, quel misto di altruismo, solidarietà e tolleranza che si ritiene proprio del genere umano.
GEMELLI Se percepiamo la precaria bellezza della nostra vita, che senso ha toglierla a qualcun altro?
La caccia [...] è un fenomeno in chiara flessione: ai giovani non interessa, si sono resi conto che non può essere uno sport e che allevare un fagiano, metterlo in un campo e sparargli è un'idiozia, oltre che una crudeltà. Le leggi sulla caccia sono però ancora intatte, sicuramente arretrate rispetto alla sensibilità più diffusa. Succede perché i politici sovrastimano la forza elettorale dei cacciatori. Li considerano una lobby in grado di muovere molti voti, ma non è più così, se mai lo è stato. Facciamo forse tutti parte di un grande mistero: non siamo nati per la volontà di Dio, siamo nati, come gli animali, per una volontà superiore – qualcuno la vuole chiamare Dio, ma la si può chiamare “il Mistero”. È una religiosità che è dentro di noi, che ci fa capire di essere nelle mani di qualcosa di superiore, di qualcosa di straordinario. Non possiamo separarci dagli animali, considerare gli animali così diversi da noi da poter essere torturati e mangiati. Dobbiamo stimolare tutti a pensare questa cosa, pensare che gli animali fanno parte del nostro essere, del nostro vivere, sono come noi, hanno gli stessi sentimenti, hanno i loro affetti proprio come noi. È possibile che non si risvegli mai un sentimento che dica: “No, io non ti posso tradire, non posso ucciderti per mangiarti”? Elio Fiorucci (10 giugno 1935) stilista e artista.
CANCRO Chi sa guardare nel profondo del suo essere può cambiare il suo futuro
Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati da fatica o malattia, questa è la più bella virtù del forte verso il debole. Giuseppe Garibaldi (22 luglio 1807), l’eroe dei due mondi, che era stato anche cacciatore, con il tempo e con il contatto con la natura che visse all’isola di Caprera, in cui si era ritirato, diventò sempre più vegetariano e arrivò a considerare che gli animali e anche le piante avessero un’anima e che fossero degni di rispetto. La caccia era una cosa del tutto naturale in casa mia. Io andavo a caccia con mio padre. Sparavo benissimo… Trent’anni fa a Dubrovnik, in Jugoslavia, con mio marito, cacciavamo la lepre. Per me era la prima volta. Non avevo sparato mai alla lepre. Io sparavo solo alla penna. Sentii un fruscio, sparai d’istinto senza quasi imbracciare. Credevo fosse una lepre… Era un coniglietto, un piccolo coniglietto. Mi morì mentre lo stringevo in petto. E io sono morta con lui. Non ho potuto più sparare un colpo da quel giorno. Lea Massari (30 giugno 1933) attrice e sceneggiatrice
LEONE Riflettere su quanto è accaduto e accade porta a utili considerazioni
Quando un uomo vuole uccidere una tigre, lo chiama sport; quando una tigre vuole uccidere lui, la chiama ferocia. George Bernard Shaw (26 luglio 1856) scrittore, Premio Nobel, drammaturgo, linguista e critico musicale irlandese Si può essere contrari alla caccia, ma − per coerenza − bisogna anche battersi contro la pesca: perché il merluzzo impigliato nella rete o la trota con un amo in bocca non sono più allegri del coniglio che aspetta la botta sul collo. Enzo Biagi (9 agosto 1920) giornalista e conduttore televisivo
VERGINE Come si può rinnegare il principio di fratellanza che la natura stessa esprime?
È poco probabile che fra i cacciatori se ne trovi uno che non provi, almeno per una volta, un principio di pietà per una delle sue vittime, ma che pure ogni volta non cerchi di respingere un tal sentimento considerandolo come una debolezza. Ed è così che è schiacciato il bocciolo appena schiuso della pietà, da cui potrebbe germogliare e fiorire quel sentimento più elevato e più perfetto, che è l'amore. In questo costante suicidio morale è il male supremo della caccia. Lev Tolstoj (9 settembre 1828) scrittore, filosofo ed educatore russo
Quando si spendono forti somme per divertirsi a sparare a un povero animale, ossia quando, per uccidere la propria noia, si ricorre all'uccisione di altri esseri viventi, allora la condanna morale dev'essere inesorabile. Anacleto Verrecchia (15 settembre 1926) filosofo e giornalista
BILANCIA Nuovi equilibri stanno nascendo e ciò che prima era considerato accettabile o addirittura giusto non lo sarà più
La caccia e la boxe appartengano alla macelleria, non allo sport.
Mai come nella nostra epoca sono state messe in discussione le tre fonti principali di disuguaglianza: la classe, la razza ed il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società familiare e poi nella più grande società civile e politica è uno dei segni più certi dell'inarrestabile cammino del genere umano verso l'eguaglianza. E che dire del nuovo atteggiamento verso gli animali? Dibattiti sempre più frequenti ed estesi, riguardanti la liceità della caccia, i limiti della vivisezione, la protezione di specie animali diventate sempre più rare, il vegetarianesimo, che cosa rappresentano se non avvisaglie di una possibile estensione del principio di eguaglianza al di là addirittura dei confini del genere umano, un'estensione fondata sulla consapevolezza che gli animali sono eguali a noi uomini, per lo meno nella capacità di soffrire? Si capisce che per cogliere il senso di questo grandioso movimento storico occorre alzare la testa dalle schermaglie quotidiane e guardare più in alto e più lontano.
SCORPIONE Nella caccia è implicito un tradimento Caccia inutile Er vecchio cacciatore co' lo schioppo Come lo chiameremo un cacciatore che spara su quer povero piumino? Trilussa (26 ottobre 1871) poeta, scrittore e giornalista Non ci sarà giustizia fino a che un uomo brandirà un coltello o un'arma per distruggere coloro che sono più deboli di lui. Isaac Singer (21 novembre 1902) scrittore polacco, Premio Nobel SAGITTARIO Perché accettare i limiti della cultura in cui si è nati?
Mio papà ai conigli non dava mai la caccia, li invitava a giocare a carte. Snoopy, personaggio di Charles Schulz (26 novembre 1922) autore di fumetti americano Personalmente sono a favore dell'abolizione totale della caccia per questione di principio: sono un non violento e un pacifista e non posso concepire che uccidere esseri viventi ignari e indifesi possa essere definito un divertimento o addirittura uno sport. Sono un animalista convinto: sono vegetariano per motivi etici e mi batto da sempre per il rispetto della vita degli animali nell'ambito della ricerca scientifica e dell'utilizzo per l'alimentazione umana. Umberto Veronesi (28 novembre 1925) medico e uomo politico
CAPRICORNO Ci vogliono determinazione e chiarezza per costruire un mondo migliore
Gli uomini arriveranno veramente a non uccidersi tra di loro, quando arriveranno a non uccidere più gli animali. Aldo Capitini (23 dicembre 1899) filosofo, politico, poeta ed educatore La caccia è davvero uno sport se tu disponi di tutto l'equipaggiamento e il tuo avversario non sa a che gioco sta giocando? Bill Maher (20 gennaio 1956) comico, attore, opinionista, scrittore, conduttore e autore televisivo statunitense
ACQUARIO Relativizzando la visione del mondo che viene proposta dalla cultura maggioritaria gli eventi assumono un significato diverso
Ogni volta che vedo la fotografia di un cacciatore che sorride sopra la sua vittima, resto sempre impressionato dalla schiacciante superiorità morale ed estetica dell'animale morto rispetto a quello vivente. Edward Abbey (29 gennaio 1927) scrittore statunitense
La caccia è una forma collaterale della pazzia umana. Theodor Heuss (31 gennaio 1884) 1º presidente della Repubblica Federale Tedesca
PESCI Dal profondo dell’animo nascono sensibilità e ispirazione Osservare i dolori degli altri mi dà un senso materiale di angoscia e la mia sensibilità finisce spesso per far propria la sensazione altrui. Non ho mai potuto assistere, senza provarne sofferenza fisica, all’inseguimento e all’uccisione di una bestia innocente che è senza difesa alcuna e dalla quale, da parte nostra, non abbiamo ricevuto alcuna offesa. Michel de Montaigne (28 febbraio 1533) filosofo, scrittore e politico francese In cosa potrebbe sfociare questo bisogno atavico di scaricare la violenza puntando un fucile verso un obiettivo vivo e sparare? Se non andassero a caccia, questi uomini, cosa farebbero? Che la caccia sia un antidoto a forme di violenza che potrebbero ripercuotersi su mogli, figli, colleghi di lavoro? Che i cacciatori amino la natura (come qualcuno di loro dice) è la cosa più assurda che abbia mai sentito. Oliviero Toscani (28 febbraio 1942) fotografo e politico ARIETE Per cambiare le cose bisogna guardare in faccia la realtà
Se si vuol scusare la caccia colle passeggiate, specialmente alpine, che la caccia provoca e giovano alla salute, le passeggiate si possono fare egualmente anche senza fucile, e se si vuol scusarle come un mezzo di apprendere a colpire al segno, vi sono bersagli inanimati da tutte le parti, senza abbattere gli innocenti augellini e le timide lepri. Carlo Dossi (27 marzo 1849) scrittore, diplomatico e archeologo La caccia è sempre stato il passatempo preferito degli uomini di guerra in tempo di pace, vale a dire nei periodi più o meno brevi in cui la caccia all'uomo non è aperta. Claude Duneton (21 aprile 1935) Scrittore e storico del linguaggio francese
TORO Perché non fidarsi di quello che il cuore suggerisce? Il ragno si fa bello perché ha preso una mosca; qualcuno perché ha preso una lepre; un altro, una sardella con la rete adatta; un altro, un cinghiale; un altro, un orso; un altro, dei sàrmati. Non si tratta pur sempre d’assassini, se fai attenta indagine su quello che ne muove il pensiero? Aveva smesso di cacciare stambecchi, era successo questo. Aveva sparato a un esemplare nella nebbia senza accorgersi che era femmina e senza vedere il piccolo vicino. La bestia colpita aveva cercato di tenersi aggrappata alla roccia piantando le zampe incerte, poi era caduta indietro, un salto in giù di buoni venti metri. Il piccolo senza incertezza era saltato nel vuoto della nebbia dietro la madre, ricadendo in piedi. La madre era rotolata di nuovo e precipitata, un salto anche più grande e il piccolo le era ancora volato dietro. Quando l’uomo raggiunse l’animale ucciso il piccolo era lì, un po’ storto sulle zampe, gli occhi grandi calmi desolati. Erri De Luca (20 maggio 1950) giornalista, scrittore e poeta
Riflettere sul significato della caccia, su che cosa implichi questa pratica può portare lontano. Per chi è interessato ad approfondire le possibilità di un rapporto alla pari con gli animali consigliamo di leggere TUTTI FIGLI DI MADRE TERRA di Nattero-Barbadoro. Gli animali che accompagnano la nostra vita sono creature discrete che fanno un pezzo di strada con noi, si affiancano a noi, e poi discretamente se ne vanno. Ma in quel breve tragitto ci danno molto, e non solo in termini di affetto o gratificazione…
Rosalba Nattero, Giancarlo Barbadoro. Tutti figli di Madre Terra: L’Ecospiritualità nel rapporto con gli animali.
Un personaggio dei Gemelli: Wallis Simpson
La caccia sportiva è un crimine. Le mie simpatie vanno alla volpe.
Non è facile parlare di Wallis Simpson, duchessa di Windsor, uno dei personaggi più discussi del secolo scorso. Per lei Edoardo rinuncia al trono d’Inghilterra, ma Wallis non ha l’aspetto di una Cenerentola che sposa il principe azzurro. Non ha la bellezza innocente delle eroine che attirano la simpatia dei più, è troppo magra, troppo elegante, troppo amate del lusso, dei gioielli e della vita mondana, troppo diversa dall’immagine di moglie e madre che l’iconografia ufficiale richiede. In più forse nutre anche qualche propensione per il nazismo o per lo meno per alcuni suoi personaggi di spicco.
Chi era davvero Wallis? Un’abile arrampicatrice sociale, una ragazza intelligente e ambiziosa, un’anticonformista coraggiosa, una donna affascinante in fuga da situazioni difficili, una spia come sostiene qualcuno o un complesso miscuglio di più aspetti? Nata il 19 giugno del 1896 sotto il Segno dei Gemelli non c’è da stupirsi che la sua figura appaia mutevole, poliedrica e dotata di fascino, tanto da far innamorare l’erede al trono di una delle più potenti monarchie d’Europa. Bessie Wallis Warfield, la futura Wallis Simpson, nasce nel 1896 a Blue Ridge Summit, in Pennsylvania. I suoi genitori si sono sposati senza il consenso delle rispettive facoltose famiglie e quindi vivono in condizioni piuttosto modeste. Quando Wallis ha solo cinque mesi suo padre muore, così lei e la madre finiscono col dipendere quasi completamente dalle donazioni dei nonni. A pagare gli studi di Wallis ci pensa uno zio, ma in lei resta sempre la sensazione della precarietà economica, unita ad un'insicurezza per il suo aspetto fisico. Trova le sue mani troppo grandi, la sua mascella troppo forte ed è certa di non attirare gli sguardi dei ragazzi, per questo decide di distinguersi per sua eleganza e il suo stile.
Si sposa la prima volta a vent’anni, con un affascinante pilota, Earl Winfield Spencer, che si dimostra però ben presto alcolizzato e violento. Wallis sceglie il divorzio, esperienza non così facile da affrontare negli anni venti. Dopo un’altra storia d’amore infelice sposa Ernest Simpson, che spera rappresenti per lei la sicurezza economica e affettiva. I due sono molto diversi tra loro, lui innamorato della cultura e dell’architettura e lei della moda e delle feste e quando il crollo della borsa di New York mette in crisi le finanze di Ernest anche il loro rapporto diventa instabile. E’ a questo punto che Wallis conosce il principe Edoardo suscitando la sua attenzione, il suo interesse e poi il suo amore. Wallis divorzia per la seconda volta. Il principe è deciso a sposarla ma la costituzione inglese non permette ad una donna divorziata di salire al trono e quindi si tratta di scegliere: o il trono d’Inghilterra o Wallis. Edoardo sceglie di vivere con Wallis, lascia il titolo di Principe di Galles e diventa Duca di Windsor. Da quel momento non potrà tornare in Gran Bretagna senza il permesso del fratello. Certo si tratta di un esilio dorato perché la coppia sceglie come abitazione una magnifica villa nel Bois-de-Bologne, alla periferia di Parigi e partecipa alla vita sociale internazionale dei ricchi e dei nobili, che trascorre tra feste, shopping e viaggi. La villa resterà la dimora di Wallis anche dopo la morte del Duca, nel 1972. Wallis però non passerà una vecchiaia serena. Sola e malata si spegnerà nel 1986. La sua vera anima resta però misteriosa. Da un lato c’è chi sostiene che a Londra avesse stretto un legame d’amicizia con l'ambasciatore nazista, che fosse coinvolta in un traffico internazionale di armi, che sotto la sua influenza Edoardo stesse avvicinandosi a Hitler e pensando ad una possibile alleanza con il Terzo Reich. Dall’altro c’è chi non nasconde le sue simpatie per questa ragazza ambiziosa ma affascinante e capace di far innamorare un principe. Un punto a suo favore comunque, secondo noi, lo segna, lei che frequentava la nobiltà inglese, così appassionata di caccia alla volpe, quando afferma: La caccia sportiva è un crimine. Le mie simpatie vanno alla volpe.
MAGGIO 2018 Il gusto di mangiar bene senza far male a nessuno
Una vita armonica deve tener conto anche dell’alimentazione. Il cibo che consumiamo ogni giorno può essere un veicolo di sofferenza o di armonia. Si può essere vegan senza difficoltà assaporando piatti gustosi? Sì, si può. Questo produrrà un cambiamento in meglio nella nostra vita, ma soprattutto non ci renderà complici della sofferenza e della morte di esseri senzienti. Così si presenta Ecospiritualità a tavola il libro di cui vogliamo parlarvi nella puntata di maggio, mese del Toro, tradizionalmente il Segno dei golosi. Ecospiritualità a tavola è una raccolta di ottime ricette ma non solo, perché partendo dal cibo, una necessità per tutti noi ma spesso anche un piacere e qualche volta un problema, si parla della vita, del rapporto con Madre Terra e con tutti i suoi abitanti. Il libro, curato da Rosalba Nattero, che ha accettato di rispondere alle nostre domande, come vedrete nell’intervista qui di seguito, affronta in modo originale e pratico un tema di grande attualità: è davvero così indispensabile mangiare carne e derivati animali, condannando altri esseri alla sofferenza e alla morte? Se si aprono gli occhi è impossibile non vedere un mondo assurdo, inconcepibile, attraversato da vibrazioni di sofferenza che permeano tutto il pianeta. È impossibile tollerare che miliardi (miliardi!) di nostri simili dotati come noi di intelligenza e consapevolezza, siano non solo massacrati e torturati, ma allevati e fabbricati apposta per questo? Rifiutarsi di partecipare a questo orrore è un atto dovuto, un primo passo concreto verso un mondo nuovo, basato sul principio di fratellanza riconosciuto a tutti gli abitanti di questo pianeta. È una liberazione dall’ottusità e dall’attaccamento agli istinti più bassi, senza peraltro rinunciare al piacere del cibo e di condividerlo nelle occasioni di festa e allegria. E c’entra questo con l’astrologia? Come no! Visto che ogni Segno dello Zodiaco ha un modo tutto suo di sedersi a tavola o di preparare piatti che ritiene appetitosi, abbiamo chiesto a dodici amici, che hanno scelto di mangiare senza produrre sofferenza, di raccontarci qual è il piatto che gli piace cucinare. Molti di loro hanno dichiarato la soddisfazione che provano nell’inventare nuove ricette e nello scoprire nuovi abbinamenti, alcuni hanno proposto piatti tradizionali, tutti hanno risposto con il piacere di condividere i loro segreti da chef e ne è venuto fuori un buffet colorato vario e appetitoso. TORO LL: Il mio amore sono gli spaghetti aglio, olio e peperoncino. Il mio segreto come cuoco è quello di farmeli cucinare da chi sa farli bene, perché a me più che cucinarli piace mangiarli J Ebbene sì sono un Toro pigro e goloso J
GEMELLI PG: Diciamo che i piatti che preferisco cucinare sono quelli che faccio per la prima volta. Trovo che accende la fantasia utilizzare nuovi ingredienti e combinare diversamente quelli già utilizzati. È stato così ad esempio quando ho preparato il tempeh con verdure, dove ho dosato ingredienti nuovi e già usati per dargli un profumo e un gusto più esotico.
CANCRO FDL: Mi piace cucinare e spesso mi ritrovo a inventare io una ricetta più che seguirne una specifica. Mi piace sperimentare cose nuove e nuove ricette fatte da me, sia per i primi che per i secondi o i dolci... Forse i dolci sono quelli che preferisco fare, soprattutto le torte al cioccolato, perché mi permettono di spaziare di più nelle decorazioni. A me diverte molto creare delle decorazioni (piatti decorati, tavolate decorate ecc.) e il dolce si presta di più in questa cosa qua. LEONE DM: Mi piacciono molto i cereali come il bulgur, la quinoa, il miglio e affini. Mi piace cucinare la pasta cercando di preparare intingoli leggeri e gustosi, ma amo anche le minestre e i risotti, in particolare quello col radicchio. Come secondo uno dei miei preferiti è sicuramente il seitan fatto in varie maniere (con verdure, come scaloppine al marsala o anche solo con molta cipolla e sfumato col vino). Come dolci mi piacciono molto le torte fresche che abbinano pasta frolla o sfoglia con frutta fresca, creme o gelati. Del resto si vede che non sono un fuscello J VERGINE DA: In generale mi piace cucinare i dolci e il motivo penso sia legato al fatto che sono golosa J. In particolare il mio dolce preferito è il tiramisù, ma anche quelli con le mele mi ispirano. Devo dire che una volta non mi piaceva molto cucinare, da quando ho scoperto la cucina vegana invece provo molta soddisfazione nell'imparare e inventare nuove ricette.
BILANCIA RM: Muscolo di grano con patate e peperoni passati con un po' di aglio e peperoncino. Patate e peperoni vanno cucinati separatamente e solo all'ultimo passati in padella con il muscolo di grano. Mi piace soprattutto per il contrasto dei sapori. Eventualmente aggiungere un po' di sugo di pomodoro ma poco. SCORPIONE BB: Il mio piatto preferito è il tabulè. Per farlo uso 1 confezione di cous cous da 1/2 chilo, 5 limoni non trattati, 2 ciuffi di menta fresca abbondante, 7 cucchiai di olio di oliva, 1 peperone rosso, 1 peperone giallo, 1 peperone verde, 1/2 sedano, 5 ravanelli, 1 grappolo di pomodori datterini, 1 finocchio, 1 porro. Metto in una grande ciotola il cous cous, spremo il succo di 5 limoni, aggiungo i 5 cucchiai di olio e spezzetto le foglioline di menta. Mescolo accuratamente, copro con una pellicola e lascio riposare una notte fuori frigo. Il giorno successivo lavo tutta la verdura e la taglio a pezzettini il più piccolo possibile. Scopro la ciotola, aggiungo 2 cucchiai di olio e rimescolo molto bene. Aggiungo la verdura a pezzettini e mescolo finché non è tutto molto amalgamato. Lascio riposare per un paio d'ore in frigo. Rimescolo accuratamente, assaggio e valuto se aggiungere sale. Rimetto in frigo per due ore è poi servo. È un modo per gustare i prodotti della nostra terra, cibi sani e non trattati, con un tocco di alternativa marocchina. SAGITTARIO MM: Mi piace molto cucinare cose veloci che siano subito pronte da mangiare. Per questo uso molto la pentola a pressione per minestre, risotti e verdure stufate o a vapore, che mantengono così il loro gusto e tutte le loro proprietà. Mi piace sempre cambiare e inventare nuove ricette, aprendo il frigo e combinando gli alimenti con quello che ho in casa. Ultimamente mi sono specializzata in “torte rapide”, ad esempio la crostata con crema e frutta, che agli amici piace tantissimo. Naturalmente tutto vegan.
CAPRICORNO MPG: Mi piace cucinare le verdure e sono una “specialista” del minestrone. In primavera il mio minestrone ha le erbe del prato, in estate lo condisco con il pesto, in autunno ci metto i peperoni, in inverno lo faccio con il cavolo o i finocchi. Ottimi sono quelli con zucca e miglio o con patata e scarola. A volte aggiungo la pasta, a volte il riso, a volte lo lascio così, solo con le verdure. A volte lo passo in modo che diventi una crema morbida, a volte lo schiaccio solo un pochino in modo che risulti denso ma si sentano i pezzi. Così è sempre diverso e appetitoso. ACQUARIO GP: Il piatto che davvero mi piace cucinare è quello che non ho mai cucinato! Adoro aprire il frigo, guardare cosa c’è e chiedermi “cosa ci starebbe bene con questo?”. E poi, via…sperimentare a gogò! Il più delle volte il piatto rimane un “pezzo unico” perché non penso mai a segnarmi cosa ho fatto: è la soddisfazione di un attimo, la gioia sulla faccia di chi mangia con me e dice che gli piace moltissimo. Ma se proprio devo descrivere un piatto che ho fatto più volte, citerei il sugo olive e capperi, che adopero sia per la pasta sia per immergervi succulenti spezzatini di muscolo di grano o seitan o soia. Il sugo lo faccio assai semplicemente, con pomodori a pezzi in scatola, olio extra vergine di oliva, un pizzico di zucchero di canna, niente soffritti né cipolle o aglio, poi aggiungo olive rigorosamente taggiasche e capperi di Pantelleria, preventivamente un po’ dissalati. Qualche volta aggiungo degli odori, tipo origano o erba cipollina, ma uno solo ogni volta. Il sugo deve cuocere bene e diventare un po’ scuro. Di solito piace a tutti! Io lo adoro perché è saporito e semplice allo stesso tempo. PESCI MQ: Mi piace molto il riso e quindi cucino volentieri il risotto. Lo faccio al pomodoro, ai funghi, agli asparagi, al radicchio, allo zafferano e anche quello verde con il prezzemolo. Naturalmente uso solo ingredienti di origine vegetale e il risultato è sempre ottimo, apprezzato da tutti gli ospiti.
ARIETE EP: Non c'è un piatto preferito, anche se tendenzialmente preparo piatti salati e non i dolci. Cucino con piacere tutti i piatti in cui si sentono i profumi delle erbe aromatiche ed il gusto "personale" di ogni verdura. Mi piace la nonfrittata verde: farina di ceci, acqua e ortiche o borragine, menta, erbette, erba cipollina, sedano, melissa, erba sanpietro...
Un personaggio del Toro: Rosalba Nattero
Noi non ci fermeremo. Queste le parole di Rosalba Nattero a conclusione della manifestazione del 27 maggio 2017 contro la riapertura dello zoo a Torino, parole che restano valide anche dopo la vittoria conseguita. Lo zoo a Torino non si farà e il parco che doveva ospitarlo viene restituito ai torinesi ma la determinazione con cui Rosalba porta avanti le sue tante battaglie per un mondo nuovo e più giusto per tutti rimane la stessa. Rosalba Nattero è l’ospite di questa puntata, in rappresentanza del Segno del Toro. Oltre ad essere la voce solista del Lab Graal, il gruppo di keltic rock a cui abbiamo dedicato la puntata di inizio d’anno del 2017, Rosalba è autrice di numerosi testi che affrontano temi profondi e importanti come la spiritualità, le antiche tradizioni, il sostegno alle popolazioni native e alla loro cultura, la lotta per la dignità degli animali. È delegato ONU e rappresentante di sei comunità indigene, è fondatrice di SOS Gaia, associazione antispecista per l’aiuto degli animali in difficoltà, è insegnante di Kemò-vad, l’antica arte del gesto consapevole, forma di meditazione dei nativi europei. Tra le altre tante cose Rosalba ha scritto anche un libro, intitolato Ecospiritualità a tavola, in cui parla di alimentazione armonica, da cui trarre benessere, senza far del male agli animali. Visto che ha accettato di rispondere alle nostre domande, affronteremo con lei anche il tema del cibo, protagonista di questo mese.
Cominciamo con una domanda astrologica: Quali sono i tratti caratteristici del tuo segno natale, il Toro, che senti di aver ereditato… se ci sono? Direi un certo pragmatismo, che riverso anche nelle cose astratte. Non mi riconosco nel Toro sotto tanti altri aspetti, come l’aspetto tradizionale della famiglia o l’amore per la casa o la stanzialità. Anzi direi che sono l’opposto. Ma la praticità del Toro la riconosco in me, e cerco di applicarla anche nelle cose poco pratiche e più immateriali, come ad esempio la ricerca di un senso nell’esistenza. Mi riconosco anche nell’amore per la natura e tutte le forme di vita. Con una tendenza pericolosa a fare la “crocerossina”… Quali sono le esperienze della tua vita che ritieni particolarmente significative? L’aver seguito un istinto, contrario al mio naturale pragmatismo, che mi ha portato ad un certo momento della mia vita a capovolgerla completamente. E, in un momento successivo, l’aver seguito l’insegnamento di una gatta nera che si chiamava Unorna. E che mi ha aperto un mondo. Giornalista, scrittrice, speaker radiotelevisiva, musicista, delegata ONU, in prima persona nella lotta per la tutela delle terre sacre dei popoli nativi, per i diritti degli animali… sono davvero tanti i tuoi interessi, anche se tutti uniti da un filo conduttore comune. Vuoi parlarci di questo?
Il filo conduttore? Voglio cambiare il mondo perché così com’è non mi piace. È vero, faccio tante cose, forse troppe, ma ce n’è una che priorizzo su tutte, ed è la battaglia per i diritti degli animali. I miei molteplici interessi sono spesso legati a questa battaglia. Ad esempio la musica, altro grande filo conduttore della mia vita. Per fortuna i miei compagni del LabGraal condividono appassionatamente questa lotta, e molto spesso i nostri concerti sono dedicati a questa causa. Sono consapevole che la mia vita si svolgerà nel tempo di un battito di ciglia, e vorrei (per quello che riuscirò a fare) dare un contributo per far sì che ci sia una sensibilizzazione sull’assurdità di un pianeta che si trova davanti all’olocausto peggiore della storia, e che questo olocausto è solo la punta di un iceberg che rivela tutto il malessere e l’oppressione che vivono anche gli umani. Lottare per gli animali è una rivoluzione che si rivolge anche agli animali umani, significa lottare per una società più giusta e armonica. Che posto ha un libro come Ecospiritualità a tavola, tra le altre tue pubblicazioni, che di solito affrontano temi storici e filosofici?
Ecospiritualità a tavola fa parte di quella sensibilizzazione a cui accennavo. Nonostante l’alimentazione vegan sia in costante aumento, sono ancora troppe le persone sotto l’effetto dell’ipnosi che fa credere che non si possa fare a meno della bistecca. L’alimentazione carnivora distrugge noi e il pianeta, ma soprattutto genera una fabbrica incessante che produce miliardi di animali per torturarli e ammazzarli allo scopo di farne cibo. La carne fa male, provoca il cancro. Il pesce fa male, il latte e le uova idem. È noto. Eppure l’industria della carne e dei latticini, o il mercato ittico, non si fermano. E pensare che abolendo il consumo di carne, ogni persona potrebbe salvare migliaia di animali, anche senza fare nessun tipo di attivismo in loro difesa. Certamente avevi dei sogni da bambina. Che fine hanno fatto? Li hai realizzati? E ne hai altri da realizzare? Sì, avevo un sogno: quello di dare un senso alla mia esistenza. Da bambina guardavo il mare (sono nata in un paese sul mare) e mi chiedevo cosa provassero le alghe. Sognavo di essere un’alga, per lasciarmi andare al fluire di ciò che avevo intorno. Crescendo, sognavo di poter incontrare dei fratelli con cui condividere le mie ansie, i miei problemi, le mie aspirazioni, i miei sogni. Non ho mai desiderato l’amore o il principe azzurro. Ma dei fratelli da incontrare la sera e confrontarsi, aiutarsi reciprocamente. Un po’ come dei Cavalieri della Tavola Rotonda che tra una battaglia e l’altra si ritrovano nel Castello di Camelot e si rinfrancano nella loro comune amicizia. Se ho realizzato i miei sogni? Presuntuosamente penso di sì. Ora mi resta da realizzare un altro sogno: quello di cambiare questo pianeta e farne un luogo di armonia e fratellanza in cui tutte le creature possano vivere libere e felici. È un progetto un po’ impegnativo, ma io ho già cominciato… Per saperne di più: www.rosalbanattero.net Il libro Ecospiritualità a tavola a cura di Rosalba Nattero è edito dalle EdizioniTriskel ed è disponibile anche nel formato Ebook.
APRILE 2018 L’attimo fuggente
Che cosa rende così affascinante la fotografia? Forse il catturare un pezzo di realtà estraendola da tutto il resto? Forse il riuscire a cogliere un particolare in grado di descrivere il tutto? O la possibilità di costruire un’immagine parlante senza bisogno di parole? O poter documentare ciò che non è facile vedere o non è visibile per tutti? O ancora la possibilità di cogliere quell’attimo irripetibile che poi non esisterà mai più e poterlo fissare perché non vada perduto? Probabilmente ogni fotografo ha un suo approccio personalissimo a questa tecnica ma lo scatto immortala comunque sempre un istante che rimarrà fissato in un’immagine che trattiene in sé una fragile poesia. Questo mese vi proponiamo un piccolo viaggio nell’immenso mare della fotografia. Parlare di grandi fotografi non è facile proprio per l’enorme quantità di materiale a disposizione. Ci sono tante immagini bellissime e tanti grandi artisti: ne abbiamo scelti dodici, uno per Segno dello Zodiaco, riservandoci di riprendere il discorso magari altre volte, in prossime puntate di questa rubrica. I fotografi che abbiamo scelto sono tutti del ‘900 e tutti hanno esplorato aspetti diversi di questo secolo così contrastato, un secolo che sembra essere una foto in bianco e nero.
ARIETE: Martine Franck (2 aprile 1938) fotografa documentarista nota anche per essere stata la moglie di Henri Cartier Bresson. Ha saputo ritrarre con la stessa intensità tanto personaggi famosi quanto poveri emarginati. Le sue fotografie hanno una forte valenza simbolica e spesso si basano su geometrie che anziché essere fredde sanno comunicare emozione. Quel che mi piace della fotografia - diceva- è il momento preciso che non può essere anticipato; bisogna stare sempre all’erta, pronti ad afferrare l’inatteso. E in questo possiamo vedere l’atteggiamento del Segno dell’Ariete, quel suo sentire il cambiamento in atto e il suo lanciarsi impetuosamente per coglierlo.
TORO: Bernie Boston (18 maggio 1933), fotografo praticamente sconosciuto, diventò improvvisamente famoso con lo scatto Flower Power. La foto del ragazzo che mette un fiore nel fucile di un soldato della Guardia Nazionale divenne in poco tempo l’icona di un’epoca. Era il 1967, davanti al Pentagono si svolgeva una manifestazione di protesta contro la guerra in Viet Nam e quel fiore sembrava racchiudere in sé le speranze e gli ideali di tanti ragazzi di quel tempo: il pacifismo, la vita a contatto con la natura, il rifiuto di una società consumista e violenta. Questa immagine evidenzia con molta immediatezza e poesia la nota di fondo del Segno del Toro: la fiducia nella vita, nelle sue potenzialità, nella sua forza. GEMELLI: Dorothea Lange (26 maggio 1895) documentò i risvolti umani della Grande Depressione americana, le migrazioni dei disperati che si dirigevano verso la California, l’ingiustizia vissuta dai cittadini giapponesi americani che dopo l’attacco a Pearl Harbour vennero rinchiusi nei campi di concentramento. Le fotografie di Dorothea Lange mostrano sempre una grande umanità e comprensione. La sua Madre Migrante, diventò il simbolo della dignità nelle difficoltà della vita. Potremmo aggiungere che queste immagini mostrano il crollo delle certezze materiali e ciò che resta quando questo è avvenuto, tema centrale del Segno dei Gemelli.
CANCRO: Antanas Sutkus (27 giugno 1939) voleva documentare un popolo, i Lituani, e il loro cambiamento, al di là delle idealizzazioni raccontate dalla cultura del regime sovietico, fotografando la vita quotidiana della sua gente. Quei volti, quei corpi, nella dicotomia del bianco e nero, sembrano quasi gridare pur essendo muti. C’è tristezza ma c’è anche bellezza, attraversate da un soffio fortemente romantico. I soggetti delle fotografie sembrano esprimere una loro speranza interiore, nucleo profondo del Segno del Cancro.
LEONE: Gerda Taro (1º agosto 1910) è nota per i suoi reportage di guerra ma anche per la sua storia, per il suo amore per Robert Capa, suo compagno sia nella professione che nella vita, per la sua bellezza e la sua libertà, per la sua tragica morte a soli 26 anni, travolta da un carro armato. Le foto di Gerda raccontano la guerra civile spagnola, vista da chi ne è direttamente coinvolto, dalle persone che possono essere donne, bambini o soldati sorpresi in un momento carico di drammatica realtà: sono ricordi di eventi da cui trarre lezione, come il Segno del Leone sa bene. VERGINE: Kevin Carter (13 settembre 1960) documentò con le sue foto le drammatiche condizioni umanitarie in Africa negli anni '90. Povertà, carestie, guerre, apartheid erano i soggetti delle sue immagini che lo mettevano anche in crisi profonda, fino a chiedersi che senso avesse il suo mestiere di fotografo. Ero sconvolto vedendo cosa stavano facendo. Ero spaventato per quello che io stavo facendo. Ma poi le persone hanno iniziato a parlare di quelle immagini... così ho pensato che forse le mie azioni non sono state poi così cattive. Essere stato un testimone di qualcosa di così orribile non fu necessariamente un male. Nel 1994 vinse il Premio Pulitzer con la fotografia della bambina con l’avvoltoio. Quella foto fu anche la sua dannazione. Le molte critiche che ricevette per il cinismo che quello scatto dimostrava contribuirono probabilmente alla tragica fine della sua vita. Carter morì suicida a soli 33 anni. Il contrasto tra freddezza razionale e sensibilità umana, qui portato al limite estremo fino ad una conclusione così crudele, è una delle note di fondo del Segno della Vergine. BILANCIA: Lewis Wickes Hine (26 settembre 1874) oltre che fotografo era anche sociologo. Per lui la fotografia era soprattutto strumento di denuncia e con i suoi scatti documentò le situazioni problematiche di quegli anni, dalla condizione degli immigrati al lavoro minorile nelle fabbriche in America, alla situazione dell’Europa devastata dalla prima guerra mondiale. In seguito il suo interesse si rivolge al mondo del lavoro e all’interazione dell’uomo con le macchine. La sua ricerca della bellezza delle immagini è un modo per rivelare delle verità, che a volte sono denunce altre volte il rendere evidente la dignità degli esseri umani, come è nelle corde del Segno della Bilancia.
SCORPIONE: Helmut Newton (31 ottobre 1920), è stato uno straordinario fotografo di moda che ha collaborato con i più prestigiosi periodici del settore. Le sue immagini hanno uno stile formale molto accurato, arricchito da una forte carica erotica. Famosi sono i suoi studi sul nudo, in particolare i 39 scatti in bianco e nero pubblicati nel volume Big Nudes del 1981. I Big Nudes si chiamano così perché Newton stampò questi nudi a figura intera e a grandezza naturale ottenendo immagini di grande impatto visivo. Lui stesso raccontò che ad ispirarlo in questa sua opera erano stati i manifesti che la polizia tedesca aveva divulgato per identificare i membri della Banda Baader-Meinhof, il gruppo terroristico tedesco degli anni ’70 del secolo scorso. L’erotismo, il nudo, il rivelare ciò che non è evidente sono tratti che disegnano, per così dire, il Segno dello Scorpione. SAGITTARIO: Aleksandr Rodchenko (23 novembre 1891) ha saputo mostrare oggetti di uso quotidiano e familiare attraverso una prospettiva del tutto inaspettata. Gli oggetti ripresi dal basso o dall’alto o fortemente contrastati risultano completamente modificati o distorti e le sue fotografie sembrano quasi dei quadri astratti. Rodchenko è stato un grande innovatore e nella sua ricerca di punti di vista insoliti che destabilizzano l’osservatore, possiamo vedere quel bisogno di superare i limiti stabiliti proprio del Segno del Sagittario. CAPRICORNO: Israëlis Bidermanas (17 gennaio 1911) noto anche con lo pseudonimo di Izis, è considerato uno dei maggiori esponenti della street photography e della fotografia umanista del secolo scorso. Ha realizzato ritratti dei partigiani durante la lotta al nazismo, numerosi reportages fotografici in Algeria, Israele, Portogallo ed Inghilterra per la rivista Paris- Match, documentato la Parigi del dopoguerra e pubblicato un libro, con il suo amico poeta Jacque Prèvert, Paris des Rêves, considerato il suo capolavoro. Due parole sembrano descrivere bene la sua opera: realismo e poesia. Izis sapeva usare luci ed ombre in modo straordinario per creare immagini poetiche di grande forza come è nel carattere del Segno del Capricorno.
ACQUARIO: Duane Michals (18 febbraio 1932) è un fotografo concettuale, i suoi scatti non colgono qualcosa che si presenta davanti all’obiettivo ma immagini costruite con l’intento di raccontare un’idea, un’intuizione che stava prima nella mente del fotografo. Le sue immagini, rivoluzionarie e fantastiche sia nella tecnica usata che nei risultati ottenuti, raccontano quella precarietà del mondo che l’Acquario coglie così bene. Diceva Michals: Il riflesso in uno specchio è illusione, così come ogni altra cosa è illusione, semplicemente frutto dei giochi della mente. Ogni cosa non è reale. Ma allora cos'è reale? PESCI: Francesc Català Roca (19 marzo 1922) è un documentarista. Le sue immagini in bianco e nero hanno un’incredibile forza, poesia e bellezza pur riprendendo situazioni di vita quotidiana. Le angolature e i dettagli creano una sorta di sovvertimento dei valori che rivela una realtà nuova, qualcosa che prima non era visibile, interpretando così la natura profonda del Segno dei Pesci. Le foto di Català Roca hanno una grande forza simbolica e nello stesso tempo una grande umanità.
Un personaggio dell’Ariete: Doc Edgerton
Lavora sodo. Comunica a tutti tutto ciò che conosci. Sigilla ogni accordo con una stretta di mano. Divertiti! Queste poche frasi, così sbrigative ed energiche già la dicono lunga sul carattere di Doc Edgerton e già da sole fanno di lui un degno rappresentante del Segno dell’Ariete. Ingegnere e fotografo, Edgerton rivoluziona il modo di intendere la fotografia mettendo a punto una tecnica particolare con cui riesce ad ottenere immagini assolutamente innovative che “fissano il movimento” e danno la sensazione di “fermare il tempo”. In pratica la sua fotografia stroboscopica, consiste nel fissare su pellicola una successione di movimenti ravvicinati, tradotti in immagini multiple, ottenute con l’utilizzo di numerosi flash sincronizzati che scattano più volte al secondo in un ambiente buio. lI suo metodo avrà applicazioni sia in campo artistico che scientifico, la sua luce lampeggiante infatti troverà infinite applicazioni utili nella vita di ogni giorno, dalla pista dell'aeroporto alla fotocopiatrice dell'ufficio, però Edgerton resterà famoso soprattutto per le sue foto. Quelle immagini sono ormai icone del ventesimo secolo: la goccia che cadendo in un piattino crea magicamente una corona, il movimento fluido di una danzatrice, l'esplosione di un palloncino congelata nell’istante in cui avviene. Le sue fotografie stroboscopiche illustrano fenomeni scientifici in modo immediato e chiaro a milioni di persone. È anche per questo suo rapporto così stretto con il tempo e con la velocità che abbiamo scelto di parlare di lui come esponente del Segno Zodiacale con cui inizia la primavera. Harold Eugene Edgerton è noto come “Doc” perché, come spiega suo figlio Bob “Era un tipo casalingo del Midwest. Qualcuno per cui hai rispetto, ma è amichevole, come un medico di campagna" Harold Eugene Edgerton nasce a Fremont, in Nebraska, il 6 aprile 1903, ma quando Harold è alle scuole medie, la sua famiglia si stabilisce ad Aurora, sempre nel Nebraska. Ad Aurora c’è la centrale elettrica in cui Harold lavorerà come guardalinee e dove prenderà confidenza con l’elettricità. Frequenterà l'Università del Nebraska, dove nel 1925, si laureerà in ingegneria elettrica.
Nel 1927 consegue il master e il nel 1931 il dottorato presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge. Insegna al MIT dal 1928 e diventa professore ordinario nel 1948. Nel 1928, appena laureato, si sposa con Esther May Garrett. Nel 1931 nasce la prima figlia, Mary Louise, seguita da William Eugene nel 1933 e da Robert Frank nel 1935. Le fotografie di Harold giovane insegnante lo mostrano magro, biondo, con capelli pettinati all'indietro, vestito con un abito a tre pezzi e la cravatta di traverso. È molto amato dai suoi studenti per la sua gentilezza, per il suo calore, per la disponibilità ad aiutarli nel loro lavoro. Comincia le sperimentazioni con i suoi tubi flash nel 1926 e, usando gas allo xeno, riesce a produrre lampi di luce ad alta intensità a intervalli più brevi di 1 / 1.000.000 di secondo. Ottiene così un flash che in pratica è uno stroboscopio, e con questo comincia a fotografare. All'inizio scatta solo foto di motori in movimento ma un giorno, nel 1932, puntando il flash sull'acqua che esce dal rubinetto del suo laboratorio, si accorge che sotto quel breve lampo di luce l'acqua diventa immobile come ghiaccio, mostrando la sua forma sconosciuta. Da quel momento Edgerton comincia a puntare il suo flash su tutto ciò che ha intorno, usando la fotografia per scoprire quello che è invisibile agli occhi. Il suo stupore è grande quando si accorge di quanto siano belle, da un punto di vista artistico, le immagini che ottiene, anche se i suoi esperimenti sono partiti con uno scopo prettamente scientifico. E se altri prima di lui avevano usato le fotografie con il flash per fissare e studiare le fasi dei movimenti di un corpo, Edgerton affina la tecnica per ottenere immagini capaci di parlare all’osservatore, così comunicative da racchiudere una spiegazione scientifica chiara anche per chi non abbia una particolare formazione in quel campo. Ecco allora la racchetta da tennis che si flette nell'impatto con la palla, mostrando come un oggetto rigido nell’impatto ad alta velocità diventi deformabile. Ma quell’immagine non è solo un documento, è anche artisticamente bella e comunicativa. Ecco perché non si accontenta di fotografare una goccia che cade ma con tanti tentativi vuole che l’impatto con il piattino crei una corona quasi perfetta. Nel 1937 le sue opere furono esposte nella prima mostra fotografica del Museum of Modern Art. Nel 1940 viene invitato dalla MGM per la realizzazione di un documentario sulla fotografia stroboscopica a lui ispirato e diretto da George Sidney, Quicker Than A Wink!, che vincerà l’Oscar come miglior cortometraggio.
Nonostante i successi e i riconoscimenti sia come scienziato che come artista Edgerton continua a considerarsi soprattutto un insegnante e alcuni dei suoi ex allievi, come Kenneth Germeshausen e Herbert Grier, diventano suoi collaboratori in questa sua avventura di esplorazione dell’ignoto, grazie alla potenzialità della luce prodotta dalle sue macchine. Con il loro contributo e la collaborazione del fotografo Gjon Mili, la strumentazione migliora la sua potenza e le sua efficacia nel cogliere gli effetti invisibili del movimento. Nel 1940 al Boston Garden, dove si svolgono gare sportive, grazie all’attrezzatura di Edgerton, vengono scattate foto incredibili con gli atleti colti nel loro slancio, quasi come se volassero, con i particolari della muscolatura e dell’abbigliamento evidenziati nell’alterazione data dal movimento. Durante la guerra gli strumenti di Edgerton trovano anche applicazione in campo bellico: le sue lampade, con dimensioni maggiorate, sono in grado di irradiare fino ad un miglio di distanza e permettono di fotografare dall’aereo il territorio sottostante. In questo modo il generale Patton potrà pianificare il percorso delle truppe americane verso la Germania. Nel dopoguerra l’attrezzatura servirà a fotografare i discutibili test nucleari dall'Aeronaut Air Corps. Negli anni ’50 Edgerton collabora con Jacques Cousteau per fotografare i fondali marini, per avere immagini di quella vita misteriosa che palpita dove i sub non riescono ad arrivare. Per farlo metterà a punto, con il suo team, un particolare tipo di sonar a scansione laterale grazie al quale riesce a tracciare i contorni del fondo dell'oceano, estrapolando l'immagine dal suono. Questo strumento rappresenterà una vera rivoluzione nel campo dell'archeologia marina e dell'esplorazione oceanica. Negli anni '70 Edgerton, con la collaborazione di Marty Klein, lavora alla creazione di attrezzature che possano sondare le misteriose profondità del lago di Loch Ness in Scozia, alla ricerca del famoso mostro. La mitica creatura non viene trovata in compenso vengono scoperte delle caverne subacquee e dei cromlech sommersi. Continua intanto a svolgere a sua attività di insegnante fino al 1977, anno in cui va in pensione, pur continuando a frequentare il Campus del MIT. Negli anni '80 incurante di ictus, vertigini, e problemi cardiaci, continua ad andare al suo laboratorio come al solito. L’uomo che sapeva fermare il tempo muore a 86 anni, nella sala da pranzo della facoltà del MIT, il 4 gennaio 1990. Poco dopo la sua morte, apriranno due centri scientifici per onorare la sua memoria, uno al MIT e uno a Aurora, nel Nebraska.
MARZO 2018 Il magico mondo dei fumetti e dei cartoni animati
In questa puntata di Astromatta esploriamo il mondo dei cartoon, un mondo che prende forma grazie ad artisti di grande talento capaci di incantare e coinvolgere, con le storie e i personaggi nati dalla loro matita, sia adulti che bambini. Si tratta di un mondo molto vasto, che si allarga continuamente, che forse meriterebbe più di un viaggio attraverso quelle immagini che sanno prendere vita e trasportarci in avventure sempre nuove. Noi abbiamo deciso, per questa volta, di parlare di alcuni cartoonist italiani tra i più famosi, scegliendone dodici, uno per ogni Segno dello Zodiaco, e di vedere come i loro disegni mettano in luce le caratteristiche tipiche di ogni Segno. Cominciamo dal Segno dei Pesci che governa questo periodo dell’anno.
PESCI: Giancarlo Alessandrini (20 marzo 1950) è il creatore grafico di Martin Mystère, il "Detective dell’impossibile" che indaga appunto sui misteri del passato e del presente. E quale argomento potrebbe essere più in sintonia con il Segno dei Pesci? Martin Mystére è un professore che, con il suo fido aiutante Java, si tuffa negli enigmi più strani, per venirne a capo. Java è un mistero a sua volta, un uomo di Neanderthal che si esprime con suoni gutturali, comprensibili solo a Mystère. Le avventurose ricerche di Atlantide, del segreto delle piramidi, degli UFO, dei fantasmi, ecc. sono rese interessanti anche dalla grande quantità di dati sull’argomento. ARIETE: Bonvi, ovvero Franco Bonvicini, (31 marzo 1941) è il “papà” di Sturmtruppen, il buffo fumetto pubblicato tra il 1968 il 1995, ambientato nella seconda guerra mondiale, vista dalla parte delle truppe d’assalto tedesche. Le storie satiriche e surreali sono condite dalla nota strampalata della lingua parlata dai soldati: un italiano tedeschizzato. Il battagliero Segno dell’Ariete trova in Sturmtruppen una sua simpatica parodia. Di Bonvi ci piace citare anche i sette episodi delle “Storie dello spazio profondo” i cui protagonisti, un avventuriero spaziale e il suo amico robot ci portano a spasso tra le stelle.
TORO: Gino Gavioli (9 maggio 1923) è l’inventore di molti personaggi simpatici e buffi, alcuni dei quali ebbero grande notorietà grazie a Carosello. Sono suoi Capitan Trinchetto, Cimabue, Tacabanda, Caio Gregorio e il cavallo di Vitaccia cavallina. La linearità dello stile un po’ geometrico con cui disegna i suoi personaggi e nello stesso tempo l’umanità che fa trapelare da essi sono tratti tipici del Segno del Toro. Citiamo anche il lungometraggio, Putiferio va alla guerra, che racconta di una guerra tra formiche con finale pacifista.
GEMELLI: Hugo Pratt (15 giugno 1927) è l’autore di Corto Maltese, personaggio complesso e interessante, un po’ eroe, un po’ pirata, con quella duplicità tipica del Segno dei Gemelli. Corto Maltese vive mille avventure ma sa mantenere un sguardo distaccato e ironico in ogni situazione, il che non gli impedisce di far sue le cause dei più deboli, manifestando per loro simpatia e partecipazione. La prima avventura di Corto, Una ballata del mare salato, ha rappresentato una tappa significativa nel mondo del fumetto ed è considerata una delle prime graphic novel.
CANCRO: Guido Crepax (15 luglio 1933) ha fatto nascere Valentina, la fotografa, sexy e onirica ragazza che vive strane storie in cui tra la realtà e il sogno non esiste nessun confine. Con i capelli neri tagliati a caschetto, i grandi occhi chiari, il bel corpo spesso nudo, Valentina si muove tra fantasie erotiche e mondo della moda, della letteratura e dell’arte. Crepax fa nascere Valentina il 25 dicembre del 1942 ma le storie che inventa per lei, così profondamente oniriche, rappresentano bene il Segno del Cancro.
LEONE: Dino Battaglia (1 agosto 1923) ha una vasta produzione di storie a fumetti, vere trasposizioni in immagini di fiabe antiche, romanzi cavallereschi e opere di autori classici, tra cui Rabelais, Poe, Lovecraft, Stevenson, Hoffmann e Maupassant. La tecnica di Battaglia consente di creare degli ambientazioni misteriose e a volte inquietanti. Il legame con il passato, il ricordo, la storia è un tratto tipico del Leone, ma Battaglia si spinge anche nella fantascienza con I cinque della Selena, su testi di Mino Milani, pubblicato nel 1965 sul Corriere dei Piccoli, in cui racconta il viaggio di cinque astronauti, il loro contatto ravvicinato con gli alieni e la decisione che cambierà la loro vita.
VERGINE: Milo Manara (12 settembre 1945) è noto soprattutto per la sensuale bellezza che emanano i suoi disegni. La produzione di Manara è vastissima e spazia dalle storie realizzate per il Corriere dei Ragazzi alla satira dello Scimmiotto, dal mistero de L’uomo delle nevi, all’ambientazione western de L’uomo di carta, dai dodici tondi dello Zodiaco all’erotismo di Miele alla recente biografia Caravaggio, la tavolozza e la spada per citar solo alcune delle sue opere. Forse il suo personaggio più famoso è comunque Claudia Cristiani de Il gioco. Claudia è una donna ricca e bellissima ma un po’ rigida. A causa di uno strano marchingegno, perde ogni inibizione e le sue pulsioni trovano libero sfogo. Il gioco permette a Manara di mettere a nudo le ipocrisie borghesi ma mostra anche un aspetto della Vergine spesso un po’ troppo trattenuta nell’esprimere la sua istintualità. BILANCIA: Sergio Toppi (11 ottobre 1932) debutta nel mondo dei fumetti con Il Corriere dei Piccoli e da allora disegna leggende storie di vari popoli e vite di personaggi storici, sviluppando nel tempo uno stile molto personale e innovativo. Sono famose le 22 lamine dei Tarocchi che dipinge nel 1989. La sua ricerca stilistica ed estetica sottolinea l’amore per il bello tipico della Bilancia, ma anche la ricerca di qualcosa di essenziale che vada oltre il mondo delle forme.
SCORPIONE: Claudio Villa (31 ottobre 1959) è il creatore grafico Dylan Dog, il personaggio ideato da Tiziano Sclavi. Dylan Dog è uno dei protagonisti più noti del fumetto italiano, è un detective sui generis con un metodo d’indagine tutto particolare: Dopo aver scartato tutte le ipotesi possibili - afferma- quello che resta è il mio mestiere: l'incubo. Dylan si muove quindi in un ambiente affine al mondo a forti tinte che piace allo Scorpione. Villa disegna Dylan con la faccia di Rupert Everett, con un fisico elegante e con un abbigliamento tipico: jeans, giacca nera e camicia rossa. Ex alcolista, vegetariano, animalista e non violento ha un passato misterioso che viene in parte svelato man mano durante le sue avventure.
SAGITTARIO: Silver è lo pseudonimo di Guido Silvestri (9 dicembre 1952). Silver è il creatore di Lupo Alberto, buffo e simpatico personaggio, perdutamente innamorato della gallina Marta. C’è in Lupo Alberto un po’ dell’anima ingenua del Sagittario, del senso dell’avventura vissuta vicino a casa, dell’importanza dell’amicizia che Alberto sente per gli altri animali dell’assemblea del bosco, in particolare Enrico la Talpa. Altra caratteristica di Alberto è il senso d’indipendenza che lo porta a rifiutare il matrimonio e a vivere a solo. Lupo Alberto esordisce sul Corriere dei Ragazzi nel 1972 e da lì prosegue la sua strada verso il successo arricchendosi anche di contenuti più complessi come la satira politica o temi sociali trattati con ironia.
CAPRICORNO: Osvaldo Cavandoli (1º gennaio 1920) è stato il creatore della Linea e dell’omino che su di essa vive, in un mondo assolutamente essenziale che ci ricorda il carattere del Capricorno. L’omino parla una lingua praticamente incomprensibile, più che altro un insieme di suoni che però sanno esprimere con molta evidenza tutti gli stati d’animo del piccolo protagonista. L’omino ha un carattere molto spiccato e deciso, procede con grande determinazione sul suo cammino e si arrabbia quando la linea si interrompe. Il suo autore deve immediatamente intervenire disegnandone la continuazione orizzontale o qualcosa, un ponte, un’automobile… che possa farlo continuare nel suo percorso. E se l’interruzione lo rende furioso la soluzione del suo problema o l’incontro con altri personaggi di suo gradimento gli strappano gorgoglii di piacere. La Linea troverà la sua fortuna e la sua dannazione diventando un dei personaggi di Carosello e pubblicizzando una nota marca di pentole a pressione. Da un lato infatti diventa in breve tempo famosissima ma, in Italia, finisce con l’essere imprigionata nella pubblicità e col non poter più avere vita autonoma. ACQUARIO: Cavez, ovvero Massimo Cavezzali (11 febbraio 1950) con le sue battute irriverenti e surreali rappresenta bene il Segno dell’Acquario. Il suo personaggio più noto è un omino col nasone e gli occhi a pallina che affronta temi esistenziali o di vita quotidiana, con una logica tutta sua. Con estrema naturalezza parla spesso con Dio da pari a pari. Le vignette di Cavez hanno una grande immediatezza e sembrano disegnate lì al momento, come per un’idea, un’intuizione improvvisa, come se quella cosa che prima sembrava normale avesse improvvisamente mostrato il suo lato umoristico. L’omino fa considerazioni buffe ma mai banali. Tra gli altri personaggi nati dalla matita di Cavez o che danno voce alle sue battute, ci sono i gattini Kit e Kat disegnati da Camerini.
Un personaggio dei Pesci: Bruno Bozzetto
In questa puntata abbiamo la fortuna di ascoltare il nostro protagonista raccontato da se stesso, visto che Bruno Bozzetto ha accettato di rispondere alle nostre domande, parlandoci di sé, del suo mondo, della sua passione per il cinema, dei suoi successi e della sua vita, sempre con umorismo e simpatia. Bruno Bozzetto è uno dei più noti cartoonist italiani. Nato a Milano il 3 marzo 1938, Bruno, degno rappresentante del Segno dei Pesci, sembra tuffarsi nelle situazioni per trarne un’intuizione, un’idea, una storia da raccontare in modo personale e nuovo. Il mondo dei Pesci, dove realtà e sogno non sono mai divisi, è come un immenso mare in cui convivono infinite cose, esseri, situazioni da cui trarre spunti sempre nuovi e interessanti.
Quando hai scoperto la tua passione per il disegno e in particolare per i cartoni animati? Ho sempre pasticciato, non ho mai “disegnato” e non ho mai fatto scuole di disegno. Ho sempre avuto la passione, probabilmente perché mio nonno era pittore e io ho ereditato questo DNA da lui. Facevo pupazzetti, come li chiamavo io. Erano proprio degli schizzi di persone in movimento e infatti ricordo che mio padre diceva: “Hanno un grande movimento!”. Il personaggio correva, saltava, si arrampicava, era molto vivo e questo è stato il primo tipo di disegno istintivo, che mi portava già verso l’animazione. La mia grande passione è però sempre stata il film dal vero: ero appassionato, appassionatissimo, e lo sono ancora, di cinema dal vero. Mi interessavano le storie, la sceneggiatura, mi interessava tutto del cinema. L’animazione mi piaceva ma non la ritenevo così importante. Quando però ho fatto i primi tentativi, ho visto che era molto difficile fare film dal vero, perché non avevo gli attori, le attrezzature, dovevo far tutto da solo e la cosa era complessa. Pian piano, pur mantenendo la passione per il cinema dal vero, ho cominciato a fare degli esperimenti con i disegni animati. Erano esperimenti elementari, ad esempio prendevo Paperino, cercavo di farlo camminare e costruivo delle piccole storie. A Milano ero socio del Cine club e proprio lì mi hanno stimolato a continuare. In quel periodo non si vedeva praticamente nulla, di cinema d’animazione, tranne Walt Disney. Questo è stato un po’ l’inizio. Del cinema mi affascinava soprattutto il montaggio. Ritenevo, e ritengo ancora oggi, il montaggio come una delle parti più belle del cinema. Praticamente con il montaggio crei un secondo film: quello che giri è importante ma è il montaggio la vera creazione del film. Il montaggio e il sonoro mi appassionavano molto. Quando ho fatto il mio primo film, quello che più mi ha spinto è stato però il desiderio di raccontare qualcosa, il mio punto di vista. il bello dell’animazione poi è la sintesi, la concentrazione: puoi raccontare in pochi secondi storie lunghe tre o quattromila anni. Il mio primo film è stato La storia delle armi in cui raccontavo come sono nate le armi, ovviamente in maniera sarcastica, ironica. Questo è stato sempre il mio desiderio: parlare dell’uomo. Fin da piccolo non ero affascinato dagli animali, forse perché ne avevo visti tanti con Walt Disney ed era anche impossibile imitarli, quello che mi interessava era l’uomo. I libri che leggevo mi portavano verso l’etologia, verso il confronto tra l’uomo e gli animali, il rapporto tra uomo e natura, il comportamento dell’uomo… erano queste le cose che mi attiravano.
L’umorismo è alla base, se non c’è l’umorismo non mi interessa. Non è un documentario, è il punto di vista di una persona che osserva le cose da un’altra angolazione, si distacca e le guarda con la capacità di riderci sopra anche se sono tragiche. Più o meno tutti i miei film vertono su questi argomenti, poi va be’ ci sono anche altri tipi di storie più semplici, racconti. Ma è difficile, di solito c’è un punto di vista personale, un’interpretazione di quello che leggo, vedo, osservo intorno a me.
No, no ero molto timido. Io sono figlio unico. Non stavo da solo perché, finché ho vissuto a Bergamo, avevo tanti amici nel condominio, si giocava in strada al pallone… Io ero molto amante dello sport, molto agile. Mio padre mi ha insegnato a non guardare gli sport ma a farli. Mi portava in montagna e ho fatto tantissime camminate con lui. Mister Tao, che è un film interessante, di pochi minuti, nasce proprio dall’essere andato per ore e ore in montagna con mio padre a camminare e anche a fare qualche scalata.
Sicuramente. Per me camminare anche cinque ore da solo era normale, mi piaceva, mi permetteva di concentrarmi e di riflettere. Ero abbastanza chiuso, abbastanza timido. Poi quando ci siamo trasferiti a Milano ho avuto un po’ un trauma. Sono arrivato a Milano in autunno, con la nebbia, in una città che non aveva niente a che fare con Bergamo, senza amici… insomma è stato un po’ un trauma. Che mi ha ispirato probabilmente anche dei film, come Una vita in scatola… perché sono cose su cui si può riflettere. Poi a Milano è nato il lavoro. A parte gli esperimenti, i primi film hanno avuto successo. Ero l’unico italiano che andava ai festival dei film d’animazione, all’inizio. Così ho conosciuto molti stranieri, mi son trovato in mezzo ad americani, cecoslovacchi, iugoslavi, francesi. Ho potuto anche toccare con mano un mondo di animazione che in Italia era totalmente sconosciuto. E’ stato un contatto col mondo che mi ha dato amici un po’ dappertutto e questo è stato un grosso aiuto. Gli italiani quando vanno all’estero e sono in gruppo tendono a star tra loro, si mettono al tavolo tutti insieme, escono tra di loro. Io lì ero solo e così ero obbligato ad andare al tavolo con canadesi, tedeschi e tanti altri e quindi imparavo, sentivo, diventavo loro amico e poi quando viaggiavo andavo a trovarli e questo mi ha dato una grande apertura.
Devo dire che, all’inizio, sono stato l’unico tra gli italiani ad entrare nel mondo dell’animazione dalla parte più bella, dalla parte artistica e creativa, gli altri sono entrati tutti dall’altra parte, quella pubblicitaria e commerciale. Loro facevano i soldi e io no, ma la differenza era che io potevo andare ai festival perché avevo dei prodotti miei e mi piazzavo in mezzo agli altri e loro non avevano nulla. La mia è stata una scelta istintiva che però mi ha aiutato parecchio, mi ha permesso di mettere i piedi in due scarpe, perché poi la pubblicità è arrivata lo stesso ma io l’ho sempre considerata secondaria, dal punto di vista creativo. Era fondamentale dal punto di vista finanziario, perché mi permetteva di mantenere lo studio, però secondaria dal mio punto di vista. Infatti appena ho potuto, e appena ho avuto dei collaboratori bravi, ho lasciato fare a loro e io mi sono ritirato nel mio mondo a fare lungometraggi e cortometraggi. E’ stata una scelta un po’ fortuita e un po’ voluta. Sempre per quanto riguarda i miei inizi devo dire di aver avuto un padre formidabile che, pur lavorando in un settore totalmente diverso e non capendo nulla di animazione, mi ha sempre aiutato. La prima macchina da presa me l’ha costruita lui su un asse da stiro di mia madre. Facevamo le colonne sonore insieme, passavamo ore insieme, mi aiutava tecnicamente. Era un piccolo genio, abilissimo manualmente a costruire cose e quindi il suo aiuto e il suo supporto morale per me sono stati importantissimi.
A tutti e a nessuno. Il signor Rossi è quello che cito per primo ma non è quello che preferisco. Preferisco Johnny di West and Soda. Io amo i film western e mi piace questo eroe un po’ taciturno che non spara, che è un po’ fuori di testa. Mini Vip mi è simpatico perché non può fare più di tanto però si ingegna e rispetto al fratello riesce anche ad uscirne meglio. Mi piace anche fisicamente. Calcola che non nasce dai supereroi ma da una specie di caricatura dell’uomo mascherato, un fumetto di Falk e Moore, che io leggevo... anzi bevevo a otto, nove anni! Li ho ancora tutti quei giornalini! Dal punto di vista grafico è lui, nel senso che ha il naso aquilino, ha il costume rosso… Quello là era un supereroe, cioè in realtà era solo uno coi muscoli che tirava cazzotti e non faceva niente di soprannaturale, comunque Mini Vip nasce da lui. Poi negli anni si è pensato di dargli un fratello: Super Vip. Poi… altri personaggi… mi piace il gatto del Valzer triste perché è un gatto vero in una situazione vera. Era un gatto di mia moglie e io l’ho fatto rivivere in un condominio invece che nella villa della famiglia di mia moglie, una villa che poi hanno distrutto e questo gatto non voleva saperne di andar via dalle macerie… Insomma c’è una parte vera. Ti dirò però che ai personaggi ti affezioni se poi li reincontri ancora. Se li abbandoni magari li rivedi con piacere, ma ormai loro sono là e tu sei qui. Il personaggio vero è quello che riprendi. Proprio in questi giorni abbiamo finito una graphic novel, disegnata un fantastico disegnatore che si chiama Gregory Panaccione, una pubblicazione che uscirà in Italia probabilmente in giugno, edita dalla BAO. Un libro molto divertente, che tra poco uscirà in Francia, perché nasce in Francia da una casa editrice Francese. Non avevo mai fatto fumetti e volevo sperimentare anche questo. Sembrano tutti entusiasti, vedremo cosa succederà. E’ nata da una sceneggiatura che avevo scritto con Nicola Ioppolo sei anni fa, per un lungometraggio. Visto che non si riusciva a fare il film (in Italia i soldi non si trovano mai) piuttosto che buttarla via quando si è presentata l’occasione l‘abbiamo proposta in Francia. Così è stata realizzata come graphic novel. Abbiamo ripreso Super Vip e Mini Vip e mi sono riaffezionato a loro. Sono sei mesi che ci sto lavorando più o meno tutte le settimane ed è un piacere rivedere un personaggio dopo tanti anni.
Io abito in campagna alla periferia di Bergamo , abbiamo un terreno grande e accanto a noi ci sono altri terreni. Uno di questi viene dato a dei pastori che una volta all’anno arrivano col loro gregge, stanno qui due o tre giorni e poi se ne vanno. Quella volta il pastore col gregge è ripartito una mattina prima dell’alba e non si sa come ha dimenticato un agnellino. Questo si è messo a piangere disperato e il contadino che abita lì vicino sentendolo piangere lo ha preso, ma non poteva tenerlo e ha chiesto a noi. Mio figlio e mia nuora, che hanno anche loro una casetta nel terreno in cui siamo anche noi, hanno detto “Proviamo a tenerlo noi”. Per un mese è rimasto in salotto da loro dentro uno scatolone di cartone. Poi non ci stava più. Allora l’hanno spostato in una casetta di legno che era stata regalata dalla nonna ai miei nipotini. Ormai è una pecora e ha dimostrato, come del resto tutti gli animali, se non li prendi a calci, di essere intelligente. Beeelen è simpatica e intelligente solo che è diventata così grande che è un problema farla entrare in casa. La si fa entrare solo ogni tanto… anche perché sfascia tutto! Si appoggia al tavolo e lo butta giù. Anche all’aperto è un po’ distruttiva, non per cattiveria ma perché deve fare qualcosa. Se trova una scatola o un secchio lei li distrugge, deve schiacciarli, ha tolto tutti i bloccafinestra. L’ultima che ha fatto è stata prendere con la bocca la striscia di gomma del tergicristallo della macchina di mia figlia, sfilandola completamente. Insomma non è sempre facile convivere.
Probabilmente è anche quello. Abbiamo pensato di prenderne un’altra ma già non era chiaro se potevamo tenerne una! Temevamo di essere denunciati perché avevamo una pecora. Poi c’è anche il pericolo che la seconda arrivata si adegui a quello che fa la prima, così se la prima vuol entrare in casa lo vuole anche la seconda… Volevamo prendere una capretta ma abbiamo un po’ paura perché a volte mettere insieme due animali non si sa come reagiscano. Ad esempio abbiamo due cagnoline che sono gelosissime, se una mi fa le feste l’altra impazzisce. E una delle due ha paura di Beeelen. Poi abbiamo anche un gatto… Bisogna capire come ragionano loro e a volte non è facile. Mi sforzo continuamente di mettermi nei loro panni. I miei figli e mia moglie dedicano un sacco di tempo a Beeelen, a tenere pulita la casetta ogni giorno e questo li ha fatti avvicinare ancora di più a lei. Mia moglie che le porta anche da mangiare si può dire che sia ormai un tutt’uno con Beeelen. Noi in famiglia di solito siamo in quattro perché due dei miei figli sono sempre qui, a volte arriva anche l’altro da Milano e quindi siamo in cinque e c’è un miscuglio di comportamenti, sembra un circo! Io sono figlio unico, mia moglie viene da una famiglia in cui sono 12 fratelli, siamo un miscuglio curioso. Le volte che sono andato da loro ai pranzi di Natale ero terrorizzato perché loro saranno stati più di quaranta. Mia moglie fin da piccola è sempre stata con gli animali, ha avuto una capra, in tempo di guerra avevano le galline, gatti, un pappagallo addomesticato… Ha avuto di tutto! D’altronde in casa mia sono entrati i furetti, le oche…
I sogni che avevo… le idee che avevo le ho realizzate quasi tutte. Per quanto riguarda i film se avevo un’idea la realizzavo, a costo di farla da solo ma la facevo. Sogni che non siano realizzati… uno è stato un lungometraggio che si chiamava Mamuk a cui ho lavorato almeno un anno o due e che era molto bello nei disegni originali, solo che in Italia se non lo produci tu non trovi nessuno che ti dia i soldi, o per lo meno io non son capace di trovarli. E quindi questo film è morto. Il secondo film… adesso è passato il tempo e me lo ricordo anche poco. Di sceneggiature poi ne ho scritte altre sei o sette con Maurizio Nichetti, anche per film dal vero ne no scritte parecchie. Erano belle ci piaceva realizzarle… poi però quando passa il tempo si passa ad altro. Un altro sogno era questo film che abbiamo realizzato come graphic novel. Sotto certi aspetti così è anche più bello, perché in un film entra la collaborazione di parecchie persone che portano dei contributi ma “sporcano” anche l’idea originale. L’idea originale è molto pulita, man mano che entrano delle collaborazioni uno aggiunge questo, uno cambia quello, uno ha un’altra idea… tante volte si parte in una maniera e si finisce in un’altra. Magari è più bello eh, intendiamoci, ma è modificato. Invece questo è nato così, c’è stato un solo disegnatore, che oltretutto ragiona come me, ha uno spirito simile al mio, e il libro è uscito esattamente come era stato progettato. E’ stato solo visualizzato benissimo. Era un racconto carino, che a me piaceva. Ecco anche questo sogno l’ho realizzato. Altri sogni no…adesso poi ne ho sempre meno. Quando uno arriva alla nostra età l’entusiasmo che c’è nei giovani non esiste più, si ha un altro tipo d’approccio e soprattutto si è costretti a fare ottanta cose contemporaneamente. Quando facevamo un lavoro, noi facevamo solo quello. Oggi è impossibile, io dalla mattina a mezzogiorno avrò fatto settanta, ottanta cose diverse, perché arriva una lettera, arriva una richiesta, interrompo il disegno che stavo facendo, c’è uno che chiama per un lavoro, una sceneggiatura che mi chiedono di leggere… insomma troppe cose. Non ho più il mio tempo tanto è vero che ho detto: Tra poco compio gli ottant’anni, chiudo la porta e butto via la chiave. Voglio fare quello che dico io della mia vita. Probabilmente sarò anche un po’ antipatico. Ho già risposto no a tre cose: una era anche grossa… una Como, una a Trento un’altra addirittura a New York. Ma io ho detto: No, mi spiace non ho più voglia, basta. Voglio far la mia vita quindi in questo momento voglio tornar bambino, pensare alle cose che mi divertono, possibilmente pensare a me, alla mia famiglia e basta, perché mi sembra anche giusto. Io ho dato tantissimo. Mi invitavano e io andavo dappertutto. Adesso devo cominciare un po’ a dir di no. E questo lo so non è bello ma è una scelta. Tutti mi dicono che non lo saprò fare ma… Ecco una delle cose che mi sarebbe piaciuta, e poi ho fatto pochissimo, era fare film dal vero. Ne ho fatto uno intitolato Sotto il ristorante cinese che non è brutto. E’ uscito da poco in DVD. L’ho fatto, non è andato bene e quindi si è chiuso tutto lì, però devo dire che fare film dal vero mi piaceva, perché sei a contatto con la gente, ci si muove, nascono delle idee proprio da questo modo di lavorare che è tutto diverso dal cartone animato. Il cartone animato è tutto riflessivo ed è di concentrazione, il film dal vero ti obbliga a concentrarti meno perché sei in mezzo alla gente, in mezzo a problemi continui, però è affascinante. Il mio primo esperimento è stato bello, mi son divertito e mi son stancato da morire, come costruire un grattacielo, però è finita lì. Io con un film ne ho fatti due: il primo e l’ultimo.
Il problema è che occorrono energie perché un film dal vero, è una fatica di cui uno non si rende conto. Dalla mattina alle sette a mezzanotte non c’è mai requie. E questo per un mese, un mese e mezzo senza sabati o domeniche che tengano. E questo devo dire non l’avevo considerato. Va be’ quando l’ho fatto avevo un’età accettabile, mentre adesso ne ho un po’ tanta, però anche i miei collaboratori alla fine erano morti… Ero sostenuto dalla forza di volontà del cavaliere inesistente di Calvino! Stavo in piedi proprio perché l’adrenalina, la voglia di fare, l’entusiasmo mi tenevano su. Ma poi crolli, e crolli proprio come un sacco di patate… morto. Però è bello! Mi è spiaciuto un po’ non aver potuto far qualcosa di più nel “dal vero”. Oggi poi con tutti quegli effetti speciali… quel che si può fare… Io ho mio figlio Fabio che è veramente bravo in quel settore e che è nato proprio con la passione per gli effetti speciali e lui col computer fa delle cose allucinanti! E’ bello vedere come trasforma una scena normale la e la fa diventare magica. Ecco, avendo questi mezzi oggi è possibile raccontare storie più vicine al disegno animato ma utilizzando gli attori. Io continuo a dire che se nascessi oggi continuerei a fare i lungometraggi col telefonino, perché posso farlo con pochi mezzi, però dando molta importanza al montaggio. Mi piace la facilità di poter girare dovunque, dalla metropolitana, alla cantina a qualsiasi posto. Penso che si potrebbe fare veramente qualcosa di… bisogna sapere cosa raccontare e dove andare a… Mi spiace di non avere le energie per fare un film con la gente. Quello lo farei molto volentieri. Va be’… prossima vita.
Ma non c’è più lo stesso entusiasmo. Anche perché devo dire che quando lavoravamo noi c’era il piacere della creazione, c’era poco in giro e quello che si faceva aveva tutto il sapore di una novità. Oggi con internet e con quello che si vede… io continuo a ripeterlo: se arrivasse oggi Leonardo da Vinci nel nostro mondo non lo noterebbe nessuno, sarebbe uno sconosciuto. Perché io vedo cose tali, di tale abilità nel disegno, nelle illustrazioni, nelle fotografie, nel cinema… vedo delle cose allucinanti e ne vedo talmente tante che mi tolgono la voglia di farle. Ti dico una cosa, quando devo trovare il titolo di un film vado a cercare su internet e vedo che non esiste un nome in italiano o in inglese o anche una composizione di due nomi messi insieme che non esista già. Mi distrugge. Ma possibile che ci sia tutto? Ma allora cosa sto a fare?
Sì, io in questo momento sto parlando di una scritta, un nome. Un discorso completo è ovvio che se è personale è diverso in ogni caso, però se uno vuol cercare su un argomento qualcosa… trova praticamente tutto su qualsiasi argomento, quindi l’originalità non sta più in un argomento o nel modo di trattare quell’argomento ma su come si mettono insieme cose diverse e su come si compone un puzzle diverso. Ma gli argomenti ci sono tutti, tutti e tutti sviscerati. Questo un po’ mi deprime e mi dico: ma possibile? Ecco, adesso siamo in contatto con tutto il mondo. Io se avevo un’idea non sapevo se al Polo Nord l’aveva già avuta qualcuno, oggi lo so. Se Giacomino fa qualcosa io la vedo dopo un’ora e così mi frega. Oggi, forse, per far qualcosa di nuovo bisognerebbe non guardare internet, fregarsene del tutto, fare quello che si vuole giocando al buio e rischiando. Se ho un’idea veramente originale, potrei sbagliare e scoprire che qualcuno l’ha già realizzata, oppure faccio qualcosa di nuovo. Ma se mi documento è finita. Sono stato a insegnare all’Istituto Europeo di Design a Milano, quando gli allievi hanno cominciato a fare un loro film hanno passato più di un mese a documentarsi, il che vuol dire che hanno guardato tutto quello che c’era sull’orso bianco, su come son fatti gli igloo, sul tipo di ghiaccio che esiste… sapevano di tutto e di più ma si erano anche svuotati, avevano perso la loro capacità creativa. Quando ho in mente un orso bianco è un’idea ma quando ne ho visti quindici o venti sicuramente non ho più la forza di andare avanti sulla mia idea, vengo influenzato dagli altri e perdo l’immediatezza che a volte è la cosa più bella.
Guarda, quando parlo quello che dico vale fino a domani mattina, perché poi domani mattina può cambiare tutto… Però in questo momento la penso così… poi boh…
Mister Tao: https://www.youtube.com/watch?v=wKMRg5vHzW0 La storia delle armi: https://www.youtube.com/watch?v=-lnHsdgYLUg Una vita in scatola: https://www.youtube.com/watch?v=q1mHbGvhjps Il signor Rossi: https://www.youtube.com/watch?v=39nkRH91ILQ Minivip: https://www.youtube.com/watch?v=lMZ4XVO0V-Y Valzer triste: https://www.youtube.com/watch?v=APSEYn7CqzQ West and soda: https://www.youtube.com/watch?v=zsA9iKPLGJE
FEBBRAIO 2018 Segni e… sogni Ora io non so se ero allora un uomo che sognava di essere farfalla, o se sono ora una farfalla, che sogna di essere uomo. Così si esprimeva Chuang-Tzu filosofo e mistico cinese nato nel 370 a.C. circa, ponendo un interessante interrogativo sulla realtà dei sogni e della stessa dimensione che noi percepiamo quando siamo svegli. E in effetti che cosa sono i sogni? Perché la notte, indipendentemente dalla nostra volontà ci troviamo a guardare questi strani filmati che ci coinvolgono come protagonisti? Il corpo rimane nel letto ma noi veniamo a trovarci in luoghi a volte familiari e a volte lontani, sconosciuti, misteriosi e viviamo situazioni che in quel momento hanno una realtà non diversa da quella che sperimentiamo nella veglia e che appare strana solo quando riapriamo gli occhi.
Il mondo onirico ha catturato l’interesse di scienziati, filosofi e artisti di ogni tempo, sfuggente ma anche reale è oggetto di studi, sperimentazioni, poesie, dipinti… Il sogno sfugge all’esperienza sensoriale del corpo ma il mondo in cui noi viviamo da svegli è poi tanto più “reale”? Noi viviamo in mondo che in effetti è una costruzione fatta dal nostro cervello, sulla base dei segnali che arrivano dai sensi, e quindi quella che noi chiamiamo realtà è poi sostanzialmente così diversa dalla dimensione in cui entriamo dormendo? La storia parla di uso profetico dei sogni presso i popoli antichi, testi sacri e poemi raccontano di sogni che modificarono le vite dei sognatori stessi o addirittura di interi popoli, la psicoanalisi freudiana li ha elevati a importanti elementi per comprendere e curare i disturbi della psiche, la ricerca scientifica ufficiale ha cercato di capire la sede anatomica in cui si formano e la loro fisiologia. Si è visto che il fenomeno onirico avviene nella parte più antica del cervello e più precisamente nell’ippocampo, e si sviluppa nella fase REM del sonno, quando gli occhi del dormiente hanno rapidi movimenti. La fase REM si alterna ad una fase N-REM, senza sogni, in cicli che si ripetono quattro o cinque volte per notte. Quindi noi tutti sogniamo più volte durante la notte anche se magari non ricordiamo nulla al mattino. Nonostante queste scoperte la vera natura del sogno resta ancora misteriosa. Non è sufficiente infatti nemmeno la rilevazione delle differenti onde emesse dal nostro cervello durante le fasi del sonno per capire che cosa sia il sogno e che cosa rappresenti all’interno della nostra esperienza di viventi. A saperne di più sul mondo onirico, sul suo significato e sulle sue potenzialità sono invece gli antichi druidi, come ci racconta Giancarlo Barbadoro nel suo articolo VIAGGIO NEL SOGNO LUCIDO. Secondo l'antico sciamanesimo druidico - scrive Barbadoro - la coscienza non si annulla mai e la condizione di sonno è caratterizzata da una precisa sequenza di "stanze" che l'individuo attraversa seguendo un "percorso onirico" che parte dal bordo della condizione di veglia per scendere sino ai più profondi archetipi della mente, dove cervello e astrazione archetipale si incontrano e si fondono. Per poi risalire nuovamente alla prima stanza in un processo altalenante di circa quattro-cinque cicli per notte. Nell’articolo sono descritte le quattro stanze attraverso cui si sviluppa ogni notte più volte il nostro viaggio di discesa e risalita. Come se prendessimo un ascensore verso il basso passiamo dal sogno immaginativo, così vicino allo stato di veglia da catturarne degli elementi, inserendoli nel contesto onirico, al sogno personale in cui vengono rivissute scene, emozioni o situazioni sperimentate nella veglia, per passare poi alla stanza delle quattro porte, in cui è possibile affacciarsi a dimensioni non convenzionali incontrando ad esempio altri esseri, viventi o non più vivi, per arrivare infine al sogno archetipale, un’esperienza al limite del pericolo di non ritornare più indietro. I druidi sapevano muoversi in questa dimensione e proprio qui potevano incontrarsi tra loro e dialogare anche con altre creature, applicando la tecnica del sogno lucido, che consente al sognatore di mantenere la consapevolezza viaggiando all’interno del sogno. Sempre nell’articolo citato troviamo interessanti indicazioni per sperimentare il sogno lucido dove il sognatore, diventa un onironauta, come attualmente viene definito chi affronta questo incredibile viaggio. Dal canto nostro abbiamo tentato di unire Segni dello Zodiaco e sogni raccogliendo esperienze e riflessioni di personaggi noti e amici che hanno avuto voglia di rispondere ad una nostra domanda: che valore dai ai sogni che fai di notte, cioè che posto hanno le esperienze oniriche nella tua vita? Ne è venuta fuori una raccolta interessante che parla di premonizioni, di esperienze pre-morte, di visite a luoghi particolari, in cui a volte si ritorna nelle notti successive e addirittura di risoluzione di problemi difficili da affrontare durante il giorno e che offre spunto per indagare ulteriormente questa strana dimensione in cui ci aggiriamo ogni notte. E ogni Segno ha saputo cogliere un aspetto particolare di questo misterioso mondo.
ACQUARIO: Alla ricerca del significato Alejandro Jodorowsky (17 febbraio 1929) scrittore, fumettista, saggista, drammaturgo, regista, studioso dei tarocchi e poeta cileno naturalizzato francese: Posto che sogniamo la nostra vita, dobbiamo interpretarla e scoprire ciò che sta tentando di dirci. P.R.: Alcuni sogni sono stati molto importanti nella mia vita e forse più che sogni devo dire premonizioni, infatti si sono avverati alcuni anni dopo. Il primo, e forse più importante, lo feci verso i 15 -16 anni in cui sognai colui che divenne mio marito. Altri sogni mi aiutarono in momenti particolari della mia vita, altri erano sogni e basta. Forse per alcuni ciò che si sogna non ha un significato particolare ma io cerco di capire e di spiegarmeli, specialmente se quando apro gli occhi li ho ben presenti e li ricordo molto bene.
PESCI: Sogno e veglia una dimensione unica Arthur Schopenhauer (22 febbraio 1788) filosofo tedesco: La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare. L.B.: Io non sogno o sogno pochissimo. Quel che preferisco è sempre e comunque sognare di giorno, e comportarmi in modo di poterne raggiungere sempre qualcuno. Se poi questo sia un impulso che viene dai sogni notturni non saprei dire.
ARIETE: Il sogno è uno strumento Erich Fromm (23 marzo 1900), psicoanalista e sociologo tedesco: Un sogno è un microscopio attraverso il quale osserviamo gli avvenimenti nascosti nella nostra anima. A.M.: A volte faccio sogni così strani… L’altra notte ho sognato una nuova ricetta di cucina e poi al mattino l’ho fatta. Tempo fa invece ho sognato il mio funerale e al cimitero c’ero anch’io con la mia macchina e facevo le condoglianze a tutti!. Dalle mie parti si dice: “bisusu avisusu”, i sogni sono avvisi, ma si dice anche “non credere ai sogni figlia mia”… TORO: Che cos’è la vita? William Shakespeare (23 aprile 1564) drammaturgo e poeta inglese: Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. A.B.: I sogni che ricordo al mattino riguardano per lo più desideri o speranze legate al mio vissuto personale. Accade talvolta che siano rielaborazioni di esperienze vissute realmente. GEMELLI: Siamo tutti connessi? Fernando A. N. Pessoa (13 giugno 1888) poeta e scrittore portoghese: E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?
A.A.: Ai sogni non do nessun valore; ciò nonostante due o tre eventi in tutta la vita mi hanno dato da pensare. Propendo più per il fatto che il cervello, durante il sonno, opera in modalità automatica, analizzando problemi o gioie della giornata (e non), vicissitudini quotidiane rimescolate alla rinfusa per non si sa ancora quale motivo. Però mi capitano esperienze diurne a cui do invece significato. Qui entriamo nella sincronicità di Jung o nella coscienza collettiva. Ecco, non ho dubbi che siamo tutti connessi. Se dovessi parlare, la gente mi prenderebbe per matto, ma so che "qualcosa" c'è. E non è nei sogni ma durante la fase di veglia che si può ben percepire. Ma non tutti sono abbastanza attenti da collegare ogni più piccolo dettaglio perché tendono ad osservare i fenomeni a bassa definizione, contrariamente a individui di scienza, come me, che facciamo tesoro dell'osservazione. In ogni più piccola sfumatura umanamente possibile.
CANCRO: I sogni deludono o stimolano? Luigi Pirandello (28 giugno 1867) drammaturgo, scrittore e poeta italiano: Le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti. L.P.: I sogni che faccio di notte sono legati alle emozioni che vivo ogni giorno, talvolta sono così vividi e reali che (anche quando sembrano "assurdi") mi fanno pensare e riflettere, durante il giorno, al motivo per cui ho fatto quel preciso sogno... e l'attività onirica ha un certo peso nel mio vissuto perché la mia passione per la psiche e i suoi misteri mi ha insegnato ad analizzarli e capirli. Premesso che non credo all'interpretazione dei sogni in chiave superstiziosa, sono importanti per la comprensione della mia Anima… .che oltretutto è l'Anima di una persona che sogna anche a occhi aperti…
LEONE: Qual è la chiave di lettura? Carl Gustav Jung (26 luglio 1875) psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero: La tua visione diventa nitida soltanto quando guardi all'interno del tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia. B.M.: Non ho mai dato molta importanza alla chiave di lettura che attribuisco al significato dei miei sogni anche se cerco di spiegarmeli con una certa insistenza. Lo faccio solo per imparare a conoscermi meglio ma poi la mia vita delle ore seguenti non subisce la minima interferenza dal sogno avvenuto durante la notte. Mio padre estrapolava sempre delle interessantissime interpretazioni in chiave psicoanalitica e con ogni probabilità ci azzeccava, visto che in genere si tenta di cucire l'abito voluto addosso al soggetto in esame. E l'abito voluto è generalmente quello che appare più manifesto, quindi spesso li leggiamo come perfettamente calzanti.
VERGINE: Che accade nella nostra testa? Jorge Luis Borges (24 agosto 1899) scrittore, poeta e saggista argentino: La veglia è un altro sogno che sogna di non sognare. C.C.: Faccio così tanti sogni durante la notte... sogni strani. Che rispecchiano il caos della mia mente...
BILANCIA Miguel De Unamuno (29 settembre 1864) poeta, filosofo, scrittore e politico basco: Il sogno di uno solo è l’illusione, l’apparenza; il sogno di due è già la verità, la realtà. Che cos’è il mondo reale se non il sogno di tutti, il sogno comune? R.M.: I pochi sogni che ricordo sono emotivamente molto intensi. Quando mi sveglio non sempre ricordo esattamente cosa ho sognato ma mi porto sempre dietro la netta sensazione di avere vissuto realmente delle cose, a volte anche importanti. In alcuni casi il sogno si svolge in luoghi che mi sembra di conoscere e in cui forse sono già stato altre volte. Per questo motivo spesso mi capita di ripensarci e di cercare di comprendere cosa mi è capitato e che relazione ha con la mia vita diurna, devo dire, non sempre con molto successo. SCORPIONE Paul Valéry (30 ottobre 1871) scrittore, poeta e filosofo francese: Il modo migliore per realizzare un sogno è quello di svegliarsi. G.J.B.: I sogni costituiscono una sorta di gioco con me stesso! Appena sveglio cerco di fissare nella mente ciò che ho sognato e comincio a scomporre le immagini provando a collegarle agli eventi del giorno prima. Poi espando il cerchio e vado indietro nel tempo, cercando di ricordare altri momenti nel passato. Tento di fare un'autoanalisi: mi diverte e mi aiuta a capire le connessioni che il mio cervello crea durante la notte, magari fissando nella memoria qualche particolare che altrimenti sarebbe andato perduto. Non attribuisco ai sogni particolari significati premonitori, cerco sempre di razionalizzarli. SAGITTARIO: La forza del sogno Alberto Moravia (28 novembre 1907) scrittore, giornalista, saggista e critico cinematografico italiano: C’è nei sogni, specialmente in quelli generosi, una qualità impulsiva e compromettente che spesso travolge anche coloro che vorrebbero mantenerli confinati nel limbo innocuo della più inerte fantasia. V.V.P.: Sogno spesso l'ultima persona o vicenda a cui penso prima di prender sonno. Penso che i sogni siano uno specchio stesso della realtà che viviamo... Spesso mi condizionano. Tant' è che quando un sogno mi lascia turbato o scosso, anche in senso positivo, spesso trovo tracce di esso nella realtà...
CAPRICORNO: Qual è il senso più profondo? Edgar Allan Poe (19 gennaio 1809) scrittore, poeta, giornalista e saggista statunitense: Tutto ciò che vediamo o sembriamo non è altro che un sogno dentro un sogno. C.G.: I sogni aprono il mondo dell’inconscio, penso siano segnali dal mondo sotterraneo dei nostri desideri e secondo me vanno presi in considerazione per un’analisi del nostro cosciente.
Per saperne di più: www.shan-newspaper.com/web/scienze/1341-viaggio-nel-sogno-lucido.html
Un personaggio dell’Acquario: Thomas Paine
Sono convinto che esista vita intelligente su altri pianeti. Vita che renderebbe vano il presunto sacrificio di Gesù sulla Terra.
Thomas Paine, l’uomo che scrisse queste parole, è uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America. Appassionato sostenitore dell’Indipendenza americana, antimonarchico e antischiavista è uno dei primi a sostenere un'organizzazione per la pace mondiale e la sicurezza sociale per i poveri e gli anziani. Thomas Paine non guarda solo gli avvenimenti e i problemi del momento, sa guardare anche la profondità del cielo per trarne ispirazione e come tutti coloro che sanno fare questo sembra essere un uomo molto più avanti dei tempi in cui vive. I suoi scritti sanno infiammare i cuori, le sue posizioni a volte davvero rivoluzionarie, come quella fortemente critica per quanto riguarda la religione gli alienano però le simpatie dei conservatori. Una vita complessa la sua, vissuta tra Europa e America, con grandi ideali nel cuore, che lo fanno un degno rappresentante del Segno di questo mese: l’Acquario. Thomas Paine nasce in Inghilterra a Thetford, Norfolk, il 29 gennaio 1737, da padre quacchero e madre anglicana. Va a scuola fino a 13 anni poi comincia a lavorare. Prima affianca il padre nella sua attività, poi svolge vari altri lavori, tutti poco redditizi e poco entusiasmanti. Anche se i guadagni non sono mai molto consistenti, Thomas spende gran parte dei suoi soldi per acquistare libri o strumenti scientifici.
Nel 1774, dopo l’incontro casuale con Benjamin Franklin a Londra, decide di andare in America e a Filadelfia comincia la sua carriera di giornalista e scrittore. Pubblica numerosi articoli, spesso in forma anonima o con pseudonimi, tra questi African Slavery in America in cui denuncia l’orrore del commercio degli schiavi africani. Nel 1776 esce il suo opuscolo Common sense, in cui sostiene che la protesta americana contro la tassazione da parte della corona inglese dovrebbe trasformarsi in lotta per l’indipendenza. Common sense ha una diffusione immediata ed enorme e sicuramente contribuisce in maniera determinante alla Dichiarazione d’Indipendenza, che viene ratificata il 4 luglio 1776. Durante la guerra d’Indipendenza, Thomas, aiutante di campo volontario del generale Greene, scrive i 16 documenti intitolati Crisis. Il primo di questi, pubblicato nel 1776 quando l’esercito di Washington si sta disperdendo, riesce ad infiammare talmente gli animi dei soldati che molti di loro decidono di rimanere in servizio, anche se il loro termine è ormai scaduto e potrebbero tornare a casa. Dal 1777 al 1779 Thomas è segretario della Commissione per gli Affari Esteri, nel 1779 è Segretario dell’Assemblea Generale della Pennsylvania. Nonostante questi incarichi prestigiosi alla fine della Rivoluzione si ritrova povero. Dai suoi scritti non ha mai voluto ricavare denaro in modo che potessero essere pubblicati in edizioni economiche ed accessibili a tutti. Gli venne data in dotazione una fattoria dove vivere, e qui Thomas si dedica alle sue passioni di scienziato e inventore: studia come realizzare un ponte di ferro senza pilastri e una candela senza fumo.
Nel 1787 torna in Europa. Qui parteggia per la Rivoluzione francese e quando Edmund Burke, il politico britannico che aveva sostenuto le rivendicazioni delle Colonie americane, la critica con veemenza nelle sue Reflections on the Revolution in France, Thomas risponde con Rights of Man contribuendo ad un grande dibattito che coinvolge sia l’Europa che l’America. In questo libro, dalla difesa della rivolta dei francesi, Thomas passa all’esame approfondito di ciò che non funziona in Europa: i governi monarchici che con le loro politiche arbitrarie causano disoccupazione, povertà, guerra. Delinea anche un piano che, finanziato da imposte progressive in base al reddito, prevede l’educazione popolare, l’assistenza ai poveri, le pensioni agli anziani e i lavori pubblici per i disoccupati. Naturalmente le idee di Thomas non risultano gradite alla corona inglese che infatti ordina di bandire il libro, incarcerare l’editore e incrimina Paine per tradimento. L’ordine di arresto non può essere eseguito solo perché lui è in viaggio verso la Francia dove è stato eletto nella Convenzione Nazionale. Mentre in Francia viene accolto con entusiasmo in Inghilterra viene processato in contumacia, riconosciuto colpevole di calunnia sediziosa e dichiarato fuorilegge. Dato che Thomas non conosce molto il francese deve farsi tradurre e leggere i discorsi ma partecipa attivamente ai lavori della Convenzione Nazionale nelle fasi cruciali del grande cambiamento che sta avvenendo in Francia, dall’abolizione della monarchia all’avvento del periodo del Terrore, che deplora e infatti combatte, anche se inutilmente, perché sia salvata la vita al re. Thomas propone l’esilio per Luigi XVI, assicurando che l’esecuzione alienerebbe di certo la simpatia degli americani per la Rivoluzione ma non viene ascoltato e anzi, quando Robespierre prende il potere pagherà per questi suoi tentativi con quasi un anno di prigione, dal 28 dicembre 1793 al 4 novembre 1794, cioè fino alla caduta di Robespierre. In carcere comincia a scrivere The age of reason, la sua opera più famosa. Sarà proprio questo scritto, d'ispirazione fortemente laica, ad allontanare da lui la simpatia degli americani per i quali era stato fonte di ispirazione e rinascita. Quando torna a New York, nel 1802, l’aria che si respira è completamente cambiata e il clima politico è diversissimo da quello che aveva lasciato. Thomas Paine muore l’8 giugno 1809, all'età di 72 anni, a New York e il suo corpo viene sepolto sotto un albero di noce nella sua fattoria. Al suo funerale partecipano soltanto sei persone, davvero poche per un uomo che ha dato un contributo così importante alla causa della libertà e della dignità degli uomini. Ci piace ricordarlo mentre scrive “questi sono i tempi che mettono alla prova l'animo degli uomini, all’inizio della Rivoluzione americana, quando il suo sguardo spaziava lontano e intravedeva in quegli anni la possibilità di un risveglio più globale, capace di mettere fine all’oppressione, alle monarchie, allo sfruttamento e promuovere ideali di democrazia e libertà per tutti.
GENNAIO 2018 Forti come la roccia
Gli auguri per un felice 2018 vi arrivano da un luogo assolutamente speciale e magico: il Cerchio delle grandi pietre di Dreamland. Visto che il Cerchio è composto, secondo la più antica tradizione, di dodici menhir, ognuno dei quali è legato ad un Segno dello Zodiaco, le previsioni per quest’anno si intrecceranno al messaggio che ognuno di loro racchiude nella profondità della sua struttura minerale. Lo stone circle di Dreamland si trova in Piemonte, nelle Valli di Lanzo, all’interno del territorio del grande Parco della Mandria, dalla parte di Fiano. È stato realizzato su progetto di Giancarlo Barbadoro, per dare visibilità alla cultura degli antichi Celti, cultura che, nonostante gli innumerevoli tentativi di cancellarla, operati prima dall’Impero romano e poi dalla Chiesa cristiana, continua a vivere, tramandata dalle famiglie celtiche. Questa cultura, identificabile come quella tradizionale dei nativi europei, cresciuta in tempi che ormai appartengono al mito, è portatrice di valori sociali di fratellanza tra tutti i popoli, umani e non umani, e di libertà individuale alla luce della conoscenza ricevuta in dono dal leggendario Fetonte, figura opportunamente denigrata dalla mitologia più recente e descritta come sciocco figlio del Sole incapace di guidare il carro del padre e portatore di sventure sulla terra. In realtà Fetonte fu l’iniziatore di una grande civiltà pacifica e progredita che ebbe le sue origini proprio nelle Valli piemontesi. Della storia del Cerchio di Dreamland avevamo già parlato in un numero precedente di questa rubrica, questa volta daremo voce al messaggio che ogni pietra porta con sé, legandolo alle previsioni per quest’anno. Per ogni menhir abbiamo linkato un video in cui Rosalba Nattero racconta le proprietà di quella particolare pietra e le sue doti terapeutiche, ogni pietra infatti è stata accuratamente scelta per le sue particolari proprietà. Per quest’anno il nostro augurio è di essere forti come la roccia e di partecipare alla vita ricevendo e donando benessere e armonia. Capricorno La pietra della forza: è una pietra piena di energia e per questo affine all’indole del Capricorno. Una grande forza sarà proprio ciò che caratterizzerà il tuo 2018. Sarà un anno di realizzazioni importanti ma soprattutto un anno in cui potrai esprimere pienamente la tua natura più profonda e il tuo essere più vero. www.shan-newspaper.com/web/videos/467-la-pietra-della-forza.html Acquario La pietra del sensitivo: aiuta ad essere sensibili verso la natura e verso tutti i suoi figli. Quest’anno avrai le antenne pronte a captare ogni cosa che accade intorno a te, ogni piccola vibrazione d’onda. Spesso avrai la sensazione che ti manchi qualcosa per capire bene ciò che accade. Forse stai un po’esagerando e le cose sono più semplici di quanto immagini. www.shan-newspaper.com/web/videos/497-la-pietra-del-sensitivo.html
Pesci La pietra del sogno:
testimonia che la vita è solo un sogno e che per vivere pienamente bisogna svegliarsi alla vera realtà. Quest’anno vorrai che i tuoi sogni prendano forma e sostanza, vorrai viverli nella realtà e avrai anche la forza e la volontà di farlo, animato da un sano ottimismo sorretto dalle stelle favorevoli. www.shan-newspaper.com/web/videos/527-la-pietra-del-sogno.html Ariete La pietra della trasformazione: induce ad un cambiamento interiore, a diventare più aperti e disponibili alle esperienze che la via popone. La trasformazione caratterizzerà quest’anno per te e sarà un periodo importante per il tuo mondo interiore che porterà a conquiste certe e durature. A volte dovrai riflettere e rinunciare ai colpi di testa e alle decisioni improvvise e focose che spesso caratterizzano il tuo modo di agire. www.shan-newspaper.com/web/videos/529-la-pietra-della-trasformazione.html
Toro La pietra della fiducia: stimola ad avere fiducia in se stessi, negli altri e nelle proprie scelte. Fidati della solidità che hai saputo dare ai risultati delle tue imprese, della fermezza dei tuoi propositi, della tua onestà nell’agire. Questa è la base per costruire il futuro che è già nell’aria. www.shan-newspaper.com/web/videos/582-la-pietra-della-fiducia.html
Gemelli La pietra del mistico: favorisce il contatto con il Trascendente e con la propria natura spirituale. Sarà per te un anno improntato alla ricerca della felicità, non tanto quella data dalle cose, dalle situazioni o dalle persone che ti fanno star bene, quanto quella che viene da dentro, quando la vita riacquista leggerezza e gli avvenimenti scorrono senza imbrigliarti in ruoli e morali che ti imprigionano. www.shan-newspaper.com/web/videos/617-la-pietra-del-mistico.html
Cancro La pietra della rinascita: suggerisce di provare a morire e rinascere nuovi ogni giorno. E rinascita sia! Quest’anno sarà pieno di vita, di occasioni e anche di sorprese che potrebbero farti dimenticare il vecchio te stesso a cui sei abituato. Soprattutto se tendi ad essere un po’ incerto nelle tue decisioni non avrai tempo per stare a rimuginare, un vento di vita ti spingerà fuori dai soliti pensieri e dalle vecchie idee. www.shan-newspaper.com/web/videos/652-la-pietra-della-rinascita.html
Leone La pietra del ricordo: dona la capacità di capitalizzare i ricordi come ricchezza e mantenere il contatto con le proprie radici. Ricordati di non esagerare, di non farti trascinare dalla tua natura generosa e impetuosa, ricordati di chi sei tu veramente, oltre le cose che fai e quelle che dici. Se ti ricorderai di questo il tuo anno sarà denso di esperienze importanti e positive, sia per quanto riguarda i traguardi che ti sei prefisso sia per la tua crescita interiore. www.shan-newspaper.com/web/videos/718-la-pietra-del-ricordo.html Vergine La pietra della fratellanza: facilita il dialogo, la comunicazione alla pari con tutte le altre forme di vita. Questo 2018 ti porterà serenità e buonumore, una visione positiva del mondo e, potremmo proprio dire, un senso di fratellanza verso chi condivide con te il cammino della vita. Il bello di quest’anno sarà proprio una ritrovata fiducia nelle tue capacità e nella tua anima più profonda, che nasce con dolcezza proprio dalla percezione di essere insieme, di appartenere all’esistenza. www.shan-newspaper.com/web/videos/779-la-pietra-della-fratellanza.html
Bilancia La pietra del destino: Incoraggia a cogliere quei segni sottili che la natura ci invia continuamente per farci guardare oltre l’ovvietà delle cose. Il destino ti presenterà alcuni conti, quest’anno. Sono situazioni che ti sei trascinato dietro e aspettano di essere definite. Il consiglio è di agire con prudenza e saggezza in ogni circostanza. Fidati del tuo senso di giustizia e usalo per allargare il tuo orizzonte oltre il mondo dell’apparenza. www.shan-newspaper.com/web/videos/778-la-pietra-del-destino.html Scorpione La pietra del potere: il potere nasce, secondo l’antico druidismo, quando il micro e il macrocosmo coesistono in armonia, quando il vuoto e il pieno si uniscono nella neutralità e allora si diventa vento nel vento. Quest’anno potrai godere di mille opportunità, in tutti i campi della vita. L’imprevisto scombinerà spesso le carte che hai messo in tavola ma tu saprai usarlo a tuo vantaggio, cambiando punto di vista e rivalutando situazioni e strategie. www.shan-newspaper.com/web/videos/818-la-pietra-del-potere.html Sagittario La pietra della conoscenza: porta a prendere contatto con tutti gli aspetti della propria vita, sia evidenti che misteriosi. Il 2018 sarà per te un anno sostanzialmente calmo, dopo le molte battaglie che hai dovuto sostenere, e ti consentirà di guardare le cose nella loro profondità, cercando la loro essenza. Dato che ti piace molto l’azione potresti sentirti un po’ spaesato. Le stelle ti consigliano di non dare spazio ai pensieri e concentrarti invece sulla qualità anziché sulla quantità delle esperienze che vivi. www.shan-newspaper.com/web/videos/837-la-pietra-della-conoscenza.html
Per saperne di più: Sullo Stone Circle di Dreamland www.eco-spirituality.org/tdgr09.htm www.youtube.com/watch?v=wwolPuBhAuM Sulla conquista di benessere e armonia secondo le conoscenze degli antichi Celti G.Barbadoro - R.Nattero - IL GUARITORE SPIRITUALE – Keltia Editrice
Un personaggio del Capricorno: Pier Fortunato Zanfretta
Ricordate L’uomo che cadde sulla Terra? È un film degli anni settanta, il protagonista è un alieno, interpretato da David Bowie, letteralmente caduto con la sua astronave sul nostro pianeta. Invece di accogliere questo ospite venuto dalle stelle come uno che porta novità viene utilizzato come cavia per esperimenti che hanno il solo scopo di confermare la logica dominante. Pier Fortunato Zanfretta è il protagonista di una storia per certi versi simile. Lui sulla Terra ci è nato ma ha incontrato gli alieni. Invece di tacere, nascondendo la sua avventura, l’ha raccontata apertamente, con semplicità, immediatezza e dovizia di particolari e questo ha fatto di lui un caso, suscitando grande curiosità ma purtroppo ben poca credibilità. E’ passato per bugiardo, visionario, ubriacone. È stato sottoposto a vari esperimenti di ipnosi regressiva e interrogatori con uso del siero della verità e ha avuto la vita stravolta da questa avventura. Ma Zanfretta, nato sotto il Segno del Capricorno, ha mostrato sempre grande coraggio, forza e determinazione. Non ha mai ritrattato, non si è mai arreso e continua a raccontare la sua storia a chi glielo chiede. Pier Fortunato Zanfretta, Piero per gli amici, nasce il 28 dicembre 1952 a Nova Milanese. Quando il padre muore, gli Zanfretta si traferiscono a Genova. È una famiglia numerosa e Piero deve cominciare a lavorare fin da ragazzino. Fa un po’ di tutto, il lattaio, il tappezziere, il barista. A diciannove anni si innamora e si sposa. La vita della giovane coppia prende una piega tranquilla, lui trova un lavoro sicuro come metronotte, hanno quattro figli. Tutto questo fino al 1978 quando iniziano ad accadere cose che nessuno si sarebbe aspettato. Una notte, durante uno dei suoi normali giri di controllo nella zona che gli è stata assegnata, nell’entroterra genovese, tra Bargagli, Torriglia, Montebruno, Rovegno e Marzano, vede nel cielo buio un grosso oggetto luminoso a forma di sigaro. Quando lo riferisce con la radio alla centrale però non viene preso sul serio e il fatto rimane relegato tra gli argomenti su cui scherzare nonostante il giorno seguente, sul Secolo XIX, il giornale di Genova, compaia la foto del misterioso oggetto che qualcuno è riuscito a riprendere. Come spesso accade quando si tratta di UFO, la notizia non assume una vera rilevanza, è catalogata come fatto curioso e tutto si stempera nelle battute sui marziani. La notte del 6 dicembre 1978 però pone fine alla vita tranquilla di Piero. Alle 23,45 Piero è in servizio e sta eseguendo i soliti controlli, anche se quella sera, stranamente, invece di seguire l’itinerario che fa sempre uguale da anni, decide di fare il giro al contrario partendo da Marzano. Dopo aver controllato il paese si dirige verso due ville più isolate, Villa Verde e Casa Nostra, e proprio in quest’ultima vede delle strane luci in movimento. Chiama la centrale per chiedere rinforzi ma la radio smette di funzionare, si spengono anche le luci del paese e il motore dell’auto. Piero non si perde d’animo, nonostante la paura, entra nel giardino della villa, facendosi luce con una torcia e impugnando la pistola ma, invece di trovarci i ladri, incontra qualcuno che mai si sarebbe aspettato di vedere e che gli stravolgerà letteralmente l’esistenza. Qualcuno o qualcosa gli dà una spinta e lo butta per terra. Perde la torcia e la pistola rotolando nell’erba e quando riesce a recuperarle vede qualcosa che lo lascia letteralmente paralizzato. Davanti a lui c’è un essere enorme, alto circa tre metri. Aveva la fisionomia di un uomo, diciamo, però era tutto squamoso, aveva una testa molto grande e sulla testa vedevo delle vene rosse con dentro il sangue che si muoveva. Lui mi guardava chiaramente dall’alto in basso. Aveva due enormi occhi gialli triangolari, due buchi al posto del naso e davanti alla bocca una specie di retina che mandava una luce. Le mani avevano le dita palmate. Nel momento in cui l’ho guardato sono svenuto.
Quando rinviene da un oggetto triangolare scende un’enorme luce, due enormi esseri lo prendono e lo portano entro questa luce. Nonostante Piero cerchi di ribellarsi, divincolandosi in ogni modo, si trova ben presto in una stanza, nudo e legato su un letto d’acciaio. Dal soffitto scende un enorme macchinario con sei punte di vetro che gli bucano le spalle, i fianchi e le gambe. Non sente dolore ma continua ad agitarsi disperatamente per liberarsi. Vede il suo sangue passare dal suo corpo al macchinario e poi tornare nel suo corpo. Questo dura circa due ore e mezzo, poi il macchinario si stacca da lui e torna verso il soffitto, le ferite si chiudono da sole e si ritrova libero, sul tavolo. Piero si riveste in fretta, scappa ripercorrendo all’indietro il percorso che i due alieni lo avevano costretto a fare, scende utilizzando la luce che lo aveva fatto salire e si ritrova nel prato. L’oggetto in cui era stato tenuto prigioniero si trasforma in un’enorme luce e scompare. Piero torna alla macchina di servizio dove la radio trasmette la voce dei colleghi della centrale: Dove sei? Dove sei? Ti stiamo cercando! E lui racconta dove è stato e che cosa gli è successo ma è in evidente stato di shock e così lo trovano colleghi quando sopraggiungono sul posto. Circa una cinquantina di persone testimonieranno di aver visto in cielo, quella stessa sera, un enorme disco luminoso. La sera successiva, quando Piero prende servizio, gli dicono che su alla villa Casa Nostra ci sono i carabinieri che gli vogliono parlare. Nel luogo dell’incontro del terzo tipo ci sono strane impronte, due buche di quattro metri di diametro e venti di profondità con le pareti assolutamente lisce e l’enorme vetrata sul retro della casa non c’era più, è diventata polvere. I carabinieri raccolgono la testimonianza di Piero. Il giorno dopo le buche vengono riempite di terra e in corrispondenza vengono piantati due pini, la vetrata viene ricostruita, il padrone di casa disdice il contratto con il servizio di vigilanza. Piero riprende la sua vita normale. Un giorno però, mentre è a bordo della macchina di servizio, si accorge che i comandi non rispondono più. L’auto cammina per conto suo, entra in una fitta nebbia, ad un certo punto si ferma, si aprono le portiere e lui può scendere. Subito compaiono due di quegli esseri enormi che già una volta lo avevano rapito e lo riportano nella camera in cui era già stato, all’interno del misterioso oggetto volante. Piero rivive la stessa spaventosa avventura. Seguiranno altri incontri con gli alieni, dal 1978 all’81 li incontra ben cinque volte. La stampa comincia ad occuparsi di questa vicenda e Piero diventa un personaggio pubblico. Viene sottoposto a perizia psichiatrica, a ipnosi regressiva, a interrogatori con l’uso del penthotal, il cosiddetto siero della verità. Nonostante gli esiti positivi di queste prove non sono in molti a dare credito alle sue parole, la maggior parte della gente gli ride in faccia, gli amici prendono le distanze, la sua famiglia va in crisi, i media lo usano come fenomeno che fa spettacolo. Gli incontri con gli alieni continuano ma Piero non dice più niente a nessuno. Sapevo dove andare, dove incontrarli, li incontravo e poi ritornavo in città. È successo per ben 6 volte. Ogni volta viene richiamato da un suono, un sibilo dietro la testa, dove gli è stato impiantato un piccolo oggetto, che lui descrive come una specie di triangolino nero.
Anche se lui non vuole rispondere, anzi oppone resistenza, è tutto inutile. Il richiamo gli dice dove andare. Si tratta di posti impervi che lui non conosce ma che sa come raggiungere e ogni volta trova gli alieni ad aspettarlo. Quando sento il sibilo non sono più io. Mi vesto prendo la macchina e parto. Non sto a guardare dove sto andando, è la macchina che mi porta. Sono posti su in montagna dove neanche i lupi vanno. Vicino a Genova ci sono il monte Fasce e il monte Moro: quando uno va su di notte si perde, son tutti boschi. Sì c’è la strada ma io sono entrato in posti in cui non ci sarebbe potuta passare una macchina, ma ci è passata. L’8 agosto 1981 gli consegnano un oggetto e un compito. Mi hanno chiamato. Sono stato sul monte Fasce, dalla parte nord della montagna. Ho lasciato la macchina, mi hanno preso e portato su e mi hanno detto di aspettare il loro ritorno, quando sarebbero venuti a ritirare una cosa che mi avevano lasciato, una scatola. Mi hanno detto:” Questa scatola devi darla al professor Hynek”. Ho chiesto: “E chi è?” “Tu cercalo, digli di venire dove tu lo porterai e dovrai consegnargli questa scatola”. La scatola è un cubo di metallo di 60 centimetri per 60. Io questo l’ho fatto. Ho cercato il professore, gli ho scritto. Era un astronomo e un ricercatore di ufologia, uno dei più grandi studiosi di questo fenomeno. Dovevo solo aprire la scatola e poi il resto era un problema suo. Mettendo una mano sopra la scatola automaticamente si aprono il coperchio, i fianchi, la parte davanti e la schiena, dentro c’è una sfera con una piramide d’oro in mezzo, una piramide a tre facce non a quattro. A metà della sfera c’è un liquido celeste. Quando apro la scatola questa piramide gira in tutti i sensi e manda scariche elettriche. Mentre gira il liquido diventa sempre più chiaro finché non emette un’enorme luce. Io dovevo solo consegnargli la scatola ma lui non se la sentiva di venire in Italia, forse non credeva a questa strana storia. Ha detto ti posso mandare una persona e tu la dai a lui. La persona è venuta ma io gli ho detto: “Mi spiace ma o viene lui o la scatola resta lì”. Poi il professore è morto e la scatola è rimasta dov’era. Io vado due volte al mese e la apro. Credo che aprendola do energia a quello che c’è dentro. La cosa particolare è che quando vado lì qualsiasi sia il tempo, pioggia, vento o neve, per me la strada è libera e pulita. Una volta nevicava che dio la mandava, quindi per arrivare su con la macchina era dura, ma vedevo la neve sciogliersi sulla mia strada. Una volta sono stato preso da un attacco di rabbia, non ne potevo più di questa storia, ho cercato di prendere la scatola per portarla fuori di lì ma sono stato scaraventato via da una forte scossa di corrente. Non mi ha fatto niente, non ho sentito dolore, ma ho capito che non posso portarla via da là. Se mi rifiuto di andare due volte al mese comincio a sentire questo terribile dolore alla testa e da lì capisco che l’unico modo per farlo smettere è andare. Quando mi avvio il dolore sparisce. Una testimonianza coraggiosa quella di Piero Zanfretta, in un mondo in cui fino a pochi anni fa era “scientifico” ritenere che nell’universo immenso l’unico pianeta abitabile fosse la nostra piccola Terra. Ha accettato, per confermare la sua verità, di essere cavia di esperimenti e non si è mai contraddetto, ha visto amici e famiglia prendere le distanze da lui, a volte prova rabbia perché gli è stata portata via la sua vita e la vorrebbe indietro. Caparbio, non ha mai ritrattato nulla delle sue dichiarazioni, non si è mai posto come eroe né come vittima solo ritiene di essersi trovato per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato. Una vita segnata da un evento straordinario che la mentalità ristretta, figlia di religioni superstiziose e scientismo materialista ha reso difficile e solitaria mentre avrebbe potuto aprire a grandi interrogativi, a dialoghi, a nuove scoperte.
DICEMBRE 2017 Alberi sotto le stelle
Dedichiamo agli alberi questa puntata di Astromatta, sollecitati dalla magia dell’atmosfera dicembrina e di uno dei suoi protagonisti: l’abete adorno di mille luci che accoglie, sotto le sue fronde, i doni. E nell’augurare a tutti i nostri lettori che queste feste d’inverno siano per loro fonte di armonia e felicità, vogliamo condividere una riflessione. In questo periodo dell’anno si ricrea ogni volta, nell’aria, una specie di ricordo lontano, un desiderio di felicità e fratellanza che alberga comunque nel cuore della maggioranza dell’umanità e che vuole trovare il modo di esprimersi. Nella memoria più profonda dell’umanità sembra sia rimasto impresso un avvenimento, che ritorna nei miti e nelle leggende. La Terra si trovava in un’analoga posizione nel suo viaggio intorno al Sole quando questo accadde? Era una data che ora traduciamo in 25 dicembre, quando dal cielo arrivarono gli antichi maestri che regalarono conoscenza libertà e amore all’umanità di quel tempo lontano? I popoli che abbiamo chiamato Figli delle Stelle, perché fanno risalire la loro Tradizione a questo dono venuto dal cielo, testimoniano che questo evento non ha solo una valenza simbolica ma fu un avvenimento concreto. Le religioni storiche lo fanno coincidere con la nascita del loro dio e per questo il 25 dicembre, guarda caso, è la data di nascita di molti dei, da Dioniso a Mithra, da Horus a Zarathustra, da Krishna a Buddha a Gesù Cristo.
E a rappresentare il dono ricevuto da una stella scesa sulla terra c’è un albero, antico testimone di eventi mitici. L’albero è uno di quei simboli che ritroviamo in tutte le culture del pianeta. Con le sue radici che affondano nell’oscurità e i suoi rami che si espandono in alto verso la luce, rappresenta in modo immediato ed efficace l’unione della Terra con il Cielo e la forza evolutiva presente tanto nell’universo immenso quanto nel cuore di ogni essere. L’albero della Vita, l’Yggdrasil degli antichi druidi che si sviluppa estendendosi su quattro mondi, Anwin, Abred, Gwenved ed il Cerchio di Keugant, rappresenta un insegnamento, la mappa di un cammino per i ricercatori dell’infinito. Forse gli alberi sono simboli così significativi per noi oltre che per la loro forma anche per la storia che abbiamo in comune.
Forme di vita che hanno abitato il pianeta prima della comparsa di noi animali, fratelli maggiori che ci hanno aiutato a crescere, sono esseri con una loro misteriosa cultura, a volte disponibili al contatto con noi. Quel benessere che si vive camminando nei boschi non è forse una loro comunicazione? Quel progressivo e naturale acquietarsi dei pensieri nella nostra testa potrebbe essere un loro dono e nel silenzio a volte sembra quasi sentire un loro canto. Del resto, come ebbe a dire G. Theodor Fechner, fisico e filosofo dell’ottocento, perché non ci dovrebbero essere oltre le anime che camminano, gridano, mangiano, anche anime che silenziosamente fioriscono e spandono odori? E nelle lunghe notti d’Inverno quando gli alberi dormono sotto le stelle chissà che sotto terra, attraverso le radici si raccontino storie per mantenere memoria di quanto è accaduto su questo pianeta fin dai primordi, popolo silenzioso e attento custode della vita del pianeta azzurro.
Per saperne di più: http://www.shan-newspaper.com/web/esoterismo/129-i-tarocchi-e-lalbero-della-vita.html http://www.shan-newspaper.com/web/animalismo/1549-il-caso-della-comunita-vegetale.html http://www.shan-newspaper.com/web/tradizioni-celtiche/954-nemeton-il-giardino-sacro-dei-druidi.html
Un personaggio del Sagittario: Jagadish Chandra Bose
A coloro che contemplano l'Uno, in tutte le mutevoli diversità dell'universo, appartiene la verità eterna, a nessun altro, a nessun altro. Così afferma Jagadish Chandra Bose, celebre fisico e botanico indiano, tra i primi a riconoscere e dimostrare sperimentalmente la sensibilità delle piante. Il mistico Paramahansa Yogananda, conterraneo e contemporaneo di Bose, nel suo libro Autobiografia di uno yogi, dedica al grande scienziato un intero capitolo, in cui lo descrive come severo e solitario ma al tempo stesso amabile. Era un bell’uomo robusto - dice di lui – con folti capelli, una larga fronte e gli occhi assorti di un sognatore. La precisione delle sue parole rivelava l’ambito scientifico di tutta una vita. Scienziato e sognatore, l’ospite di questa puntata, incarna perfettamente l’anima duplice del Sagittario che ha bisogno di poggiare i suoi zoccoli sulla concretezza della terra ma punta la sua freccia verso il cielo lontano. Jagadish dice di sé: Sono stato educato a Cambridge. Come è ammirevole il metodo occidentale di sottoporre qualsiasi teoria ad una scrupolosa verifica sperimentale! Tale procedimento empirico è andato in me di pari passo con il dono dell’introspezione, che rappresenta la mia eredità orientale. Le due cose unite mi hanno permesso di sondare i silenzi dei regni naturali, tanto a lungo inesplorati. Jagadish Chandra Bose nasce il 30 novembre 1858 a Mymensingn, nel distretto di Bikrampur nel Bengala indiano, attuale Bangladesh. Grande influenza sulle sue scelte di studio le ha il padre, magistrato, uomo di grande cultura e amante delle scienze. Jagadish, nel 1869, frequenta il Collegio di S. Saverio a Calcutta dove sviluppa, sotto la guida di Padre Eugene Lafont, una spiccata propensione per la ricerca. Nel 1879 Jagadish si laurea in Fisica a Calcutta e tra il 1881 e il 1885 in Fisica, Chimica e Botanica a Cambridge e in Scienze Naturali a Londra.
Quando torna in India insegna Fisica presso il Collegio della Presidenza fino al 1916. La sua passione però è la ricerca e dal 1894 trasforma in laboratorio un locale del Collegio. Prima di dedicarsi allo studio delle piante conduce esperimenti sulle onde hertziane, costruisce un nuovo generatore d’onde, individua per primo le microonde e la loro capacità di attraversare i corpi solidi, mette a punto un ricevitore di onde radio, migliore di quello di Edouard Branly, lo brevetta come Radiometro universale, senza mai sfruttarne i diritti. In pratica sperimenta la trasmissione senza fili due anni prima di Marconi. Nei suoi esperimenti con il Radiometro universale, Bose osserva un singolare comportamento dello strumento: nonostante sia composto di elementi di metallo, dopo un uso prolungato, il Radiometro sembra mostrare segni di stanchezza e lasciato a riposo riacquista la sensibilità iniziale. Il comportamento ricalca quello degli esseri viventi e questo porta Bose a ipotizzare che la materia possa avere una sorta di sensibilità, anche quando non è classificata materia vivente e che quindi questo possa valere ancor più per le piante. Questa possibilità lo appassiona così tanto che in seguito si dedicherà completamente allo studio e alla sperimentazione dell’elettrofisiologia delle piante. Jagadish comincia a studiare le reazioni dei viventi e dei non viventi, poi le proprietà fisiologiche dei tessuti vegetali e la loro somiglianza con quelle dei tessuti animali. Cerca sempre la verifica sperimentale della risposta agli stimoli da parte dei metalli, dei tessuti vegetali e di quelli animali. Le reazioni vengono rilevate attraverso il fluire di una corrente, dall’intensità e dalla forma della curva di risposta.
Bose scegliendo di osservare la risposta elettrica, quale manifestazione fondante della sua teoria sulla sensibilità della materia inorganica e organica, si rifà agli studi sull’elettrofisiologia del fisiologo Auguste Desiré Waller. Bose osserva come gli stimoli meccanici, termici, elettrici o chimici producano risposte elettriche sia nei sistemi organici che inorganici, e come questo fatto evidenzi sensibilità propria di tutta la materia sia organica che inorganica. Questa sensibilità, secondo Bose, ha la sua causa fisica in un fenomeno elettromagnetico dovuto allo scomporsi e ricomporsi degli equilibri molecolari che, perturbati dagli stimoli, quando si ristabilizzano generano un flusso elettromagnetico, misurabile dagli strumenti come corrente. Dalla mente geniale di Bose nasce il Crescografo, un particolare microscopio capace di ingrandire 10.000.000 di volte le cellule vegetali e di mostrarne la crescita e la reazione a stimoli esterni. È ancora Yogananda a raccontare l’esperimento col Crescografo, effettuato su una pianta di felce, durante una sua visita al laboratorio di Bose: Fissavo con grande aspettativa lo schermo che rifletteva la sagoma ingrandita della felce. Ora si distinguevano tenui movimenti di vita; la pianta cresceva lentamente dinanzi ai miei occhi incantati. Lo scienziato toccò la sommità della felce con una barretta di metallo: i movimenti si arrestarono bruscamente, per riprendere il loro sintomatico ritmo appena la barretta fu allontanata. “Avete visto come la più piccola interferenza esterna sia nociva a questi sensibili tessuti”, commentò Bose. Jagadish ottiene numerosi importanti riconoscimenti per i suoi studi, nonostante l’ostilità di parte della comunità scientifica, quella sempre restia ad accogliere il nuovo, quando questo intacca le conoscenze acquisite e difese come certezze inconfutabili. Jagadish oltre a pubblicare vari saggi di fisica e fisiologia tra cui Risposta nel vivente e Non vivente del 1902 e Il meccanismo nervoso delle piante del 1926, regala anche numerosi racconti di fantascienza scritti in bengalese. Muore il 23 novembre 1937 a Giridih in Bihar, nel Bangladesh britannico.
NOVEMBRE 2017 Figli delle stelle - 4
Dopo i Dogon del Mali, gli Apache dell’Arizona e i nativi australiani, il nostro viaggio alla ricerca dei popoli delle stelle, cioè di quelli che ricordano di aver ricevuto le loro conoscenze da visitatori arrivati dal cielo, ci riporta in Africa, nel Camerun. Ancora una volta ritroviamo miti che riferiscono una storia sorprendentemente simile a quelle narrate nelle puntate precedenti (rispettivamente quelle di Luglio, Agosto e Settembre 2016) e praticamente sovrapponibile a quella che si racconta in Italia nelle valli del Piemonte, tramandata dalle famiglie celtiche del luogo, non quella rimaneggiata in epoca romana. Ebbene sì la storia di Fetonte, il dio arrivato dalle stelle col suo carro di fuoco, è la stessa che ritroviamo in America, in Australia e in Africa. Fetonte, in un tempo remoto, scese sul Roc Mahol (il Rocciamelone), la montagna attraversata da una lunga grotta, e da lì, dopo aver fatto erigere un cerchio di grandi pietre dai suoi aiutanti di metallo dorato, cominciò ad insegnare la fratellanza, la libertà e la conoscenza dell’intima natura dell’universo. Lo stesso fece il dio Nyambè sulla montagna di Ngog Lituba insegnando agli uomini, in un tempo altrettanto remoto, a vivere tutti uniti e in armonia come le dita delle mani o i rami di una stessa fascina. Ngog lituba è un’enorme roccia, identificabile come un grosso meteorite, posta al centro della vasta pianura attraversata dal fiume Sananga, in piena savana, nel distretto di Nyanon, a nord-est di Douala. Ngog Lituba significa roccia forata, nella lingua dei Bassa, perché sulle sue pendici si apre un foro, l’imbocco di una grotta che si addentra nella montagna e che conserva la memoria sacra dei Bassa, degli Elog-Mpo'o, dei Duala, dei Bati e di altri gruppi Bantù. Secondo il mito a portarla dal cielo fu Nyambè in persona, il dio vivente, l’antico degli antichi, all’inizio dei tempi. Fu Nyambè a creare gli spiriti, la prima coppia di umani senza ombelico e la grande foresta in cui potessero vivere. Nella foresta pose Ngog lituba e piantò ai suoi piedi il Singue, l’albero che donava salute, giovinezza e nuova vita. I discendenti della prima coppia di umani si moltiplicarono fino a divenire un popolo che viveva in armonia e in fratellanza secondo gli insegnamenti di Nyambè. Quando il popolo divenne grande, alcuni cominciarono a migrare, popolando l’Africa. Purtroppo ad un certo punto alcuni dimenticarono l’insegnamento di Nyambè che li esortava a restare uniti e cominciarono a vivere dichiarando di volersi affrancare dalla presenza del dio. Nyambè si fece da parte e se ne andò via, ma non prima di aver riunito ancora una volta i suoi discepoli e aver mostrato loro come l’unità rendesse forti e la divisione portasse alla debolezza e alla sconfitta. Prese un fascio di rametti legati con un laccio e poi li sciolse in modo che fosse chiaro a tutti che mentre la fascina era difficile da spezzare, il singolo rametto non poteva fare resistenza. Da allora però i popoli africani persero la loro unità, divennero tanti e conobbero il dolore, la guerra e la sconfitta. Solo coloro che seppero far tesoro degli insegnamenti di Nyambè poterono continuare a vivere nel suo dono spirituale, custodendolo e trasmettendolo.
Ngog lituba è come uno scrigno che custodisce i simboli sacri delle esperienze e conoscenze tramandate, è il luogo fisico che racchiude la memoria spirituale e storica e celebra l’identità profonda dei popoli che ad essa fanno riferimento. Oltre ai miti delle origini, Ngog Lituba ha un’importanza fondamentale anche in tempi un po’ più vicini. Si racconta che gli antenati dei Bassa, dei Bati e degli Elog-Mpo'o in fuga dall’Egitto, arrivati vicino a Ngog Lituba, stesero per essere raggiunti dai loro inseguitori. La grande pianura era priva di ripari e nascondigli, si accorsero però della presenza di un’apertura sul fianco della montagna e vi si rifugiarono, convinti che sarebbe stato per loro il luogo dell’estrema difesa e dell’ultima battaglia. Ngambi, il ragno, decise di aiutarli tessendo una grande tela all’ingresso della caverna. Gli inseguitori si affacciarono ma vedendola ostruita da una grande tela di ragno intatta, ne dedussero che nessuno fosse entrato e si allontanarono. Ngambi, il ragno, divenne il totem del popolo salvato e quella terra che li aveva accolti fu identificata come loro terra promessa e lì si fermarono. Ecco perché Ngog lituba diventò la loro montagna sacra, un grande tempio naturale, luogo in cui è custodita la memoria storica, la conoscenza spirituale e l’identità stessa di queste genti. Dagli anni ’50 del secolo scorso ai primi anni del 2000 la montagna è stata protagonista di un importante evento storico e di affermazione dell’identità spirituale delle popolazioni autoctone. Nel 1959 sulla sua cima venne costruita, per volere dell’allora vescovo di Douala, una grande croce e una statua della Madonna, nel tentativo di ricoprire di significati cattolici il luogo considerato sacro dalla notte dei tempi per i Nativi e di trasformarlo in una proprietà fondiaria. La Confrérie Mbog-Parlement dei Bassa, che difende l’identità spirituale e il riconoscimento dei popoli indigeni africani, nel 2005, tramite il suo portavoce S. Brice Tjomb, chiese aiuto alla Ecospirituality Foundation per portare questo caso all’attenzione internazionale, cosa che infatti avvenne con le numerose interpellanze presentate dalla Ecospirituality Foundation alle Nazioni Unite, rifacendosi alla Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni. Il filo sottile che unisce tra loro tutti i popoli figli delle stelle forse si sta facendo più consistente ed evidente. Questi popoli hanno conservato un legame profondo con le origini e con madre terra e sono i custodi di un messaggio di armonia che comprende le umanità, le stelle, l’universo intero. I miti, le conoscenze, le esperienze sono le gemme di un tesoro custodito e trasmesso di generazione in generazione che fa da collante tra il passato più remoto e il futuro più lontano. Questi popoli rappresentano la speranza dell’umanità intera. Per saperne di più: www.eco-spirituality.org/cmr.htm Messaggio del popolo Bassa al Forum degli Indigenous People delle Nazioni Unite: www.eco-spirituality.org/onu08-4.htm
Un personaggio dello Scorpione: René Magritte È possibile che l’inconoscibile provochi della gioia in noi. È proprio quando incontriamo un’immagine dell’ignoto che potremmo sentirci spaesati. Invece credo che, in realtà, siamo a nostro agio, siamo esattamente dove desidereremmo trovarci. Il mio unico desiderio quello di sentire il silenzio del mondo.
René Magritte è considerato uno tra i massimi esponenti del Surrealismo, il movimento culturale nato negli anni 20 del secolo scorso che percorse, come un lungo brivido, tutte le arti, dalla pittura alla letteratura fino al cinema, proponendo una nuova visione della vita, in cui il sogno assumeva grande importanza, permeando e ispirando la realtà consueta. Magritte con i suoi quadri ha saputo creare suggestioni incredibili, mostrando l’irrealtà dell’apparente reale. Il suo soprannome le saboteur tranquille ben rappresenta questo artista dall’apparenza posata come i suoi personaggi vestiti con soprabito e bombetta ma con la capacità di fare, con i suoi quadri, uno sgambetto inaspettato che mette in crisi ciò che sembrava normale. Come rappresentante del mese di novembre, mostra molto bene l’anima rivoluzionaria dello Scorpione che, con un veloce colpo della sua coda acuminata, stravolge l’ovvietà della routine. Contemporaneamente evidenzia anche lo sguardo un po’ ingenuo con cui il Sagittario guarda il mondo, dipingendo le immagini con uno stile che ricorda quasi le illustrazioni di un libro per bambini. Renè Magritte nasce infatti a Lessines, in Belgio, il 21 novembre 1898, proprio alla fine del periodo dello Scorpione, in cuspide con il Sagittario. René è uno dei tre figli di Régina Bertinchamps e Léopold Magritte, di professione sarto. La famiglia, si trasferisce più volte da una città all’altra, finchè nel 1912, a Chatelet, la madre si suicida gettandosi nel fiume Sambre e viene ritrovata con la testa avvolta nella camicia da notte. Quell’esperienza e quell’immagine drammatica rimangono impresse nel cuore di Renè che, da grande, dipingerà più volte volti ricoperti da una stoffa bianca. Quasi per allontanarsi da quel dolore, Leopold Magritte con i suoi tre figli lascia Chatelet e si trasferisce a Charleroi dove René si impegna negli studi classici e comincia a manifestare il suo interesse per la pittura. Nel 1916 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles, città in cui si stabilisce nel 1918, e nel 1922 sposa Georgette Berger, che aveva conosciuta quando entrambi erano ancora ragazzini. Si guadagna da vivere disegnando tappezzerie, copertine per album musicali, manifesti pubblicitari e cinematografici, tutti lavori che in seguito, con grande autoironia, definirà le sue opere alimentari.
La sua passione per la pittura cresce e René si interessa di tutti i movimenti artistici d’avanguardia dal futurismo al cubismo alla Nuova Oggettività. La sua vita ha una svolta quando su una rivista vede pubblicato il Canto d’Amore di Giorgio de Chirico. Quel quadro che non rappresenta semplicemente la realtà così come si vede lo colpisce profondamente e gli fa iniziare il suo percorso surrealista. La sua prima opera di questo filone sarà Il fantino perduto. Nel 1925 aderisce al gruppo surrealista di Bruxelles, nel 1926 conosce André Breton, leader del movimento surrealista, 1927 espone sessanta opere nella sua prima mostra personale, presso la galleria Le Centaure di Bruxelles. La critica però lo stronca e lui, deluso, si trasferisce con la moglie a Parigi. Quando torna a Bruxelles, nel 1930, si stabilisce nell’appartamento al n.135 della rue Esseghem di Jette, sobborgo di Bruxelles, che diventerà il luogo d’incontro dei surrealisti di Bruxelles e, molti anni dopo, sarà trasformata in casa-museo dedicata al pittore. È in questo appartamento che Magritte dipingerà la maggior parte delle sue opere. Negli anni Quaranta, per sfuggire alla dominazione nazista va con la moglie nella Francia del Sud, a Carcassonne, dove cambia anche stile pittorico, realizzando delle opere ironiche dall’aspetto grezzo (periodo vache), poco apprezzate dalla critica. Il successo arriva negli anni Sessanta con la rassegna al Museum of Modern Art di New York del 1965. Muore il 15 agosto del 1967 a Bruxelles, a causa di un improvviso cancro del pancreas e viene sepolto nel cimitero di Schaerbeek.
Le opere di Magritte diventano famose dopo gli anni Sessanta e da quel momento saranno spesso citate dal cinema, dalla musica, dalla pubblicità. Qualche esempio? La copertina del numero 41 di Dylan Dog, il fumetto, o la copertina dell’album Beck-Ola del Jeff Beck Group. René Magritte, a parte il breve soggiorno a Parigi e quello nel Sud della Francia, rimase tutta la vita in Belgio, ma le sue opere riescono a proporci viaggi straordinari in una dimensione contemporaneamente reale e immaginaria. Per Magritte dipingere è un modo per indagare l’esistenza, capire la dimensione in cui si trova a vivere e conoscere meglio ciò che gli sta intorno. Gli oggetti quotidiani, che la familiarità rende così “normali”, tanto da non sembrare più degni d’attenzione, possono rivelarsi, se guardati con occhi diversi, assolutamente strani se non straordinari. Ed è questo che Magritte fa succedere nelle sue opere. Uno specchio diventa la porta su un altro mondo, una grossa bolla diventa una luna, delle scarpe mostrano l’inquietante mostruosità dell’abitudine di ricoprire i nostri piedi con la pelle di altri esseri, delle nuvole stazionano dentro la testa, l’immagine di una pipa si ribella e vuole affrancarsi dall’essere copia del suo modello (Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa)… Ogni quadro è una finestra che si apre sulla nostra stessa realtà, riprodotta in modo nitido e dettagliato ma con qualcosa che ne rivela un lato misterioso (Io cerco di trasformare in materia l’insensibile). Mentre si osserva succede qualcosa di strano nella nostra testa, una specie di risveglio dall’ovvietà del sogno che stiamo vivendo. La tecnica che Magritte usa propone immagini di oggetti comuni, dipinti in modo molto realistico e semplice, ma l’accostamento dei vari elementi che compongono l’opera o il contesto in cui gli oggetti vengono inseriti portano l’osservatore a farsi domande, a cogliere qualcosa di fuggevole e strano. Ho mai visto che cos’è davvero una mela? O una scarpa? O una pipa? La pittura è per Magritte un modo di conoscere il mondo, ma è una conoscenza inseparabile dal suo mistero (Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi). Infatti la separazione tra il mondo osservato e l’osservatore si scioglie, svanisce il confine tra mondo interiore e quello esterno, gli oggetti acquistano una luminosa valenza simbolica come quelli visti di notte nei sogni. …I sogni non vogliono farvi dormire ma al contrario svegliare. Intervista a René Magritte: www.youtube.com/watch?v=wVdF2ssLeN4
OTTOBRE 2017 L’autunno, la fine dell’anno per antichi Celti
Con l’Equinozio d’Autunno, festa di Mabon, comincia l’ultima parte dell’anno celtico, una fine che preannuncia il nuovo inizio segnato da Samain, la prossima ricorrenza. Morte e rinascita sono alla base del calendario delle feste che abbiamo seguito, dal novembre scorso su queste pagine, percorrendo insieme il sentiero che si snoda tra le stelle e contemporaneamente nel cuore di chi lo sa trovare. L’arrivo dell’Autunno, fine del ciclo della natura, celebra l’appartenenza di tutti gli esseri al Mistero da cui scaturisce l’esistenza che noi conosciamo e la contemplazione di Mat, la causa prima, da parte dei coloro che dimorano nel mondo di Gwenved, il mondo che sta oltre l’illusione dei sensi. L’ultima parte dell’anno era, per gli antichi druidi, la celebrazione della Conoscenza e del Potere iniziatico, concetti raccontati poeticamente nella leggenda del Ritorno di Imma, il viaggio del giovane Ilushi alla ricerca del senso della sua vita. Il viaggio di Ilushi è soprattutto un viaggio interiore che lo porta, attraverso tappe successive a trovare la sintonia con il Mistero che ha dato origine al nostro mondo. L’Equinozio d’Autunno è la festa della Tradizione antica e del Siv’nul, l’albero a tre braccia, il simbolo che la rappresenta.
Dal punto di vista astronomico l’Equinozio è il momento in cui la notte e il giorno si equivalgono come durata, un momento particolare il cui luce e buio sono in perfetto magico equilibrio. L’equilibrio tra gli opposti è un concetto base per il druidismo, tutt’ora vivo e pregnante, basti pensare all’Armor e all’Argoat dei Bretoni o al pieno e al vuoto della Kemò-vad, la danza del Vento, il metodo che porta armonia e benessere in chi la pratica. L’Equinozio d’autunno ha preso anche il nome di Mabon, il giovane dio della vegetazione e dei raccolti, figlio della Dea Madre. Il suo mito racconta che fu rapito tre giorni dopo la sua nascita e imprigionato per un lungo periodo finchè sarà liberato da Culhwch, cugino di Re Artù. Il mito è analogo a quello greco di Persefone, figlia di Demetra, dea dei raccolti e dei cicli delle stagioni. Rapita da Ade che la voleva come sposa, Persefone fu portata agli Inferi e Demetra, finchè non rivide la figlia impedì ai semi di germogliare e alle piante di fiorire e dare frutti. L’Equinozio d’Autunno è un momento di festa per diverse popolazioni del mondo. Particolarmente poetica la festa giapponese chiamata Shuubun No Hi o Higan no Chu-Nichi. In questa giornata si va a contemplare la pioggia delle foglie d’acero, albero sacro del Giappone, così come all’Equinozio di Primavera si fa con la fioritura dei ciliegi. Una curiosità: durante la Rivoluzione francese questo giorno divenne il primo dell’anno. La prima Repubblica francese fu infatti proclamata il 21 settembre 1792 e quindi il giorno successivo, quello dell’Equinozio, divenne la data di nascita dell’era repubblicana. Per le ricorrenze celtiche abbiamo fatto riferimento a: Le Feste dei Celti di G.Barbadoro e R.Nattero, Keltia Editrice La leggenda Il ritorno di Imma fa parte della raccolta: Il libro delle leggende di G.Barbadoro e R.Nattero, Edizioni Triskel
Un personaggio della Bilancia: Edward Bach La salute è il nostro patrimonio, un nostro diritto. È la completa e armonica unione di anima, mente e corpo; non è un ideale così difficile da raggiungere, ma qualcosa di facile e naturale che molti di noi hanno trascurato.
Di Edward Bach sono noti i Fiori, rimedi capaci di riportare armonia negli animi turbati da problemi contingenti o di fondo, come il dolore, il panico, l’impazienza o l’indecisione. È l’ospite di questa puntata in rappresentanza del Segno della Bilancia di cui incarna perfettamente la ricerca di equilibrio e di armonia. Nato il 24 settembre 1886 a Moseley, un paese a pochi chilometri da Birmingham, nel Galles, Edward Bach dimostra, fin da bambino, un grande interesse per la natura e una spiccata sensibilità per la sofferenza di tutti gli esseri. A diciassette anni smette di studiare per non essere di peso alla famiglia ed è proprio lavorando nella fabbrica di ottone del padre, a contatto con gli operai e i loro problemi ,che decide di diventare medico e si iscrive all’Università di Birmingham. Si laurea nel 1913 ed inizia subito a lavorare presso l'University College Hospital di Londra, come responsabile del pronto soccorso. In un secondo tempo diventa responsabile del reparto di chirurgia d'urgenza al National Temperance Hospital. Ben presto però si rende conto che la medicina tradizionale, con il suo approccio allopatico, concentra la sua attenzione sulla lotta alla malattia, ignorando completamente il malato. Edward osserva che i “malati” essendo persone, con una loro complessità, con particolari caratteristiche, problematiche e risorse non rispondono in maniera univoca allo stesso farmaco e che anzi nel trattamento di una qualsiasi patologia, la personalità dell'individuo gioca un ruolo più importante del corpo. Queste considerazioni lo porterà ad interessarsi all’omeopatia, a studiarla a fondo e a fare interessanti ricerche, in particolar modo nell’ambito della tossiemia intestinale. Allo scoppio della prima guerra mondiale Edward, riformato alla visita di leva per motivi di salute, ottiene però l’incarico di responsabile di oltre 400 posti letto, per i reduci di guerra, presso l'ospedale universitario, impegno che si va a sommare a quello di assistente presso l'ospedale della scuola medica e al suo lavoro al reparto di batteriologia. Il carico di responsabilità e di attività quotidiana sono alla base dell’emorragia che nel giugno 1917 lo porta ad essere ricoverato e a scoprire di avere un tumore. Viene operato d’urgenza ma i medici gli pronosticano solo tre mesi di vita. Dopo un periodo di depressione, convinto che un interesse e un ideale nella vita siano migliori di qualunque cura, si butta a capofitto nel suo lavoro, nell’intento di portare a termine i suoi progetti, ignorando completamente qualsiasi tipo di medicinale. Passano i tre mesi previsti e costata che la malattia, invece di progredire è regredita, dimostrando che un interesse totale, un grande amore, una finalità precisa sono fattori decisivi per la felicità dell'uomo sulla terra e che sono una vera terapia.
Nel 1919 lo troviamo all'Homoeopathic Hospital dove lavora come batteriologo e dove può approfondire lo studio e la pratica del lavoro di Samuel Hahnemann. Entusiasta dell’Organon, il testo base di Hahnemann, pensa di poter innestare le sue conoscenze su quelle del padre dell’Omeopatia e in effetti, grazie a questa intuizione, scopre i cosiddetti sette nosodi, veri vaccini omeopatici, somministrabili per via orale, che, uniti all’approfondimento della personalità specifica di ogni paziente, lo portano a guarire centinaia di casi di malattie croniche. La sua ricerca non si ferma qui. Convinto di poter trovare una cura ancora più semplice e vicina alla Natura, utilizzabile da chiunque, pensa di sostituire ai nosodi (ottenuti da batteri intestinali) alcune piante. Chiude il suo frequentatissimo studio medico londinese e si dedica completamente alla ricerca di questo nuovo metodo di cura. Si trasferisce in Galles e comincia a percorrere in lungo e in largo le campagne alla ricerca di erbe e piante medicinali. Viene da pensare che, oltre alla sua innata sensibilità, alla sua pazienza e competenza, abbia potuto attingere anche a conoscenze antiche, visto che le capacità terapeutiche delle erbe sono da millenni patrimonio degli sciamani di tutti i continenti e che le conoscenze druidiche tradizionali sono conservate e tramandate tutt’oggi. Dei fiori, Bach dice che hanno l’effetto di un bel pezzo di musica o di altre cose meravigliose che hanno il potere di ispirarci, possono rinforzare le nostre energie e avvicinarci alla nostra Anima. Grazie a ciò ci sentiamo rilassati e liberati dalla nostra sofferenza. I rimedi non guariscono attaccando direttamente la malattia, ma inondano il nostro corpo con le vibrazioni del nostro Io più profondo alla cui presenza le malattie si sciolgono come neve al sole.
Nel 1932 Bach mette a punto la raccolta di dodici fiori base che chiama i dodici guaritori e che mostrano di avere straordinarie virtù terapeutiche sullo stato d'animo umano. Sono: Rock Rose (eliantemo), Mimulus (mimolo giallo), Cerato (piombaggine), Scleranthus (scleranto), Gentian (genziana), Clematis (vitalba), Water Violet (viola d’acqua), Impatiens (balsamina), Agrimony (agrimonia), Centaury (centaurea), Chicory (cicoria), Vervain (verbena). Il fatto che siano dodici, numero simbolico tradizionale, da un lato rafforza l’idea che Edward attinga alla conoscenza antica e dall’altro rimanda facilmente all’Astrologia. In effetti molti astrologi trovano una relazione tra i caratteri descritti da Bach per ognuno dei dodici Guaritori e le personalità dei 12 Segni zodiacali, ma Bach non esplicita questa analogia, anzi afferma testualmente "Sono abbastanza cauto per quanto concerne l’astrologia, per questo sono stati omessi i dodici segni zodiacali ed i mesi da I Dodici Guaritori. Quest’opera aiuterà decisamente la purificazione e la comprensione dell’Astrologia ma sembra che il mio contributo sia di dare i principi generali con il cui aiuto chi ha conoscenze più specifiche possa scoprire una grande verità". Per questo motivo non pubblichiamo nessun abbinamento tra fiori e Segni, lasciando ad ogni lettore la possibilità, se vuole, di trovare le corrispondenze, leggendo direttamente le descrizioni di Bach. Ai primi dodici fiori, Edward ne aggiunge via via altri fino ad ottenere la raccolta che oggi conosciamo. Edward comincia fin da subito a proporre il suo metodo di cura ai suoi pazienti, ottenendo risultati così incoraggianti da sentirsi in dovere di divulgarlo il più possibile, insegnandolo a chiunque sia interessato, sia ai medici che alla gente comune. Questa sua generosità nel dare a tuti la sua conoscenza lo mette in contrasto con la classe medica, amareggiandolo al punto da chiedere di essere cancellato dall’Ordine dei Medici e risultare semplicemente come erborista. Si racconta che sia morto felice, il 27 novembre 1936, come se sentisse di aver compiuto la sua missione su questa terra. Ci piace ricordare queste sue parole: Bisogna nello stesso tempo imparare a rispettare ugualmente la libertà di ognuno, a non attendersi nulla dagli altri ma al contrario essere sempre presenti e tendere loro una mano sicura nei momenti difficili. Così ogni essere che incontreremo nella vita, sia una madre, un marito o un figlio, un estraneo o un amico diviene un compagno di viaggio.
SETTEMBRE 2017 Il Cerchio di Nuova Terra
C’è chi pensa alle leggende come a racconti di eventi molto lontani nel tempo, un modo per tramandare storie vissute da esseri che non ci sono più da tanto, i cui nomi e volti sono ormai sfumati nel mito, esistono invece eventi leggendari molto più vicini a noi di quanto si possa immaginare. Uno di questi eventi è la nascita del Cerchio di Nuova Terra. Il Cerchio di Nuova Terra è la realizzazione di un sogno, il sogno che i suoi fondatori portavano nel cuore quando il loro viaggio, già di per sé costellato di eventi straordinari, li portò ad un appuntamento inaspettato con altri cittadini del mondo, sotto il grande cielo di Scozia. I convenuti erano stupiti di trovarsi lì insieme quel giorno. Ognuno veniva da un paese diverso ma tutti avevano qualcosa in comune: la capacità di andare oltre le apparenti differenze che spesso dividono l’umanità e l’amore per l’armonia e per la conoscenza. Si unirono insieme in una meditazione comune che segnò la nascita di quello che venne chiamato il Cerchio di Nuova Terra. Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero videro in questo evento l’inizio di quello che poteva essere la realizzazione di un sogno riunire in una unica esperienza spirituale tutte le persone che desideravano dare un contributo al benessere e al futuro dell'intera umanità.
Quell’evento non poteva restare isolato, così fecero la proposta, accolta con entusiasmo da tutti i presenti, di mantenere vivo il loro incontro spirituale, diffondendo la meditazione quale esperienza al di là delle parti, capace di dare armonia immediata e possibilità attivare un processo di continua evoluzione interiore per ognuno e di innescare un processo di pace per tutto il pianeta. Era il 2 settembre 1986 ed era martedì, per questo fu stabilito che il martedì sarebbe stato il giorno degli incontri di meditazione del Cerchio di Nuova Terra, appuntamenti che avrebbero unito virtualmente anche meditanti lontani tra loro ma uniti nel comune intento di operare per la pace e la spiritualità, e soprattutto incontri aperti a tutti coloro che, condividendone i fini, volessero partecipare, individualmente o in gruppo, uniti in un grande Cerchio che coinvolge tutta la Terra.
Da quel giorno la meditazione del martedì è diventata planetaria, coinvolgendo sempre più persone che da sole o in gruppo si incontrano, fisicamente o virtualmente, al di là di tutte le differenze di cultura o di razza, per testimoniare la forza della spiritualità, per dare un contributo d’amore, libertà e conoscenza, com’è nella tradizione di tutti i popoli naturali del mondo. Ora è possibile partecipare alla meditazione del primo martedì del mese anche su Second Life, il mondo virtuale a cui si può accedere con un proprio avatar e interagire con gli altri presenti. Con Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero aderirono al Cerchio dei Catalizzatori, Mrs. Eileen Caddy (Findhorn, Scotland), Baroness Edmee Di Pauli (London, UK), Mrs. Arlette Nathanael (London, UK), Mrs. Karyn Martyn-Kuri (Centerville, USA), Mrs. Helen Hypatia Bailey-Bayly (New York, USA), Miss Judith Meynell (Forres, Scotland), Mme Yanick David (Paris, France), M. Leon Moscona (Sofia, Bulgaria), A.A. Thikonoff(Moscow,CSI), Huan Han Tsi (Beijng, Cina), Ola Cassadore e Mike Davis (Apache San Carlos, Arizona), ma l’adesione è sempre aperta ad altri membri che propongano e insegnino la meditazione in armonia con lo spirito del CNT. Il 2 settembre è una data così speciale che è diventata una festa, durante la quale si prepara e si condivide l’hope cake, la torta della speranza, con una base soffice con le mele, servita con una colata di cioccolato fondente fuso e a fianco del gelato alla vaniglia, un dolce simbolico e augurale, che celebra il mondo migliore che si può costruire grazie all’esperienza della meditazione. Per saperne di più: www.newearthcircle.org/cnt-menu.htm
Un personaggio della Vergine: Janet Frame Ho scoperto che la mia libertà è dentro di me e nulla la può distruggere. Janet Frame è una delle più grandi scrittrici neozelandesi. Ha avuto riconoscimenti internazionali e ben due proposte per il Nobel della letteratura ma la sua vita è stata drammatica e solitaria, anche se intensa e piena di immaginazione.
La sua storia ci parla del grande mondo interiore dei nati sotto il Segno della Vergine e della loro difficoltà ad esprimerlo con semplicità ed immediatezza, quel loro vivere in bilico tra l’immensità che percepiscono e un quotidiano minimalista (… era ancora il mare a reclamare di essere ascoltato, facendo della città una conchiglia che cantava all’orecchio di ognuno). Nei libri di Janet si contrappongono sempre i due mondi, che lei chiama This world e That world, da un lato il mondo dei normali dall’altro il mondo dei pazzi. Il primo è il mondo del conformismo, il mondo che non le appartiene, l’altro quello degli artisti, dei bambini, è il mondo fantastico che si apre alle persone dotate di sensibilità, in cui sa muoversi disinvolta e senza paure. Janet nasce il 28 agosto 1924, a Dunedin, in Nuova Zelanda. Il padre lavora alla costruzione della ferrovia e così si deve spostare, con tutta la famiglia, ogni volta che il cantiere si sposta con l’avanzamento dei lavori. I Frame sono poveri, vivono in una delle baracche del cantiere, che la madre rende accogliente ogni volta grazie al suo animo artistico, con pochi e semplici arredi e tanta fantasia. Janet è una bimba molto timida, con difficoltà di comunicazione e questi continui trasferimenti rendono ancora più difficili i legami di amicizia con gli altri bambini e si restringono ai rapporti familiari con le sorelle e il fratello. Janet ha una sensibilità molto accentuata, un’anima vibrante che trova intimità nel contatto con la natura, con gli alberi, il cielo e l’erba verde su cui ama correre e sentirsi libera. Janet è una bimba grassottella, un po’ goffa nei movimenti, con la pelle bianchissima, il viso pieno di lentiggini, con una gran massa di capelli incredibilmente rossi e incredibilmente ricci, a scuola è brava ma con pochi amici, forse anche a causa del suo aspetto trascurato e alla poca simpatia che la sua prima insegnante le dimostra. Sarà un libro a “salvarle la vita”. Una compagna di scuola le presta le Fiabe dei fratelli Grimm e Janet comincia a leggere e a perdersi in quel mondo meraviglioso, dove lei e i suoi fratelli diventano i personaggi dei racconti. E’ la prima, ma non l’unica, volta che la vita di Janet viene salvata da un libro. Il secondo insegnante che avrà resterà invece incantato dalle poesie di Janet la incoraggerà a scrivere e Janet scriverà, scriverà e scriverà. Passata l’adolescenza alcuni fatti drammatici tormentano la vita di Janet: le frequenti crisi epilettiche del fratello e la morte di una delle sorelle, annegata. Il dolore provato per questa disgrazia la spingono a chiedere aiuto, ma questo aiuto le viene dato in una forma piuttosto discutibile: viene internata nell’ospedale psichiatrico di Seacliff con la diagnosi di schizofrenia. Janet, che ha studiato con profitto all’università, che ha per qualche tempo anche insegnato, che scrive bellissime poesie e racconti viene a trovarsi in un mondo che non avrei mai immaginato, fra gente la cui esistenza non avrei mai creduto possibile, che lei descrive come un corso accelerato sugli orrori della pazzia e suoi luoghi abitati da coloro che vengono ritenuti pazzi separandomi per sempre dalle precedenti realtà e dalle sicurezze della vita di ogni giorno.
E’ un’esperienza devastante. Mi sembrava che la mia vita fosse stata sconvolta da quell’improvvisa suddivisione della gente fra quella “comune”, della strada e questa gente “segreta” che pochi avevano visto o alla quale avevano rivolto la parola, ma della quale molti parlavano, deridendola, con ilarità o paura. Vidi persone con gli occhi sbarrati come l’occhio di un ciclone, circondate da vortici invisibili e silenziosi tumulti che contrastavano stranamente con la loro quiete. L’ambiente dell’ospedale sembra fatto apposta per annientare le persone. Molti pazienti rinchiusi in altri reparti di Seacliff non avevano neppure un nome, solo soprannomi, nessun passato, nessun futuro, solo un Adesso di reclusione, un’eterna Isola del Presente senza orizzonti che la accompagnassero, senza appoggi né appigli, e perfino senza il suo cielo mutevole. Janet, definita malata mentale, descrive quell’esperienza con un’incredibile lucidità: Cominciai a provare un sentimento di impotenza verso la situazione in cui mi trovavo. Vivevo in una terra solitaria che penso assomigli al luogo dove i moribondi passano i loro ultimi istanti prima di morire, e dal quale chi fa ritorno al mondo dei vivi porta inevitabilmente con sé un punto di vista privilegiato, descrivendolo come un incubo, come un tesoro, e qualcosa che ti apparterrà per tutta la vita; penso talvolta che debba essere il miglior punto di osservazione al mondo, poiché la vista spazia perfino più lontano che dalle montagne dell’amore, simile per estasi ed esposizione alle intemperie, così vicino alle dimore degli antichi dèi e dee. Sottoposta a quattrocento elettroshock che lei vive come vere e proprie esecuzioni, da cui emerge ogni volta come dalle tenebre, riesce a non distruggersi. Leggendo le sue parole viene da chiedersi come gli pseudoscienziati abbiano potuto trascinare la medicina così in basso, come abbiano potuto sottoporre degli esseri a trattamenti così inumani e umilianti. Per fortuna Janet non smette di scrivere e di spedire a casa i suoi lavori, che partecipano così anche a importanti concorsi letterari. … fu la mia attività di scrittrice a salvarmi. Avevo visto nell’ufficio del reparto la lista di coloro che dovevano essere lobotomizzati, con il mio nome insieme ad altri cancellati a mano a mano che veniva eseguita l’operazione. Il mio “turno” doveva essere molto vicino, quando una sera il primario dell’ospedale, il dottor Blake Palmer, fece una visita inattesa al reparto. “Ho deciso che deve restare com’è. Non voglio che cambi… - le dice il dottore - Lei ha vinto il premio Hubert Church per la prosa”.
Per la seconda volta è un libro a salvarla, questa volta uno scritto da lei stessa: The lagoon (1951). Nella descrizione della laguna, Janet sembra anticipare il lavoro di ricostruzione di se stessa che dovrà intraprendere uscita dall’ospedale: Con la bassa marea tutta l'acqua è risucchiata nel porto, e la laguna non c'è. C'è solo una distesa di sabbia, grigia e sporca, ombreggiata di pozze scure d'acqua di mare, dove se sei fortunato puoi trovare un polipo neonato, la carcassa arancione screziata di un granchio, o il relitto sommerso di una barchetta giocattolo. C'è un ponte sulla laguna, e da lì, riflessa nelle pozze d'acqua, puoi vedere la tua immagine, intrappolata da piccole onde e stralci di nuvole. A volte la notte si vede anche una luna subacquea, velata e segreta. Uscita dall’ospedale Janet comincia a viaggiare in Europa e negli Stati Uniti d’America. Le strade che percorre nel mondo esterno si intrecciano con i sentieri del suo mondo interiore, alla ricerca di sé stessa, attraverso e oltre le esperienze vissute. E questo cammino è raccontato nei suoi libri: Owls do cry (1960), Faces in the water (1961), The edge of the alphabet (1962), Scented gardens for the blind (1963), The adaptable man (1965), Intensive care (1970), Daughter Buffalo (1972). Dopo il ritorno in Nuova Zelanda pubblicherà Living in the Maniototo (1979), To the is-land (1983), An angel at my table (1984) e The envoy from mirror city (1985). Gli ultimi tre libri possono essere considerati una trilogia autobiografica e sono la base del film del 1990, An angel at my table, della regista Jane Champion, sulla vita di Janet Frame. Janet muore il 29 gennaio 2004 a Dunedin, sua città natale. D’ora in ora più selvatica. Lo so. Da tanti anni divorata, tagliata, ritagliata, i rami costretti a destra e a manca, mi slanciai, fiorendo, minuti fiori bianchi sopra gli steccati fisso in viso le persone. Mi guardano le api, mi ha preso in mano il vento. Forte e aspro è il mio gusto, rigogliose le mie fronde. Si acciglia la gente, se vede che metto ancora una radice. Il trailer del film An angel at my table: www.youtube.com/watch?v=xfMh-fRSH5E
AGOSTO 2017 Lughnasadh, la festa della Nuova Terra
La leggenda vuole che Lughnasadh prenda nome da Lugh, il re splendente, che istituisce questa festa per celebrare di Tailtiu, la sua madre adottiva. Tailtiu è l’Irlanda e più in generale è il simbolo della Terra fertile. Lughnasadh si celebra il primo agosto, è la festa del raccolto, dell’abbondanza, della generosità di Madre Terra ma, come ci racconta il libro “LE FESTE DEI CELTI” che stiamo usando come guida in questo nostro viaggio sulla via Spirituale che l’antico calendario propone, ha anche un significato più profondo. Lughnasadh fa parte del quarto gruppo delle feste del Calendario celtico, quelle dedicate alla partecipazione cosciente all’esistenza, e celebra la Nuova Terra cioè la realizzazione dell’Antica Profezia, la realizzazione della speranza della ricostruzione dell’Eden.
L’opulenza dei frutti, l’abbondanza del raccolto, diventano i simboli della ricchezza e della felicità del Mondo di Gwenved, il mondo dei Viventi, cioè di coloro che accedono ad un piano di esperienza più ampia, dove la realtà può essere contemplata nel suo aspetto reale oltre le limitazioni del Mondo di Abred, quello dell’apparenza delle cose. Il nostro testo guida ci porta in un passato lontano ma quanto mai vivo e presente nel cuore dei nativi europei, e ci racconta di antiche usanze, di un mondo in cui la gestione delle cose comuni, il ricordo dell’esperienza vissuta e la consapevolezza della propria dimensione spirituale si intrecciano dando luogo ad una festa che si svolge su più piani e più dimensioni.
Così mentre si preparavano e si gustavano frittelle tonde a base di mais (Natan) accompagnate da verdure speziate e pani di mais cotti con frutta (Utan), si organizzavano le gare tra i Clan che proponevano i loro campioni di tiro con l’arco e tiro alla fune, di lotta o corsa o altri giochi che richiedevano particolare abilità come l’antico Siv-sat. Le gare prevedevano anche composizioni musicali e poetiche, perché anche l’arte aveva il suo spazio e la sua importanza. Mentre si adornavano le case con pannocchie e spighe legate a gruppi di tre o con oggetti simbolici realizzati con gli steli delle messi, si celebrava il ricordo (Kashod), sia del proprio percorso personale sulla via della meditazione, sia del cammino dell’umanità nel suo insieme, dal punto di vista delle vicende storiche e delle conquiste spirituali raccolte nella tradizione druidica. Si costruivano anche delle capanne leggere dove gli innamorati potevano trascorrere insieme la notte e dove ognuno poteva trovare un momento in cui fermarsi a riflettere sul senso del ricordo. La notte infine era illuminata dai grandi fuochi intorno ai quali si cantava e si danzava in onore del re Lugh. Vale la pena di ricordare ancora che, in Scozia, in questo giorno si celebra l’antica ballata di John Barleycorn. Le parole ripercorrono il ciclo della vita, morte, rinascita delle messi e ribadiscono il processo alchemico che porta ogni ricercatore del senso della vita a morire e rinascere più volte per trovare l’infinita libertà dello spirito.
“LE FESTE DEI CELTI” di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero è edito dalla Keltia Editrice
Un personaggio del Leone: Abebe Bikila Ho voluto che il mondo sapesse che la mia gente ha sempre vinto con determinazione ed eroismo. Così disse Abebe Bikila il giorno della sua vittoria, il 10 settembre 1960, alle olimpiadi di Roma. Abebe Bikila è forse il più famoso maratoneta olimpico, personaggio con un posto d’onore nell’immaginario collettivo, per quella sua corsa straordinaria, a piedi nudi, sulle vie di Roma.
La sua storia torna alla ribalta nel film L’Atleta, del 2009, diretto da Davey Frankel e Rasselas Lakew, presentato lo stesso anno all'Edimburg International Film Festival, proposto per la candidatura come miglior film straniero ai premi Oscar del 2011 e inserito nel 2015 nell’ambito del Romafrica Film Festival. Bikila aveva già avuto una “citazione” nel film Il maratoneta, triller del 1976 diretto da John Schlesinger, in cui il protagonista, Dustin Hoffman, guarda il video di Bikila che corre, in una stanza in cui le foto del campione sono appese alle pareti. Bikila è nostro ospite in questa puntata di agosto, come rappresentante del Segno del Leone di cui impersona il coraggio, la volontà, il desiderio di riscatto e di affermazione individuale. E molto “leonino” si rivela anche nelle parole di Basil Heathley, l’atleta britannico medaglia d’argento alla maratona di Tokio, che, stringendogli la mano alla fine della gara dice di aver provato una grande emozione perché in lui si percepiva qualcosa di oltre: era esile all’eccesso, taciturno all’eccesso e aveva un portamento maestoso. Non c’era traccia di arroganza in lui, semplicemente non sembrava propriamente umano. Ogni Leone, indipendentemente dalla sua attività o posizione sociale, ha sempre in sé qualcosa di regale.
Abebe Bikila nasce il 7 agosto 1932 a Mout, sulle montagne della Shoa, in Etiopia, fino a diciannove anni lavora la terra. Nel 1941 si arruola nell’esercito etiopico come soldato semplice della guardia del corpo del negus Hailé Selassié. Nell’ambito dell’esercito, Bikila comincia a praticare sport a livello agonistico. Bikila si fa notare ai campionati etiopici militari, così il tecnico Onni Niskanena, arrivato dalla Svezia, cui Selassié aveva affidato il compito di individuare e allenare dei soggetti particolarmente dotati, per farne dei campioni, lo include nella rosa dei prescelti per una possibile partecipazione alle olimpiadi di Roma. Alto un metro e settantacinque centimetri, Bikila pesa sessanta chili, corre leggero come una gazzella e sotto la guida di Niskanen diventa maratoneta. Niskanen sottopone Bikila, che dimostra delle qualità eccezionali, ad un allenamento durissimo in cui alterna corsa campestre, corsa su strada e corsa su pista, fino a fare di lui un atleta completo. Della vita di Bikila non ci sono molte notizie e per quello che possiamo conoscere la sua vita e la sua corsa diventano una cosa sola. Si sa che il suo rigore nel prepararsi alla gara è totale, mai un ritardo, mai un lamento, mai una critica. In poco tempo migliora la tecnica, migliora lo stile, migliorano i tempi. Bikila arriva a Roma un mese prima dell’inizio delle Olimpiadi. Il clima è di grande festa e attesa per l’avvenimento: è la prima Olimpiade che si svolge in Italia e per la prima volta sarà trasmessa dalla televisione, ma Bikila non si fa distrarre, studia le strade che costituiranno il percorso di gara, si allena ogni giorno sotto la guida di Niskanen, che lo segue passo passo a bordo di una Cinquecento.
Si presenta alla maratona il 10 settembre 1960, atleta praticamente sconosciuto ma pronto a vincere. I favoriti sono altri, il russo Sergei Popov e il marocchino Rhadi Ben Abdesselam. Bikila si prepara a correre senza indossare le scarpe. Qualcuno dice che per lui, abituato a correre scalzo, sono scomode, qualcun altro afferma che si tratta di una scelta strategica dell’allenatore, che ha notato un miglioramento nella velocità del campione quando corre scalzo e, dato che la maratona si disputerà in notturna, la possibilità di correre su un asfalto non rovente. Di fatto quella scelta contribuirà a creare la leggenda di Abebe Bikila, che diventerà un simbolo. Bikila corre, sconosciuto, agile, leggero, figlio di una terra che era stata colonia. Corre sulle strade di Roma, corre sulla storia. In quegli anni sessanta che si aprivano pieni di speranza, verso la conquista di nuove libertà, superati gli anni dolorosi della guerra e quelli severi della ricostruzione, la corsa di Bikila è il riscatto dal colonialismo, la possibilità di chi non è nessuno, la speranza di tanti che guardano il futuro. E Bikila vince. Supera Popov, supera Rhadi e taglia il traguardo, con un ultimo incredibile scatto e stabilisce il nuovo record mondiale con le sue 2 ore 15minuti e 16 secondi. In Etiopia è un eroe nazionale e in tutto il mondo diventa leggenda. Intanto si prepara per partecipare alle olimpiadi di Tokio del 1964. È un momento difficile per Bikila: nel ’63 ha partecipato alla maratona di Boston ma non ha vinto, è reduce da un’operazione di appendicectomia e non ancora completamente ristabilito, ma nonostante questo è già davanti a tutti al ventesimo chilometro e vince, anzi migliora ancora una volta il record mondiale, completando la maratona in 2 ore 12 minuti e 11 secondi. Il secondo arrivato, Basil Heathley, taglierà il traguardo quasi quattro minuti dopo. Bikila è il primo atleta a vincere per due volte di seguito le Olimpiadi. Nel 1968 si presenta ancora a Città del Messico ma non è in buona forma. La frattura del perone, dell’anno precedente gli procura troppo dolore e deve ritirarsi prima della fine della gara. È l’ultima corsa, perché l’anno successivo in un incidente stradale, in Etiopia, perde l’uso delle gambe ed è costretto sulla sedia a rotelle. Bikila non si arrende neppure davanti a questa disgrazia riciclandosi come atleta e nel 1972 parteciperà alle paraolimpiadi di Heidelberg gareggiando nel tiro con l’arco. Bikila muore il 25 ottobre 1973, a soli 41 anni, nell’ospedale di Addis Abeba per un’emorragia cerebrale. Ma a noi piace immaginarlo correre ancora, leggero, a piedi scalzi, sui sentieri delle stelle… Filmato della maratona di Roma: https://www.youtube.com/watch?v=02beIMlqu5g Per vedere il film L’Atleta, in italiano: https://www.youtube.com/watch?v=lW13KukJ0Lc
LUGLIO 2017 Zodiaco in giallo L’arrivo dell’estate, la voglia di vacanza, il piacere della lettura sotto l’ombrellone o sotto un pergolato ci hanno suggerito l’idea di coinvolgervi in un gioco. Uno dei generi letterari che risulta molto gettonato come lettura estiva è il giallo. Coinvolgente al punto giusto, non troppo impegnativo, a seconda dei gusti più puntato sull’enigma da risolvere o sull’azione, piace a molti. I protagonisti di queste storie sono gli investigatori che con modalità diverse indagano e risolvono i casi più o meno intricati e intriganti. E il gioco direte voi in cosa consisterebbe? In una specie di esperimento che parte da questa ipotesi: gli investigatori sono tanti hanno caratteri diversi e utilizzano differenti modalità di approccio e tecniche di indagine. Potrebbe essere che ogni autore, a seconda del suo Segno di nascita crei un personaggio che muovendosi nella trama gialla riproduca le caratteristiche di quel Segno? Vi proponiamo dodici autori e per ognuno uno dei suoi protagonisti. A voi trarne le conclusioni.
Partiamo con il Segno del mese, il Cancro e con Dan Brown, scrittore nato ad Exeter, nel Regno Unito, il 22 giugno 1964, proprio all’inizio del Segno, possiamo dire in cuspide tra Gemelli e Cancro. Come tutti i nati nel passaggio da un Segno ad un altro Dan Brown mantiene qualche tratto del Segno precedente. Figlio di una musicista molto religiosa e di un insegnante di matematica eredita la sensibilità artistica dalla madre e la passione per l’enigmistica e le caccia al tesoro dal padre. Dopo la laurea tenta prima di affermarsi come pianista e cantautore e poi come insegnante, ma alla fine sceglie di diventare scrittore a tempo pieno. L’anima duplice dei Gemelli viene trascesa quando Dan si tufferà nel mondo onirico dei simboli, caro al Segno del Cancro. Appassionato di storia dell’arte e in particolare delle opere di Leonardo da Vinci, raggiungerà il successo con la pubblicazione de Il Codice da Vinci, un triller avvincente in cui sono abilmente mescolate arte, religione e crittografia. Protagonista è il professor Robert Langdon, esperto di simboli antichi oltre che docente di iconologia religiosa all'Università di Harvard. Ironico, arguto, brillante porta avanti le sue indagini tra il mondo concreto e quello del sogno. Inoltre il nostro professore si trova molto a suo agio nell’acqua, l’elemento del Cancro, perché è un ottimo nuotatore. Di lui sappiamo anche che soffre di claustrofobia a causa di un trauma infantile, e anche questo legame con i primi anni della vita ci riporta al carattere cancerino. Si direbbe che gli elementi corrispondano, proviamo a continuare con un altro scrittore nato in cuspide, questa volta tra Cancro e Leone. Raymond Chandler nasce infatti a Chicago il 23 luglio 1888. Figlio di uno statunitense e di un’irlandese comincia a scrivere per guadagnarsi da vivere e pubblica il suo primo racconto nel 1933, sulla rivista Black Mask. Chandler è molto critico nei confronti degli autori del giallo classico e si differenzia da loro sia nella costruzione delle trame, decisamente realistiche, sia nello stile accurato e immediato, caratterizzato dall’uso del discorso diretto. Nel suo primo romanzo, Il grande sonno, del 1939, compare il detective Philip Marlowe che sarà protagonista di altri sette romanzi. Apparentemente duro, solitario, tormentato, riflessivo, Marlowe indaga nell’America degli anni trenta, descritta da Chandler con grande realismo. Marlowe ha una sua innata eleganza, nonostante la dipendenza dall’alcool e dal fumo, e un profondo senso della giustizia che lo guida, mentre è completamente disinteressato al denaro, che spende senza curarsene minimamente. E sono tratti che richiamano il Segno del Leone. Per il Segno della Vergine proponiamo Andrea Camilleri e il suo commissario Montalbano. Camilleri nasce a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, il 6 settembre 1925 e vive a Roma dalla fine degli anni quaranta. Scrittore, regista e sceneggiatore, Camilleri è noto al grande pubblico soprattutto come creatore di Salvo Montalbano, il commissario di polizia di Vigata, cittadina immaginaria di una Sicilia raccontata con realismo, amore e ironia. Camilleri scrive usando un linguaggio misto tra l’italiano ed il siciliano ricreando ambienti, atmosfere e personaggi di straordinaria vivezza. Non mancano le citazioni: Montalbano deve il suo nome a Manuel Vázquez Montalbán, scrittore spagnolo, creatore dell’investigatore Pepe Carvalho. Nel contempo Camilleri, per tratteggiarne il carattere, si ispira anche al Maigret di George Simenon. Montalbano è un commissario sui generis, ama i libri e la buona cucina, detesta le scartoffie, la burocrazia, i fogli da firmare, le formalità, le genealogie, le persone che si nascondono dietro il loro ruolo. Dotato di logica, intuito e umanità, di coraggio e onestà è fondamentalmente un solitario e il suo grande amore, Livia, vive lontano da lui ed è presente più che altro come voce al telefono e solo ogni tanto di persona. Non ama mettersi in primo piano e quando è costretto a farlo spesso si trova a fare pessime figure. Anche in questo caso l’affinità con il carattere della Vergine è piuttosto evidente.
Ed McBain, nato a New York il 15 ottobre 1926 e cresciuto nel quartiere di East Harlem, è l’autore che abbiamo scelto in rappresentanza del Segno della Bilancia. Ed McBain, è uno dei nomi d’arte utilizzati da Evan Hunter, che alla nascita si chiamava Salvatore Lombino ed era figlio di immigrati italiani. Scrittore estremamente prolifico ha pubblicato centinaia di romanzi polizieschi, firmando ora con il suo vero nome ora con uno dei suoi diversi pseudonimi (Richard Marsten, Hunt Collins, Ezra Hannon, Curt Cannon…). Con il nome Ed McBain, ha scritto la famosa serie di romanzi dell'87º Distretto, i cui protagonisti sono gli agenti di un immaginario distretto di polizia situato a Isola, quartiere di una città costruita dalla fantasia di McBain sulla pianta del quartiere newyorchese di Manhattan, ruotata di 90 gradi. La squadra dei detective rappresenta il crogiolo di razze della società americana, infatti troviamo il nero Arthur Brown, gli irlandesi Eileen Burke e Bob O'Brien, gli americani Cotton Hawes e Bert Kling, l'ebreo Meyer Meyer. Il personaggio principale è l’italo-americano Steve Carella, che McBain descrive così: La sua statura era di un metro e ottandue, aveva spalle larghe, fianchi stretti, e i movimenti sciolti da atleta, cosa che non era. Gli occhi scuri, e un po' a mandorla, gli davano caratteristiche orientali... C’è qualcosa della Bilancia in quei suoi movimenti eleganti, come nel suo profondo e onesto senso della giustizia, che lo porta a provare pietà per le vittime, e in quell’idea sociale del gruppo di detective che lavorano insieme. Per il Segno dello Scorpione presentiamo Martin Cruz Smith, nato a Reading, in Pennsylvania, il 3 novembre 1942. I suoi genitori sono John Calhoun Smith, musicista jazz, e Louise Lopez, nativa americana, cantante jazz e leader del movimento per i diritti degli indiani d'America. Nei suoi primi due romanzi, The Indians Won e I due cuori di Roman Grey, affronta proprio il problema delle minoranze. Il successo internazionale arriva nel 1981 con la pubblicazione di Gorky Park. Gorky Park è un romanzo giallo che ha come protagonista Arkady Renko, capo della Polizia Criminale di Mosca e figlio di un famoso generale dell'Armata Rossa, disilluso dal regime brezneviano e senza miti per quanto riguarda l'Occidente. L’Unione Sovietica si sta disfacendo e in questo clima corroso e un po’ oscuro, Renko si muove, indaga, scopre. A parte l’ambientazione molto affine alle atmosfere care allo Scorpione, anche lo stesso Rienko con il suo intuito acuto e lo sguardo solo apparentemente cinico ben interpreta l’ombroso Segno autunnale. Ed ecco Rex Stout, nato a Noblesville, nell’Indiana, il 1° dicembre 1886, sotto il Segno del Sagittario. Stout è famoso per aver unificato, nella sua produzione, il giallo d'azione americano e il giallo deduttivo inglese, grazie allo stratagemma dei due protagonisti delle sue storie, Archie Goodwin e Nero Wolfe. Stout si dimostrò geniale fin da piccolissimo: a tre anni aveva già letto la Bibbia, a dieci tutti i testi del padre, insegnante, su scienza, filosofia, storia e poesia. Dai diciotto ai ventun’anni servì nella Marina degli Stati Uniti come sott’ufficiale a bordo del Mayflower, lo yacht del presidente Roosevelt, poi girò per quattro anni l'America da una città all'altra, facendo i lavori più diversi, dal contabile ambulante al venditore di sigari o di libri, alla guida turistica, allo stalliere. Cominciò a scrivere, nel 1912, inizialmente per riviste e settimanali. Il successo come scrittore arrivò nel 1934 con il suo primo romanzo giallo Fer de Lance in cui compaiono per la prima volta Wolfe e Goodwin. Un successo che tornò per ben 42 volte, tanti quanti furono i libri pubblicati con gli stessi protagonisti. Wolfe e Goodwin sembrano essere le due anime del Sagittario: il primo è quello che punta sicuro la freccia pronto a scagliarla sul bersaglio, il secondo rappresenta le zampe veloci che corrono dove serve quando è necessario. Dal unto di vista fisico Stout somiglia di più a Goodwin, con il suo fisico asciutto, agile, pieno di energia ed anche per il suo amore per le donne, si dice infatti che fosse innamoratissimo della sua seconda moglie. Wolfe è tutto il contrario: grosso, pesante, sedentario, abitudinario, maniacale e misogino. Entrambi però amano i libri, le orchidee e la buona cucina. Entrambi detestano la televisione, il cinema e i politici. Wolfe risolve i suoi casi stando seduto sull’enorme poltrona costruita appositamente per contenerlo e non lascia mai la sua casa di arenaria. Se serve andare sulla scena del delitto spedisce Goodwin.
Per il Capricorno ecco Umberto Eco, nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932, semiologo, filosofo e scrittore. Esordisce nella narrativa nel 1980 con il suo primo romanzo Il nome della rosa che diventa in brevissimo tempo un best-seller internazionale, tradotto in più di quaranta lingue. Il nome della rosa è un giallo storico, segue le regole del giallo deduttivo ma l’ambientazione medioevale e la componente filosofica ne fanno una storia particolarmente avvincente e affascinante. Protagonista dell’indagine è Guglielmo da Baskerville (nome che richiama ad una delle avventure classiche di Sherlok Holmes, Il mastino dei Baskerville), frate francescano, che, aiutato dal suo discepolo Adso, si trova ad indagare sulla strana morte di un monaco avvenuta all’interno di un’abazia. La storia ha una struttura molto rigorosa, molto capricorniana potremmo dire, suddivisa in sette giornate, ordinatamente scandite dai ritmi della vita monastica. E Guglielmo con il suo metodo estremamente logico e deduttivo riecheggia la determinazione, la disciplina e la coerenza del Capricorno. Georges Simenon, nato a Liegi il 13 febbraio 1903 è il nostro rappresentante del Segno dell’Acquario. Scrittore belga di lingua francese, autore di centinaia di romanzi e racconti, è conosciuto soprattutto come “padre” del commissario Maigret. Jules Maigret è il protagonista di settantacinque romanzi e ventotto racconti. L’aspetto massiccio che gli viene dalla sua origine contadina e il carattere burbero sono mitigati dalla sua aria distinta. Maigret ama la buona tavola, la buona birra e fuma la pipa. Maigret indaga calandosi nell’ambiente in cui è stato commesso il delitto, lasciandosi permeare dalle atmosfere e dagli umori della gente, perché i delitti su cui lavora non sono enigmi da risolvere, incastri perfetti da scardinare ma casi umani, a volte disperati, a volte amari e talvolta perfino giustificabili. Le storie non sono sfide intellettuali tra assassini dall’intelligenza perversa e detective con straordinarie doti di logica e intuito ma situazioni in cui uomini e donne vivono dei drammi che trovano uno sbocco infelice e drammatico. Vicende che manifestano la precarietà di certe condizioni umane, che l’Acquario sa cogliere afferrando l’attimo in cui nell’apparente tranquilla ovvietà si produce una piccola crepa. Peter Robinson è nato a Castleford, nello Yorkshire, il 17 marzo 1950, sotto il Segno dei Pesci, ha vissuto in Inghilterra e studiato all'Università di Leeds, laureandosi in letteratura inglese, prima di emigrare in Canada, dove vive tutt’ora e dove occasionalmente insegna tecnica del romanzo giallo all’Università di Toronto. Ha scritto romanzi e racconti che hanno ricevuto riconoscimenti significativi, oltre che poesie e articoli sull’arte e sulle tecniche di scrittura. Famosi sono i suoi romanzi gialli ambientati a Eastvale, città che in realtà non esiste, e nei suoi dintorni. Il protagonista di queste storie è l’ispettore capo Alan Banks che “nasce” con il romanzo Gallows View del 1987 per poi percorrere una lunga carriera che lo vede all’opera in ormai sedici libri. Banks ha un fascino tutto particolare: appare sempre un po’ trasognato anche se è attento, ha modi molto british e si muove nelle situazioni quasi come se si trovasse lì per caso. Come tutti i nati sotto il Segno dei Pesci ha le sue contraddizioni: ama la musica classica ma conserva un profondo legame con la musica pop, indaga utilizzando l’empatia e si trova spesso a percorrere strade tortuose che inizialmente sembravano dritte e piane. Il suo ufficio è composto da una scrivania di metallo, due sedie e una finestra, un ambiente che sembra un quadro surrealista…
Edgar Wallace, Ariete, nasce a Greenwich il 1° aprile 1875. Scrittore, giornalista e sceneggiatore britannico è considerato, con Arthur Conan Doyle e Agatha Christie un maestro della letteratura gialla del Novecento. Wallace ha scritto 175 romanzi, 24 drammi e vari articoli. Oltre 160 film hanno preso spunto dalle sue storie. Tra l’altro è sua la sceneggiatura del famoso film King Kong. Wallace aveva un’incredibile capacità di scrivere e si dice fosse in grado di completare un intero romanzo in un week-end. Nonostante la sua incredibile produzione non riuscì mai a diventare ricco. Sempre molto nervoso, beveva 40 tazze di tè e fumava 80 sigarette al giorno. Tra i suoi personaggi ricordiamo J.G. Reeder, meglio conosciuto come Mr. Reeder, l'investigatore dalla mente criminale. Mr. Reeder è un ometto dall’apparenza innocua, decisamente poco interessante che, grazie ad una sorta di “deformazione mentale” è in grado di prevedere le mosse dei criminali e di risolvere i casi più complicati. Dell’Ariete interpreta il senso della sfida e la capacità di precedere le mosse dell’avversario. Peter Høeg, scrittore danese, nasce a Copenaghen il 17 maggio 1957, sotto il Segno dei Toro. Figlio di un avvocato e di una studiosa di filologia classica, Peter si diploma al Frederiksberg Gymnasium nel 1976 e in seguito studia letteratura comparata all'Università di Copenaghen. Prima di dedicarsi interamente alla scrittura, Høeg lavora come attore, ballerino, insegnante di recitazione e marinaio. Viaggia in lungo e in largo per il mondo, soprattutto in Africa. Sua moglie Akinyi è keniota. La sua vita è caratterizzata da un forte impegno sociale, soprattutto nei confronti delle popolazioni del Terzo Mondo. Conquista fama internazionale con la pubblicazione del suo terzo libro Il senso di Smilla per la neve, un "giallo" ambientato tra Copenaghen e i ghiacci della Groenlandia. La protagonista, Smilla Jaspersen, nata in Groenlandia, vive e lavora a Copenhagen. Smilla diventa investigatrice suo malgrado quando si trova coinvolta in una storia che tutti preferiscono ignorare: la morte di un bambino suo vicino di casa. Il personaggio di Smilla ha del Toro la determinazione e il coraggio, ma soprattutto il forte legame con gli elementi naturali, in questo caso la neve della sua terra d’origine.
Concludiamo con un’autrice dei Gemelli: Patricia Cornwell, nata a Miami il 9 giugno 1956. La Cornwell, ormai scrittrice famosa e plurimiliardaria ha vissuto un'infanzia e un’adolescenza difficili. Dal punto di vista lavorativo, prima di diventare famosa come scrittrice, è stata giornalista e analista informatica presso l'ufficio di Medicina Legale della Virginia. Il successo è arrivato con la serie di romanzi polizieschi che hanno come protagonista il medico legale Kay Scarpetta. La dottoressa Scarpetta è aiutata nelle sue indagini dalla nipote Lucy esperta informatica. Kay e Lucy sembrano essere proiezioni dell’anima di Patricia e della dualità propria dei Gemelli, entrambe riflettono una parte dell’esperienza di vita dell’autrice, dalle competenze professionali alle storie non sempre facili del suo vissuto personale. Kay, la parte più coraggiosa, e Lucy quella più problematizzata sanno però aiutarsi e fare fronte comune, risolvendo i casi più intricati.
Un personaggio del Cancro: Peter Singer Solo coloro che antepongono la fede religiosa alle convinzioni fondate sul ragionamento e sulle prove possono ancora sostenere che la specie umana sia la specie prediletta dell'intero universo, o che gli altri animali siano stati creati per provvederci di cibo, o che abbiamo una divina autorità su di essi nonché il divino permesso di ucciderli.
Sono parole di Peter Singer, filosofo di fama internazionale, noto soprattutto per le sue posizioni animaliste e riconosciuto come profeta della liberazione animale, le cui riflessioni si spingono però oltre la già importante questione animalista. Peter Singer con le sue tesi ha stimolato importanti dibattiti che hanno messo in crisi molte delle certezze morali di quella che lui stesso definisce la vecchia etica. La filosofia di Singer non è semplice teoria, comporta importanti modifiche nel modo di intendere il mondo ed il proprio rapporto con esso, affronta temi di grande portata e attualità quali lo specismo, l’aborto, l’eutanasia, la bioetica, l’etica politica. E’ nostro ospite come rappresentante del Segno del Cancro, di cui incarna la capacità di rendere reale il sogno, concretizzare la speranza nel futuro, nella possibilità di cambiare davvero le cose. Quando i nati sotto questo Segno riescono a superare l’attaccamento all’infanzia e a portare le loro doti di sognatori nel mondo reale riescono davvero a fare grandi cose. Peter Singer nasce il 6 luglio 1946, a Melbourne, da genitori ebrei benestanti, emigrati in Australia da Vienna nel 1938 per sfuggire alle persecuzioni naziste.
Peter cresce a Melbourne, frequenta prestigiose scuole private cristiane e progressiste e fin da ragazzo rifiuta qualsiasi forma di religione. Consegue buoni risultati sia a scuola che all’Università, dove si iscrive prima a Giurisprudenza per poi passare a Filosofia. Si diploma con un Master Degree nel 1969 all’Università di Melbourne e nello stesso anno si iscrive all'Università di Oxford. Si laurea in Filosofia nel 1971 e nei due anni successivi lavora come docente di filosofia all’Università di Radcliffe. E’ proprio ad Oxford che inizia ad interrogarsi sulla moralità del mangiare carne, scegliendo di diventare vegetariano. Sempre ad Oxford inizia la stesura di quella che diventerà la sua opera più nota, Animal Liberation: una nuova etica per il nostro trattamento degli animali, in cui tratta degli abusi che avvengono negli allevamenti intensivi e nella cosiddetta ricerca scientifica e pone le basi per un dibattito più ampio che spazia dall’utilizzo delle cellule staminali, all’aborto, dai diritti delle donne ai diritti civili, dalle cause delle guerre all’ambientalismo. Singer, toccando tutti i temi scottanti in modo appassionato, profondo e coerente, diventa velocemente un punto di riferimento per tutti coloro che, in tutto il mondo, si battono per queste problematiche. Nelle sue analisi Singer utilizza il principio utilitaristico, affermando che le azioni migliori sono quelle che massimizzano la felicità e riducono la sofferenza.
Portando alle estreme conseguenze questo principio, Singer arriva a chiedersi quanto sia lecito sacrificare la vita degli animali per cibarsene, farli soffrire con la vivisezione e al contrario far sopravvivere chi nasce con disabilità gravissime che lo condannano ad un’esistenza di dolore, oppure se sia accettabile che chi possiede più di quanto gli è necessario lo detenga a scapito di chi fatica a sopravvivere. Temi scottanti che gli hanno procurato non pochi nemici. Quando torna in Australia Singer lavora come professore a La Trobe University e poi alla Monash University. Nel 1983 assume la leadership del Centro di Bioetica presso la Monash Humana e 1992 diventa co-direttore dell’Istituto di Etica e Politica pubblica, nel 1999 è nominato docente di Bioetica presso il Centro Universitario per i Valori Umani della Princeton University. Questa nomina sarà molto osteggiata e provocherà molte polemiche ma anche nuovi riconoscimenti: nel 2004 viene premiato come l'umanista australiano dell'anno, il Time magazine lo annovera nella sua lista delle 100 persone più influenti del mondo, nel 2012, Singer riceve la nomina di Compagno dell'Ordine d'Australia. Tra le sue opere più importanti, oltre al già citato Animal liberation del 1975, ricordiamo: In difesa degli animali del 1987 scritto con Tom Regan, Diritti animali, obblighi umani del 1987, Etica pratica del 1989, Liberazione animale del 1991 considerato il testo di riferimento del movimento animalista internazionale, Ripensare la vita. La vecchia morale non serve più del 1996, Una sinistra darwiniana, Politica, evoluzione e cooperazione del 2000, La vita come si dovrebbe del 2001, una raccolta dei suoi saggi, One world. L'etica della globalizzazione del 2003, Scritti su una vita etica. Le idee che hanno messo in discussione la nostra morale del 2004, La cosa migliore che tu puoi fare. Cos'è l'altruismo efficace del 2016. Nell’intervista realizzata da Rosalba Nattero il 21 giugno 2016, in occasione della Conferenza Stampa al Circolo dei Lettori di Torino per la presentazione di “Torino Spiritualità”, potete sentire direttamente le parole di Peter Singer:
GIUGNO 2017 Solstizio d’Estate, la festa del Fuoco
Le feste che compongono il calendario celtico sono tappe di un percorso che non finisce mai di stupirci per la profondità e la bellezza dei significati che propone, così ancora una volta ci troviamo a constatare il legame indissolubile tra i viventi, il cielo stellato e l’universo immenso, dimensione che non è solo un palcoscenico su cui si svolgono delle vicende ma un insieme pulsante di vita in cui convivono esseri, eventi e percorsi misteriosi che si intrecciano tra loro. Nel viaggio che ci sta portando a conoscere meglio ad una ad una le antiche feste e a coglierne l’anima più intima, a volte nascosta dal folklore o da sovrapposizioni di tipo religioso, usiamo una guida preziosa: il libro Le feste dei Celti di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero, edito da Keltia, grazie al quale possiamo approfondire il senso del percorso e delle sue tappe, che si snodano come in un’antica danza circolare, in cui il cammino del Sole nel cielo e quello degli esseri viventi sulla terra si intersecano e si accompagnano. Il libro, offre ogni volta delle riflessioni sulla vita, sul processo di morte e rinascita che si sperimenta tante volte nel corso dell’esistenza, in modo a volte istintivo, o casuale, altre volte più consapevole, e ci mostra le feste come punti dello spazio-tempo in cui si intrecciano più percorsi che mettono in comunicazione il visibile con l’Invisibile. Le feste ricordano contemporaneamente le tappe significative della storia dell’umanità e quelle del percorso personale di crescita e di ricerca del senso della vita.
Nel percorso dell’anno, il Solstizio d’Estate è la festa del fuoco, della sua luce e del suo calore. È una celebrazione di gioia e di speranza, un’occasione di incontro, in cui si accendono i falò e si intrecciano le danze. È il ricordo dell’antico sacro focolare da cui l’umanità ha avuto origine e della Terra Imperitura, simbolo della libertà dell’accesso al mondo di Gwenved, il mondo dei Viventi. È la festa dell’inizio della vera storia dell’umanità e della conquista spirituale e il fuoco simboleggia sia il focolare ancestrale che lo spirito. Anche questa festa come tutte le antiche ricorrenze, non potendo essere cancellata è stata “cristianizzata” cioè letteralmente ricoperta di altri significati e simbologie. In questo caso si festeggia la nascita di un Santo, San Giovanni Battista, e l’anniversario è particolarmente sentito nelle città, come ad esempio Torino e Genova, che lo hanno come Santo protettore.
Ma sotto la “crosta” delle usanze venute dopo, la festa originaria, legata al fuoco e al Sole affiora tutt’oggi e in tutto l’emisfero Nord del pianeta la notte più breve dell’anno è illuminata dai falò, accesi sulle colline e le alture. Molte sono le usanze e i simboli che nel tempo si sono sovrapposti o intrecciati a quelli arcaici, a volte alterandone il significato, a volte conservandolo o preservandolo. Ad esempio in Veneto si usa, o perlomeno fino a non molto tempo fa si usava, allestire dei fuochi negli incroci, in Spagna, a Pamplona, si bruciano erbe aromatiche per scongiurare i fulmini e le tempeste, in Nord Africa i Berberi accendono falò che facciano fumo denso per propiziare il raccolto dei campi e per guarire chi vi passa in mezzo, in alcune località tedesche viene fatta rotolare da un’altura fino a valle una grossa ruota infuocata, in diversi paesi europei si usa cospargersi il corpo e i capelli con la cenere dei falò come panacea contro tutti i mali, in Ucraina si salta il fuoco, in Bielorussia vengono fatte galleggiare sull’acqua delle candele accese… La notte del Solstizio d’Estate è legata anche al raccolto delle erbe usate da guaritori e guaritrici delle campagne, tra queste la verbena, l'artemisia, il ribes rosso e l'iperico, chiamato appunto erba di S. Giovanni. Con alcune erbe raccolte in questa notte (foglie e fiori di iperico, mentuccia, ruta, lavanda e rosmarino) messe in un catino pieno d’acqua e lasciato tutta la notte sotto il cielo si ottiene l’acqua di San Giovanni, che si dice sia capace di preservare dalle malattie chi se ne cosparge. Ed è sempre in questa data che si raccolgono le noci ancora verdi per produrre il famoso nocino, un liquore dalle proprietà medicinali. All’alba é consigliato di raccogliere la rugiada o di rotolarsi nell’erba rugiadosa per avere bellezza, buona salute e fertilità.
Un personaggio dei Gemelli: Simona Kossak Il personaggio del mese, Simona Kossak, ci permetterà di raccontare una storia avvincente e meravigliosa, dove vengono superate le barriere tra specie diverse, dove la comunicazione diventa possibile, dove l’amore si manifesta in semplicità, protetto dall’atmosfera antica di una foresta.
Scienziata ed ecologista, Simona è stata chiamata la strega dei boschi, e forse un po’ strega lo è stata davvero, strega nell’accezione più bella, di donna dotata di grande sensibilità e capace di mettersi in contatto con la magia del luogo in cui si trova a vivere e degli altri esseri che incrociano il suo cammino. Del suo Segno di nascita, i Gemelli, interpreta la capacità di trovare un’antitesi all’ambiente di provenienza, la capacità di dialogo che va oltre la comprensione della lingua e la larghezza di vedute che porta a sentirsi a casa in luoghi completamente nuovi. Simona Kossak nasce a Cracovia, in Polonia, il 30 maggio nel 1943, da una famiglia di artisti e noti pittori, ma esprime la sensibilità che eredita in modo diverso da quello dei suoi familiari. Si laurea in Scienze Forestali e dando corpo al suo amore per l’ambiente sceglierà di vivere in una piccola casa nella foresta di Bialowieza, a contatto con gli alberi, gli animali, i ritmi delle stagioni e quella magia speciale che il contatto con la natura fa percepire. Simona è appassionata di moto ed è una conduttrice radiofonica ma, nonostante questa propensione per la tecnologia, quando vede la casetta nella foresta ne rimane incantata. Racconterà di averla vista per la prima volta sotto la neve e alla luce della luna piena e di come tutto quel bianco e quell’argento le facciano prendere una decisione improvvisa e senza ripensamenti: quello è il posto in cui vuole vivere, quello e nessun altro.
La casa è rimasta disabitata per molto tempo e sono necessari parecchi lavori di ristrutturazione: riparare il tetto, intervenire contro i danni causati dall’umidità e poi arredarla per renderla confortevole. La carta da parati, il divano, l’ampio tavolo, le poltrone, i mobili d’ebano ed un grande letto di quercia rendono l’ambiente piacevole e comodo e poi le tende, i libri, gli orologi, le porcellane e le lampade ad olio completano l’arredamento. Nella casa non arriva l’elettricità né l’acqua corrente ed il riscaldamento è dato da una di quelle grosse stufe tradizionali di piastrelle, posta nell’angolo della stanza principale. Simona vivrà in questa casa per più di trent’anni. In certi periodi verrà a stare con lei la madre, in un secondo tempo ci vivrà in pianta stabile il fotografo Lech Wilczek, autore della maggior parte delle fotografie che documentano la straordinaria esperienza di Simona. La casa, oltre che abitazione, sarà anche laboratorio, ostello e ospedale veterinario per i numerosi frequentatori non umani del posto. Alcuni di questi resteranno con Simona solo per il tempo di una medicazione o una breve cura, altri si fermeranno a lungo diventando a tutti gli effetti suoi coinquilini. Tra questi ultimi c’è Zabka, una cinghialessa, che vivrà con Simona per ben 17 anni e che vediamo con lei in alcune foto. Portata nella casa da Lech Wilczek, quando aveva appena un giorno, farà superare a Simona e al fotografo la reciproca diffidenza e di fatto contribuirà alla nascita del loro amore. Zabka, nonostante le notevoli dimensioni, dorme sul divano e ama essere coccolata dai suoi amici umani. Nella casa abitano anche una lince e un bassotto diventati inseparabili, una cicogna nera e alcuni pavoni. Simona non discrimina gli animali e prova per tutti la stessa empatica amicizia. Aiuta due piccoli alci rimasti orfani, Pepsi e Cola, dà rifugio nella manica del suo vestito a Kanalia, un topo troppo timido, ospita grilli e pipistrelli. Con tutti sa trovare il modo di comunicare, di entrare nel loro cuore. Bellissime sono alcune storie, come quella del corvo Korasek, quella dei piccoli cervi o quella del canto dei lupi.
Korasek è un corvo dispettoso, ladro perché ruba di tutto, chiavi, pacchetti di sigarette e perfino documenti, e anche un po’ terrorista, visto che compie dei veri e propri raid contro i ciclisti, beccandoli sulla testa fino a farli cadere per attaccare ferocemente i sellini delle biciclette una volta a terra. Simona invece sa parlare con lui e il corvo l’ascolta e la rispetta. Commovente è la vicenda del branco di cervi che Simona ha curato, allattato con il biberon e aiutato a crescere. Il giorno che Simona si addentra nella foresta su un sentiero percorso poco prima da un predatore, i piccoli cervi cercano in ogni modo di avvertirla gridandole il pericolo che sta correndo. Lei rimane molto colpita da questo evento e da come i cervi la considerino una di loro, superando la differenza di specie che in teoria avrebbe potrebbe lasciarli completamente indifferenti alla sua sorte. … Quel giorno ha segnato un passaggio, - racconta - ho attraversato il confine che divide il mondo umano da quello degli animali. Se ci fosse stata una barriera invisibile che li separava dagli esseri umani, un muro impossibile da abbattere, allora gli animali non si sarebbero preoccupati per me. Siamo cervi, lei è umana, che cosa ci interessa? Se mi hanno avvisata (...), significa una sola cosa: tu sei un membro del nostro branco, non vogliamo che ti sia fatto del male. Onestamente ammetto di aver rivissuto nella mia resta questo evento per molti giorni e, ancora oggi, quando lo penso, c'è un senso di calore intorno al mio cuore. Esso dimostra come sia possibile l’amicizia con il mondo degli animali selvatici. Anche l’episodio dei lupi dimostra come la barriera tra specie possa essere superata. I lupi si avvicineranno alla casa nella foresta, contrariamente alle loro abitudini, quando lei porterà avanti una coraggiosa battaglia per la loro sopravvivenza. Simona sente nel coro delle loro voci un ringraziamento per quanto sta facendo per loro. Simona, dal suo particolare punto di osservazione, porta avanti studi sul comportamento degli animali in libertà e li traduce in documentari per i quali riceve premi e riconoscimenti. La sua straordinaria avventura è testimoniata anche dagli scatti di Lech Wilczek che la ritraggono con i suoi amici animali. Simona si batterà a lungo per la salvaguardia degli animali selvatici, soprattutto per i lupi e le linci, ma anche per l’intera foresta di Bialowieza, luogo incantato, dal 1979 riconosciuto dall’UNESCO, come patrimonio dell’umanità, perché è quello che rimane dell'immensa foresta che migliaia di anni fa si estendeva su tutta l'Europa. Purtroppo la logica dello sfruttamento delle risorse naturali porta alla distruzione di luoghi ed esseri viventi che hanno il solo torto di non potersi difendere. È del mese scorso la notizia, pubblicata sul The Guardian (https://www.theguardian.com/environment/2017/may/23/worst-nightmare-europes-last-primeval-forest-brink-collapse-logging), che la foresta è nuovamente minacciata dai tagli scriteriati che ne possono compromettere irrimediabilmente l’integrità. Nel 2000 Simona riceve la Croce d’Oro al Merito per il suo impegno nel campo della divulgazione scientifica e della salvaguardia della natura. Muore nel 2007 per una grave malattia.
MAGGIO 2017 Beltaine, l’antica festa del Drago
Torniamo a parlare del Calendario degli antichi Celti, del suo significato mistico, del legame che questa arcaica cultura percepisce e afferma tra le vicende umane, quelle del singolo e i ritmi segnati dalla Terra e dal Cielo. E ancora una volta ricordiamo che il percorso dello Zodiaco e la conoscenza legata ai dodici Segni affonda le sue radici ideali nella stessa cultura. Persone, luoghi e avvenimenti convivono in una dimensione poetica in cui si fondono il mondo materiale e quello spirituale. Le feste sono tappe di un percorso annuale in cui si intrecciano i significati che riguardano il ricordo degli eventi storici, la condivisione sociale del momento di festa ed il cammino di crescita di ognuno. A metà fra l’equinozio di primavera ed il solstizio estivo, il calendario dei Celti poneva Beltaine, la festa del fuoco luminoso, la festa del Drago. Beltaine è la festa della luce che vince sul buio della stagione fredda ma è anche la festa del Drago, simbolo dell’universo e della sua potenzialità di vita che irrompe nella dimensione dell’esistere dando origine a tutto ciò che noi conosciamo. Beltaine è un momento di gioia, di fierezza e, se necessario, di lotta per difendere la propria terra dalle invasioni nemiche o le proprie conquiste spirituali dai falsi miti.
Beltaine si celebra con il ritmo dei tamburi che chiamano il Drago e lo risvegliano dal lungo sonno invernale, con il suono delle bagpipes o delle trombe, che riproducono la risposta del drago, il suo urlo che si manifesta in tutta la sua potenza. Ricordiamo che il drago è un simbolo che ricorre in quasi tutte le tradizioni dei popoli del pianeta e, salvo alcune iconografie medioevali di stampo prettamente cristiano, riveste un significato positivo di forza e di saggezza. A Beltaine si accendono i falò che illuminano la notte e si innalzano i maypoles intorno ai quali, si intrecciano le danze che esprimono la felicità di partecipare alla vita, al senso cosmico di armonia e di appartenenza al tutto. I maypole o pali di maggio sono per l’appunto pali eretti per l’occasione e adornati di fiori e nastri colorati. Ogni danzatore o danzatrice tiene in mano uno dei nastri fissati in alto e danzando crea insieme agli altri un intreccio colorato. Beltaine celebra anche la capacità generatrice di Madre Terra e dei suoi figli, la fertilità e la creatività, in tutti gli ambiti in cui si può esprimere.
Nonostante questa festa sia stata bollata come pagana e quindi in parte proibita e in parte nascosta sotto altre festività di tipo cristiano, rimane tuttora viva anche se non sempre il suo significato è completamente chiaro. Rimane come una memoria che appartiene al cuore della gente e della terra e che si ripropone a volte con altre vesti. Ricordiamo che ci fu una dura condanna da parte della Chiesa per queste usanze, che fu preteso l’abbattimento dei pali di maggio e il mese venne dedicato alla Madonna per dare un nuovo significato all’idea della fertilità. Beltaine era legata anche a pratiche magiche e beneaugurati come il passaggio di uomini e animali nello spazio tra due falò per purificarsi o il canto di antiche strofe di benedizione. Quest’usanza rimane ancor oggi nel cantar maggio tradizione ancora viva in molte zone in Italia, con gruppi di musici e cantanti che passano di casa in casa portando canzoni di buon augurio agli abitanti. Come tutte le feste degli antichi Celti anche Beltaine lega al significato più sociale un’anima più intima e mistica, infatti fa parte del gruppo di feste che celebrano il Risveglio ad un piano superiore di coscienza, il superamento dei limiti materiali e mentali, la scoperta di una dimensione di libertà, consapevolezza e armonia e il suo mantenimento per poter trarne ispirazione nell’agire. Ricordata anche con nomi diversi, Walpurga nei paesi germanici o Calendimaggio nell’Europa meridionale, la festa è ancora molto sentita a Edimburgo, in Scozia, dove sulla collina di Calton Hill, si celebra ogni anno con un grandioso un Fire festival. Per approfondire: www.shan-newspaper.com/web/tradizioni-celtiche/481-beltaine-la-festa-del-drago.html Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero – LE FESTE DEI CELTI – Keltia Editrice
Un personaggio del Toro: Leonard Hussey L’ospite di questo mese, in rappresentanza del Segno del Toro, è Leonard Hussey che fu antropologo, meteorologo ed esploratore. La sua vita, e in modo particolare il suo viaggio più famoso, ci offrono l’occasione di raccontare una storia che ripropone elementi interessanti e degni di riflessione, quali il significato delle esplorazioni e dell’avventura, nonché l’opportunità di coinvolgere in queste esperienze rischiose chi non può decidere se accettare o meno l’invito, ovvero gli animali che, per un motivo o per l’altro, finiscono per essere cooptati in queste vicende umane.
Dal suo Segno di nascita Leonard eredita il senso pratico, l’amore per la vita e la capacità istintiva di entrare in comunicazione con gli altri che gli permetteranno, tra l’altro, di essere sostegno sicuro per i suoi compagni d’avventura nei momenti più difficili. Leonard Hussey partecipa infatti alla sfortunata spedizione Endurance che si svolge tra il 1914 e il 1917, sotto la guida di Ernest Shackleton, con l’obiettivo di attraversare a piedi l’Antartide, dalla costa del mare di Weddell a quella del mare di Ross, sul lato opposto del continente. L’avventura si trasformerà però in dramma quando la nave Endurance, viene imprigionata tra i ghiacci e deve essere abbandonata, costringendo l’equipaggio ad una dura lotta per la sopravvivenza nel gelo e con poche risorse a disposizione. Ma cominciamo dall’inizio. Leonard Hussey nasce il 6 maggio 1891 in Inghilterra, a Leytonstone, nei pressi di Londra. Il padre lavora nell’industria della stampa e Leonard è uno dei suoi nove figli. Leonard si laurea in psicologia alla London University, e al Kings College approfondisce meteorologia e antropologia. Quest’ultima specializzazione lo porterà a partecipare ad una spedizione antropologica in Sudan. Al ritorno da questo viaggio, scrive a Ernest Henry Shackleton per chiedergli di poter far parte della spedizione Endurance. Tra i tanti candidati possibili ha la fortuna di essere chiamato per un colloquio. Leonard racconterà in seguito l’incontro con Shackleton: Leonard è piccolo di statura e per il famoso esploratore è facile guardarlo dall’alto in basso, camminando avanti e indietro nella stanza. Dopo averlo osservato a lungo, conclude con un “Sì, mi piaci” prendendolo a far parte della spedizione, con la qualifica di meteorologo. Solo più tardi Leonard saprà, dallo stesso Shackleton, di essere stato scelto perché sembrava divertente. E in effetti viene descritto come un uomo semplice e tranquillo ma con negli occhi il particolare luccichio di chi guarda alla vita con umorismo e divertimento. Vedremo come la scelta di Shackleton si dimostrerà lungimirante. La spedizione ha inizio nell’agosto del 1914. Ne fanno parte, oltre a Shackleton e Hussey, 26 uomini, alcuni ponies, 69 cani da slitta e almeno un gatto. I ponies purtroppo si dimostreranno poco adatti a questo viaggio, perché patiscono il freddo e con i loro zoccoli scivolano facilmente sul ghiaccio. I cani fanno un lavoro duro ma sono amati dall’equipaggio. Di alcuni di loro si ricordano anche i nomi: Bummer, Chips, Hercules, Judge, Roy, Samson, Satan, Shakespeare, Slippery Neck, Steamer, Stumps, Surly, Swanker, Upton, Wallaby. Il gatto è Mrs Chippy un bel soriano simpatico e coraggioso, inseparabile amico di Harry McNish (detto Chippy), il carpentiere della nave Endurance, a bordo della quale si compie la traversata dall’Inghilterra all’Antartide. Il viaggio continua poi addentrandosi nel gelido mare di Weddell. Qui la Endurance rimane intrappolata dai ghiacci e per l’intero equipaggio inizia un tragico iter che durerà venti mesi.
Abbandonare la nave comporta per ognuno la difficile scelta su che cosa lasciare e che cosa portare con sé. Dalla nave vengono scaricati i cani, le provviste e tre scialuppe. Frank Hurley, il fotografo che ha il compito di documentare la spedizione, è costretto ad abbandonare la sua attrezzatura e accontentarsi di salvare i negativi e una fotocamera tascabile con cui, da quel momento in poi, continuerà a catturare le suggestive immagini che immortalano l’odissea in questo mondo gelido e bianco. Leonard Hussey vorrebbe lasciare il suo banjo, ma Shackleton non glielo permette e afferma che sarà più prezioso dei viveri perché sarà cibo per l’anima dei naufraghi. Shackleton decide invece di sacrificare tutti gli animali che non ritiene di immediata utilità e, nonostante le proteste dell’equipaggio e la ribellione di McNish, spara personalmente a Mrs Chippy. In proposito Shackleton scrive: Questo pomeriggio abbiamo dovuto sparare ai tre cuccioli più piccoli di Sallie, a Sirius di Sue, e a Mrs. Chippy, il gatto del carpentiere. Non potevamo permetterci di mantenere gli animali più deboli, viste le nuove condizioni. Sembra che Macklin, Crean e il carpentiere abbiano preso piuttosto male la perdita dei loro amici. McNish non perdonerà mai a Shackleton quel gesto e da quel momento i due diventano nemici giurati. A McNish non toccheranno i riconoscimenti che avranno invece i suoi compagni. Solo nel 2004, la New Zealand Antarctic Society, cercando di rimediare a quella che di fatto era stata una vera e propria ingiustizia, metterà, sulla tomba di McNish, una piccola statua di bronzo in onore di Mrs. Chippy. Non sappiamo quali sentimenti abbiano attraversato l’animo di Leonard Hussey durante questa vicenda che porta a riflettere sul ruolo che spesso gli umani assegnano ai non umani, di come li coinvolgano nelle loro storie e nei loro obiettivi, considerandoli però poco più che oggetti animati, tradendo la loro fiducia e la loro amicizia spesso senza molti scrupoli. Molti umani non chiedono aiuto, se lo prendono. Non provano gratitudine né uguaglianza per questi esseri a cui non riconoscono diritti né dignità. Altra riflessione che questa avventura suggerisce è sullo strano fascino che l’Antartide sembra emanare sulle potenze del mondo. Spesso questo viene attribuito al fatto che il continente bianco sia l’ultimo territorio esplorato e in parte ancora sconosciuto, ma si direbbe che i suoi misteri non siano tali da dover giustificare la presenza di così tante basi scientifiche sui suoi ghiacci. Perché Argentina, Australia, Bielorussia, Brasile, Bulgaria, Cile, Cina, Corea del Sud, Ecuador, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, India, Italia, Norvegia, Nuova Zelanda, Perù, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Ucraina, Uruguai e USA hanno basi in Antartide? Che cosa cercano in realtà? Seguono il sogno antico di ritrovare la terra che fu la culla dell’umanità, come raccontano le leggende? Sperano di trovare i manufatti tecnologici che una precedente civiltà evoluta ha lasciato in un luogo divenuto ormai inospitale e invivibile?
Ma torniamo al nostro protagonista e alla sua vicenda umana. Dopo marce forzate e navigazione sulle scialuppe, tutti i ventotto uomini dell’equipaggio riescono ad arrivare all’isola Elephant, nelle Shetland meridionali. Da qui il comandante Shackleton, con cinque marinai salperà, su una delle scialuppe e, dopo aver navigato per 1600 chilometri, arriverà ad una base baleniera della Georgia del Sud, dove organizzerà i soccorsi salvando tutti i suoi compagni. Intanto, nei lunghi mesi passati sulla Elephant Isle, la presenza di Leonard si rivelerà una vera fortuna. Saranno infatti proprio le sue battute spiritose e la musica del suo banjo a tenere alto il morale dei compagni. Pare che in realtà non fosse neppure un gran suonatore di banjo e dicono che sapesse suonare soltanto sei canzoni, ma quello strumento, come aveva previsto Shackleton, si mostrerà quasi più prezioso delle provviste di cibo nei lunghi giorni fra i ghiacci. Come altri membri della spedizione, al ritorno in Inghilterra, Leonard partecipa al primo conflitto mondiale, come tenente in artiglieria e alla fine del conflitto studia medicina. Rimane in contatto con Shackleton che nel 1921 lo invita a partecipare, come meteorologo e assistente chirurgo, alla sua ultima spedizione in Antartide, a bordo della nave Quest. La salute di Shackleton diventa però via via più problematica, finchè muore per un attacco di cuore a bordo della nave, all’inizio della missione. Leonard torna a Londra dove esercita la professione di medico fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando entra a far parte della Royal Air Force come ufficiale medico. Nel 1949 pubblica il suo libro South with Shackleton. Nello stesso anno lavora come chirurgo di bordo sulla S.S.Clan Macauley, nave in viaggio verso il Sud Africa e l’Australia. Continua ad esercitare la professione medica fino al 1957, anno in cui diventa il presidente del Club Antartica, e comincia un giro di conferenze per raccontare le sue avventure sul continente bianco. Mentre la salute si fa sempre più precaria, Leonard passa i suoi appunti all’amico Ralph Gullet e regala il suo banjo al Museo Marittimo Britannico di Grenwich. Muore nel 1964. Il ricordo di Leonard Hussey rimane per noi legato alla drammatica avventura della Endurance, in particolare a quando, sull’isola Elephant, suonando il suo banjo, incoraggiava i compagni, in attesa dell’arrivo dei soccorsi. Frank Hurley, il fotografo, descrive nel suo diario quei momenti, quando al riparo di due scialuppe ribaltate, le voci degli uomini, accompagnate dal banjo di Hussey, sembravano stranamente fuori luogo in quel profondo silenzio, ma le loro risate scaldavano il cuore. Per approfondire: www.shan-newspaper.com/web/antartica/414-leden-e-i-misteri-dellantartide.html www.shan-newspaper.com/web/antartica/227-lantartide-segreta-custodita-dalle-societa-iniziatiche.html www.shan-newspaper.com/web/antartica/377-leden-delle-tradizioni-aborigene.html www.shan-newspaper.com/web/antartica/619-le-piramidi-dellantartide.html
APRILE 2017 A proposito di libertà È un fatto d’attualità a suggerirci l’argomento di questa puntata: l’intenzione di riaprire uno zoo a Torino. L’area di Parco Michelotti, sulla sponda destra del Po, adibita a giardino zoologico dal 20 ottobre 1955 al 31 marzo 1987 e poi rimasta abbandonata, sarà data in gestione ad un privato che ne farà una sorta di bioparco. Anche con questo nome più accattivante, definizione moderna di zoo, resta una struttura in cui degli esseri senzienti e sensibili, sottratti al loro ambiente e alla loro vita libera, vengono detenuti, per essere oggetto di osservazione da parte dei visitatori, quasi fossero oggetti d’arredo in un luogo reso piacevole e vivace dalla loro presenza.
Le associazioni che hanno a cuore il benessere degli animali stanno manifestando con varie iniziative la loro opposizione al progetto che ripropone un’idea di rapporto con gli animali ormai superata da tempo. Se la chiusura del vecchio zoo aveva rappresentato un passo avanti nel rispetto dovuto alle altre specie, che senso ha allora la riapertura di una struttura analoga? Giardini zoologici, acquari e circhi con animali sono negazione di libertà, inutile tentare di presentarli come situazioni educative o luoghi per una migliore conoscenza degli animali. Si tratta di prigioni a tutti gli effetti, dove oltretutto i detenuti sono innocenti. Da queste considerazioni è nata l’idea di parlare della libertà, di cosa rappresenti per ogni Segno dello Zodiaco, se ognuno di essi ne colga un aspetto, una sfaccettatura particolare. Abbiamo cercato di vedere, nelle frasi di personaggi celebri e di amici che si sono prestati a questa indagine, che cosa sia la libertà, parola abusata, idea talvolta difficile da definire, sogno di alcuni, diritto di tutti. Segni di Fuoco Passionali, impulsivi, creativi, e pieni di energia i Segni di Fuoco mettono l’accento sulla possibilità di esprimersi uscendo da vincoli e condizionamenti.
Ariete: Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è. (Marguerite Duras) Libertà è non rinnegare mai nulla di me, del resto del mondo, della morte. Superare tutto per trovare armonia. (EP) Leone: L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando gli sei vicino. (Charles Bukowski) Per me la liberta è il manifestarsi come si è veramente: ridere e sorridere o anche piangere o dire no, non mi sta bene questo, senza preoccuparmi di cosa pensa la gente. Devo dire che è anche difficile essere liberi fino in fondo e per questo la meditazione è un ottimo strumento (VG)
Sagittario Ci sono diversi tipi di libertà, e ci sono parecchi equivoci in proposito. Il genere più importante di libertà è di essere ciò che si è davvero. (J. Morrison) Per me il senso della libertà è come librarsi nell'aria come un uccello e avere una visione globale. (MM) Segni di Terra Pragmatici, costanti e determinati i Segni di Terra pongono l’accento sul come arrivare ad essere liberi.
Toro: La libertà… è la possibilità di dubitare, la possibilità di sbagliare, la possibilità di cercare, di sperimentare… (Ignazio Silone) La libertà è essere liberi dagli schemi, dai condizionamenti, dalle personalità fittizie, dall'impronta genetica e quindi, visto che siamo in ambito astrologico, vuole dire anche il superamento del proprio segno zodiacale. Libertà è sperimentare tutti i segni zodiacali per usarli come "vestiti" indossati dal proprio vero Io. (RN)
Vergine: Imparando momento per momento ad essere liberi nella mente e nel cuore rendiamo possibile la felicità per ogni essere sulla terra. (Samuel Johnson) Per me libertà è autodeterminazione: poter vivere facendo le proprie scelte consapevolmente e rispettando la libertà di ogni forma di vita esistente. (PS) Capricorno: Uno schiavo che non ha coscienza di essere schiavo e che non fa nulla per liberarsi, è veramente uno schiavo. Ma uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi già non è più schiavo, ma uomo libero. Secondo me la libertà è essere se stessi in una libera esperienza di vita che assecondi le proprie necessità e in cui si possa esprimere una personale creatività. Tutto al di fuori da regole se non rispettando, per convenienza, il principio di reciprocità con il prossimo di non limitare la libertà altrui con la propria. Per la definizione morale di libertà non vedo principi che la possano inscrivere in qualche tematica filosofica. Non vedo nessuna dottrina o filosofia che possa collocare in una sua icona il concetto di libertà. Non vedo possibilità di giudizi su quanto può esprimere il sano esercizio della propria libertà. Vedo solo il rapporto imprescindibilmente personale tra l'individuo e la natura trascendente del Vuoto. C'è comunque da valutare la scelta, anche questa per convenienza, se attuare la propria libertà in forma di anarchia fine a se stessa oppure sperimentarla nel sostegno di una condivisione con altri individui di pari intento di libertà. (GB)
Segni d’Aria Estroversi, dinamici, curiosi, i Segni d’Aria cercano di identificare che cosa voglia dire essere liberi.
Gemelli: Pochissimi sanno essere liberi e pochissimi sanno cosa vuol dire esserlo. (Marguerite Yourcenar) Per me la libertà è essere in armonia con l'esistenza tutta. (DD) Bilancia: La libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini. (Miguel de Cervantes) Cos'è la liberta? È una domanda difficile!!!! Non ho una risposta razionale ma la associo alla felicità. Si è liberi quando si è felici (o viceversa?), direi quando si È (volutamente maiuscolo) la propria vera natura, nel silenzio, oltre emozioni e pensieri. (RM)
Acquario: Nulla al mondo può impedire all’uomo di sentirsi nato per la libertà. (Simone Weil) La libertà è la felicità di esistere al di là di tutto. (FB)
Segni d’Acqua Sensibili, introspettivi e sognatori, i Segni d’Acqua vedono la libertà come strumento di trasformazione delle situazioni. Cancro: La libertà è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti. (Nelson Mandela) La libertà per me è avere il coraggio di esprimere quello sei veramente, la vera natura di te stesso, quello che hai dentro al tuo cuore senza barriere. Saper osare per infrangere gli ostacoli, i pregiudizi di chi si oppone intorno a noi per una giusta causa. (FD) Scorpione: Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo. (Voltaire) Per me libertà è poter essere me stessa in qualsiasi momento. (BB) Pesci: La Terra è madre di tutti e tutti devono avere su di essa eguali diritti. È come sperare che i fiumi possano andare controcorrente il credere che un uomo nato libero possa essere felice, quando lo si costringe e quando gli si toglie la libertà di andare dove vuole. (Capo Giuseppe) Libertà è una cosa molto bella, che va dallo star fuori all’aria al fare quello che si vuole, ma purtroppo tante volte non è possibile e… va là Ninetta! (MQ) Per conoscere la storia dello zoo di Torino www.sos-gaia.org/news/427-storia-dello-zoo-di-torino-al-parco-michelotti.html Si segnala anche che sabato 27 maggio 2017 a Torino ci sarà la manifestazione nazionale NO AGLI ZOO, NO ALLA SVENDITA DEL PATRIMONIO PUBBLICO, A DIFESA DELL’AMBIENTE E DEI BENI COMUNI. Ritrovo ore 14 a Porta Susa – Corteo ore 15 da Porta Susa a Piazza Gran Madre www.sos-gaia.org/news/700-no-agli-zoo-no-alla-svendita-del-patrimonio-pubblico.html
Un personaggio dell’Ariete: Wangari Maathai La terra e l’acqua, l’aria e il fuoco del sole che si stempera nel cielo si mescolano per formare gli elementi essenziali della vita, e mi rivelano le mie affinità con la terra.
Wangari Maathai è una persona bellissima. Biologa, ambientalista, pacifista, sostenitrice dei diritti civili, delle donne e della terra, coraggiosa e piena di iniziativa come sa essere un Ariete, Wangari racconta la sua vita nel libro Solo il vento mi piegherà. La sua storia si svolge intrecciandosi con la storia del Kenya, la sua terra, che cambia, anche nel suo aspetto fisico, con il mutare degli eventi e della cultura delle genti che lo abitano. L’Africa antica, ancor presente nei racconti che ascolta da bambina, lascia il posto all’Africa coloniale, con le sue ingiustizie e la sua distruzione delle usanze e conoscenze che cementavano il tessuto sociale, e poi all’Africa che cerca la sua indipendenza, con la corruzione e le violenze che dilagano in un paese in cui i legami sociali sono ormai sfilacciati. Prima che arrivassero gli europei, i popoli del Kenya non consideravano gli alberi legname, non guardavano gli elefanti immaginando scorte di avorio, e per loro i ghepardi non erano bellissime pelli da vendere. Ma quando il Paese fu colonizzato e incontrammo gli Europei, con le loro conoscenze, la loro tecnologia, il loro modo di ragionare, la loro religione e la loro tecnologia (tutti completamente nuovi per noi), convertimmo i nostri valori in un’economia come la loro. Da allora in poi tutto fu stimato in base ad un criterio monetario. Ma come avremmo constatato, se una cosa è vendibile, ci si può dimenticare di proteggerla. Wangari inventa un tipo di lotta pacifica e partecipata che riesce ad accompagnare il cammino del Kenia verso la democrazia: pianta alberi. Li pianta contro la deforestazione, li pianta coinvolgendo la gente del posto, li pianta coinvolgendo soprattutto le donne. Il suo movimento il Green Belt Movement fondato nel 1977 riesce ad avere appoggi da altri paesi del mondo, perché Wangari riesce a fare anche questo: dare alla sua lotta un’ampiezza a livello internazionale. È la prima donna keniota ad ottenere una cattedra nel dipartimento di veterinaria all'Università di Nairobi e la prima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace, nel 2004, per il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace. Sono nata il 1° aprile 1940, terza di sei figli e prima femmina dopo due maschietti nel piccolo villaggio di Ihithe, nella regione montuosa centrale del Kenia britannico - scrive Wangari. Ihithe è praticamente all’ombra del monte Kenia, che per millenni ha rappresentato un luogo sacro per le popolazioni che vivono lì intorno, etnie diverse che riescono però a convivere pacificamente. Wangari è figlia di contadini ma nonostante questo, e grazie al fratello maggiore, frequenta la scuola elementare del villaggio, dimostrandosi un’allieva molto promettente. Un insegnante la raccomanda perciò alla scuola primaria Santa Cecilia, un pensionato della missione cattolica di Nyeri, dove Wangari frequenterà le scuole medie, con ottimi risultati, e per questo sarà ammessa all’unico liceo femminile del Kenia, il Nostra Signora di Loreto, di Limuru. Come per gli studenti delle scuole coloniali di tutto il mondo chi è sorpreso a parlare nella sua lingua anziché in inglese viene punito. Anche se questo ci aiutò a imparare l’inglese, - commenta Wangari - instillò in noi una forma di disistima e di sufficienza nei confronti delle lingue locali. La realtà è che le nostre lingue son importanti mezzi di comunicazione e veicoli di cultura, conoscenza, saggezza e storia. Quando vengono disprezzate e chi è istruito viene incoraggiato a guardarle con alterigia, si viene privati di una parte vitale del proprio patrimonio culturale.
Per fortuna nella formazione di Wangari non c’è soltanto la scuola e questo le permetterà di mantenere vive le sue radici e il legame con la sua terra. Le esperienze vissute nell’infanzia - scrive - ci plasmano e ci rendono ciò che siamo… anche se stavo entrando in un mondo di libri da leggere e di fatti da imparare… ero comunque capace di godermi una dimensione dove non esistevano libri, dove ai bambini raccontavano storie vive del mondo che li circondava e dove si coltivavano la terra e l’immaginazione in egual misura. Ci sono momenti di semplice e pura poesia nella vita sotto il cielo, a contatto con la terra amica. Quando cominciavo a inerpicarmi sulla collina particolarmente ripida, sapevo di essere quasi a casa. Una volta raggiunta la cima, se non si era nella stagione delle nebbie - che andava da giugno ad agosto -, mi trovavo davanti ad un’esplosione di stelle e alla lunga scia della Via Lattea che solcava i cieli. Una volta arrivata, spesso non avevo voglia di entrare in casa. Mia madre portava fuori il cibo che aveva cucinato e tutta la famiglia si sedeva a mangiare sotto il luminoso cielo stellato. L’infanzia di Wangari trascorre tutto sommato serena anche se sono anni in cui avvengono fatti tragici e sanguinosi come la rivolta dei Mau Mau. Con molta lucidità Wangari afferma che le ferite inferte alle popolazioni native vengono analizzate di rado, e difficilmente ci si sforza di comprenderle e di porvi rimedio. In questo modo il danno psicologico continuerà a trasmettersi da una generazione all’altra, finché le vittime non saranno in grado di riconoscere il proprio dilemma e potranno lavorare per superarlo. Tornando al suo percorso scolastico, è proprio nella scuola di Limuru che, per merito di una delle insegnanti, si appassiona alla scienza e in particolare alla chimica e alla biologia. Nel 1960 va a studiare in America grazie alla borsa di studio del cosiddetto Ponte Aereo Kennedy, un’iniziativa americana che permette a circa seicento ragazzi del Kenya di poter frequentare scuole e università statunitensi. Wangari studierà al college di St. Scholastica e all’università di Pittsburgh, dove si laureerà in biologia. Nella sua autobiografia racconta di questo periodo straordinario, in cui conosce un mondo per lei completamente nuovo, completamente diverso da quello a cui era abituata, e di lei colpisce la semplicità con cui accetta queste esperienze e la sua grande capacità di dialogo. Wangari stringe amicizie profonde con le compagne di studi ed anche con le loro famiglie e, in un’America in cui la differenza tra bianchi e neri è ben percepibile, a parte un episodio iniziale, non ha problemi a rapportarsi né con gli uni né con gli altri. Nel 1966, finiti gli studi, torna nel nuovo Kenya indipendente, con una nomina di assistente di ricerca al Dipartimento di Zoologia dello University College di Nairobi. Scopre ben presto però che il suo posto è già stato assegnato ad un’altra persona, per intrallazzi. Ma non si arrende ed ottiene un titolo analogo alla Scuola di Veterinaria. Per un certo periodo farà ricerca alle Università di Giessen e di Monaco, in Germania, poi tornata in patria, nel 1969, si sposa con Mwangi Mathai. L’energia di Wangari è incredibile e si misura dai passi che fa, dalle azioni che compie e dai riconoscimenti che ottiene. Nel 1971 è la prima keniota a ricevere un dottorato, nel 1974 la prima a diventare professore assistente. All’Università organizza una lotta delle lavoratrici per avere compensi pari a quelli dei colleghi maschi, intanto milita nella Croce Rossa, entra nell’Environmental Liaison Centre che promuove la partecipazione delle organizzazioni non governative al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), sostiene il marito che si candida più volte alle elezioni finché sarà eletto e trova il tempo di fare con lui tre figli e di occuparsi di loro. Il Kenya non vive un tempo felice: da quando Moi è subentrato a Kenyatta, molte terre dello stato vengono date ai protetti del governo che le disboscano per impiantare coltivazioni di tè e caffè. Il disboscamento cambia la terra, dove c’erano fiumi ci sono solo ruscelli poveri, dove c’erano boschi ci sono terre aride e per coltivare bisogna tagliare altri boschi…
È per porre un freno alla deforestazione e alla corruzione che la incrementa, che nasce, per volere di Wangari, il Green Belt Mouvement. Come primo atto Wangari, con altre donne, in occasione della giornata mondiale per l’ambiente del 1977, pianta sette alberi in un parco. È un simbolo di pace ma anche un’azione concreta e l’inizio di un coinvolgimento della popolazione, e delle donne in particolare, in una grande azione di lotta, pacifica ma inarrestabile, per riappropriarsi del legame con la loro terra. L’istruzione, se significa qualcosa, non deve tenere lontani dalla terra, ma instillare un rispetto ancora maggiore verso la natura, perché le persone istruite sono nella posizione di capire quello che stiamo perdendo. Il futuro del pianeta riguarda tutti e tutti dovremmo fare tutto ciò che è in nostro potere per proteggerlo. Da quel momento saranno piantati oltre 40 milioni di alberi nelle foreste del continente africano. In un primo tempo le attiviste vengono ostacolate, minacciate e picchiate ma la loro lotta è praticamente inarrestabile. Dai primi alberi si è passati all’allestire vivai, al distribuire semi, al passare informazioni su come curare e far crescere le piante. Siamo su un sentiero che non è mai stato esplorato. Procediamo per tentativi. Se quello che abbiamo fatto ieri non produce buoni risultati, allora non ripetiamolo oggi perché è una perdita di tempo. Pian piano il Green Belt ottiene l’aiuto di varie Ong straniere, il finanziamento dalla Società forestale norvegese, la protezione dell’ONU e diventa modello per altri Paesi africani che vogliono combattere la desertificazione. Ma l’opera del Green Belt non si esaurisce con il numero di alberi piantati, e visto che gli alberi sono simboli di pace e di speranza, il movimento diventa veicolo di battaglie democratiche, per i diritti di tutti fino alla richiesta di cancellazione del debito estero per i paesi più poveri. Nonostante i numerosi riconoscimenti Wangari paga un prezzo per quello che fa. Il marito l’accusa di essere un’incontrollabile ribelle e chiede il divorzio. Il presidente Daniel Moi inizia una repressione durissima nei confronti delle partecipanti al Green Belt tanto da provocare la disapprovazione dei governi stranieri, in particolare degli USA, che minacciano di sospendere gli aiuti al Kenya se le prigioniere non saranno liberate. Il carcere, le minacce non fermano Wangari. Quando vengo sottoposta ingiustamente a pressioni, tendo a puntare i piedi e a non mollare, dice. Il marito le proibisce di usare il suo cognome e allora lei aggiunge una “a”, lo fa diventare Maathai e continua la sua lotta. Nel 2002 si presenta alle elezioni e, nella sua circoscrizione, viene eletta con il 98% dei voti. Nel 2004 riceve il Nobel. Nel 2005 è eletta presidente del Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione Africana. Nel 2006 partecipa alla Cerimonia di apertura dei XX Giochi olimpici invernali di Torino portando la bandiera olimpica, con altre 7 donne, in rappresentanza di tutte le donne del mondo. Nello stesso anno fonda la Nobel Women’s Initiative con altre donne premio Nobel per la Pace, Betty Williams, Mairead Corrigan, Rigoberta Menchu, Jody Williams e Shirin Ebadi. La Nobel Women’s Initiative definisce la pace come l’impegno per la qualità di vita e la giustizia, per un mondo democratico e libero dalla violenza fisica, economica, culturale, politica, religiosa, sessuale e ambientale e contro la costante minaccia di queste forme di violenza contro le donne, anzi contro tutta l'umanità. Wangari Maathai muore di cancro alle ovaie a Nairobi il 25 settembre 2011. Diceva di aver imparato molto dagli alberi, cha hanno radici profonde nella terra ma aprono i loro rami verso il cielo, che sono simboli di pace e speranza e lei, nella sua vita è stata come un albero. Ha mantenuto salde le sue radici, nella sua terra e nel cuore della sua gente ma ha saputo portare speranza nuova dove sembrava fosse difficile farla rifiorire. E come gli alberi ha riconosciuto come unico limite il cielo. Le citazioni sono tratte dal libro: SOLO IL VENTO MI PIEGHERA’ di Wangari Maathai – ed. Sperling & Kupfer
MARZO 2017 L’equinozio di primavera, la festa di Madre Terra
L’Equinozio, cioè il giorno in cui il dì e la notte hanno la stessa durata, avviene due volte l’anno, in primavera, a marzo, in coincidenza con il passaggio dal Segno dei Pesci a quello dell’Ariete, e in autunno, a settembre, al passaggio dal Segno della Vergine a quello della Bilancia. Ogni anno ci può essere una piccola variazione nella data, quest’anno l’equinozio di primavera sarà il 20 marzo, perché allora il Sole sarà allo zenit sull’equatore e i suoi raggi illumineranno proprio metà della Terra mentre l’altra metà resterà in ombra. L’equinozio di primavera è una festa tradizionale e nel calendario degli antichi Celti è Ostara, la festa di Madre Terra. Già in precedenti puntate di AstroMatta abbiamo parlato delle feste degli antichi Celti e del significato del loro calendario che sanciva la partecipazione di ognuno alla dimensione cosmica della tradizione druidica e al Mistero a cui essa si riferiva. Le celebrazioni avevano significati profondi e testimoniavano il legame tra la vita di ognuno e l’universo in cui questa vita si svolgeva, in un percorso di morte e rinascita che la natura manifesta e che diventa per ognuno percorso di crescita individuale. Le feste avevano come luoghi fisici di riferimento i grandi cerchi di pietre, dove cielo e terra si congiungono e dove ci si incontrava a festeggiare le ricorrenze, a gestire la cosa pubblica, a meditare e a guardare le stelle. Parliamo di un passato lontano ma vivo tutt’oggi per i popoli naturali, quel venti per cento degli abitanti della Terra che, fuori dal plagio delle varie religioni e della cultura maggioritaria, mantenendo vive le proprie radici e il loro legame con la tradizione ancestrale, vivono un rapporto diretto e personale con l’esistenza e con ciò che essa manifesta. L’ottanta per cento dei popoli del pianeta vive invece assoggettato alla cultura maggioritaria che, pur variegata nelle modalità e nei contenuti a seconda della zona geografica, nega la fratellanza tra i viventi, la libertà degli individui e la conoscenza senza intermediari che la sottomettano ai loro scopi personalistici.
Nonostante questo le feste, legate alle simbologie stagionali e ai ritmi di Madre Terra, permangono per tutti, anche se spesso occultate o trasformate, a testimoniare che qualcosa lega tutti i popoli del pianeta tra loro e con il pianeta stesso. In particolare l’arrivo della Primavera, momento del risveglio della Natura, è la festa di Madre Terra e tutti i popoli festeggiano il ritorno alla vita dopo il sonno dell’inverno. Ad esempio in Spagna, a Valencia, in questo periodo dell’anno per le strade si possono ammirare grandi e piccole figure di cartapesta che ritraggono scene di vita quotidiana e simboleggiano, la ripresa delle attività dopo il freddo invernale. Saranno poi bruciate in una grande festa. Nel Regno Unito si celebra la dea Ostara, personificazione di Madre Terra, alla quale ci si rivolge per avere fertilità e abbondanza. A Stonehenge, in particolare, l’equinozio riunisce ogni anno, prima dell’alba, tantissime persone che aspettano il sorgere del Sole tra i megaliti. A fine marzo in Bulgaria si saluta la primavera cantando e ballando con campane di rame appese alla cintura in modo da spaventare e scacciare gli spiriti dell’inverno. Nella Repubblica Ceca la ricorrenza è stata cristianizzata come festa di San Matteo, l’apostolo che chiude le porte dell’inverno e spalanca quelle della primavera. In vari paesi del vicino e medio Oriente e presso le comunità iraniche e turche di tutto il mondo, nella tradizionale data dell’equinozio di primavera, si festeggia il Nowruz, il Nuovo Giorno, una specie di capodanno. Per i Sufi in particolare è il giorno in cui il mondo cominciò a girare per volontà divina. In Giappone la primavera è il tempo dei fiori di ciliegio e durante tutta la stagione i giapponesi si dedicano all’hanami, ovvero la contemplazione dei ciliegi in fiore. Il quindicesimo giorno dopo l’equinozio in Cina ricorre il Qing Ming, il Giorno puro e luminoso o Giorno per ripulire le tombe. I cinesi visitano le tombe o i tumuli dei loro antenati per rendere loro omaggio e festeggiano la primavera, come risveglio della vita. E tornando alla festa celtica, Ostara rappresenta proprio la capacità di morire alla propria identità soggettiva e la scoperta di un se stesso puro e luminoso. Come si può ignorare questa base di esperienza comune? Perché non farne la base per ricostruire un mondo improntato a libertà, conoscenza e amore come sarebbe naturale per noi esseri viventi affacciati tutti allo stesso cielo stellato e al suo Mistero. Per le ricorrenze celtiche facciamo riferimento a: Le Feste dei Celti di G.Barbadoro e R.Nattero, Keltia Editrice
Mi balenò allora per la prima volta l'idea che, dopotutto, la separazione delle due culture — quella umanistica e quella scientifica —, di cui tanto si è di battuto nel corso di questo secolo, sia soltanto un artificio politico, tenuto in vita da un esercito di azzeccagarbugli. Costoro per puri scopi di potere rifiutano il rigore del metodo scientifico, l'unico adatto a comprendere e ad agire sul mondo che ci circonda, cui contrappongono un'estenuante eristica, triste retaggio di sofisti vecchi e nuovi, mediante la quale, riparandosi dietro una pretesa cultura umanistica, ogni turpe operazione di potere diventa possibile.
Giuliano Preparata, scienziato geniale e fuori dagli schemi, è conosciuto soprattutto per i suoi studi sulla fusione fredda e sulla memoria dell’acqua. In realtà il suo lavoro ha spaziato in molti campi della fisica, dalla costruzione del modello standard delle interazioni subnucleari alla teoria quantistica dei campi alle tematiche della dinamica della vita, che Giuliano ha esplorato sempre animato da grande desiderio di ricerca e grande passione per la scienza. Dei Pesci, suo Segno di nascita, ha l’anima profonda, quell’impossibilità di vedere confini tra esperienza e teoria, tra il mondo inorganico e la vita, tra diversi campi di ricerca. Con Emilio Del Giudice, Jacques Benveniste e Luc Montaigner fa parte di quel gruppo di scienziati che ha avuto una visione ampia della scienza e che ha aperto delle finestre che gli accademici preferivano tenere chiuse o hanno tentato di richiudere velocemente. Sono nato a Padova nella primavera del 1942 (il 10 marzo, n.d.r), in piena seconda guerra mondiale - scrive Giuliano Preparata nel suo libro Dai quark ai cristalli, Breve storia di un lungo viaggio dentro la materia, raccontando l’inizio della sua vita - Mio padre Vincenzo nacque agli inizi del secolo a Napoli, crebbe e fu educato, oltre che a Napoli, in varie città del Nord per poi trascorrere la sua giovinezza nella capitale. Mia madre, Stefania Bergomi, è figlia di quella stirpe fiera e cortese che popola la fertile pianura compresa fra il Po e l'Appennino tosco- emiliano: è nata a Reggio Emilia all'alba della prima guerra mondiale…Gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza trascorsero sereni, in un'Italia che cercava di uscire dagli orrori e dalle sofferenze della guerra con grande vigore e determinazione. Il livello di vita e di consumi spartano, ricordo, nulla toglieva al nostro magico mondo di bambini pieno di curiosità, di sorprese, di scoperte. Adolescente frequenta il liceo classico Umberto I a Roma, ma nel 1960, contraddicendo la sua passione per gli studi letterari, si iscrive alla Facoltà di Fisica della Sapienza. Giuliano racconta questo cambio di rotta, influenzato dal fratello maggiore Franco e dal suo compagno di studi Nicola Cabibbo, futuro ricercatore e professore ordinario di fisica delle particelle elementari all'Università la Sapienza di Roma : A me che in calzoni corti, spesso dietro la porta, li stavo ad ascoltare per ore, quegli strani discorsi di un mondo lontano e sconosciuto avevano forse solo il fascino dell'ignoto, ma stavano a testimoniare di realtà che il mio liceo classico stentava a riconoscere, se non addirittura irrideva attraverso la scomunica crociana della scienza come «pseudoconcetto». Anche se non capivo, se non riuscivo a vedere i contorni di quella lontana galassia cui Franco e Nicola dedicavano tanta parte di sé stessi, l'impressione nella mia mente rimaneva profonda: per me non esistevano più soltanto i classici, le idee e le fantasie che nutrivano la scuola umanistica, c'era anche un mondo della ragione e della natura, di cui ignoravo praticamente tutto ma che esercitava su di me un'attrazione straordinaria. Ed è leggendo alcune pagine del Dialogo sui massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei che Giuliano focalizza chiaramente che gli argomenti pieni di vigore, di fatti, di logica espressi lo interessavano più dell'armoniosa ed efficace prosa del Galilei e lo portano a scegliere una facoltà scientifica.
Per la tesi lavora a Firenze con Raoul Gatto e nel 1964 si laurea in Fisica Teorica. Il lavoro con Gatto è però così entusiasmante che Giuliano continua a collaborare con lui, documentando le ricerche con decine di articoli sulla fisica delle alte energie. Dal 1967 al 1972 è nelle più prestigiose università americane: a Princeton, come Research Associate, ad Harvard, come Research Fellow, alla Rockefeller, come Assistant Professor e alla New York University, come Associate Professor. Nel 1974 entra a far parte della direzione teorica del CERN di Ginevra e inizia anche a polemizzare apertamente con il conformismo di quelli che definisce i bramini del CERN che rendono impossibile dar spazio a idee nuove, a dibattiti aperti e accesi fra linee diverse. Nel 1976, terminato l’incarico al CERN, pur mantenendo la collaborazione, viene chiamato a ricoprire la cattedra di fisica teorica dell’università di Bari. Qui Giuliano diventa il catalizzatore di un gruppo di giovani fisici che collaborano con lui e che costituiscono la nuova scuola teorica di Bari. Leonardo Angelini, uno dei collaboratori, racconta che l’attività di Giuliano diventa rapidamente un attrattore irresistibile, in particolare per i più giovani. Essa infatti consentiva alla Fisica Teorica barese di entrare in contatto con le correnti internazionali principali della Fisica delle Particelle. Dei fisici teorici baresi, una decina (quasi tutti) collaborano direttamente con lui. In questo periodo Giuliano inizia anche a lavorare con Cecilia Saccone e il suo gruppo di bioinformatica e biologia molecolare, cooperazione che continuerà fino alla fine della sua carriera. Negli anni ottanta inizia la collaborazione con Emilio del Giudice per esplorare la natura dell’acqua attore fondamentale del dramma della vita. …Nel 1984 Emilio aveva scritto con il fratello Nicola, affermato medico omeopatico di Napoli, un libro in cui l'aspetto fisico e quello medico del ruolo fondamentale dell'acqua nel farmaco omeopatico vengono affrontati con grande entusiasmo e dottrina. L’ingresso in questo nuovo universo è per Giuliano una nuova avventura: la mia esperienza «eretica» nel mondo dei quark e degli adroni mi permise di capire immediatamente i termini del problema: com'è possibile che una molecola così insignificante si componga in un corpo macroscopico, l'acqua, dalle tante proprietà essenziali e incomprensibili? Al termine di una ricerca durata quasi due anni I risultati vengono presentati alla comunità scientifica. Ancora una volta l’establishment reagisce facendo muro. Non c'è da meravigliarsi – commenta Giuliano - mi trovo al centro di un nuovo, più duro scontro scientifico. Giuliano sa di essere considerato un eretico e non a caso si è ispirato a Galilei e a Bruno. Un’altra occasione di distinguersi dalle posizioni conservatrici di coloro che preferiscono difendere la posizione conseguita e la sedia conquistata si presenta nel marzo del 1989, quando due elettrochimici dell’università dello Utah, Martin Fleischmann e Stanley Pons, annunciano la scoperta della cosiddetta fusione fredda. Anche in questo caso lo scontro si fa duro. Coloro che, come me - scrive Giuliano - chiedono soltanto il tempo necessario per un'istruttoria seria, serena e meticolosa, in un'atmosfera che non sia di guerra di religione (ma gli aristotelici hanno sempre visto in quanti non la pensano come loro «eretici» da eliminare, eventualmente con il rogo), vengono sprezzantemente bollati come i «credenti» (True Believers, in inglese). Giuliano porta avanti la sua ricerca, con la collaborazione di Emilio Del Giudice, nonostante le difficoltà e la diffidenza della comunità scientifica che all’inizio della sua carriera di ricercatore gli aveva dato importanti riconoscimenti, ma ormai lo emargina, proprio come un eretico. Giuliano Preparata muore il 24 aprile del 2000 a Frascati. Di lui restano più di 400 articoli scientifici che spaziano dalla fisica, alla biologia, dalla chimica alla medicina e alcuni libri: Probing Hadrons with Leptons (Plenum Press, 1980), QED Coherence in Matter (World Scientific, 1995), An Introduction to a Realistic Quantum Physics (World Scientific, 2002), L'architettura Dell'universo: Lezioni Popolari Di Fine Secolo Su Ciò Che La Scienza è Riuscita a Capire Sulla Struttura Dell'universo (Bibliopolis, 2001), Dai Quark ai cristalli: breve storia di un lungo viaggio dentro la materia (Bollati Boringhieri, 2002), ma soprattutto il ricordo della passione per la conoscenza che lo ha accompagnato per tutta la vita, anche portandolo a scelte scomode e controcorrente. Ci piace immaginarlo come lo descrive uno dei suoi allievi, mentre costruisce universi di formule alla lavagna, senza risparmiarsi mai, senza risparmiarti nulla…
Spezzone di una puntata di Report (stagione 1998-1999) con intervista a Pierluigi Ighina e commento in studio di Giuliano Preparata: https://www.youtube.com/watch?v=95EESLdu_CA Estratto da un’altra puntata di Report: Giuliano Preparata e altri ricercatori parlano della Fusione Fredda: https://www.youtube.com/watch?v=0_sHXk2ixbc
FEBBRAIO 2017 San Valentino e l’antica Shuda Shali
Il 14 febbraio è l’antica festa celtica che celebra l’amore universale: l’amore verso tutte le creature che popolano questo mondo e verso Madre Terra che ci nutre e dà vita. Si chiama Shuda Shali e certo ha una valenza molto più significativa della ricorrenza di San Valentino, festa degli innamorati, dei cuoricini e dei cioccolatini. Shuda Shali celebra l’eredità spirituale degli antichi dei scesi dal cielo e il loro amore nei confronti dell’umanità e il suo spirito di condivisione, al di là di ogni differenza, perfino di specie, viene completamente travisato dal San Valentino che vuole festeggiare il rapporto esclusivo dei “piccioncini”, chiusi nel loro piccolo mondo a due posti soltanto. Che cosa è successo? Chi è San Valentino e da dove è saltato fuori? Se proviamo ad andare indietro nella storia scopriamo che questo santo è stato “fabbricato su misura” per rispondere ad esigenze della Chiesa del tempo. Come nel caso di San Giorgio, costruito mettendo insieme le caratteristiche che servivano a farne un perfetto eroe cavalleresco, la figura di Valentino servì a dare una valenza cristiana ad una festa pagana. La festa del dio Luperco, protettore delle mandrie e delle greggi, in qualche modo derivata dalla festa celtica e poi trasformata secondo la mentalità romana, ricorreva a metà febbraio e prevedeva riti di purificazione e fecondazione poco affini alla morale cristiana. Ad esempio in questa occasione uomini e donne si univano in coppie casuali, estratte a sorte, destinate a durare un anno, al solo scopo di procreare, senza vincoli di matrimonio o di sentimento reciproco. Nel 496 papa Gelasio I decise di abolire i Lupercalia, dedicando in un primo tempo questa data alla purezza e alla maternità della Vergine Maria e in seguito a San Valentino da Terni, vescovo cristiano martirizzato il 14 febbraio. Intorno a questa figura vennero create ad hoc delle leggende che potessero identificarlo come protettore degli innamorati. Così si racconta che il vescovo Valentino abbia risolto un litigio tra innamorati facendo volare tra loro delle colombe, che sposò in punto di morte una fanciulla cristiana ed un giovane romano, che mandò un biglietto alla sua carceriera cieca firmandolo il tuo Valentino…
È interessante comunque notare che in alcune parti del mondo San Valentino conserva comunque una valenza più ampia e non si riduce alla celebrazione della coppia e della ricerca dell’altra metà della mela come massimo appagamento del cuore a cui si possa aspirare nella vita. In Sud America San Valentino è il día del amor y la amistad, ovvero il giorno dell’amore e dell’amicizia e così è anche in Danimarca, in Finlandia e in Giappone. Negli Stati Uniti è giorno di festa anche per i bambini, occasione di scambio di biglietti, le valentines, e regalini. In Olanda e in Inghilterra si usa mandare doni in modo anonimo e in Colombia si fa il gioco dell’amico segreto: tutti i partecipanti, che possono essere amici, parenti, conoscenti, colleghi ma anche persone appena conosciute, mettono in un recipiente un bigliettino con il loro nome. Ognuno estrae a sorte un nome che diventa il suo amico segreto e da quel momento per un intero mese riceverà attenzioni, regali e gentilezze varie. Nelle terre in cui la tradizione celtica è rimasta più viva si praticano ancora rituali legati al significato più profondo della Shuda Shali, cioè all’amore e alla libertà che scaturiscono dal contatto con il senso più intimo dell’esistenza, quello che si esprime con l’essere vento nel vento, ognuno con pari dignità a tutti gli altri, in quanto fatti della stessa sostanza, l’esistenza stessa. In Piemonte ad esempio in questo periodo dell’anno, a Balangero e Ceres si innalzano pali ornati di nastri e fiori, a Giaglione si costruisce il Bran, struttura di legno a forma di albero, arricchita di fiori frutta e nastri che volano appunto nel vento. Queste manifestazioni si collegano direttamente alle feste che si celebravano un tempo intorno ai grandi alberi, prima che la Chiesa ne proibisse, dopo il Concilio di Arles, la venerazione. La memoria delle famiglie celtiche locali ricorda ancora il grande albero che viveva al centro di una radura nella zona nord del parco della Mandria, nella zona di Fiano, che il clan dei Ramat, all’epoca delle persecuzioni dei Catari, riconosceva come il centro della loro terra sacra. È commovente pensare che oggi nel luogo in cui il grande albero sacro alzava le sue braccia a cielo c’è lo Stone Circle di Dreamland, opera d’arte costruita sul disegno degli antichi cromlec per proporre un contatto immediato con la dimensione del Silenzio segno contatto intimo con la natura e l’amore che essa esprime verso tutti i suoi figli qualsiasi forma essi abbiano. Per le ricorrenze celtiche facciamo riferimento a: Le Feste dei Celti di G.Barbadoro e R.Nattero, Keltia Editrice Per approfondire l’argomento di questa puntata: www.eco-spirituality.org/tdgr09-hist.htm
Vivian Maier è una straordinaria fotografa, la cui bravura, ignorata completamente mentre lei era in vita, viene scoperta per caso da John Maloof, giovane figlio di un rigattiere. John trova in una casa d’aste una grande quantità di negativi, incuriosito li acquista e decide di far sviluppare e stampare quelle immagini che ad una prima occhiata gli sembrano molto interessanti. Quando si trova davanti i risultati si accorge di avere tra le mani dei capolavori. Dotato di sensibilità artistica è profondamente colpito da quelle fotografie, che lo trasformano in un vero e proprio detective e lo spingono sulle tracce della misteriosa autrice di quegli scatti. La storia della sua ricerca è raccontata in un libro (Charlie Siskel e John Maloof Alla ricerca di Vivian Maier. La tata con la Rolleiflex) e in un film-documentario (Alla ricerca di Vivian Maier) prodotti in italiano da Feltrinelli. Vivian, nostra ospite in questa puntata, è descritta da chi l’ha conosciuta come paradossale, coraggiosa, misteriosa, eccentrica, insolita e riservata: praticamente una “fotografia” dell’Acquario. La sua anima si rivela riflessa nelle immagini che ha saputo catturare. Le piacevano le facce, i vecchi, la gente che dorme, le donne eleganti, le scale, i bambini, le ombre, i riflessi, le scarpe, le simmetrie, la gente di spalle, la rovina e gli istanti. Si vede lontano un miglio che adorava il mondo, a modo suo - ne adorava l’irripetibilità di ogni frammento. Probabilmente le andava di produrre quello che ogni fotografia ambisce a produrre: eternità. Ma non quella friabile delle foto dei mediocri: lei otteneva quella, incondizionata, dei classici scrive di lei Alessandro Baricco.
Vivian Maier nasce a New York il 1 febbraio 1926, da madre francese e padre di origine austriaca. Quando i genitori si separano Vivian resta con la madre che va a vivere da un’amica francese, Jeanne Bertrand, fotografa professionista. Sarà lei a trasmettere a Vivian la passione per la fotografia. All’inizio degli anni ’30 le due amiche e la piccola Vivian tornano in Francia e qui Vivian trascorrerà gran parte della sua infanzia, finché, nel 1938, ritornerà con la madre a New York. Nel 1950 riparte per la Francia per vendere una proprietà che ha ereditato e con i soldi che ne ricava riesce a comprarsi una macchina macchina fotografica professionale: la Rolleiflex che da questo momento avrà sempre al collo. Nel 1951 la ritroviamo a New York, poi in viaggio per il Nord America e nel 1956 a Chicago dove viene assunta come tata dalla famiglia Gensburg, con cui rimarrà per 17 anni. Quando i ragazzi Gensburg sono ormai grandi Vivian continuerà il suo lavoro di bambinaia presso altre famiglie. Sembra che la scelta di questa professione sia dovuta più alla libertà di movimento che le può lasciare che non ad una particolare passione per il mondo dei bambini.
Tra il 1959 e il 1960, per sei mesi farà anche un lungo viaggio, quasi segreto, intorno al mondo che la porterà in Thailandia, nelle Filippine, in India, lo Yemen, Egitto, Italia e ancora in Francia, nel paese della sua infanzia. Ovunque vada scatta fotografie. Nella casa dei Gensburg riesce ad attrezzare nel bagno un piccolo laboratorio per lo sviluppo e la stampa delle sue foto. Silenziosa, attenta, spettatrice partecipe, Vivian cammina per le strade di Chicago con la sua macchina fotografica e coglie espressioni, visi, istanti carichi di intenso significato. Sembra esserci un feeling speciale tra lei e i protagonisti dei suoi scatti, e se possiamo sentirla sempre presente e vicina ai soggetti che inquadra, ogni tanto le sue foto sono “firmate” dalla sua immagine, che si evidenzia in un angolo, in un’ombra, in un riflesso. Il suo aspetto è bizzarro: è alta, indossa scarpe e camicie maschili, ampi cappotti e grandi cappelli che poco hanno a che fare con la moda del momento. Cammina con passo marziale, ha sempre la macchina fotografica al collo, parla con uno strano accento francese, sembra quasi essere arrivata da un altro mondo per documentare la vita sulla Terra. Della sua vita, della sua storia, del suo mondo personale alla fine si sa ben poco, se non che scattava fotografie, tante, straordinarie fotografie che catturano con immediatezza e partecipazione un luogo, un istante ma che, come lei, sembrano fuori dal tempo. Le piace catturare attimi ma il più delle volte i rollini restano lì, senza essere sviluppati, accumulati gli uni sugli altri, insieme ai giornali che colleziona riempiendo all’inverosimile le stanze in cui vive. Il suo archivio di 200 casse di cartone la seguirà nei suoi spostamenti da una casa all’altra. Non sarà mai ricca e da anziana saranno i ragazzi Gensburg ad occuparsi di lei dandole la possibilità di vivere in una casa confortevole. Il suo smisurato archivio però, sistemato in un box, finisce con l’essere messo all’asta per mancato pagamento dell’affitto. È qui che lo troverà e lo acquisterà John Maloof. Vivian Maier muore il 21 aprile 2009, prima che John Maloof riesca a rintracciarla. Per chi è interessato, il documentario Alla ricerca di Vivian Maier è su youtube: www.youtube.com/watch?v=Hsy4NOWOp0g www.vivianmaier.com è il sito in cui è possibile vedere una bella selezione delle foto di Vivian Maier
GENNAIO 2017 Un anno in musica con il LabGraal Per il 2017 Astromatta vuol farvi gli auguri in musica, dedicando ad ogni Segno dello Zodiaco un brano musicale che lo rappresenti e gli faccia da colonna sonora per tutto l’anno. Tra i tanti artisti abbiamo scelto una band molto speciale: il LabGraal. Il LabGraal non è solo un gruppo di cinque artisti bravissimi, è qualcosa di più, come dice Rosalba Nattero, voce della band: Il LabGraal non è solo un gruppo musicale ma è un progetto. Il LabGraal ha un sogno, una visione: un pianeta dove gli animali non vengono maltrattati, una Terra dove tutte le culture siano rispettate, dove i Popoli indigeni non vengano defraudati delle loro terre sacre. Un mondo che rispetti Madre Terra, ne colga l’insegnamento e sappia guardare alla poesia del cielo stellato. Il nostro progetto è un impegno a dare un contributo affinché il mondo sia un posto migliore in cui vivere. Cambiare il mondo è un’impresa difficile. Ma noi abbiamo già cominciato.
Anche a noi piace questo nuovo mondo possibile e ci auguriamo che questo nuovo anno sia un passo avanti verso il raggiungimento di questi obiettivi. Dove trovare la forza per procedere su questo cammino? Dove l’ha trovata il LabGraal: nel silenzio. Il nostro gruppo si è ritrovato nel silenzio – dice ancora Rosalba Nattero - La ricerca del silenzio è quella che ci ha fatto incontrare e ci ha uniti creativamente. La musica del LabGraal attinge all’anima profonda, mistica, della tradizione celtica, un cuore antico che permette di dialogare con i popoli naturali di tutto il pianeta. Con Rosalba Nattero suonano Giancarlo Barbadoro, flautista e poeta che ha ispirato gran parte dei testi delle canzoni del gruppo, Luca Colarelli con la sua chitarra o la bagpipe, Anrea Lesmo alla tastiera o al buzuki, e Gianluca Roggero ai tamburi. Con pezzi originali e melodie tradizionali di Scozia, Irlanda, Bretagna, Occitania, collaborazioni con musicisti nativi americani, africani, australiani, il LabGraal celebra la vita, la fratellanza con gli altri esseri compagni di viaggio nel nostro cammino, il contatto con il mistero che anima l’universo e il bien-être che ne deriva.
Capricorno All’insegna del cambiamento. Sono in arrivo grandi cambiamenti che modificheranno la tua vita e alcuni saranno completamente inaspettati. Sono i tuoi sogni ad avere una grande forza e dal profondo del tuo cuore vogliono uscire allo scoperto e volare liberi come farfalle. Wind of freedom, dall’album Northern Wind, è il brano che ben interpreta lo spirito di quest’anno per il Capricorno. Il flauto di Giancarlo Barbadoro interpreta la libertà del vento che invita a danzare con la vita. Acquario Tante cose nuove. Le novità arriveranno come piccoli pacchi dono colorati un po’ in tutti i campi della vita e produrranno una sensazione di leggerezza, di rinascita, di voglia di giocare. Sarai l’Acquario dei momenti migliori: idealista, anticonformista, bizzarro e libero. Per te abbiamo scelto il brano occitano Se ièu sabiau volar, dall’album Native, che esprime così bene la voglia di volare. Pesci Volta la pagina. i tuoi sogni e la possibilità di concretizzarli saranno per te l’elemento più importante di questo 2017. L’anno che viene ti porterà a valutarli attentamente e a scegliere quali di essi sono davvero significativi al di là della dimensione un po’ confusa in cui li lasci esistere. Quelli che sceglierai si svilupperanno pian piano e a fine anno si realizzeranno. My vision, dall’album Dreaming, è il brano per te: la chiarezza del proprio sogno che diventa scelta di vita.
Ariete Guerriero e ribelle. Quest’anno sarà caratterizzato da un grande bisogno di libertà. Sarai insofferente alle costrizioni e alle richieste o aspettative degli altri. Stai cercando un contatto più profondo con te stesso e con la vita. Il brano Native, dall’album omonimo, interpreta lo spirito guerriero di chi vuole vivere in prima persona la sua vita, è un inno alla libertà, all’amore per l’esistenza e alla fratellanza con gli altri esseri che ne fanno parte. Toro Positivo e perseverante. La strada che hai intrapreso è quella giusta e val la pena di percorrerla senza ripensamenti. C’è un concreto e sereno coinvolgimento di tutto il tuo essere in ciò che porti avanti, soprattutto del tuo aspetto amorevole nei confronti degli altri. Il brano scelto per te è En montant la rivière, dall’album Native, una canzone tradizionale del Quebec, che parla di primavera, d’amore e di sicurezza nelle proprie scelte.
Gemelli Con gli occhi attenti. Un anno un po’ complesso alternerà momenti di stanchezza ad altri appaganti. Le situazioni esterne non sono male ma non sempre corrispondono alle tue esigenze più profonde. Il tuo punto forte sarà l’attenzione e la capacità di cogliere al volo opportunità e occasioni. Per te proponiamo The two dragons, dall’album Dreaming, nato dall’incontro con i nativi australiani. Nel brano il flauto di Giancarlo Barbadoro ed il didgeridoo di Jida Murray Gulpilil dialogano tra loro: due suoni antichi che ricordano il vento, due tradizioni apparentemente lontane con lo stesso cuore. Cancro E’ tempo di rinascere. Un’irrequietezza sotterranea caratterizza l’anno che sta iniziando e continuerà fino all’autunno. Ci sono dentro di te aspirazioni che fai fatica a far emergere richiamate da avvenimenti o persone che ti sollecitano continuamente coinvolgendoti in situazioni complesse che ti confondono. Sii coraggioso e trova il tempo e la forza di guardare dentro di te. La fine dell’anno promette un allentarsi della tensione e potrebbe essere il tempo di una vera rinascita. Birth song, la canzone della nascita, ispirata ad un canto Sioux, è il brano per te, un augurio per una nuova vita. Birth song è tratta dall’album Sacred Land. Leone Un anno da re. Fin dall’inizio il 2017 ti regala una grande energia positiva che ti porterà a raggiungere gli obiettivi che via via ti prefiggi e a non temere i cambiamenti che si prospettano o si si rendono necessari. Il brano per te è Our ancient heart dall’album Shan soundtrack che ti ricorda di mantenere vivo il legame con la tua ricchezza interiore, con l’anima profonda dei figli di Madre Terra. Vergine Sarà un anno dedicato alla ricerca della felicità. Il compito è quello di rimettere ordine nella tua vita, di guardare nella direzione che hai scelto, di allontanare tutto ciò che ti coinvolge in problemi inutili e di fidarti di ciò che alberga nel profondo del tuo cuore. Per te abbiamo scelto il brano Mother Africa, dall’album omonimo, con la splendida voce di Rosalba Nattero che ti condurrà su sentieri antichi e ti porterà a guardare oltre i riflessi dell’apparenza che vogliono coinvolgerti con il loro continuo mutare. Bilancia Brinda alla fortuna! Ti sentirai come quando salta il tappo dello spumante: tutto ciò che sembrava faticoso o frenato improvvisamente trova lo spazio di esprimersi e prendere forma. Attento a non ubriacarti però, perché il futuro ti riserva cambiamenti di rotta e nuovi incontri con situazioni e persone che richiedono disponibilità e lucidità. Il brano per te è Encounters, dall’album Mother Africa, ispirata ad una poesia di Giancarlo Barbadoro, che parla degli infiniti incontri su percorsi che si intrecciano attraverso il tempo, attraverso lo spazio.
Scorpione Tre passi avanti. Il primo passo, la prima parte dell’anno, ti richiede idee chiare e obiettivi precisi, il secondo passo prevede lo sviluppo di ciò che hai preparato con cura e il terzo passo, ultima parte dell’anno, promette la riuscita e il raggiungimento dei traguardi. Possiamo dire un anno concreto e positivo. Il brano scelto per te è Eliz-Iza dall’album Native, un canto bretone, antico e misterioso, che sembra svilupparsi al confine tra la nostra dimensione e l’Autre monde, in sintonia con l’anima profonda dello Scorpione. Sagittario Trovare l’essenza. Un lungo percorso di maturazione ha prodotto grandi cambiamenti dentro di te ed anche all’esterno. Questo processo continuerà ancora per quest’anno. E’ ricerca di verità, abbandono di situazioni o posizioni di comodo: una grande lezione di vita i cui risultati ti renderanno forte e fiero. Il brano dedicato a te è Beyond the horizon dall’album Dreaming, così affine al desiderio di superare tutti i confini, tipico del Sagittario. E per finire proponiamo due video del LabGraal. Il primo Witch dance è un video magico con una canzone magica, un augurio di speranza e felicità per tutti: www.youtube.com/watch?v=_T_FIZ_Pw7w Il secondo, Amazing grace, è tratto da un concerto live nel mondo virtuale di Second Life, con gli avatars dei cinque musicisti, e ben rappresenta l’anima di questa band che ha viaggiato in paesi lontani, incontrato mondi invisibili, trasformato in musica tradizioni, esperienze e intuizioni: www.youtube.com/watch?v=MLoFgSYBj2g E per chi vuol saperne di più sulla band ecco il sito ufficiale:
L’umanità ha le stelle nel suo futuro e il futuro è troppo importante per essere perso a causa della sua follia infantile e della superstizione che la mantiene nell’ignoranza.
Il personaggio ospite di questo mese è Isaac Asimov, grande scienziato e straordinario scrittore di fantascienza. Autore incredibilmente prolifico ha scritto più di 400 libri tra opere scientifiche, divulgative, racconti e romanzi, tradotti in molte lingue e famosi in tutto il mondo. Russo di nascita ma diventato cittadino americano da quando aveva otto anni, Isaac ha creato personaggi, immaginato mondi, anticipato eventi e temi di straordinaria attualità. Pensiamo ad esempio alle problematiche dell’intelligenza artificiale che Isaak ha saputo vedere con tanta lucidità con le sue leggi della robotica, che oggi sono di riferimento per tutti coloro che lavorano nel campo dello sviluppo dell’A.I. Pensiamo anche alla simpatia umana che ha espresso per questi esseri meccanici ai quali riconosce particolare dignità (La disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta). Isaac Asimov nasce il 2 gennaio 1920, nel villaggio russo di Petrovichi. Nel 1923 la famiglia Asimov si trasferisce negli Stati Uniti, a New York, nel quartiere di Brooklin. E’ nel negozio di giornali e dolciumi del padre che il piccolo Isaac impara a leggere da solo e comincia ad appassionarsi alla fantascienza. Isaac è un bambino gracile ma dotato di un’intelligenza straordinaria, comincia la scuola a soli cinque anni (sembra che per poterlo iscrivere i genitori si siano industriati a cambiare la sua data di nascita anticipandola di qualche mese) e completa gli studi molto velocemente.
Si laurea in chimica alla Columbia University di New York nel 1939 e nel 1941 ottiene il master in chimica. Nel 1942 lavora come chimico presso il Cantiere Navale di Filadelfia, tre anni dopo torna New York dove continua la sua formazione e nel 1948 consegue il dottorato in chimica. Dal 1949 insegna alla Facoltà di Medicina dell'Università di Boston, prima come professore assistente poi come professore associato e quindi professore ordinario. Intanto dal 1939 comincia a scrivere e questa sua attività lo assorbirà sempre di più fino a diventare, dal 1950, il suo lavoro principale. Scrive testi di chimica, biochimica, biologia, astronomia, fisica, tecnologia ma la fama mondiale arriva grazie ai racconti e romanzi di fantascienza che fanno di lui uno dei più grandi scrittori di questo genere letterario. Famosi sono i suoi cicli di romanzi: Il ciclo dei robot, il ciclo dell’Impero e il ciclo della Fondazione che tra loro e con gli altri libri e racconti formano una sorta di corpus unico, come se l’autore avesse immaginato un mondo in cui tutte le vicende che racconta trovano posto e riferimenti reciproci. Sembra quasi abbia “visto” questo universo, perché le sue descrizioni hanno una chiarezza sconvolgente. Nonostante riceva molti riconoscimenti e premi per le sue opere, Isaac, che di carattere è molto semplice e schivo, tende sempre a sminuirne l’importanza e le implicazioni, arrivando ad ironizzare sulla soddisfazione soprattutto economica che gli deriva dai suoi scritti. In altre occasioni però ammette di essere grato alla natura che gli ha regalato la capacità di immaginare e di tradurre con facilità in parole le sue idee. Isaac che porta i suoi personaggi in giro per la galassia non ama viaggiare e soprattutto detesta dover prendere l’aereo. Ebreo di origine, non condivideva le convinzioni religiose e detestava le superstizioni di tutti i generi. Aveva fiducia nella ragione e nella logica, nell’impegno e nella costanza.
Isaac si sposa due volte: nel ’45 con Gertrude Blagerman, con la quale ha due figli e nel ’70 con la psichiatra Janet Jeppson. Nel 1983, Isaac Asimov subisce un'operazione al cuore e purtroppo, a causa delle trasfusioni di sangue, viene infettato dal virus HIV, che peggiora la sua patologia cardiaca e gli procura una grave insufficienza renale. Muore nella sua New York il 6 aprile 1992. Le sue ceneri vengono disperse. Se gli eventi della sua vita possono essere raccontati in modo conciso, leggendo i suoi libri si entra nello spazio immenso, si viaggia nel tempo, si incontrano personaggi straordinari. Scrivere, per me, è semplicemente pensare attraverso le mie dita, è una delle sue frasi celebri, il suo mondo concreto sembra essere la sua macchina da scrivere. Se il mio dottore mi dicesse che mi restano solo 6 minuti da vivere, non ci rimuginerei sopra. Solo batterei a macchina un po’ più veloce, dice con semplicità e umorismo. E proprio in questo interpreta le caratteristiche del suo Segno di nascita, il Capricorno: l’essenzialità, il rigore, la coerenza, la determinazione e quel guizzo ironico e autoironico che affiora nello sguardo e fa brillare gli occhi.
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